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domenica 6 febbraio 2022

La sacrosanta protesta dei giovani. - Antonio Padellaro

 

“È doveroso ascoltare la voce degli studenti che avvertono tutte le difficoltà del loro domani”.

Sergio Mattarella

Meno male che si mobilitano, che scendono in piazza, che protestano vien voglia di dire leggendo le diagnosi sul “malessere dei ragazzi”, sulla loro apatia, rassegnazione. Sul “loro stato di salute psichica causato non direttamente dal virus ma dalla cattiva gestione della pandemia che ha compromesso la credibilità di genitori e istituzioni come modello” (la psicologa Stefania Andreoli). Molto si è scritto sugli scontri tra le bande giovanili che si affrontano con forme di estrema violenza. Non solo nelle periferie degradate, e altri luoghi comuni, ma dappertutto: centri storici, quartieri alto borghesi, borghi sperduti e località alla moda. Del resto, perché sorprendersi se trascorsi due anni di restrizioni, proibizioni, sanzioni abbiamo di fronte un contenitore adolescenziale super-compresso la cui energia vitale andrebbe liberata e non repressa. Come ha fatto la polizia del governo dei Migliori manganellando a più non posso nelle manifestazioni (Torino) contro il progetto scuola-lavoro, dopo la morte in fabbrica dello studente Lorenzo Parelli. Eh sì, “la voce degli studenti” andrebbe ascoltata e non soltanto quando vengono sollevate questioni per così dire “corporative”, come le prove di maturità o i programmi ministeriali. Prestare orecchio, spesso distrattamente, ai rumori che provengono da un mondo sconosciuto per poi lasciare tutto come prima?

Quella giovanile dovrebbe essere da anni la “questione nazionale”, e su di essa avrebbero dovuto dirci qualcosa di serio, di fattuale i ministri che lavorano sui temi sensibili della Next Generation Eu: dalla Pubblica istruzione, alla Innovazione, alla Transizione ecologica, alle Politiche giovanili. Per caso, qualcuno li ha sentiti? In quell’Araba Fenice chiamato Pnrr (che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa) c’è scritto che le misure rivolte ai giovani ammontano a 15,55 miliardi di euro, pari all’8,1% sul totale. Un fiume di denaro dagli sbocchi al momento sconosciuti. Nessuno ne sa nulla, a cominciare dai destinatari. Che però se parlano si beccano una manganellata. Mentre chi parla di loro si merita l’applauso.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/06/la-sacrosanta-protesta-dei-giovani/6483517/?utm_content=marcotravaglio&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR0fvS8qCep2iJrrQQqzk9Dpe2cAd_5YU6MiFWYgSRJLQ30_VDzP6wV9adE#Echobox=1644143802

lunedì 21 dicembre 2020

Recovery Plan, Conte convoca i giallorosa e Iv già protesta. - pa.za.

 

Il vicesegretario del Pd Andrea Orlando aveva lanciato l’avvertimento, ieri pomeriggio via Facebook. Separare le trattative di governo dalla discussione sul Recovery: “Isoliamo questo tema e decidiamo, subito”. Perché il rischio, per dirla tutta, è che il piano che può portare in Italia i 209 miliardi del programma europeo Next Generation finisca travolto dalla bega interna con Italia Viva. Che sembra davvero intenzionata a far precipitare tutto, a voler prendere sul serio le dichiarazioni con cui ieri Ettore Rosato ha sostenuto che “ad oggi non c’è più la fiducia tra la maggioranza e il premier”. Gli hanno risposto in tanti, a cominciare dal Pd che con Michele Bordo, vicecapogruppo alla Camera, invita Rosato a parlare “a nome di Italia Viva, che rappresenta il 2 per cento degli italiani”. E si è scomodato pure il ministro della Giustizia, capodelegazione dei 5 Stelle al governo, Alfonso Bonafede: “Chi ha in mente altre soluzioni, che avrebbero pesanti ripercussioni in primo luogo economiche, se ne assuma la responsabilità. Anzi, l’irresponsabilità”. Segno che la misura è colma. È che il “bombardamento quotidiano” dei renziani è un fatto che sta logorando i nervi di palazzo Chigi. Così, ieri sera, Giuseppe Conte ha annunciato di voler dar seguito all’appello di Orlando. E già oggi riprenderà la discussione sul Recovery Plan, bruscamente interrotta ormai due settimane fa, quando Renzi e i suoi, le bombe, hanno cominciato a tirarle. Dunque si avvia “il confronto con le singole forze di maggioranza per aggiornare i lavori di preparazione del Recovery plan”. Alle 15.30 Conte, insieme ai ministri Amendola e Gualtieri, vedrà la delegazione dei 5 Stelle, mentre alle 19 sarà la volta del Pd. Martedì tocca invece a Leu e Italia Viva. Che già fa sapere: “A noi nessuno ha detto niente. Se il cambio di metodo che chiedevamo è che dobbiamo apprendere la convocazione delle riunioni dagli sms di Casalino alle agenzie significa che a Chigi non hanno capito cosa stanno rischiando”. Buon Natale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/21/recovery-plan-conte-convoca-i-giallorosa-e-iv-gia-protesta/6043634/

venerdì 6 novembre 2020

Salvini aizza i presidenti. E Fontana, Cirio e Spirlì chiedono il “riconteggio”. - Giacomo Salvini

 

Regioni rosse - La Lega accusa: “Punite” solo le amministrazioni guidate dal centrodestra. La Calabria fa ricorso.

Il registro chiamate del telefono è monotona, perfino noiosa. “Fontana, Cirio, Musumeci, Spirlì, Fontana, Cirio, Musumeci, Spirlì” e così via. Matteo Salvini chiama, ascolta e, se necessario, incita i governatori delle zone rosse e arancioni. A impugnare il Dpcm al Tar, come annunciato ieri dal governatore della Calabria Nino Spirlì, o a chiedere trumpianamente il riconteggio ché “i dati di Conte sono vecchi di dieci giorni”. Certo, il Piemonte, la Lombardia e la Calabria non saranno il Michigan, la Georgia o la Pennsylvania e la richiesta di lasciare aperto non sarà come conquistare la Casa Bianca, ma in serata la sintesi la fa il governatore del Piemonte, Alberto Cirio, che da mercoledì sera è il più arrabbiato di tutti: “I dati sono vecchi di dieci giorni, il nostro Rt è passato da 2,16 a 1,91. Chiedo una verifica”. E a ruota si associano anche Fontana, Spirlì e il siciliano Nello Musumeci. Al punto che il ministro Speranza deve intervenire: “È surreale che anziché assumersi la loro parte di responsabilità ci sia chi faccia finta di ignorare la gravità dei dati nei propri territori”.

Ma il problema è politico e le telefonate tra Salvini e i governatori in lockdown sono drammatiche: “Matteo, così non teniamo più i commercianti e i ristoratori”, gli dice mercoledì sera Fontana dopo aver appreso che da oggi la sua Regione chiude. “I calabresi così muoiono di fame” gli confida Spirlì, già vice di Jole Santelli che si candiderà alle prossime Regionali: sicché il ricorso al Tar è cosa quasi scontata. E allora ieri mattina, dopo aver risentito Fontana, il leader del Carroccio è furioso e lo dice dritto: “Dobbiamo reagire contro questo governo indegno, non staremo a guardare le previsioni del tempo”.

Cosa questo voglia dire non è dato saperlo, ma il ricorso del governatore della Calabria è un buon inizio. Qualche collega potrebbe seguirlo, qualcuno chiedere di allentare la stretta tra due settimane se i dati dovessero migliorare, ma nel centrodestra circola anche l’ipotesi di ordinanze à la Trentino per disobbedire alle norme nazionali. E Salvini non si opporrebbe di certo. D’altronde il leader del Carroccio legge la “zona rossa” di Conte come un marchio per colpire le Regioni leghiste almeno fino al 3 dicembre: “Per un mese non si tocca palla – attacca – ma così si mette in ginocchio un Paese. I ristori sono mance o elemosina”. Così ieri ha sentito anche diversi sindaci leghisti della bassa Lodigiana dove a marzo era esplosa l’epidemia – tra cui Francesco Passerini (Codogno), Sara Casanova (Lodi) e Elia Delmiglio (Casalpusterlengo) – che sono pronti a impugnare singolarmente il Dpcm perché “oggi non possiamo essere paragonati ad altre parti d’Italia”.

Poi c’è la sindrome dell’accerchiamento. O meglio, dell’accanimento politico. E anche se l’esercizio nel dialetto lascia un po’ a desiderare, il concetto di Salvini è chiaro: “La Campania dove De Luca chiude tutto e dove c’è il disastro negli ospedali dov’è finita? Perché è zona gialla? Ccà nisciuno è fesso”. Come dire: il governo ha chiuso le Regioni di centrodestra (Lombardia, Piemonte, Sicilia e Calabria) e lasciato aperte quelle di centrosinistra. Un’accusa che rimbalza per tutto il giorno, dalla Camera dove anche Forza Italia e Fratelli d’Italia protestano animatamente contro il “mero calcolo politico” del governo (la deputata calabrese Maria Tripodi) ai leghisti vicini a Salvini: “Le zone rosse sono state decise dal colore politico”, si agita il segretario lombardo del Carroccio, Paolo Grimoldi. E anche il segretario, all’ora di pranzo, dal suo ufficio in Senato, attacca: “Le nuove norme sono una lotteria basata su dati vecchi: perché Lombardia sì, Toscana e Campania no? A Milano, Torino e Palermo non ci sono fessi, e a Roma c’è qualcuno attaccato alla poltrona”. L’unico leghista che si dissocia è il governatore del Veneto Luca Zaia, Regione che è ancora zona gialla ma presto potrebbe diventare arancione: “Le proteste sono legittime e anch’io avrei qualcosa da replicare, ma tutti abbiamo un obiettivo, cioè di uscire presto da questa crisi”. Un altro segnale di distanza da Salvini. E infatti nel Carroccio nessuno ci fa più caso: “Ormai Luca va per conto suo”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/06/salvini-aizza-i-presidenti-e-fontana-cirio-e-spirli-chiedono-il-riconteggio/5993747/

sabato 26 settembre 2020

I rivoltosi dell’(ex) buvette: “Basta con il caffè ciofeca”. - Ilaria Proietti

 


Protesta bipartisan - Sugli standard alimentari.

E va bene che non è più tempo di lusso sfrenato, che la crisi morde e c’è pure l’emergenza coronavirus. Ma a Palazzo c’è chi è pronto a fare le barricate per tornare all’antico con pasti degni di ristoranti stellati e trasporti al top della comodità, altro che risparmi. Ché, per dirla con il vicepresidente della Camera, Ettore Rosato di Italia Viva, ne va “della giusta considerazione per la funzione parlamentare”. E così, come tollerare i disservizi della caffetteria? E che dire del nuovo corso che imporrebbe, quando possibile, di ripiegare su biglietti per aerei e treni meno costosi o comunque a miglior prezzo? Giammai.

Ora va detto che Montecitorio è già orfano della buvette, tempio indiscusso della politica della Prima e pure della Seconda Repubblica: il bar adiacente al Transatlantico dove gustare spuntini veloci, frutta prelibatissima, dolci di fine pasticceria e gli intramontabili supplì e che era un must ha chiuso i battenti a causa della riorganizzazione degli spazi imposti dall’epidemia. Ora i deputati devono addirittura scendere al ristorante anche solo per il caffè. Che però, stando alle lamentele di Palazzo, manco quello è come una volta. Anzi, qualcuno, sotto la garanzia dell’anonimato, dice proprio che “è una ciofeca”. Ma la rivolta è ormai affiorata, come è successo qualche settimana fa in Ufficio di presidenza impegnato con l’approvazione del Bilancio interno: nessuna accusa personale, per carità. Ma sulla graticola sono finiti Roberto Fico (“manidiforbice”) e pure il Collegio dei questori accusati implicitamente di voler cedere a una certa demagogia anti-casta. Certo, i tempi in cui il servizio di ristorazione veniva svolto in house con camerieri e cuochi della Camera disposti a tutto per accontentare gli onorevoli inquilini, grazie a una possibilità di spesa in menu da mille e una notte, sono lontani. Ma c’è chi teme che vada sempre peggio: il pesce surgelato anziché la spigola appena pescata come un tempo è il segno tangibile del declino e non è l’unico. La società che ha vinto l’appalto per la ristorazione è stata formalmente diffidata dal proporre prodotti non previsti dal contratto, ossia non italiani o comunque di provenienza non europea: l’incidente diplomatico si è verificato al banco della frutta che in passato riservava solo primizie doc. E quelli che vanno a combinare? Hanno provato a rifilare agli onorevoli commensali arance egiziane “ed erano pure cattive”. Lapidario il commento di un salviniano doc. “Gli attuali standard di qualità non sono soddisfacenti”, ha tuonato Marzio Luini della Lega facendo eco al renzianissimo Rosato. Che proprio non si dà pace che alla Camera, dove è appunto vicepresidente, vengono calpestati così alti principi. “Le politiche di contenimento dei costi dell’Istituzione siano state perseguite nella più ampia condivisione tra le forze politiche, ma non si può cedere alla demagogia”, ha detto il suonando la carica per rivendicare innanzitutto il diritto a condizioni di viaggio confortevoli, “non trattandosi in questo caso di uno spreco, ma della giusta considerazione per la funzione parlamentare”. Per tacere delle disfunzioni negli orari dei servizi di ristorazione e caffetteria “non più collegabili all’emergenza da Covid-19 e dovute a logiche di risparmio che non possono essere condivise”.

Già, il Covid: a causa del morbo, per un po’ i deputati si sono dovuti accontentare del cestino con i panini e poi di pasti preincartati come in aereo e già questo ha scombinato radicalmente le abitudini, anche se nessuno ha fiatato. Ma poi, quando le cucine della Camera si sono rimesse in funzione, qualcuno si è lamentato del menu comunque stringato e pure del servizio non garantito nei giorni di lunedì e venerdì: per placare le rimostranze, si è deciso che il ristorante resta aperto anche in quei giorni in cui però obiettivamente c’è poco afflusso di deputati, mentre garantire i coperti ha un costo. Per starci dentro con le spese, le porte dell’onorevole desco sono state allora spalancate anche ai consiglieri parlamentari che tutti gli altri giorni della settimana devono accontentarsi della mensa per il personale dell’amministrazione.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/25/i-rivoltosi-dellex-buvette-basta-con-il-caffe-ciofeca/5943313/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=ore-19&utm_term=2020-09-25

lunedì 3 febbraio 2020

Le Camere penose. - Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano



Se non fossero indecenti e vagamente sediziose, le gazzarre inscenate dalle Camere penali in varie inaugurazioni dell’anno giudiziario sarebbero irresistibilmente comiche. A Milano gli avvocati escono dall’aula, dove peraltro le Camere penose sono solo ospiti, per protestare contro Piercamillo Davigo perché non la pensa come loro; per contestare quello che non ha ancora detto e poi quello che sta dicendo citando il presidente Mattarella; e per deplorare che il Csm, dovendo inviare alla cerimonia un membro del Csm, abbia inviato alla cerimonia un membro del Csm, per giunta ex pm ed ex giudice a Milano. E sventolano articoli della Costituzione scelti a casaccio, visto che difendono la prescrizione come fosse un diritto costituzionale e non una vergogna incostituzionale. Completa il quadretto il Pg Roberto Alfonso, che evoca la presunta incostituzionalità della blocca-prescrizione facendo rimpiangere Borrelli e tutti gli altri predecessori e dimenticando che il suo sindacato, l’Associazione nazionale magistrati, il blocco della prescrizione l’ha chiesto per vent’anni, almeno finché non l’ha ottenuto. E nessun Alfonso ha mai accusato l’Anm di volere leggi incostituzionali.
Ma eccoci a Napoli, la città record in Europa per numero di reati, processi lunghi e prescritti. Per onorare la memoria di Pulcinella e di Totò, gli avvocati hanno sfilato in manette. Ma non – come qualcuno potrebbe sospettare – per un eccesso di identificazione con i loro clienti, bensì per protestare contro la blocca- prescrizione (che ovviamente con gli arresti non c’entra una mazza) e l’“abuso delle intercettazioni”. Cioè contro due tipici attrezzi del mestiere del magistrato, pagato dallo Stato proprio per scoprire i delinquenti e possibilmente acchiapparli e metterli in condizione di non nuocere per un po’. Una scena spassosissima, che fa ben sperare per il futuro: prossimamente, orde di avvocati irromperanno nelle carceri per deplorare l’uso delle sbarre, nei pronto soccorso agitando stetoscopi contro l’abuso delle visite, nelle sale operatorie sventolando bisturi per protesta contro gli interventi chirurgici, nelle questure forando le gomme alle volanti contro le retate facili, nelle caserme agitando fucili contro le forze armate inspiegabilmente armate, nelle cucine contro le pentole, nei boschi contro le seghe dei taglialegna, nei mari contro le reti da pesca, negli stadi contro i palloni da calcio e le bandierine dei guardalinee. Domanda: cosa induce le Camere penali a coprire di ridicolo un’intera categoria di 180 mila e rotti professionisti (molti dei quali serissimi)?
Non si accorgono di confermare così tutti i più vieti luoghi comuni e le caricature sull’avvocatura, dal manzoniano Azzeccagarbugli in giù? La risposta è presto detta. Quella forense è da sempre la lobby più potente in Parlamento e al governo, abituata a farsi le leggi e i codici a uso e consumo proprio e della clientela più danarosa. Solo agli albori della Repubblica finivano in Parlamento gli avvocati migliori, da Calamandrei a Leone. Poi arrivarono i peggiori, perlopiù difensori di politici indagati e imputati di centrodestra e di centrosinistra. Quelli che, in palese e sfrontato conflitto d’interessi, con la mano sinistra continuavano a esercitare la professione nelle aule di giustizia, mentre con la destra legiferavano nelle aule parlamentari, sfornando leggi incostituzionali per depenalizzare o far prescrivere i reati dei clienti (soprattutto uno). Il tutto nel silenzio complice del cosiddetto Ordine forense che avrebbe dovuto sanzionare quegli abomini. Ora, da un paio d’anni, la nota lobby ha perso il monopolio delle leggi sulla giustizia e – paradosso dei paradossi – proprio con un premier e un Guardasigilli avvocati (Conte e Bonafede): a riprova del fatto che esistono avvocati dediti non all’interesse della bottega, ma a quello collettività, vittime e cittadini onesti in primis. Infatti, dopo centinaia di norme che allungavano i processi, accorciavano la prescrizione, svuotavano le carceri, depenalizzavano i reati dei colletti bianchi e seminavano impunità a piene mani, la tendenza si è invertita (come ha notato il Pg di Palermo Roberto Scarpinato, a pag. 4). Perciò gli avvocati e i relativi clienti che campavano sui processi eterni, a botte di leggi ad categoriam e manovre dilatorie, oggi si trovano spiazzati e strillano come vergini violate. Senz’accorgersi che i loro alti lai contro i tempi della giustizia fanno sorridere chiunque abbia assistito a un processo eccellente, in tribunale o a Un giorno in pretura. Come se Rocco Siffredi e Max Felicitas deplorassero ogni giorno la piaga dilagante della pornografia. Noi naturalmente conosciamo avvocati che mai si sognerebbero di chiedere bavagli illiberali e punizioni esemplari contro Davigo, né amano vincere i processi depenalizzando i reati o mandandoli in prescrizione, né si presterebbero a sceneggiate come quelle di ieri. E continuiamo a sperare che, in una categoria di 180mila e più persone, esista una minoranza silenziosa che non vuol essere confusa con la maggioranza sediziosa: il Fatto è a loro disposizione, se vogliono dire qualcosa a tutela del proprio buon nome e della loro nobile missione.
Ps. Siccome non c’è limite al peggio e i politici non sono mai secondi a nessuno, a Catanzaro ha chiesto di parlare all’inaugurazione dell’anno giudiziario la deputata Pd Enza Bruno Bossio, celebre perché ha più processi e indagini a carico che capelli in testa (senza contare quelli del marito Nicola Adamo) e per gli attacchi al procuratore Nicola Gratteri. Ma è stata respinta con perdite. Peccato, l’idea non era male: dal 2021 l’anno giudiziario potrebbero inaugurarlo direttamente gli imputati.

mercoledì 14 novembre 2018

La banda del buco.- Marco Travaglio

L'immagine può contenere: 2 persone, persone in piedi e spazio all'aperto

Dopo aver sorseggiato i fiumi d’inchiostro versati dai giornaloni sull’oceanica manifestazione "Sì Tav" di sabato a Torino, che ha visto sfilare nientepopodimenoché un torinese su 35 o un piemontese su 177, una domanda sorge spontanea: cosa sapeva tutta questa brava gente del Tav Torino-Lione? Si spera vivamente che ne sapesse un po’ di più di una delle sette madamine organizzatrici dell’Evento, Patrizia Ghiazza, cacciatrice di teste all’evidenza sfortunata, che l’altra sera esibiva tutta la sua competenza a Otto e mezzo: “Né io né le altre organizzatrici siamo competenti per poter entrare nel merito degli aspetti tecnici e ambientali dell’opera”. Non male, per una manifestazione apolitica e apartitica, ma soltanto tecnica, sul merito del treno merci ad alta velocità (anzi, a bassa, perché le merci di solito viaggiano a non più di 100-120 km l’ora). Essendosi “informati sui giornaloni che hanno sponsorizzato la Lunga Marcia, era prevedibile che organizzatori e partecipanti ne sapessero pochino, e che quel pochino fosse falso. Infatti sventolavano cartelli “Sì alla Tav”, ignorando che è l’acronimo di Treno Alta Velocità, dunque è maschile, con buona pace di Stampubblica che ha spacciato l’iniziativa per una “rivolta delle donne” contro non si sa bene cosa, anche se in piazza sfilavano soprattutto maschietti di una certa età.
L’acronimo, fra l’altro, è una patacca (femminile), perché per le merci l’espressione giusta è Treno ad Alta Capacità (Tac). I marciatori, e Salvini a ruota, ripetevano che l’opera va assolutamente “completata”: ma un’opera si completa quando è già iniziata e qui non è stato costruito nemmeno un millimetro di ferrovia: i cantieri che tutti vedono da 15 anni sono quelli del tunnel esplorativo, nulla a che vedere con l’opera vera e propria, il “tunnel di base”, cioè il mega-buco dovrebbe attraversare 57 km di montagna e che fortunatamente non esiste: le gare d’appalto non sono state neppure bandite. Dunque non c’è nulla da completare. Alcuni sognano di salire un giorno a bordo del mirabolante supertreno, ma purtroppo, escludendo che i Sì Tav si considerino merci, resteranno mestamente a terra anche se l’opera venisse realizzata. Chi volesse invece raggiungere ad alta velocità Parigi o Lione da Milano o da Torino, può montare sul comodo Tgv, che dalla notte dei tempi percorre rapidamente quella tratta. Ma i nostri eroi strillano contro l’“isolamento dell’Italia” e per il “collegamento con l’Europa”, evidentemente ignari dell’esistenza del Tgv da e per la Francia, dei treni veloci da e per la Svizzera e così via.
Forse pensano che, per affacciarsi oltre la cinta daziaria, sia necessario scalare le Alpi a piedi. Monsù e madamine saranno tutti interessati al trasporto merci? Benissimo, allora possono stare tranquilli: le loro merci da trasportare ad altissima velocità da Torino a Lione possono depositarle in uno a caso dei container (perlopiù vuoti) che ogni giorno viaggiano sui treni della tratta Torino-Modane- Chambéry-Culoz, che dal 1871 attraversa il Frejus, ci è appena costata 400 milioni per lavori di ammodernamento ed è inutilizzata all’80-90%. 
Siccome alla marcia c’era pure Paolo Foietta, commissario dell’Osservatorio Tav, qualcuno avrebbe potuto domandargli con che faccia sostenga ancora l’utilità dell’opera, dopo avere scritto un anno fa al governo Gentiloni che “molte previsioni fatte 10 anni fa, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali della Ue, sono state smentite dai fatti”. 
Ma nessuno lo sapeva. E chissà se quanti invocano “lavoro” sanno che attualmente nel cantiere lavorano appena 800 persone, che salirebbero a non più di 3-4mila per il tunnel di base, con un costo stratosferico per ogni occupato. La delibera 67/2017 del Cipe stima il costo complessivo del solo tunnel di base in 9,6 miliardi: il 57,9% lo paga l’Italia e solo il 42,1 la Francia (anche se il tunnel insiste per l’80% in territorio francese e solo per il 20 in territorio italiano: perché?). E chissà se chi si riempie la bocca di paroloni come “futuro”, “sviluppo”, “modernità” è stato informato che, in 17 anni di studi e carotaggi, abbiamo già buttato 1,6 miliardi, oltre a tenere la Val di Susa in stato d’assedio permanente.
Ora servono sulla carta un’altra quindicina di miliardi, che poi nella realtà salirebbero a 20-25 (le grandi opere in Italia lievitano in media del 45%). È questa la “decrescita infelice”, non quella di chi si oppone a un’opera ad altissima voracità e a bassissima occupazione. 
E chi vaneggia di “penali da pagare” o di “fondi europei da restituire” o “da non perdere” ignora che la parola “penale” non compare in alcun contratto o accordo con la Francia, con l’Ue o con ditte private. L’Italia, sul suo tracciato, può fare ciò che vuole. Recita la legge 191/2009: “Il contraente o l’affidatario dei lavori deve assumere l’impegno di rinunciare a qualunque pretesa risarcitoria eventualmente sorta in relazione alle opere individuate… nonché ad alcuna pretesa, anche futura, connessa al mancato o ritardato finanziamento dell’intera opera o di lotti successivi”. Quanto all’Ue, finanzia solo lavori ultimati: se il Tav non si fa più, l’Italia non deve restituire un euro. Ora però le nostre disinformate madamine si sono montate la testa: chiedono udienza al Quirinale, danno ordini alla sindaca Appendino e al governo Conte, come se 25mila persone in piazza contassero più dei 10.935.998 italiani che hanno votato per i 5Stelle (No Tav) nel 2018 e dei 202.754 torinesi che nel 2016 hanno eletto la sindaca No Tav Chiara Appendino contro il Sì Tav Piero Fassino. Invece i No Tav, che negli anni hanno portato in piazza ora 40 ora 50mila persone, non se li è mai filati nessuno. A parte, si capisce, i manganelli della polizia.

Fonte: ilfattoquotidiano del 14 novembre 2018

domenica 2 agosto 2015

Stamina, malati dormono davanti a Montecitorio per protesta.

Foto 3

Protesta estrema per alcuni malati gravi, in nove hanno passato la nottata in strada, davanti Montecitorio, tra questi i due fratelli Biviano, la richiesta è quello di concedere le cure con il metodo Stamina.
La protesta dei disabili ha avuto inizio dal 10 luglio ma nessuno ha voluto dargli rilievo, questa l'accusa di Bruno Talamoni, presidente del Movimento vite Sospese e aggiunge "Com'è possibile che a nessuno importi niente di loro?".
Sandro Biviani ha commentato: "Manifesteremo a oltranza, questa volta non basteranno le promesse a fermarci. Non andremo via finché non ci verrà data la possibilità di curarci", la distrofia muscolare ha già ucciso suo padre e suo zio e potrebbe uccidere anche lui e i suoi fratelli.
La promessa di un incontro con la Boldrini non è servita a placare gli animi dei manifestanti che restano sdraiati sull'asfalto e alla stampa dichiarano: "Anche lo scorso 11 luglio ci fecero tante promesse, ma poi, finita la protesta, non ne è stata mantenuta nessuna. Adesso ho deciso che non mi fermerò. Possono promettermi il mondo, ma io da qui non me ne vado senza aver raggiunto il risultato di poter curare me stesso e i miei fratelli. Una delle mie sorelle è ormai molto grave, non sopporto l'idea di vederla morire, specie sapendo che le sono state negate le cure compassionevoli del professor Davide Vannoni".

mercoledì 25 febbraio 2015

Gli uomini turchi in minigonna contro la violenza sulle donne.



In Turchia continuano le proteste per lo stupro e l’omicidio di una ragazza di vent’anni Özgecan Aslan, ritrovata morta a Tarso, nel sud del paese il 13 febbraio, uccisa dai suoi assalitori. L’omicidio ha suscitato indignazione e proteste in tutto il paese e sui social network alla campagna contro la violenza sulle donne hanno partecipato anche gli uomini, indossando gonne e minigonne. Usando l’hashtag #ozgecanicinminietekgiy che significa “indossa una minigonna per Ozgecan”, gli uomini turchi hanno cominciato a postare sui social network foto di loro stessi con le minigonne per manifestare solidarietà alle donne turche. Cnn

http://www.internazionale.it/notizie/2015/02/24/gli-uomini-turchi-in-minigonna-contro-la-violenza-sulle-donne

martedì 30 luglio 2013

Metodo Stamina, da giorni i malati protestano davanti a Montecitorio. - Ilaria Vacca

Una decina di disabili gravi chiedono di poter essere sottoposti alle infusioni a base di staminali. Biviano: "Lo Stato condanna a morte migliaia di persone."
Roma – Da martedì scorso una decina di disabili gravi ha deciso di stazionare davanti a Montecitorio, per protestare contro l’impossibilità di accedere alla sperimentazione clinica del metodo Stamina. Si sono incatenati, con le loro sedie a rotelle e sono rimasti davanti alla Camera, in attesa della promessa di poter tentare le infusioni a base di staminali mesenchimali che propone Vannoni.
Hanno sopportato il caldo torrido di questi giorni e non hanno nessuna intenzione di andarsene, hanno anche tentato di fare irruzione nel palazzo del Governo. Insieme a loro anche Pietro Crisafulli, vicepresidente del Movimento Vite Sospese che racconta: “A me e ad un altro membro del Movimento è stato chiesto il documento di identità dalle forze dell’ordine presenti. Noi lo abbiamo fornito ma non ce l’hanno più restituito. Forse vogliono arrestarci. Ci hanno chiesto di far smettere la protesta, ma questo non dipende da noi. I malati sono stati chiari, non smetteranno di manifestare fino a quando non avranno l’accesso alle cure”.

“Io da qui non me ne vado senza aver raggiunto il risultato di poter curare me stesso e i miei fratelli.- sono le parole di Sandro Biviano, malato di Sla come suo fratello - Sono disposto a morire qui, davanti al palazzo che rappresenta uno Stato che condanna a morte migliaia di persone”.

I pazienti chiedono un decreto legge urgente che permetta di accedere al metodo Stamina anche ai pazienti che ne sono stati esclusi. Il Ministro Lorenzin era stata chiara: il metodo Stamina non è una cura, prima degli esiti della sperimentazione le infusioni non devono essere autorizzate.
La sperimentazione però non è ancora stata avviata, perchè Vannoni non ha ancora consegnato all'ISS la documentazione necessaria.  Il 1 agosto dovrebbero essere depositati i protocolli. Solo allora potrà essere eventualmente avviata la fase I della sperimentazione, volta a determinare la non pericolosità delle infusioni. Successivamente dovranno essere avviate le fasi II e III, solo alla fine della terza fase la terapia, se di efficacia confermata, potrà essere resa disponibile su larga scala.
E nessuno ne parla...

mercoledì 10 aprile 2013

Niscemi, mamme No Muos bloccano accesso operai a base Usa: è tensione.


Il muro contro muro tra agenti e comitati è durato tre oreI comitati: «Lavori in corso nonostante revoca autorizzazione».

CALTANISSETTA - È riesplosa, a Niscemi, la protesta degli attivisti «No Muos», in risposta alla ripresa dei lavori di costruzione, nella base militare Usa di contrada Ulmo, del contestato sistema di telecomunicazione satellitare ad altissima frequenza, ritenuto pericoloso per la salute dei cittadini del comprensorio. Le «Mamme No Muos» hanno bloccato, stamani, con le proprie automobili, la strada che conduce al presidio statunitense, impedendo il transito agli operai e ai soldati americani che dovevano dare il cambio ai propri commilitoni.
TENSIONE - Il presidio era sorvegliato dagli agenti in tenuta antisommossa. Un muro contro muro durato tre ore, dalle 9 alle 12, dove non sono mancati momenti di tensione. Alla fine i soldati e circa 40 operai siciliani che dovevano entrare nella base sono tornati a Catania.
APPELLO A CROCETTA - Inutile si è rivelato il tentativo di mediazione dei funzionari della Digos di Caltanissetta e del locale commissariato di polizia. Per tutta risposta, le donne hanno annunciato la mobilitazione dei gruppi di attivisti di tutta la Sicilia, che domani cominceranno ad arrivare a Niscemi, e chiedono che «il presidente della Regione si rechi personalmente presso la base militare americana per rendersi conto che i lavori di costruzione del Muos proseguono alacremente».
I LAVORI - Il clima, sul fronte dei No Muos, si è fatto incandescente da quando è stato accertato e registrato con videocamere, che, malgrado l'impegno del console americano e nonostante il decreto della Regione Sicilia di revoca delle autorizzazioni, i lavori di costruzione dell'impianto radar sono ripresi e si avviano a completamento. Martedì gli attivisti hanno presentato un esposto alla magistratura, dopo che il sindaco di Niscemi, Francesco La Rosa, aveva già inviato una nota di denuncia al governo regionale e al prefetto di Caltanissetta, sollecitando un loro intervento «per richiamare gli americani a un maggiore rispetto delle leggi, delle istituzioni e del popolo italiano».

sabato 17 novembre 2012

USALA: "MERCOLEDÌ 21 NOVEMBRE ALLE 16, ECCO L'ORA DELLA MIA MORTE". BALDUZZI: "SPERO NELLA RAGIONEVOLEZZA".




“Lunedì sera partiamo per Roma, in nave: io, mia moglie e due assistenti. Mercoledì mattina, alle 9.30, ci piazziamo davanti al Ministero dell’Economia, in via XX Settembre. Aspetto che i ministri mi ricevano e mi diano notizie sugli stanziamenti. Se la situazione non si sblocca, alle 16 non ricarico più le batterie degli strumenti che mi tengono in vita. L’avevo promesso e lo faccio. Noi sardi abbiamo una parola sola”. 
Salvatore Usala, malato di Sla gravissimo, inchiodato nel suo letto di Monserrato dal 2004, lo aveva promesso: “Se il 21 novembre i soldi del Governo non arrivano sono pronto a morire in diretta tv”. Un’azione di protesta destinata a diventare un inferno per i ministri Fornero e Balduzzi che poche settimane fa erano volati fin nella sua casa di Monserrato per cercare di trovare un accordo. Anche in quel caso, però, nessun risultato. “Non ce ne facciamo niente della loro elemosina, quei 200 milioni per i malati non autosufficienti che ci hanno proposto sono una vergogna, un insulto”.
A casa Usala, intanto, i preparativi per la trasferta romana sono quasi conclusi. Chiesti i permessi in Questura, acquistati i biglietti del traghetto Cagliari-
Civitavecchia, preparate le borse con tutte le apparecchiature, pronto il pulmino che porterà i quattro in continente. “Questo viaggio per noi è un sacrificio- commenta Giuseppina, instancabile compagna di Salvatore- Oltre alle spese di diverse migliaia di euro che dobbiamo sostenere di tasca nostra, c’è la fatica e il dolore di Tore costretto a spostamenti così complicati. Non è facile viaggiare in queste condizioni: devo portare i ventilatori, gli aspiratori, i sondini, le pappe, le medicine, l’apparecchio per la pressione. Ci costringono a questo ennesimo gesto di protesta, evidentemente non hanno capito che non stavamo scherzando”.
Intanto sabato pomeriggio è arrivata anche la risposta del ministro della saluta Balduzzi: "Spero prevalga la ragionevolezza, perché gli impegni del governo sono stati mantenuti. Abbiamo confermato lo stanziamento dei fondi delle non autosufficienze inclusa la Sla.  Il rifinanziamento del fondo per le politiche sociali e i fondi per le patologie neuro degenerative nel riparto destinato alla sanità ci sono". Balduzzi ha aggiunto che "l'ordinamento sta facendo il massimo sforzo nei confronti di queste persone e della loro lotta, si può fare di più ma in questa situazione è già stato fatto moltissimo".

Donatella Percivale

martedì 16 ottobre 2012

Elezioni Sicilia, Miccichè e il comizio nella piazza vuota



Una piazza desolatamente vuota e un gruppo di contestatori con tanto di striscione (“17 anni con Lombardo, Cuffaro, Dell’Utri, Berlusconi. Miccichè, togliti da..le liste elettorali”) hanno accolto l’ultimo comizio di Gianfranco Miccichè, leader di“Grande Sud” e candidato alla presidenza della Regione Sicilia. Il triste scenario, documentato da Officina93018 e rilanciato da Beppe Grillo nel suo blog, si è presentato a Santa Caterina Villarmosa, in provincia di Caltanissetta.

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/10/15/sicilia-micciche-comizio-nella-piazza-vuota/207573/

venerdì 12 ottobre 2012

Studenti, proteste davanti al Pirellone Fumogeni e lancio di uova a Torino.


La proteste “Bastoni e carote” a Torino

Studenti e professori in piazza in 90 città per “difendere il proprio futuro”. A Roma blitz contro la sede dell’Unione Europea.


ROMA
Gli studenti italiani in piazza in 90 città italiane per “difendere il proprio futuro”. La giornata di mobilitazione nazionale del 12 ottobre, precisa un comunicato della rete della Conoscenza “è stata lanciata dall’Unione degli studenti quest’estate, per manifestare contro la svendita della scuola pubblica e la distruzione dell’università, ha avuto una grande diffusione e preannuncia l’apertura di un autunno di mobilitazione intenso”.  

Torino gli studenti hanno lanciato carote contro la sede del Miur e lungo il percorso. Il gesto è simbolico: «il ministro Profumo - spiegano - ha detto che con gli studenti si devono usare il bastone e la carota. L’ultima volta con noi è stato usato il bastone, oggi noi rispondiamo con le carote». Il riferimento è ai tafferugli con la polizia di una settimana fa. Gli studenti torinesi hanno poi raggiunto la sede della provincia, dove hanno srotolato nastro da cantiere tra le colonne dell’edificio. Alcuni studenti hanno poi acceso due lacrimogeni e hanno lanciato uova contro Palazzo Cisterna.  

Milano un gruppo di una trentina di studenti si è staccato dal corteo e ha raggiunto Palazzo Lombardia, sede della Giunta regionale, per protestare: sono state strappate le bandiere della regione esposte e sono stati lanciati fumogeni. In seguito, anche il resto del corteo ha raggiunto il Pirellone. Tra i ragazzi si è levato il grido di «dimissioni», rivolto al governatore Roberto Formigoni e all’assessore lombardo all’Istruzione Valentina Aprea. 

Nonostante la pioggia battente, a Roma gli studenti si sono radunati di fronte alla sede locale del Parlamento Europeo. Durante il successivo corteo, gli studenti hanno strappato le bandiere dell’Unione. Il corteo romano è partito da piazza della Repubblica per raggiungere piazza dell’Esquilino, dove ad attenderli i docenti della Cgil scuola. Al loro ingresso nella piazza sono stati accolti da un lungo applauso dei professori. Secondo gli organizzatori, gli studenti che hanno aderito al corteo sono almeno 10mila. 

Bari il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, insieme all’assessore allo Studio Alba Sasso, sta ricevendo una delegazione di studenti medi e universitari in rappresentanza del corteo conclusosi proprio nei pressi della presidenza della giunta regionale. Nella piattaforma rivendicativa verso la Regione ci sono i finanziamenti alla Legge Regionale per il diritto allo studio delle scuole superiori e la copertura totale delle borse di studio  

In centro a Genova i cortei in corso sono due. Insegnanti e personale amministrativo marciano verso largo Pertini, dove è prevista la manifestazione conclusiva. Il corteo degli studenti è invece stazionato per una ventina di minuti davanti alla fiera, dove si svolge il salone nautico. A Firenze invece studenti e personale docente hanno sfilato insieme. Circa 2mila manifestanti hanno organizzato un cordone umano che da piazza della Signoria si è snodato fino a via Martelli, concentrandosi davanti al liceo Galileo dove nei giorni scorsi è crollato un controsoffitto. 

Sono state organizzati cortei in 90 città italiane, lungo tutto lo stivale. Gli studenti contestano soprattutto il Pdl 953 che elimina le rappresentanze studentesche dai consigli d’istituto. Luca Spadon portavoce nazionale di Link Coordinamento universitario , ha dichiarato: «Sul nostro striscione questa mattina c’è scritto “Una scuola di qualità ce la chiede l’Europa”, finora governo e politici hanno tirato fuori la bandiera del “ce lo chiede l’Europa” solo quando si tratta di sacrifici economici, in modo strumentale e volendo negare un’altra idea di Europa: la nostra! L’Europa ci chiede anche di ridurre gli abbandoni scolastici del 10%, di aumentare il numero dei laureati, di raggiungere il traguardo dell’85% dei 22enni diplomati, l’Europa ci chiede una sistema d’Istruzione di qualità!». “Oggi in piazza sono presenti anche molti studenti universitari - precisa Spadon - per dimostrare a questo governo che gli studenti non sono disponibili a fare dei passi indietro sui temi della conoscenza e per ribadire con forza la nostra contrarietà all’aumento delle tasse per i fuori corso voluta dal ministro Profumo e alla diminuzione dei fondi sul diritto allo studio, provvedimenti drammatici questi che non permetteranno a tanti giovani di iscriversi all’università”.