mercoledì 6 marzo 2019

Russia al NWO: allora, volete un cambio di regime in Venezuela?

Un manifestante con la bandiera del Venezuela

"Gli Stati Uniti vogliono il petrolio del Venezuela e sono disposti a fare la guerra per quel petrolio. Stanno cercando di fabbricare una crisi per giustificare l’escalation politica e un intervento militare in Venezuela".
Se avete prestato attenzione a ciò che il Nuovo Ordine Mondiale ha perpetuato negli ultimi due mesi in Venezuela, potresti pensare che Vladimir Putin o la Russia siano responsabili della debacle stessa. "The Economist" ha pubblicato un articolo risibile dal titolo: "In Venezuela, Putin combatte per il suo futuro."
Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. L' Economist e altri punti di contatto del NWO non hanno potuto fare i conti con il fatto che numerosi leader mondiali sono malati e stanchi di guerre perpetue e conflitti perpetui nel nome della democrazia e della libertà. Il mondo ne ha semplicemente avuto abbastanza. La Russia in particolare ha dovuto fermare l'assalto che gli agenti del Nuovo Ordine Mondiale stavano avanzando in luoghi come la Siria. Quindi gli agenti della NWO sono pazzi, fanatici e vogliono essere di nuovo guerrafondai.
In che modo questi agenti tentarono di rovesciare un presidente eletto democraticamente in Siria? Bene, hanno usato la stessa vecchia e noiosa strategia: Assad è malvagio; Assad stava uccidendo la sua stessa gente; Assad ha usato armi chimiche; Assad è anti-democrazia, ecc. Russia e Iran non demordono. L'ultima volta che ho controllato, Assad è ancora al potere. Ma questo non significa che gli agenti NWO abbiano improvvisamente rinunciato. Ci stanno ancora provando.
Inoltre, gli agenti NWO hanno cambiato marcia negli ultimi mesi. Si stanno spostando per destabilizzare un altro paese, cioè il Venezuela. La cosa interessante è che stanno usando la stessa monotona ideologia: il Venezuela manca di "democrazia" e "libertà", quindi è loro dovere dire al presidente Maduro che il suo tempo è stato numerato.
Come ha detto lo stesso Segretario di Stato Mike Pompeo, i paesi della regione devono "allinearsi con la democrazia" per estromettere Nicolás Maduro.
"La tirannia di Maduro", continua Pompeo, non può più essere tollerata. "Il suo regime è moralmente in bancarotta, è economicamente incompetente ed è profondamente corrotto. È antidemocratico fino al midollo".
Dal momento che Maduro è corrotto, gli Stati Uniti devono offrire un sostegno finanziario. Come ha riferito lo stesso New York Times:
"Gli Stati Uniti hanno anche offerto 20 milioni di dollari in aiuti d'emergenza alla parte di Guaidó…" Perché milioni di dollari? Bene, come ha affermato Trump, una "opzione militare" è del tutto possibile perché la democrazia deve essere ripristinata nella regione. Il defunto storico William Blum ha dimostrato in modo convincente che l'arma più mortale del Nuovo Ordine Mondiale è "democrazia".
Bene, questa forma di democrazia occidentale ha avuto tempi duri nel corso degli anni, perché molti paesi non la stanno più accettando. C'è del marcio al centro. Quindi la Russia essenzialmente ha detto ai rappresentanti americani di stare lontani dal Venezuela. In effetti, è stato riferito che i consulenti militari russi erano e forse sono ancora in Venezuela. Secondo il capo dello staff russo Valery Gerasimov, gli Stati Uniti stanno cercando di ripetere la storia.
"Era stato così in Iraq, in Libia e in Ucraina", ha detto Gerasimov. "Attività simili sono ora viste in Venezuela."
Gli agenti dell'NWO sanno che la Russia non sta giocando, quindi hanno cambiato un po ‘il loro piano malvagio. Il fiammeggiante Neocon Elliott Abrams ha recentemente dichiarato che gli Stati Uniti non sono realmente interessati a uno scontro militare in Venezuela, ma che sono necessarie "azioni appropriate". Abrams ha aggiunto:
"Le dittature finiscono. Alcune durano a lungo, altre un tempo molto più breve. Anche questo in Venezuela finirà. Speriamo che giunga alla fine in modo rapido e pacifico".
Questo è davvero divertente perché Abrams era lo stesso personaggio che sostenne regimi dittatoriali in El Salvador e Guatemala negli anni '80. Il medesimo Abrams fu in gran parte responsabile del massacro di El Mozote in El Salvador, avvenuto nel dicembre del 1981. Abrams, che era un alto funzionario del Dipartimento di Stato nell'amministrazione Reagan, inviò il sostegno militare e finanziario al Salvador per sconfiggere la cosiddetta infiltrazione comunista o socialista nella regione. Raymond Donner, autore di Weakness and Deceit: America e El Salvador's Dirty War, scrive nella sua inchiesta:
"Più di 900 contadini furono assassinati in ed intorno a diversi villaggi nella provincia orientale di Morazán. La maggior parte erano vecchi, donne e bambini. Nella chiesa cattolica romana di El Mozote, i soldati separarono gli uomini dalle loro famiglie, li portarono via e li uccisero. Hanno radunato madri e bambini nel convento. Mettendo i loro fucili M-16 forniti dagli americani in automatico, i soldati aprirono il fuoco. Poi hanno bruciato il convento. Circa 140 bambini sono stati uccisi, compresi i bambini più piccoli. Età media: 6…
"In El Salvador, l'amministrazione Reagan, con Abrams come uomo di punta, difendeva regolarmente il governo salvadoregno di fronte alle prove che il suo esercito regolare e gli squadroni della morte alleati operassero impunemente, uccidendo contadini, studenti, dirigenti sindacali e chiunque fosse considerato antigovernativo o pro-guerrigliero. Abrams arrivò al punto di difendere uno dei leader più famosi della squadra della morte, Roberto D'Aubuisson, responsabile dell'omicidio dell'arcivescovo Óscar Romero mentre stava celebrando la messa, nel marzo 1980.
"È stato l'assassinio di Romero a scatenare una guerra civile in El Salvador — un'alleanza tra militari e oligarchi, che aveva governato per decenni con il sostegno degli Stati Uniti, contro un'insurrezione di stampo marxista. La maggior parte del sostegno alla rivoluzione proveniva dai contadini del Salvador, che avevano poco da perdere nel cercare di rovesciare un governo che aveva fatto ricorso a una repressione brutale per tenerli in miserabile povertà.
"Per prosciugare il mare contadino in cui nuotavano i guerriglieri, prendere in prestito da Mao, il Battaglione Atlacatl, i cui ufficiali avevano recentemente completato l'addestramento controinsurrezionale negli Stati Uniti, lanciò un'operazione" terra bruciata "a Morazán, una regione montagnosa dove i contadini semilavorati lavoravano i loro piccoli appezzamenti di sisal e mais. "
Tieni presente che El Salvador è un paese piccolo, paragonabile allo stato del New Jersey. La sua popolazione è inferiore a cinque milioni. Quindi uccidere 900 persone a sangue freddo è una cifra abbastanza alta. Inoltre, lo stupro delle donne di chiesa cattolica era anche parte del regime brutale che Abrams e l'amministrazione Reagan inavvertitamente lo sostenevano in El Salvador. Il brutale regime violentò anche le adolescenti e le uccise. "Un testimone ha descritto un soldato che lanciava un bambino di 3 anni in aria e lo impalava con la sua baionetta."
Anche New World Order come Newsweek concordano che Abrams "era stato precedentemente incriminato e perdonato per aver mentito al Congresso sul suo ruolo nell'Aran-Contra Affair degli anni '80, con il quale membri dell'amministrazione del presidente Ronald Reagan vendevano illegalmente armi all'Iran e usato i fondi sostenere le milizie anticomuniste in Nicaragua (Contras), un episodio della storia pluridecennale degli sforzi degli Stati Uniti per sconfiggere le forze di sinistra in tutta l'America latina. " 

Questi fatti, purtroppo, si succedono frequentemente in ogni angolo della terra. Lo strapotere di chi comanda domina il globo terracqueo e viene attratto costantemente dalle ricchezze che produce per aumentare a dismisura, costantemente la propria ricchezza. 
by cetta

Quasi 2 milioni di italiani col Pd, rimasto all’Età della Pietra. - Giorgio Cattaneo

Nicola Zingaretti 43b6a

Favoloso Pd: dopo Renzi e l'avatar Martina, ecco Zingaretti (il nulla), vittorioso su Giachetti (altro nulla) e sullo stesso Martina (idem). Il nulla è il contenuto politico dei tre alfieri delle primarie 2019, che avrebbero mobilitato 1,7 milioni di italiani: impegnatissimi a discettare, appunto, sul vuoto cosmico che il partito ha prodotto, dopo la bruciante sconfitta dello scorso anno. Non una parola sulle cause della disfatta, che ha inevitabilmente portato a Palazzo Chigi i velleitari gialloverdi, cioè gli “incompetenti” 5 Stelle e il “razzista” Salvini. 
Non finisce di stupire, la base del Pd: se i dirigenti non rappresentano più una sorpresa per nessuno, avendo ampiamente dato spettacolo di sé in termini di mediocrità assoluta, stupisce la tenacia di militanti ed elettori, probabilmente convogliati verso i gazebo soprattutto grazie alla martellante campagna mediatica contro l'orco leghista, ben orchestrata anche dalla manifestazione oceanica pro-migranti organizzata alla vigilia del 3 marzo dal milanese Sala per contestare i tanti aspetti inaccettabili del decreto-sicurezza. 
A parte questo, però, il Pd – inteso come corpo politico-sociale – sembra rimasto all'età della pietra, prigioniero di un'altra epoca, ancora ipnotizzato dall'illusione ottica dell'Unione Europea come superpotere illuminato, apolitico e neutrale nonché necessariamente non-italiano, viste le storiche colpe del Belpaese-cicala, gravato dal suo vergognoso debito pubblico.

Per il Pd, la storia è ferma al 1992, all'europeismo bancario e tecnocratico di Ciampi, tuttalpiù alla super-bufala ulivista dell'oligarca Prodi, asceso al cielo solo grazie alla guerra psicologica contro l'Uomo Nero. Sono passati 25 anni, e sembra che gli elettori Pd non abbiano ancora capito che il vero pericolo per l'Italia non era Berlusconi,
ma i poteri oligarchici eurocratici che proprio nel centrosinistra hanno incessamente reclutato alleati docili e servizievoli, da D'Alema e Renzi, cui affidare lo smantellamento progressivo del welfare, la super-tassazione inferta alle aziende, la disoccupazione-choc e la chemio-economy eseguita dal duo tragico Monti-Fornero, cioè i mercenari che – attraverso Napolitano – hanno deformato la Costituzione, sfigurandola  con l'inserimento proditorio del pareggio di bilancio approvato senza fiatare dall'infimo Bersani. Nulla di tutto ciò traspare, nemmeno in lontananza, dall'analisi post-sconfitta esalata a mezza voce dal Pd già renziano. Niente di vagamente paragonabile alle riflessioni prodotte in Francia dal gauchista Mélenchon, o in Gran Bretagna dal laburista Corbyn. La cosiddetta sinistra (nominale) italiana non va oltre Zingaretti, Giachetti e Martina. L'altra notizia è che la disfida, interamente disputata a colpi di sbadigli, ha attratto quasi due milioni di elettori sani di mente.


Dov'era, in questi anni, il popolo del Pd? Dove si è informato? Cosa ha letto? Chi ha ascoltato? Non c'è stato un dirigente del partito – non uno – capace di indicare le cause del doloroso divorzio tra il Pd e gli italiani, messi in ginocchio da un'euro-crisi sapientemente pilotata grazie all'occhiuta regia di micidiali strateghi come Mario Draghi. Zero assoluto, dal Pd, sul rapporto con Bruxelles: la recessione è accettata come normalità fisiologica, la sottomissione viene subita come destino (anche quando Germania e Francia annunciano ad Aquisgrana il ritorno persino formale al Sacro Romano Impero). Facile, sparare su Di Maio e Toninelli. Comodo, prendersela con lo sgradevole Salvini. Ma se tornasse a Palazzo Chigi, il Pd cosa farebbe? Probabilmente, le stesse cose che ne hanno causato lo sfratto nel 2018. Cos'è cambiato, nell'ultimo anno? Niente. Basta ascoltare Zingaretti, Martina e Giachetti. I buoni sono all'opposizione perché i cattivi sono al governo. E i cattivi sono al governo perché evidentemente gli italiani sono cretini, oltre che un po' fascisti e xenofobi. Le parole democrazia, sovranità e trasparenza non dicono niente, allo pseudo-europeismo del Pd, ancora e sempre a disposizione dei neoliberisti, i grandi privatizzatori universali. Pazienza per i nano-dirigenti, usi a obbedir tacendo, ma è decisamente sconcertante constatare come, in quel nulla, ripongano ancora una certa fiducia quasi due milioni di elettori italiani.

https://comedonchisciotte.org/quasi-2-milioni-di-italiani-col-pd-rimasto-alleta-della-pietra/




Decisamente sconcertante, come dice l'articolo.

Stato mafia: le rivelazioni di Ingroia su Prodi, Napolitano, Mauro. E non solo. - Lorenzo Lamperti - 4 luglio 2018

Stato mafia: le rivelazioni di Ingroia su Prodi, Napolitano, Mauro. E non solo

Antonio Ingroia parla in un'intervista a tutto campo ad Affaritaliani.it dei contenuti del suo libro "Le trattative". E non solo...


Antonio Ingroia, partiamo dal titolo del suo libro: "Le trattative". Come mai questo titolo? Significa che di trattative ce ne sono state più di una?
Certamente. Ho scelto intenzionalmente questo titolo proprio per spiegare che di trattative ce ne sono state tante e che quella famigerata trattativa Stato-mafia oggetto del processo che è arrivato recentemente alla sentenza di primo grado a Palermo è certamente la più famosa e terribile, ma non la sola. 
Che cosa risponde a chi sostiene che la trattativa fu portata avanti per evitare delle vittime?
Rispondo che non è così. La trattativa ha fatto tutto il contrario, accelerando le stragi e causando altre vittime. E io ho voluto racconta che questo purtroppo non è stato un episodio accidentale. Lo Stato italiano è stato raramente intransigente con i poteri criminali e la mafia in particolare, il cui potere è cresciuto proprio grazie alle trattative e alla legittimazione da esse derivanti. Nella storia ci sono state diverse trattative, come quella in occasione dello sbarco degli alleati in Sicilia nella Seconda Guerra Mondiale, per poi arrivare a quella oggetto del processo di Palermo che vide protagonisti carabinieri, Vito Ciancimino, Riina e il papello. Ma poi ci fu un'altra trattativa con Provenzano, quella portata avanti da un uomo border line tra servizi segreti ed eversione nera come Paolo Bellini e quella con Dell'Utri nel 1994.
Lei nel libro fa riferimento anche a una trattativa nella quale Dell'Utri e Berlusconi avrebbero dovuto essere i tramiti per arrivare a Craxi. Può dirci qualcosa in più?
Dell'Utri è sempre stato uno dei principali artefici delle trattative, lo si potrebbe definire "il principe delle trattative". Inizia negli anni '70 quando mette piede nell'impero Fininvest con l'approdo di Mangano alla villa di Arcore. Porta la mafia in casa di Berlusconi, che in quel momento era sotto minaccia. Viveva nel pericolo di un sequestro suo o dei suoi famigliari e invece di rivolgersi alle autorità si rivolse a Dell'Utri. Ma Dell'Utri non è stato solo il tramite tra mafia e imprenditoria ma anche tra mafia e politica. A un certo punto Cosa Nostra sentì usurarsi il rapporto con la Democrazia Cristiana e in particolare con la corrente andreottiana e per questo decise di provare a raggiungere Craxi, visto che il Partito Socialista aveva raggiunto un ruolo centrale nello scenario politico italiano. Sapendo dei suoi ottimi rapporti con Craxi, si pensò di utilizzare Berlusconi per arrivare a lui. Un progetto poi abortito perché anche il Psi non fu più ritenuto un interlocutore affidabile dopo che l'allora ministro Martelli chiamò Falcone al ministero. Dopo di che ci furono gli anni del conflitto con la Dc e l'omicidio di Salvo Lima che portò poi alla trattativa.
In tutta questa vicenda Berlusconi è stato più vittima o più carnefice?
Io ho sempre detto che sul piano penale non c'è nulla di ascrivibile a Silvio Berlusconi. Qualcuno mi accusa di aver cambiato versione ma non è così, anche nel processo Dell'Utri dissi che dal punto di vista penale non avevamo elementi per accusare Berlusconi. E difatti io stesso archiviai la sua posizione e lui non è mai stato portato a processo dalla procura di Palermo. Io lo considero un terminale di pressioni alle quali si è piegato prima da imprenditore e poi da politico. Lo si può definire una vittima sui generis.
Lei sostiene che, dopo la Dc, Cosa Nostra individuò in Forza Italia il successivo interlocutore politico. Seguendo il suo ragionamento, ora che Forza Italia ha perso gran parte del suo potere politico la mafia sta cercando nuovi interlocutori politici?
Questo è evidente. Nel piano politico nazionale il potere di Forza Italia si è andato sgretolando negli ultimi anni. Va però detto che nel tempo Cosa Nostra ha probabilmente modificato il proprio approccio alla politica. Nella Prima Repubblica c'era una "democrazia bloccata" e un quadro politico stagnante dove l'attore principale, la Dc, restava sempre al governo e al massimo cambiavano i suoi partner. Durante la Seconda Repubblica, anche se al governo ci sono state forze diverse, l'egemonia politica o comunque mediatica e culturale è sempre stata in mano a Forza Italia. Oggi siamo invece in una fase di grande dinamismo e mutevolezza, con forze politiche come il Pd che in poco tempo passano dal 40 al 20 per cento e altre che fanno il percorso opposto. Oggi ritengo dunque che non ci sia un interlocutore affidabile di lunga scadenza per la mafia. Se si considera poi che la mafia stessa è mutata, passando da un'organizzazione gerarchica e monolitica a una più eterogenea e frammentata, la conseguenza ovvia è che più che sui gruppi politici Cosa Nostra lavori a sui rapporti interpersonali e sui singoli nomi.
Nel suo libro parla di numerosi "sabotaggi" o comunque di "attacchi" alle indagini della procura di Palermo. Qual è stato l'attacco che meno si sarebbe aspettato?
A livello personale devo dire che non mi sarei aspettato di venire attaccato da quella che possiamo definire "sinistra al potere". La prima grande sorpresa è arrivata con il primo governo Prodi, che si era insediato con grandi aspettative in una fase in cui la lotta alla mafia era in grande spolvero. Ci si aspettava sostegno e supporto all'azione giudiziaria perché sembrava davvero che potessimo dare il colpo definitivo a Cosa Nostra. 
E invece?
Invece c'è stato un evidente disimpegno del governo Prodi (1), in particolare in seguito alla nomina dei ministri Flick Napolitano. Il governo fece scelte non dico di ostacolo ma comunque di non supporto alla nostra azione. Si passò dalle promesse alla freddezza e poi all'aperta ostilità. Il clou si è però verificato negli scorsi anni, quando gli attacchi e le delegittimazioni sono arrivate anche dall'interno della magistratura e dall'informazione cosiddetta "progressista".
A chi fa riferimento?
Faccio riferimento per esempio agli editoriali di Eugenio Scalfari su Repubblica, schierati in maniera netta con Napolitano sulla questione del conflitto di attribuzione e decisamente ostili all'indagine sulla trattativa che oggi è stata consacrata da una sentenza.
Lei fa riferimento alla famosa telefonata tra Napolitano e Mancino che poi la Consulta ha ordinato di distruggere su richiesta del Quirinale stesso. A proposito, lei nel libro parla del fatto che l'allora direttore di Repubblica Ezio Mauro si fece da intermediario tra la procura e il Colle a riguardo. Come andarono le cose?
Ho voluto raccontare questo episodio per dimostrare che, contrariamente all'immagine che si preferisce diffondere della procura di Palermo, da parte nostra non c'era nessuna pretestuosa contrapposizione nei confronti del Quirinale. Appena è arrivato un segnale per evitare il conflitto di attribuzione io mi mostrai disponibile a raccoglierlo, anche perché ho sempre stimato Ezio Mauro. Poi però si è tutto interrotto e non c'è stato più nessun passo dal Quirinale o dagli ambasciatori o ambasciatrici scelti dal Colle. Qualcuno ha fatto un gioco strano.
A che cosa allude?
Ritengo che qualcuno, non so dire chi, abbia preferito ostacolare il dialogo tra procura di Palermo e Quirinale alimentando la contrapposizione, sapendo che un'azione diretta del Colle avrebbe avuto come effetto quello di bloccare l'indagine, cosa poi effettivamente avvenuta.
Ma che cosa rappresentava quella celeberrima telefonata ai fini dell'indagine?
Guardi, le faccio un paragone. Nel processo Andreotti si finì per parlare solo del presunto bacio tra Andreotti e Riina. Passò il messaggio che Andreotti era innocente se il bacio non c'era stato. Ma l'indagine era basata su ben altri elementi. La stessa cosa con la telefonata Napolitano-Mancino. Insomma, la regola in entrambi i casi era quella di parlare d'altro per non parlare del terribile merito dei processi.
Si può dire che lei ha lasciato la magistratura a causa dello scontro istituzionale con Napolitano?
Certo che si può dire, è così. Io cominciai quell'indagine nella notte del 19 luglio 1992, poche ore dopo l'omicidio di Paolo Borsellino. La mia storia professionale è tutta legata alla figura di Borsellino. In quei 20 anni ho cercato in tutti i modi di dare un contributo alla scoperta della verità, anche se la sede competente per le indagini su via D'Amelio era Caltanissetta. Con il processo trattativa mi sentivo di essere arrivato vicino, ritengo che eravamo con la verità a portata di mano. Avremmo potuto proseguire con nuove prove e acquisizioni e invece quel conflitto di attribuzioni è stata la saracinesca che ci ha sbarrato la strada. A quel punto non ci è rimasto altro da fare che mettere a frutto anni di indagini e formulare le richieste di rinvio a giudizio. In quel momento ho sentito esaurito il mio compito, perché sapevo che non avrei potuto più andare avanti nella ricerca della verità. 
Il passaggio in politica non è stato molto fortunato.
Nel 2013 ero convinto di poter portare in parlamento la mia battaglia per la verità. Non è andata bene ma io continuo a lottare per la verità. Lo sto facendo anche in questi giorni, con la proposta di una commissione parlamentare d'inchiesta. E credo di poterlo fare anche con maggiore libertà rispetto ai vincoli della toga. Per questo continuo a lottare nelle vesti di avvocato, cittadino e, in questo caso, scrivendo libri.
Secondo quanto ha detto la conclusione sembra che la verità completa sia impossibile da raggiungere, nonostante la sentenza di Palermo. E' così?
L'indagine di Palermo la definisco una bellissima opera incompiuta. E' un processo che ha consentito una sentenza senza precedenti: per la prima volta i vertici della mafia sono stati condannati insieme agli apparati istituzionali con membri delle forze di polizia speciali e il fondatore di un partito che è stato a lungo quello di maggioranza relativa. Ma non tutti i responsabili sono stati puniti e non tutti i punti oscuri sono venuti alla luce.
Dica la verità: ci credeva davvero nella sentenza di condanna dello scorso aprile?
Credevo nella validità del lavoro dei magistrati e nella professionalità e dirittura morale dei giudici della corte d'assise. Allo stesso tempo però avevo in mente sentenze sconcertanti che negli ultimi anni avevano mostra l'attitudine della magistratura di essere spesso doppiopesista nel giudicare uomini dello Stato e imputati ordinari. Come diceva Sciascia, "lo Stato non può mai processare se stesso". Dunque per questo un po' sono stato positivamente sorpreso dalla sentenza di Palermo.
Quando parla di "sentenze sconcertanti" fa riferimento anche a quella della Consulta sulla telefonata tra Mancino e Napolitano?
Quella sentenza è un emblema.
Che cosa ne pensa del governo M5s-Lega? Può ottenere buoni risultati in materia di lotta alla criminalità organizzata e ricerca della verità?
Sono in una fase di sospensione di giudizio. Certo potrei cavarmela dicendo che sarà difficile possano fare peggio dei governi precedenti. Non so se questo sarà un governo del cambiamento nei fatti, per ora lo è nelle parole e nelle facce. Lo stesso Salvini, a modo suo, ha detto cose dure sulla mafia. Per essere davvero il governo del cambiamento non possono passare inosservate le sentenze di Palermo sulla trattativa e quella sul Borsellino quater che parla di depistaggi nell'indagine su via D'Amelio. Per questo ho proposto una commissione parlamentare d'inchiesta. Vedremo, io piuttosto che criticare preventivamente preferisco stimolare e pungolare per ottenere un vero cambiamento.

Legittima difesa, Di Maio: “E’ legge della Lega. Non entusiasma, ma siamo leali. Più armi? Non è mio modello di Paese”.

Legittima difesa, Di Maio: “E’ legge della Lega. Non entusiasma, ma siamo leali. Più armi? Non è mio modello di Paese”

Il vicepremier, intervistato da Rtl 102.5, ha riconosciuto per la prima volta che ci sono malumori dentro il Movimento sul provvedimento bandiera del Carroccio: "I cittadini devono essere difesi in primo luogo dallo Stato e dalle forze dell’ordine". Sull'Alta velocità: "Mi fido di Conte. Uno Stato responsabile deve dire si o no, non in base alle ideologie, ma in base al fatto che dobbiamo amministrare lo Stato come un buon padre di famiglia". E ha smentito che al vertice si sia discusso delle dimissioni di Toninelli. 


“Non c’è tutto questo entusiasmo nel M5s sulla legittima difesa, ma noi siamo leali”. E pure: “Se approvando questa legge si dice che si possono utilizzare di più le armi, questo non è il mio modello di Paese”. Perché, “i cittadini devono essere difesi in primo luogo dallo Stato e dalle forze dell’ordine”. Luigi Di Maio, intervistato da Rtl 102.5 a “No stop news”, ha riconosciuto per la prima volta che il provvedimento bandiera del Carroccio in discussione in queste ore a Montecitorio crea malumori dentro il Movimento. E soprattutto, nella visione generale, non piace neppure al capo politico M5s. Non per questo però verrà ostacolato, perché è parte del contratto. “Sicuramente questa è una legge della Lega”, ha detto. “Come quando si è votata la legge contro la corruzione voluta dal M5s non è che ci fosse tutto questo entusiasmo nella Lega. Allo stesso modo, quando si vota la legge sulla legittima difesa, che è una legge che sta nel contratto e che per questo porteremo avanti perché noi siamo leali, non è che ci sia tutto questo entusiasmo nel M5s”. E ha continuato: “Non è che ci sia tutto questo entusiasmo, ma credo sia anche normale, è la stessa cosa avvenuta per Quota 100 e il Reddito di cittadinanza”.
Legittima difesa, Di Maio: "È legge della Lega, non ci entusiasma"
Volume 90%


Di Maio ha poi parlato anche di Tav: “Una decisione”, ha detto, “sarà presa entro venerdì perché la società Telt deve scegliere se dare l’avvio ai bandi. Se qualcuno crede che su questo possa cadere il governo si sbaglia. Mi fido di Conte che farà la sintesi delle posizioni”. Il leader M5s ha difeso il metodo usato per fare l’analisi costi benefici e spiegato che per il movimento l’obiettivo è fare le opere e non “fare le opere per spendere più soldi”: “La nostra posizione è chiara e richiede una sintesi. Io penso che il governo non sia a rischio, ma la soluzione che vogliamo approvare per soddisfare pienamente quello che è il nostro orientamento. La decisione non deve essere ideologica. Noi come governo abbiamo commissionato uno studio che dice agli italiani: state spendendo soldi per un’opera che porta meno benefici dei soldi di tasse che ci mettiamo”. E ha ribadito: “Come dice Conte è una questione di metodo, se c’è uno studio che dice che quell’opera non sta in piedi, la discutiamo e la affrontiamo, facciamo uno stress test: poi uno Stato responsabile deve dire si o no, non in base alle ideologie, ma in base al fatto che dobbiamo amministrare lo Stato come un buon padre di famiglia, che non spenderebbe soldi per una cosa che porta meno soldi di quelli che ci ha messo dentro”. All’intervistatore che contestava la metodologia usata per l’analisi costi-benefici, il leader M5s ha sostenuto che è stato usato “un metodo europeo, che viene utilizzato negli studi anche dalla Banca Mondiale” e che “anche senza considerare i minori incassi delle accise sul carburante (dovuto al calo di traffico autostradale ndr) l’ipotesi rimane negativa”. “Quello che non torna – ha ironizzato – è che lo studio lo ha fatto M5s! – ha aggiunto – La Tav non ci ha fatto niente, ma tutte le opere in cui buttiamo i soldi degli italiani non sono opere che sono sostenibili”.

Il capo politico dei 5 stelle ha anche smentito che Danilo Toninelli abbia ipotizzato di lasciare l’incarico: “Non c’era nessun bisogno di minacciare dimissioni”, ha detto. Di Maio ha anche aggiunto che “durante tutti gli incontri di governo che si sono avuti finora non c’è mai stata alcuna discussione ma solo un confronto leale”.

Quello che apprezzo in Di Maio è la sua lealtà. Se ha preso un impegno con noi che gli abbiamo dato fiducia, sono sicura che lo manterrà, costi quel che costi. Poco alla volta, con pazienza e tenacia porterà avanti i nostri progetti. E gli rendo il merito di aver realizzato buona parte degli obiettivi che ci eravamo proposti.
Sono soddisfatta e orgogliosa di aver dato fiducia ad un movimento nel quale mi immedesimo per tutti gli ideali che hanno fatto e fanno ancora parte delle mie ataviche convinzioni.
Con il movimento sento rinascere nuovamente l'ideologia socialista, comunista.
Con loro mi sento a casa, protetta.
Grazie m5s.
bycetta

Reddito di cittadinanza: è partita la corsa. Sul sito problemi per l'accesso con Spid.

La sala d'attesa del Caf Acli in corso Europa a Milano © ANSA

Prosegue scontro con Regioni. Istat,obbligo lavoro per 900 mila.

Al via l'operazione Reddito di Cittadinanza sul sito ufficiale che consente di richiedere il sussidio direttamente. Sul portale predisposto dal governo è apparso il link che consente la presentazione delle domande on line. Come preannunciato è necessario avere il codice 'Spid', cioè l'identità digitale per comunicare con la pubblica amministrazione, ma per ora risultano attivi solo quelli da Poste e da Tim Id mentre chi clicca con lo Spid degli altri sette gestori non può per ora accedere perché la pagina segna 'errore'.
Sul reddito di cittadinanza "oggi manteniamo una promessa, lo Stato finalmente si occupa degli invisibili, di persone che sono state alla periferia di questo Paese e dei temi politici. Da oggi 5 milioni di persone potranno potenzialmente accedere" a questa misura. Così il vicepremier e ministro Luigi Di Maio, a Rtl: "E' una rivoluzione. Ci ho lavorato tanto", sottolinea.
Voglio assumere 6 mila persone a livello centrale come ministero e mandarle in tutte le regioni nei prossimi mesi per sopperire alle carenze dei centri per l'impiego mentre le regioni fanno i concorsi. Poi saranno assorbiti con concorso a livello regionale". Lo afferma Di Maio parlando del navigator. L'obiettivo, spiega, è l'accordo con le Regioni.

Reddito di cittadinanza, primo giorno per presentare domanda.


Inps, forte impatto di riduzione povertà. - Il reddito di cittadinanza "avrà un forte impatto sia sotto il profilo di politica economica che sulla ridistribuzione della ricchezza tra le famiglie per le quali ci si attende una riduzione della povertà e un aumento dell'inclusione sociale". Lo ha sottolineato il direttore generale dell'Inps, Gabriella Di Michele, in audizione sul decretone davanti alle Commissioni Lavoro e Affari sociali della Camera. Atteso, secondo Di Michele, anche un aumento del Pil potenziale.
In vista della giornata di oggi, primo giorno di presentazione delle domanda, e dell'erogazione del reddito e della pensione di cittadinanza nelle prossime settimane c'è stato un "notevolissimo impegno da parte dell'Inps" che ha messo a punto i modelli di domanda "con due giorni di anticipo" rispetto alla scadenza e che permetterà di "avviare l'erogazione del beneficio nei tempi richiesti", ha spiegato Di Michele.
Sangalli, per l'inclusione centri impiego più forti - "Se l'obiettivo è quello dell'inclusione sociale, bisogna innanzitutto che sia chiaro chi fa cosa, a partire dal rafforzamento dei centri per l'impiego. E soprattutto avere la consapevolezza che sono le imprese a costruire le opportunità di lavoro". Lo afferma il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, parlando del reddito di cittadinanza a margine della conferenza stampa sulle città. "Quindi è necessario mettere in campo misure che ne sostengono competitività e crescita", aggiunge Sangalli. "Il reddito di cittadinanza dovrebbe quindi davvero concorrere alla costruzione di una società più attiva e a una sicurezza sociale fondata su più lavoro", conclude il presidente di Confcommercio.

Trapianto di fegato da vivente, l'organo si rigenera in 15 giorni. - Simone Valesini

La struttura di un fegato © Ansa


La procedura, effettuata su un paziente con metastasi, ha consentito di sostituire l’organo malato prelevando solamente il 20% di quello del donatore, e lasciando che i tessuti trapiantati si rigenerassero. È la prima volta che viene effettuata con tecniche mini-invasive.

MEDICINA rigenerativa, chirurgia dei trapianti, oncologia. Sono questi gli ingredienti di un piccolo miracolo andato in scena a Padova: un trapianto da donatore vivente che ha permesso di guarire un paziente altrimenti inoperabile, sostituendo il fegato invaso dalle metastasi di un tumore al colon. Un’operazione in due fasi che rappresenta un’autentica rivoluzione: è solo la sesta volta al mondo, infatti, che viene eseguito un simile intervento, e la prima in assoluto in cui una parte della procedura è stata realizzata in video laparoscopia, una tecnica chirurgica mini-invasiva. L’operazione è stata eseguita da Umberto Cillo, direttore della Chirurgia Epatobiliare e dei Trapianti Epatici dell'Azienda Ospedaliera/Università di Padova, e dal suo staff.

Il paziente – fanno sapere dall’Azienda ospedaliera di Padova – è un uomo di 47 anni affetto da multiple metastasi epatiche causate da un tumore del colon, e ritenuto inizialmente inoperabile. A rendere possibile l’intervento è stata la scelta di utilizzare una tecnica sperimentale definita Rapid, che consente la donazione da vivente con bassissimi rischi per il donatore. La procedura si divide in due fasi. Nella prima il team di chirurghi, coordinato da Cillo, ha prelevato il lobo sinistro del fegato del donatore, una struttura che rappresenta solamente il 20% della massa epatica totale, impiantandola al posto di quella del paziente. Una procedura di per sé rivoluzionaria, perché fino ad oggi il trapianto da vivente veniva realizzato utilizzando almeno il 60-65% del fegato del donatore, con rischi evidentemente maggiori per la sua salute.

La vena che garantisce l’afflusso di sangue alla parte destra del fegato è stata quindi occlusa, deviando tutto il flusso di sangue, ricco di fattori di rigenerazione, alla parte sinistra appena impiantata. Il fegato destro malato è stato lasciato in sede per aiutare l’organo trapiantato a svolgere le sue funzioni. E nel frattempo la porzione sana ha iniziato a rigenerarsi, aumentando velocemente di volume.

Dopo due settimane il paziente è stato sottoposto a una Tac per verificare le dimensioni raggiunte dalla porzione di fegato sana, e avendo constatato che l’organo aveva raggiunto più del doppio del volume iniziale, ed era quindi in grado di sostenere la vita del paziente, i medici di Padova hanno dato il via libera per la seconda fase dell’intervento: la rimozione del fegato metastatico. L’intervento è stato realizzato interamente con tecnica mini-invasiva, e si è rivelato un successo: il paziente – spiega l’azienda ospedaliera di Padova – è tornato a casa e oggi ha ripreso le sue normali attività.

“Si tratta di una strategia che apre la strada a risorse di donazione aggiuntive per chi è in attesa di trapianti”, commenta Cirillo ad AdnKronos Salute, “caratterizzata da un bassissimo rischio di complicanze per i donatori, considerato che abbiamo usato solo il 20% del fegato”.