domenica 18 gennaio 2015

Alfano smentisce Alfano sul bomb jammer: “Non è pericoloso”. - Giuseppe Pipitone



La risposta del sottosegretario del ministero della Difesa al senatore del M5S Maurizio Santangelo: “Il dispositivo antibomba emetterebbe radiazioni non ionizzanti pienamente nella norma”. Dichiarazione che sconfessa la posizione del ministro dell’Interno: “Installato sulla macchina di Di Matteo, disattiverebbe le apparecchiature di un ospedale o il pacemaker di un anziano per strada”.


Stesso partito, Nuovo Centro Destra, stesso cognome,Alfano, e due dichiarazioni opposte sul bomb jammer, il dispositivo elettronico in grado di disinnescare i telecomandi che azionano gli ordigni esplosivi. Dal Viminale sentenzia il ministro dell’Interno Angelino Alfano: ‘‘Si è parlato con troppa superficialità di bomb jammer: è un dispositivo che si usa soprattutto nei teatri di guerra o in casi specifici. Nessuno può immaginare che se passa la macchina di Di Matteo si disattivino le apparecchiature di un ospedale o il pacemaker di un anziano per strada”. Dal Senato arriva la risposta del sottosegretario alla Difesa Gioacchino Alfano:”Le tipologie di disturbatori (denominati, appunto, jammers) impiegati dai militari italiani nei teatri operativi (incluso l’Afghanistan), sono di media e piccola capacità” . E ancora: ”i sistemi non nuocciono assolutamente alla salute delle persone (operatori ed estranei), grazie alla potenza limitata”. Eppure il dispositivo antibomba, quello che gli agenti di scorta di Nino Di Matteo, il pm condannato a morte da Cosa nostra, ritengono ”l’unico strumento che potrebbe salvare la vita al magistrato”, non arriva.
Non è arrivato dopo le esternazioni di Totò Riina, che dal carcere di Opera ha manifestato al compagno di ora d’aria Alberto Lorusso la sua volontà di affrettare l’attentato a Di Matteo, di ”farlo subito” quel botto, per levarsi il pensiero. E non arriva neppure dopo le ultime le rivelazioni del neo pentito Vito Galatolo che ha svelato i dettagli del piano di morte per Di Matteo, programmato in una prima fase proprio con un autobomba da piazzare nei pressi del palazzo di Giustizia. “Il bomb jammer per Di Matteo? E’ già stato messo a disposizione” diceva nel dicembre del 2013 il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Poi nel novembre del 2014, è arrivata la marcia indietro. Secondo l’uomo del Viminale, il jammer è dannoso per le apparecchiature ospedaliere, per i peacemaker per le donne incinte: ”Il bomb jammer è dotato di una forte potenza elettromagnetica, può produrre effetti collaterali molto significativi alla salute e, quindi, è assolutamente da studiare”. Ma rispondendo ad un’interrogazione parlamentare depositata dal senatore del M5S Vincenzo Santangelo nella quarta commissione permanente di Palazzo Madama, il  sottosegretario alla Difesa Gioacchino Alfano, smentisce: il bomb jammer emetterebbe “radiazioni non ionizzanti pienamente nella norma”. E ancora:”Le tipologie di disturbatori (denominati, appunto, jammers)impiegati dai militari italiani nei teatri operativi (incluso l’Afghanistan), sono di media e piccola capacità”. E per finire: ”i sistemi non nuocciono assolutamente alla salute delle persone (operatori ed estranei), grazie alla potenza limitata. In ogni caso, prima dell’uso degli apparati vengono condotti, come detto, studi approfonditi, e, successivamente, le stesse apparecchiature vengono sottoposte a rigide verifiche periodiche”.
Quali studi?  E qui il sottosegretario scende nei dettagli, spiegando come sarebbe stato dimostrato dagli specialisti che l’utilizzo del dispositivo antibomba non nuocerebbe alla salute. “L’iter di acquisizione delle apparecchiature da parte delle competenti articolazioni della Difesa prevede, inoltre, l’effettuazione di specifiche misure e rilievi idonee a valutare se i livelli di campo elettromagnetico emessi dagli apparati possano comportare rischi per gli operatori o per la popolazione alle esposizioni delle radiazioni non ionizzanti. In particolare, le ultime prove per l’omologazione dei sistemi sono state effettuate presso il Centro interforze studi e applicazioni militari  di San Piero a Grado (in provincia di Pisa), e hanno evidenziato valori inferiori a quelli di soglia previsti dalle norme vigenti in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” si legge nella risposta del sottosegretario Alfano al senatore Santangelo. Quegli studi e approfondimenti auspicati dal ministro dell’ Interno non solo sarebbero stati ultimati ma avrebbero dato esito positivo: il bomb jammer si può utilizzare. Resta da capire perché non sia ancora stato messo a disposizione di Di Matteo.

Franco svizzero, la sottile linea tra protezione e bolla speculativa. - Alberto Bagnai

La decisione della Banca Nazionale Svizzera (BNS) di sganciare il franco dall’euro, determinandone un brusco rincaro, ha colto tutti di sorpresa. Gli industriali svizzeri già se ne lamentano: per valutare il significato di questa mossa è quindi utile ricordarne motivazioni e conseguenze.
Già a fine 2008 lo sconquasso causato dalla Lehman Brothers aveva spinto al rialzo la valuta svizzera, classico “bene rifugio”. Dopo una fase di relativa stabilità, nel 2010 lo scoppio della crisi dei debiti sovrani, che sembrava minacciare la sopravvivenza dell’euro, aveva alimentato gli acquisti di franchi, facendogli guadagnare un ulteriore 18 per cento fino all’autunno del 2011. 
Nata come operazione difensiva, l’acquisto di franchi stava diventando una vera e propria bolla speculativa (la situazione in cui gli investitori acquistano uno strumento finanziario solo perché si aspettano che il prezzo salga, e domandandolo contribuiscono a farne crescere il prezzo, convalidando così le proprie aspettative).
Con buona pace di chi vede nella Svizzera solo un paradiso fiscale, l’incidenza del manifatturiero sul valore aggiunto è più alta in Svizzera che in Italia (rispettivamente, 19 per cento e 15 per cento del valore aggiunto totale). Escludendo chi vede nella svalutazione una piaga biblica sempre e comunque, sarà facile agli altri capire che all’industria svizzera un franco così alto non faceva comodo, perché penalizzava le esportazioni. Da qui la decisione di arrestarne l’ascesa al livello di 0.80 euro per franco.
La situazione si è mantenuta stabile fino giovedì. L’annuncio della BNS che non avrebbe più “difeso” la parità ha spinto in apertura il franco ad apprezzarsi del 25 per cento sull’euro, per poi stabilizzarsi intorno a 0.96 euro per franco. Il fatto è che il mantenimento della parità, se da un lato tutelava le imprese svizzere, dall’altro aveva conseguenze negative sulla composizione del portafoglio di investimenti esteri del paese.  
Per mantenere il cambio stabile, la BNS doveva soddisfare la domanda di franchi, vendendoli in cambio di dollari ed euro. La Svizzera si era così trovata ad avere uno stock di riserve ufficiali spropositato, classificandosi quarta dopo Giappone, Cina e Arabia Saudita (paesi esportatori di ben altre dimensioni), con un rapporto riserve/Pil vicino all’80 per cento (negli altri paesi avanzati questo rapporto normalmente è a una cifra).
Nell’economia generale di un paese essere così ricchi di valute pregiate (o supposte tali) non è una cosa così buona come sembra, perché l’investimento in valute è meno redditizio di altri investimenti esteri. Inoltre, restando agganciato all’euro il franco ne stava condividendo il triste destino nei confronti del dollaro, perdendo quasi il 15 per cento rispetto a quest’ultimo nell’ultimo anno.  
Si sostiene, credo con fondamento, che la BNS abbia voluto anticipare gli effetti del quantitative easing di Draghi, il programma di acquisto di titoli di Stato che ci si attende contribuisca a un ulteriore indebolimento dell’euro rispetto al dollaro. Le conseguenze sarebbero state una ulteriore flessione rispetto al dollaro (che avrebbe compromesso lo status di valuta “forte” del franco), e un’ulteriore fuga dall’euro verso il franco (che avrebbe costretto la BNS a imbottirsi ulteriormente di una valuta come l’euro, soggetta a una tendenza ribassista, e forse, chissà, a rischio di estinzione).
L’improvviso rincaro del franco è un segnale che dovrebbe scongiurare queste due eventualità. Sarà interessante seguire la vicenda.

Fiat Chrysler, Marchionne si fa la banca. Così potrà chiedere soldi a Draghi.

Fiat Chrysler, Marchionne si fa la banca. Così potrà chiedere soldi a Draghi

Fca Bank, partecipata al 50% dai francesi di Crédit Agricole, ha ottenuto la licenza dalla Banca d'Italia il 14 gennaio. Potrà partecipare alle aste di liquidità a tassi super agevolati dello 0,15% che la Banca centrale europea riserva agli istituti di credito.

Dopo il prestito obbligazionario da 2,5 miliardi, la vendita di 100 milioni di azioni e la decisione di incamerare 2,25 miliardi di cassa di Ferrari, ora Sergio Marchionne cerca di racimolare risorse anche facendosi una banca “in house”. Il 14 gennaio è stata infatti registrata nell’albo degli intermediari finanziari Fca Bank spa, frutto di una joint venture tra Fca Italy e CA Consumer Finance, che fa capo a Crédit Agricole. L’obiettivo è evidente: abbeverarsi alle aste di liquidità a tassi super agevolati dello 0,15% che la Banca centrale europea riserva, appunto, agli istituti di credito. All’ultima tranche, quella di dicembre, le banche italiane hanno ricevuto circa 26 miliardi. Mentre nella precedente tornata di prestiti a lungo termine concessi dall’Eurotower, quella del 2011 e 2012, si erano assicurate circa 250 miliardi. Un piatto ricchissimo che ha evidentemente ingolosito l’amministratore delegato di Fca e la famiglia Agnelli, la cui holding Exor è socia del gruppo con il 30,05 per cento.
Di conseguenza, a fine 2013 Fca ha fatto domanda a via Nazionale per trasformare la finanziaria Fga Capital - anch’essa partecipata al 50% dal gruppo francese Crédit Agricole e specializzata in finanziamenti e leasing ai clienti del gruppo – in un vero e proprio istituto di credito. Che, avendo ottenuto la licenza bancaria in Italia, diventa la holding di un gruppo bancario internazionale presente in 16 Paesi europei. E potrà diversificare le attività: fare raccolta diretta, concedere prestiti slegati dalla vendita di auto e pure far fronte alle esigenze di Fca, gravata attualmente da oltre 11 miliardi di debiti.
La nascita di Fca Bank, si legge in una nota del gruppo, “costituisce un punto d’arrivo nella naturale evoluzione del percorso iniziato 90 anni fa, con la nascita nel 1925 a Torino di Sava (Società Anonima Vendita Automobili), prima società finanziaria concepita per aiutare le famiglie italiane nell’acquisto di un’automobile”. Essere diventata banca consente a Fca Bank – si legge ancora – “di esprimere un’immagine di maggiore solidità nei confronti degli investitori internazionali, cogliendo con maggiore efficacia le opportunità di diversificazione delle fonti di finanziamento, migliorando ulteriormente l’offerta ai propri clienti rispetto a oggi”. Fca Bank “proseguirà nel supporto alla vendita di autovetture e di veicoli commerciali di numerosi marchi, primi fra tutti quelli di Fiat Chrysler Automobiles, attraverso la gestione di attività di finanziamento alla clientela finale e alla rete dei concessionari, nonché con la promozione di soluzioni assicurative e di attività di locazione di lunga durata delle flotte di autoveicoli”, conclude la nota.

Panzerotti pugliesi.




Fatti in casa sono ancora più buoni. 
Ingredienti:

per l'impasto: 
-1 kg di Farina (meglio se una metà è di semola rimacinata) 
-1 Lievito di Birra (meglio se lievito naturale essiccato) - 
400 ml di acqua -sale (q.b.) -1 cucchiaino di zucchero. 

per il ripieno: 
- 400 gr. di mozzarelle (meglio le trecce di mozzarelle già secche), 
- polpa di pomodori a pezzetti, 
- un pizzico di pepe, 
- parmigiano (quanto basta). 

Prima fase di preparazione: 
- riscaldare dell'acqua in un pentolino con un pò di sale. 
- Disporre la farina in una coppa con un cucchiaino di zucchero, versare l'acqua riscaldata facendovi sciogliere il lievito di birra. 
- Cominciare quindi ad impastare e, se necessario, di tanto in tanto, bagnare con acqua calda l'impasto per amalgamare il tutto. 
- Lavorarlo fino ad ottenere un impasto compatto e morbido, coprire la coppa con un panno e mettere a lievitare al caldo per un paio d'ore. 

Trascorse 2-3 ore, lavorare l'impasto per formare un lungo cordone; tagliarlo in pezzi più o meno uguali in dimensione, in modo che si possa dar loro la forma di palline (meno grandi di una palla da tennis). 
Porre successivamente queste ultime su un tavoliere e coprirle con un panno: lasciar lievitare ancora per un'ora. Nel frattempo procedere alla preparazione del condimento unendo pomodoro, mozzarella a pezzettini, un giro di sale, parmigiano e pepe in una ciotola e mescolare il tutto. 
Stendere allora le palline di impasto con un mattarello, formando dei cerchi, su cui, con un cucchiaio, porre il ripieno. Richiudere con molta attenzione il panzerotto con una forte pressione delle mani (spesso si utilizzano i denti delle forchette) sui bordi. 
Riscaldare quindi l'olio, e cucinare in olio bollente i panzerotti ottenuti. BUON APPETITO!!!

Celestina Romito

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