martedì 23 marzo 2021

Astrazeneca, gli Usa contestano gli ultimi dati sui test: «Non aggiornati» - Agnese Codignola



A sole 24 ore dall'annuncio dei dati più che positivi su 32.000 persone reclutate tra Stati Uniti, Cile e Perù, è dagli stessi Stati Uniti che arriva la doccia gelata: i numeri presentati da AstraZeneca, secondo quanto comunicato dal Data and Safety Monitoring Board, organismo indipendente di controllo, al Barda, ai National Institutes of Allergy and Infectious Diseases e alla stessa azienda, potrebbero essere non aggiornati, e per questo saranno necessari ulteriori approfondimenti.

Slitta così a data da destinarsi la prevista approvazione del quarto vaccino sul suolo americano, nonostante l'esito dello studio. Due giorni fa l'azienda aveva emesso un comunicato nel quale affermava che il vaccino protegge tutti (il 100% dei vaccinati) dal decesso e dal rischio di forme gravi di malattia, il 79% dal rischio di sintomi, e che è efficace anche negli over 65 che, in questo caso, a differenza degli studi precedenti, rappresentavano il 20% del campione.

Inoltre – e su questo è stato molto chiaro lo stesso Anthony Fauci – un'analisi approfondita e specifica non avrebbe finora fatto emergere dubbi in merito alla sicurezza e, in particolar modo, ai rischi trombo-embolici, mentre avrebbe confermato l'efficacia sulle varianti in circolazione nei tre paesi.

Però, finora, i dati non sono stati pubblicati su riviste scientifiche, e non sono quindi a disposizione della comunità scientifica per valutazioni indipendenti. Visti anche i numeri ottenuti nelle vaccinazioni in Gran Bretagna ed Europa, è improbabile che i dati più aggiornati che richiedono le autorità statunitensi si discostino molto da quelli annunciati, ma tant'è.

Per ora, le autorità americane richiedono con urgenza una stretta collaborazione con AstraZeneca, per chiarire ogni dubbio, prima di procedere nell'iter di approvazione.


IlSole24Ore

Sallusti uno di noi. - Marco Travaglio

 

Premio Riflessi Pronti 2021 ad Alessandro Sallusti, che mette il naso fuori e titola: “Brutta Aria in Lombardia” (battuta sull’agenzia regionale omonima). Denuncia persino i “disagi sulla vaccinazione” e, parlando con pardon, il “caos nelle prenotazioni”. Figurarsi se noi, scrivendo queste cose da un anno, possiamo dissentire: benvenuto fra noi. Purché tragga dalla tardiva ma lucida analisi le conclusioni che ne trarrebbe pure un bambino ritardato: i responsabili si chiamano Fontana, Moratti, Bertolaso e gli altri assessori e dirigenti. Che non sono piovuti lì per caso. Sono stati scelti da Lega, FI e FdI nel famoso “modello Lombardia” che tutto il mondo ci invidiava. E che per 13 mesi ha cambiato assessori, manager e commissari, ma non il prodotto. Zero sanificazione al pronto soccorso di Alzano, niente zona rossa in val Seriana, infetti nelle Rsa, sprechi al Fiera Hospital, camici del cognato di Fontana con soldi tra Bahamas e Svizzera, gallerate di Gallera e degli altri ancora al loro posto, lockdown a gennaio per i dati sballati, vaccini antinfluenzali fantasma, regali ai privati e ogni volta scaricabarile su Roma ladrona.

Il 27 febbraio 2020 il Fatto, in beata solitudine, titolava “Fontanavirus”. Il 3 marzo “Lombardia e Lazio, sanità colabrodo”. Il 22 “Lombardia fuori controllo”. Il 26 “Regione Lombardia, i 10 errori sul virus”. Il 28 “Dimettono anche chi è contagioso”. Il 15 aprile “Commissariare Lombardia e Piemonte”. Appena incrociavamo Sallusti o un suo clone in tv, ci davano degli “odiatori dei lombardi” e degli “sciacalli sui morti” (noi). Persino De Bortoli gridava al “sentimento anti-lombardo”, come se i lombardi non dovessero temere i serial killer che li sgovernano, ma chi li critica. I giornaloni magnificavano la supercompetenza di noti collezionisti di fiaschi come Bertolaso&Moratti. E cercavano gli incapaci altrove: negli orari serotini di Conte, tra le siringhe e le primule di Arcuri, sugli Spelacchio e nelle buche della Raggi, nel curriculum del bibitaro Di Maio, nella blocca-prescrizione di Bonafede, nei banchi a rotelle della Azzolina, nel Sussidistan del reddito di cittadinanza e dei bonus ai poveri. E nascondevano quel monumento al latrocinio e all’incompetenza che è il forza-leghismo lombardo. Fino a riportarne i mandanti al governo travestiti da Migliori. Ora tutti scoprono il disastro. Persino Sallusti. Che però non si rassegna: governano Fontana, Moratti e Bertolaso, ma la colpa è di “qualcuno”, “invidioso e geloso” (ma di che?), “gioca sporco nell’ombra”: “sabotatori interni” che vanno stanati “subito”, di “qualunque parte politica” siano. Siccome arriva sempre un anno in ritardo, se vuole risparmiare tempo e fatica ci faccia un fischio: i nomi glieli diamo noi. Gratis.

IlFattoQuotidiano.

Fisco, non è vero che il condono cancella solo cartelle inesigibili: il governo rinuncia a 451 milioni che i debitori stanno già pagando. - Chiara Brusini

 

La vulgata con cui le forze politiche favorevoli allo stralcio hanno giustificato l'operazione è smentita dalla Relazione tecnica. Che spiega come al macero andranno anche le pendenze di chi ha aderito alla Rottamazione ter o al saldo e stralcio. Risultato: si perdono risorse e non si scalfisce la montagna di cartelle davvero impossibili da riscuotere che ingolfa l'Agenzia delle Entrate Riscossione. La vera partita è la riforma della gestione di quel magazzino. Il limite dei 30mila euro di reddito? Nel Paese dell'evasione di massa esclude solo il 17% dei contribuenti.

Non è vero che il condono delle vecchie cartelle fino a 5mila euro datate 2000-2010 previsto dal decreto Sostegni riguarda solo vecchi crediti ormai inesigibili. La vulgata con cui le forze politiche favorevoli allo stralcio di quelle pendenze fiscali hanno giustificato l’operazione – ridimensionata con la mediazione del premier Mario Draghi – è smentita dalla relazione tecnica del provvedimento atteso in Gazzetta ufficiale dopo la firma del capo dello Stato. Lì si spiega che la cancellazione costerà alle casse dello Stato 666,3 milioni di cui 451 legati al fatto che al macero andranno anche debiti che i contribuenti stanno già pagando a rate (dopo aver aderito alla Rottamazione ter o al saldo e stralcio del governo gialloverde) o su cui comunque è “ancora in essere un’aspettativa di riscossione“. Chiaro il messaggio che questo invia a chi salda puntualmente il dovuto. Non solo: la diretta conseguenza è che il provvedimento non scalfisce la montagna di cartelle davvero impossibili da riscuotere che ingolfa il magazzino dell’Agenzia delle Entrate Riscossione. Ora la vera partita è la riforma che, modificando il meccanismo di discarico dei crediti non riscossi, dovrebbe come ha annunciato Draghi rendere “più efficiente” la lotta all’evasione.

Cosa cambia rispetto alle bozze: il tetto di reddito serve a poco – Rispetto alla versione iniziale le cartelle automaticamente stralciate scendono da 61 a 16 milioni soprattutto per effetto della riduzione dell’orizzonte temporale, che nelle bozze pre consiglio dei ministri arrivava fino al 2015 cancellando anche ruoli relativamente recenti. Così il costo per le casse pubbliche scende rispetto ai 930 milioni precedenti. Scarsissimo invece l’impatto dell’altro paletto fissato venerdì, il tetto di 30mila euro di reddito Irpef: taglierà fuori solo il 17% dei contribuenti con arretrati fiscali che ricadono negli altri parametri. A livello comunicativo aver messo un limite che sulla carta esclude dal “favore” i più abbienti rende digeribile la sanatoria, ma nei fatti cambia molto poco. Il motivo è presto detto: in base agli ultimi dati del Dipartimento delle Finanze, il reddito medio dichiarato al fisco dalle persone fisiche supera di poco i 33mila euro. Nel Paese in cui stando all’ultima Relazione sull’evasione fiscale autonomi e imprese omettono di versare all’erario in media due terzi del dovuto, il 78% dei contribuenti “svela” al fisco meno di 30mila euro l’anno. E ha dunque accesso al condono che cancella capitale dovuto, interessi e sanzioni.

In magazzino restano oltre 110 milioni di cartelle – Non aver selezionato le cartelle davvero inesigibili, come aveva chiesto Leu, fa sì che il decreto non risolva affatto il problema del maxi magazzino da 987 miliardi della Riscossione, composto in effetti per la maggior parte (vedi la tabella sotto) da somme che il fisco non rivedrà mai. Il sistema, a valle del condono, rimarrà comunque ingolfato da oltre 110 milioni di cartelle. Per questo l’altro pilastro dell’operazione messa in campo dal governo Draghi sarà la riforma del meccanismo di “controllo e discarico dei crediti non riscossi“. Oggi, come ha spiegato in audizione il numero uno delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, il fisco prima di poter comunicare l’inesigibilità all’ente titolare del credito è costretto a mettere in campo “tutte le azioni di riscossione coattiva astrattamente ipotizzabili” a prescindere da qualsiasi valutazione di efficacia e di effettiva esigibilità.

Ora il vero nodo è la riforma della riscossione – Le prime bozze del decreto risolvevano il problema intervenendo con l’accetta: le quote non riscosse sarebbero state “automaticamente discaricate” al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello dell’affidamento. Ma così sarebbe stato un “condono permanente“, come ha fatto notare su ilfattoquotidiano.it l’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco. Venerdì tutto è stato rinviato a successive decisioni del ministero dell’Economia, che entro sessanta giorni dovrà trasmettere alle Camere una relazione con i criteri per rivedere il farraginoso iter. Da lì si vedrà se l’obiettivo è affilare lermi dei riscossori o cancellare altri milioni di crediti che lo Stato potrebbe recuperare.

Fonte Agenzia delle Entrate
ILFattoQuotidiano

Nuovi emendamenti contro i magistrati.

 

Mentre a via Arenula gli esperti stanno aiutando il ministro della Giustizia Marta Cartabia a scrivere la nuova riforma del processo penale, martedì il governo rischia la prima imboscata parlamentare sulla Giustizia. Il deputato di Azione, ex Forza Italia, Enrico Costa ha presentato quattro emendamenti alla Legge di Delegazione Europea che arriverà alla Camera e che potrebbero spaccare la maggioranza sul tema della presunzione di innocenza iniziando a colpire l’eredità dell’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede. Il primo emendamento equipara i tabulati telefonici alle intercettazioni – per ottenerli non basterà più la richiesta del pm ma servirà l’autorizzazione del gip – mentre gli altri sono in funzione anti pm: limitazione delle dichiarazioni dei pm durante l’inchiesta (una sorta di bavaglio che ricorda i tempi di Berlusconi), il divieto di diffondere intercettazioni, audio e video, il divieto di dare nomi alle inchieste ma anche lo stop alla pubblicazione “integrale” dell’ordinanza di custodia cautelare. Secondo fonti di maggioranza, Cartabia è irritata dalla presentazione di questi emendamenti ma Costa non molla: “Vediamo chi li vota”.

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