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mercoledì 6 marzo 2019

Quasi 2 milioni di italiani col Pd, rimasto all’Età della Pietra. - Giorgio Cattaneo

Nicola Zingaretti 43b6a

Favoloso Pd: dopo Renzi e l'avatar Martina, ecco Zingaretti (il nulla), vittorioso su Giachetti (altro nulla) e sullo stesso Martina (idem). Il nulla è il contenuto politico dei tre alfieri delle primarie 2019, che avrebbero mobilitato 1,7 milioni di italiani: impegnatissimi a discettare, appunto, sul vuoto cosmico che il partito ha prodotto, dopo la bruciante sconfitta dello scorso anno. Non una parola sulle cause della disfatta, che ha inevitabilmente portato a Palazzo Chigi i velleitari gialloverdi, cioè gli “incompetenti” 5 Stelle e il “razzista” Salvini. 
Non finisce di stupire, la base del Pd: se i dirigenti non rappresentano più una sorpresa per nessuno, avendo ampiamente dato spettacolo di sé in termini di mediocrità assoluta, stupisce la tenacia di militanti ed elettori, probabilmente convogliati verso i gazebo soprattutto grazie alla martellante campagna mediatica contro l'orco leghista, ben orchestrata anche dalla manifestazione oceanica pro-migranti organizzata alla vigilia del 3 marzo dal milanese Sala per contestare i tanti aspetti inaccettabili del decreto-sicurezza. 
A parte questo, però, il Pd – inteso come corpo politico-sociale – sembra rimasto all'età della pietra, prigioniero di un'altra epoca, ancora ipnotizzato dall'illusione ottica dell'Unione Europea come superpotere illuminato, apolitico e neutrale nonché necessariamente non-italiano, viste le storiche colpe del Belpaese-cicala, gravato dal suo vergognoso debito pubblico.

Per il Pd, la storia è ferma al 1992, all'europeismo bancario e tecnocratico di Ciampi, tuttalpiù alla super-bufala ulivista dell'oligarca Prodi, asceso al cielo solo grazie alla guerra psicologica contro l'Uomo Nero. Sono passati 25 anni, e sembra che gli elettori Pd non abbiano ancora capito che il vero pericolo per l'Italia non era Berlusconi,
ma i poteri oligarchici eurocratici che proprio nel centrosinistra hanno incessamente reclutato alleati docili e servizievoli, da D'Alema e Renzi, cui affidare lo smantellamento progressivo del welfare, la super-tassazione inferta alle aziende, la disoccupazione-choc e la chemio-economy eseguita dal duo tragico Monti-Fornero, cioè i mercenari che – attraverso Napolitano – hanno deformato la Costituzione, sfigurandola  con l'inserimento proditorio del pareggio di bilancio approvato senza fiatare dall'infimo Bersani. Nulla di tutto ciò traspare, nemmeno in lontananza, dall'analisi post-sconfitta esalata a mezza voce dal Pd già renziano. Niente di vagamente paragonabile alle riflessioni prodotte in Francia dal gauchista Mélenchon, o in Gran Bretagna dal laburista Corbyn. La cosiddetta sinistra (nominale) italiana non va oltre Zingaretti, Giachetti e Martina. L'altra notizia è che la disfida, interamente disputata a colpi di sbadigli, ha attratto quasi due milioni di elettori sani di mente.


Dov'era, in questi anni, il popolo del Pd? Dove si è informato? Cosa ha letto? Chi ha ascoltato? Non c'è stato un dirigente del partito – non uno – capace di indicare le cause del doloroso divorzio tra il Pd e gli italiani, messi in ginocchio da un'euro-crisi sapientemente pilotata grazie all'occhiuta regia di micidiali strateghi come Mario Draghi. Zero assoluto, dal Pd, sul rapporto con Bruxelles: la recessione è accettata come normalità fisiologica, la sottomissione viene subita come destino (anche quando Germania e Francia annunciano ad Aquisgrana il ritorno persino formale al Sacro Romano Impero). Facile, sparare su Di Maio e Toninelli. Comodo, prendersela con lo sgradevole Salvini. Ma se tornasse a Palazzo Chigi, il Pd cosa farebbe? Probabilmente, le stesse cose che ne hanno causato lo sfratto nel 2018. Cos'è cambiato, nell'ultimo anno? Niente. Basta ascoltare Zingaretti, Martina e Giachetti. I buoni sono all'opposizione perché i cattivi sono al governo. E i cattivi sono al governo perché evidentemente gli italiani sono cretini, oltre che un po' fascisti e xenofobi. Le parole democrazia, sovranità e trasparenza non dicono niente, allo pseudo-europeismo del Pd, ancora e sempre a disposizione dei neoliberisti, i grandi privatizzatori universali. Pazienza per i nano-dirigenti, usi a obbedir tacendo, ma è decisamente sconcertante constatare come, in quel nulla, ripongano ancora una certa fiducia quasi due milioni di elettori italiani.

https://comedonchisciotte.org/quasi-2-milioni-di-italiani-col-pd-rimasto-alleta-della-pietra/




Decisamente sconcertante, come dice l'articolo.

domenica 3 marzo 2019

Andrea Scanzi: “Zinga, Marty, Lo Smilzo e il fenicottero bulimico Calenda”. (Guida breve alle Primarie)

Domani ci saranno le Primarie Pd. L’attesa, nel paese, è diversamente spasmodica. Il Pd se l’è presa giustamente comoda, impiegando solo un anno dalla Waterloo delle Politiche. I tre sfidanti saranno Zingaretti, Martina e Giachetti. Il Partito spera di raggiungere almeno un milione di votanti, per poi andare in tivù e dire che loro sono felici di tutta questa partecipazione popolare. Così felici che, poi, se anche perdono le elezioni chi se ne frega.
L’ineffabile Zinga. E’ il favorito, ma se non raggiungerà il 50% più uno dei consensi rischierà l’usuale gogna dei delegati allorquando il Congresso dovrà scegliere l’erede di nessuno (cioè di Renzi e Martina). L’ineffabile Zinga è, per distacco e mancanza di avversari, il migliore tra i candidati. Il piccolo problema non è tanto quel carisma da salumaio triste di Vitiano, quanto il suo parlare tanto senza dir nulla. E’ contro i 5 Stelle, però un po’ anche a favore. E’ contro Renzi, però “Matteo ha fatto anche cose buone” (come il Duce). Panettone, ma anche pandoro. Una sorta di “maanchismo” veltroniano, forse fuori tempo massimo. Domanda: quanti, nel mondo reale, non vedono l’ora di smettere di votare 5 Stelle per votare Zingaretti?
Il rutilante Marty. Parlare di Maurizio Martina ti fa sentire come quando Spinoza cercava di descrivere il nulla. Di lui tutti non ricordano assolutamente niente: e non potrebbe essere altrimenti. Durante le consultazioni ha provato a dialogare con i 5 Stelle, solo che poi Renzi gli ha tirato le orecchie e ciao core. Il rutilante Marty ha un coraggio così spiccato che, se per caso a Don Abbondio capitasse di incontrarlo, si sentirebbe per contrasto Chuck Norris. Ultimamente Martina si è trasformato in supereroe, agghindandosi come Dylan Dog. Non è un caso: il primo albo della serie Bonelli si intitolava L’alba dei morti viventi, che è poi il programma di Martina. Tra i suoi grandi sostenitori c’era Richetti, uno che si innamora sempre della persona sbagliata come Lady Gaga, e c’è ancora quel galantuomo di De Luca Vincenzo. Daje Marty!
Il Bondi smilzo. Roberto Giachetti è ormai inarrivabile nell’incarnare il peggio del peggio della politica italiana. Dopo un inizio da radicale anonimo, è divenuto vagamente noto per quel suo vezzo del digiunar a favor di telecamera perché la legge elettorale gli faceva schifo. Poi però ha votato la fiducia sull’Italicum, che è un po’ come marciare per la pace e poi sganciare la bomba atomica sull’opposizione. La sua candidatura è tra le più brutte nella storia dell’umanità, ma a lui – perfezionista – non bastava e per questo ha chiesto aiuto a Calamity Jane Ascani. I loro video hanno l’allegria delle epidemie e l’efficacia delle catastrofi. Dopo aver perso tutto quel che c’era da perdere, Giachetti si è reinventato turborenziano efferato, ovvero una sorta di Bondi smilzo post-contemporaneo. Non ha chance di vittoria, ma ha ottime possibilità di rovinare la vita a Zingaretti. Vicino alla sinistra come il Foglio ai successi editoriali, potrebbe avere una vaga funzione nell’ecosistema solo se portasse tutta la sua bad company di sostenitori (Boschi, Marattin & Marcucci: insomma, l’Armageddon) in un partito ad hoc. Chiamato magari “SIP”, ovvero Siamo I Peggiori. Purtroppo però Giachetti non lo farà, perché ha tanto coraggio quanta coerenza.
Il Cigno Nero. Sui tre candidati aleggia come un fenicottero bulimico Calenda. Il quale, tra una foto sexy e l’altra in riva alle pozzanghere, continua la sua cavalcata da incrocio bolso tra un Barca debole e un Renzi minore, interpretati peraltro da un Renato Pozzetto che si ostina a parlare in romanesco. Calenda resta un politico inutile come la prima “r” di Marlboro, ma non diteglielo altrimenti ci rimane male. E si mangia anche l’ultimo cigno rimasto sul pianeta Terra.