domenica 17 aprile 2011

GRILLO A MILANO 16 APRILE 2011 - versione integrale.




http://youtu.be/AYd_ito_wn4


Palermitani truffati a loro insaputa.




Non prendiamoci in giro, amici. A Palermo, la Polizia municipale (salvo qualche raro caso di lavoratore indefesso) è come la Padania: non esiste. Avevo già trattato l’argomento “traffico” un paio di post fa e oggi voglio tornare a parlarne. Palermo è una città tarata per trecento auto e non per trecentomila. E credetemi, anche se non guido (non ho la patente per scelta), passo molto tempo in auto e se vi fate un giro per la città, a qualsiasi ora del giorno, non trovate mai un vigile (se non la domenica alla chiusura del centro storico o per manifestazioni sportive o al classico semaforo all’incrocio con la via Roma).

In compenso, però, esistono gli Ausiliari del Traffico, “addetti al servizio di prevenzione e accertamento delle violazioni in materia di sosta”. In sostanza, questi signori con la casacca gialla (o blu) girano per le vie in cui vi sono parcheggi a pagamento (quelli con le strisce blu) e multano chi posteggia senza esporre il tagliando del parcometro o la scheda parcheggio che si trova in vendita presso alcune attività vicine alle strisce blu. Vicine si fa per dire. E poi, se il parcometro non funziona, non è che sai con certezza da chi devi andare a comprare la scheda. Allora succede proprio come a molti palermitani. Uno di questi poveri automobilisti mi ha contattato raccontandomi la sua vicenda, aggiungendo, però, qualche curioso particolare.

“Dopo aver parcheggiato l’auto in via Boris Giuliano (ex viale Piemonte), cerco il parcometro. Non lo trovo e, allora, chiedo a un passante dove posso trovare la scheda parcheggio e, il signore tanto gentile, mi indirizza presso un tabacchi che dista circa cento metri dalla mia auto. Vado, compro la scheda (settantacinque centesimi) e ritorno all’auto dopo qualche secondo. E così, tra la spazzola del tergicristallo e il parabrezza, trovo la multa. Una rapida occhiata e mi accorgo che gli ausiliari del traffico sono ancora lì. Mi avvicino e spiego loro che stavo tornando proprio dal tabacchi perché avevo acquistato la scheda parcheggio. E qui, una risposta che mi lascia del tutto basito: ‘Anche noi dobbiamo lavorare! Ci spettano cinque euro a multa, secondo l’accordo tra l’AMAT e la Polizia municipale di Palermo’.

Dopo aver fatto notare che il tempo di comprare la scheda, a quel povero cristo che parcheggia, bisogna pur darlo, mi sento dire che, al limite, possono annullare il verbale che arriverebbe a casa (e quindi pagare 34 euro solo perché te lo mandano a casa) e farmi, quindi, un nuovo verbale con la notifica (sul posto) e pagare solo 23 euro.

Non mi do per vinto e voglio fare ricorso al Giudice di Pace. Per farlo, però, devo pagare 38 euro come previsto dal Contributo Unificato per il Giudice di Pace, quindi, non mi resta che perdere mezza giornata di lavoro e andare in via Dogali (dove ha sede la Polizia municipale) per far ricorso lì.

Qualche giorno fa (e a quattro mesi dal verbale) mi arriva questa risposta da parte del Comando provinciale della Polizia municipale: ‘Al momento della rilevazione della violazione all’interno dell’autovettura non vi era esposta alcuna scheda parcheggio infatti lo stesso ricorrente, nella domanda di ricorso, dichiara di avere parcheggiato il veicolo e di essersi allontanato per acquistare la scheda parcheggio necessaria per la sosta nel sito di cui al verbale’. Ricorso respinto e ora mi tocca pagare 56 euro anziché 23. Ma io dovevo pagare solo 75 centesimi!”.

Oltre al danno, la beffa. La beffa perché, leggendo la risposta del Comando di via Dogali, sembra proprio che ti stiano prendendo in giro. Traducendo in parole ancora più povere: “Ti facciamo la multa perché, mentre eri andato a comprare la scheda parcheggio (dal momento che non trovavi il parcometro), la tua auto era sprovvista proprio di scheda parcheggio”.

Tra l’altro, come ci ricordava il mio socio Massimo Merighi nel suo post un paio di mesi fa, le strisce blu sono illegali perché non è consentito istituire aree a pagamento all’interno delle carreggiate.

Ma si sa che, in questo momento di crisi, anche i “poveri” Comuni hanno bisogno di soldi…

di Tony Troja




C’è un giudice a Torino.


Per fortuna. Là, la manina del Caro Prescritto con le sue appicciose ditinathyssen2ancora non è arrivata, perchè il processo non lo riguardava. Per ora. Ma gratta, eccome gratta, continua a grattare la manina, se i cittadini non la fermeranno con i loro voti. Come facciano i magistrati italiani a fare ancora il proprio dovere in mezzo a questa bufera di sterco che la televisione di regime, i volantini del potere spacciati per giornali, gli scassapagliai alla Scilipoti gli agitano contro, sfida la comprensione. Come ho avuto già l’onore di scrivere in una prefazione all’ultimo libro di un altro “hombre vertical”, il procuratore antimafia calabrese Gratteri scritto con Antonio Nicaso, la giustizia è il ramo sul quale sta seduta una società civile. Chi la sega per salvarsi il Caro Deretano, sega il nostro futuro.

L’onda lunga.


Che Dio stramaledica Internet, la banda larga, il wi-fi e chi li ha inventati. Neppure all’altro capo di continenti e oceani, senza radio e tv italiane, sulla spiaggia con bambini, riesco a sfuggire alle onde di merda che si alzano da questo Parlamento italiano dominato da cortigiani e cortigiane che stanno sommergendo il mio Paese.

Vittorio Zucconi.



I giornali sono medium, fanno parlare i morti.



Ieri pomeriggio ero a Milano insieme ai ragazzi del MoVimento 5 Stelle per riparlare del Parlamento pulito e delle 350mila firme raccolte nel 2007 che ancora giacciono nei sottoscala di Palazzo Madama. A margine ho parlato con i giornalisti e di seguito riporto il mio intervento:

Basta, non voglio assolutamente parlare di queste cose. Ho messo una croce su quell'ometto, quel pensionato senza prostata. Basta. Parlare di processi, di giustizia… ma qual è il senso della giustizia? Non ce l'ha più un senso la giustizia. Io ho processi da 17 anni. Abbiamo 3 milioni di processi, la Gran Bretagna ne ha 300 mila. Abbiamo 250 mila avvocati e le nostre università continuano a sfornare avvocati. Non ha più senso parlare di processi.
Occorre ripartire dal basso, azzerare tutta questa classe politica, la classe economica, capire dove andiamo. Capire cosa devono produrre le nostre industrie da qui a vent'anni: non automobili, non cemento ma altre cose, informazioni, bit, autostrade informatiche. Nella graduatoria mondiale della velocità del download in Rete siamo a 4,9. Siamo dopo lo Zambia. La Libia ha 5,2, noi 4,9. Cominciamo da queste cose qui. Cominciamo a informarci.
In Korea le donne incinte, i bambini e i giovani fertili non li fanno uscire di casa, a causa della nuvola radioattiva. Qui di cosa parliamo. Anzi, di cosa parlate voi? Basta, finitela. Siete nati come un giornale, vi state trasformando. Vi ingigantite, andate avanti, avete bisogno di soldi, di sponsor, non prendete i finanziamenti ministeriali ma poi avete gli sponsor che sono pericolosi. State molto attenti: siete su una china molto pericolosa. Questo è un sistema che ti ingloba se non stai attento.
Noi facciamo fatica per avere un minimo di visibilità: i server, i soldi, le pubblicazioni in Rete. Ma non possono ancora chiamarci "grillini". E nelle classifiche della Rete (cazzo, ci sarò nella Rete no?) scompaio anche sul vostro giornale. Vi ho fatto scrivere, perchéscompaio anche sul vostro giornale. "Un errore, potevi telefonarci senza farci scrivere dall'avvocato". No, non vi telefono, perché non potete fare questi errori. Bisogna essere precisi, diabolici, perché siamo soli e quindi o ci diamo una mano oppure siamo tutti nemici: tutti contro tutti. Va bene?
Ripeto: la priorità di questo Paese è azzerare questa classe politica. Parliamo di Costituzione: vedo questa Costituzione nelle mani dei parlamentari. E' recitata da gente che non è stata eletta da nessuno. Ragazzi, la Costituzione è stata fatta per proteggere due partiti politici (Dc e Pci) dai cittadini. I cittadini non hanno più senso, e la storia del "parlamento pulito" ne è esempio lampante. Spiegatemi perché dobbiamo venire in piazza, a gridare, affinché discutano delle 350mila firme raccolte. Vi sembra una cosa normale questa? E la sinistra cosa fa? Non è una cosa di sinistra questa qui? Perché non dicono tiratele fuori e discutiamone in Parlamento? Due legislature, via i condannati, il voto di preferenza...
Perché non mi vogliono? Non mi vogliono perché sono morti. Sono finiti. Li tenete in vita voi. Tu la prima domanda che mi hai fatto qui è di quel nano. Li tenete in vita voi. Sono morti. Voi non siete media, siete dei medium, perché fate parlare dall'aldilà della gente scomparsa. Qui abbiamo della vita, dei sentimenti, abbiamo dei programmi. Parliamo di acqua, di "politica volontariato", servizio civile.
Non abbiamo i soldi e continuiamo col debito? Non possiamo neanche fallire. Non possiamo avere neanche la soddisfazione di fallire, perché se falliamo noi fallisce l'Europa, quest'entità un po' così che in fondo non c'è mai stata
Ma dove andiamo? Quattro emigrati che arrivano ci hanno messo in crisi. Il cittadino ha capito che siamo da soli a difenderci. Ognuno con la propria testa. Questa è la verità. Allora: rimettere i cittadini dove devono essere. Le istituzioni sono i cittadini. Il parlamento sono i cittadini. Questa gente non c'entra con i cittadini. Punto e basta.


http://www.beppegrillo.it/2011/04/i_giornali_sono/index.html



Tirannide.



«Tirannide indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzione delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.»
(Vittorio Alfieri, Della Tirannide, Libro 1, Cap. 2)



Un indagato per i manifesti anti toghe Ma il Giornale anticipa la Digos.



In un'intervista al quotidiano diretto da Sallusti, il candidato del Pdl alle comunali si prende la responsabilità delle affissioni: "Ma era solo una provocazione", garantisce

Mentre a Roma il premier paragona la magistratura a una “associazione per delinquere a fini eversivi” (leggi l’articolo), a Milano la Digos si avvicina al committente dei manifesti apparsi ieri nel capoluogo lombardo, in cui i magistrati vengono accostati alle Br. E come spunta il primo indagato Il Giornale “smaschera” il presunto autore dell’iniziativa: Roberto Lassini che si prende tutta la responsabilità dell’iniziativa: “Solo una provocazione dice”. E il coordinatore lombardo del Pdl, Mario Mantovani, conferma la fiducia in Lassini: “Rimarrà in lista, giudicheranno gli elettori”. Lo stesso Mantovani che ieri aveva minimizzato sul testo dei manifesti. “Io non ne so nulla, non li ho neanche visti. Non c’entrano niente con noi. Le Br? Saranno le ‘brutte racchie’”, aveva detto.

Ma la vicenda non si chiuderà così semplicemente. C’è un’inchiesta per vilipendio dell’ordine giudiziario in cui già una persona appare iscritta tra gli indagati. Ieri la Digos dopo aver individuato il tipografo dei manifesti, gli agenti sono risaliti alle società che ne curano la distribuzione e l’affissione: quattro dipendenti sono stati ascoltati, per capire chi ci sia dietro alla firma ‘Associazione dalla parte della Democrazia‘. All’interno di due magazzini perquisiti, gli uomini della Digos hanno trovato e sequestrato i manifesti su cui campeggia in bianco, su sfondo rosso, la scritta ‘Via le Br dalle procure‘, insieme ad altri firmati allo stesso modo. Già a febbraio, la stessa sigla aveva distribuito in città dei grandi cartelloni con la scritta ‘La sovranità popolare è sacra! Silvio resisti, salva la democrazia‘ o ancora ‘La giustizia politica uccide la libertà. Volete cacciare Berlusconi? Prima vincete le elezioni‘.

Stamani dalle pagine de Il Giornale è arrivata l’autodenuncia di Lassini. “Via le br dalle procure? Uno slogan esagerato, senza intenzioni offensive”, ha detto definendosi l’autore dei manifesti. Ex sindaco dc, in carcere per 42 giorni nel ’93 e assolto con formula piena dopo 5 anni di processi. Una storia personale che gli fa sentire vicina la battaglia di Berlusconi sulla giustizia, dice, ed è “per dare manforte al premier” che è stata creata, due mesi fa, l’associazione “Dalla parte della democrazia” della quale lui è il presidente. I manifesti, allora: “E’ stata una provocazione. Esagerata ma tale. Sono certo che l’obiettivo non fosse mancare di rispetto alle vittime del terrorismo”. Ora Lassini è candidato Pdl a Milano. E rimarrà tale.

“Sceglieranno i milanesi – ha detto Mantovani -se sia opportuno o meno votare e far eleggere Lassini. La sua mi sembra una provocazione forse eccessiva, ma leggendo le sue parole sul Giornale di questa mattina ho apprezzato il suo rispetto per la buona magistratura”, ha detto il coordinatore regionale del Pdl. ”Noi condanniamo la lotta armata – ha aggiunto Mantovani – ma la lotta a colpi di avvisi di garanzia e di manette che certa magistratura utilizza non è certo da esaltare”.

E Letizia Moratti bolla i manifesti come “una azione da condannare, sono sicura che il partito stigmatizzerà questa azione”. Ma certo non chiede che Lassini ritiri la sua candidatura, nonostante sia in una lista che fa riferimento a lei.

Secca, invece, la bocciatura da parte di Maurizio Lupi. “Il manifesto affisso a Milano ha la ferma condanna mia personale, del partito nazionale e locale. Non c’è giustificazione né legittimazione”, ha detto il vicepresidente della Camera. Alla kermesse è presente anche Roberto Lassini, ideatore dei cartelli in cui si chiede di mettere fuori da palazzo di Giustizia le Br. Lassini è infatti nella lista del Pdl alle comunali di Milano, una presenza su cui “valuteremo” ha spiegato Lupi. “Le lista sono depositate – ha sottolineato – ma ci può essere un gesto personale. Può chiedere scusa, oppure ci può essere una autosospensione. Altrimenti valuteremo”.



L’antimafia blocca azienda che finanziò la Lega nord. - di Matteo Incerti


Stop ai lavori per un'azienda vicina al Carroccio e impegnata nella costruzione della tangenziale a Novellara. Evento che ha scosso il mondo politico. E che ha portato il prefetto di Reggio Emilia a dire senza mezzi termini: "La mafia nella nostra provincia c'è"



Le infiltrazioni mafiose – o i tentativi – al Nord continuano a destare allarme nella politica. Questa volta la bufera si abbatte sul Reggiano. Proprio ieri, durante un convegno della Cna il prefetto diReggio Emilia, Antonella De Miro, ha rilanciato: “A Reggio la mafia c’è”. A corollario dell’ultima notizia che riguarda lo stop imposto dalla Dia all’appalto per la costruzione della circonvallazione a Novellara. Evento che ha scosso il mondo politico. Le amministrazioni locali hanno chiesto di “continuare i lavori della tangenziale”. L’ex vicesindaco di Guastalla ed ex leghista Marco Lusetti, espulso dal Carroccio la scorsa estate e fondatore del movimento “Agire Comune”, ha difeso a spada tratta la ditta che ha vinto l’appalto. Nessun commento sulla vicenda è arrivato ad oggi dal segretario della Lega Nord Emilia, l’onorevole leghista Angelo Alessandri, presidente della Commisione lavori pubblici ed Ambiente della Camera dei Deputati ed originario di Guastalla, paesi a pochi chilometri dal Po e da Boretto. Invece il consigliere regionale Andrea Defranceschi (Movimento 5 Stelle) annuncia una interrogazione in Regione chiedendo il “check-in” di tutti gli appalti sulle estrazioni di sabbie dal Po negli ultimi anni.

Ma qual è il punto di tutta la vicenda? E perché imbarazza così tanto la Lega? Riguarda Novellara, appunto, paese della provincia di Reggio Emilia, e quella che gli ambietalisti la chiamano la “tangenziale discarica”. Un progetto partorito all’inizio del millennio tra le contestazione in primis da Legambiente, in quanto il finanziameno di questa opera pubblica è nato come compensazione per l’ampliamento della locale discarica gestita dalla municipalizzata pubblicaSabar spa di cui il Comune è socio.

Su quest’opera pubblica, cavallo di battaglia di tutti i sindaci di centrosinistra degli ultimi dieci anni, è arrivato lo stop dell’antimafia. Il 23 marzo scorso alla Prefettura di Reggio Emilia è stata consegnata una dettagliata relazione, arrivata dopo la richiesta degli accertamenti sui cantieri, disposti dalla Direzione investigativa antimafia di Firenze. Controlli attivati a metà febbraio tramite il prefetto De Miro. Le indagini hanno portato alla sospensione dell’appalto e alla revoca della certificazione antimafia alla ditta Bacchi di Boretto, notissima in zona anche per le escavazioni nel Po fortemente contestate da associazioni ambientaliste come Legambiente. Una ditta la Bacchi spa nota anche per gli ottimi rapporti istituzionali con diversi politici in primis con quelli della Lega Nord, tanto che il Carroccio nel 2006 ricevette un regolare finanziamento di 5.000 euro registrato alla Camera dei Deputati.

Agli investigatori del centro operativo del capoluogo toscano era stata segnalata la presenza nel cantiere di soggetti vicini alla criminalità organizzata. Le ispezioni hanno dato esito positivo. Da quanto è emerso l’azienda di Boretto avrebbe assegnato due subappalti ad imprese con sede in provincia di Parma, il Consorzio edile M2 di Soragna e la Tre Emme Costruzioni di Roccabianca. La Direzione investigativa antimafia ha ricostruito che le due le imprese sono collegate alla famiglia Mattace di Cutro, ritenuta dagli investigatori molto vicina al clan Grande Aracri.

Secondo quanto emerge dai documenti della Prefettura, nell’assegnazione di questi lavori alle ditte riconducibile ai Mattace, la Bacchi avrebbe eluso in maniera consapevole la legge antimafia per il controllo dei subappalti. Le ditte dei Mattace non avrebbero mai ottenuto la certificazione antimafia dalla Prefettura.

La legge prevede che l’obbligo dell’autorizzazione antimafia scatta solo per subappalti di importo superiore ai 155 mila euro. E’ stato così, come emerge dall’ispezione, che la Bacchi avrebbe aggirato l’ostacolo. Spezzando il subaappalto tra le due ditte: 50mila euro di lavori al Consorzio M2 e 130mila euro alla Tre Emme.

Ma non è finita qui. Ispezionando il cantiere le forze dell’ordine hanno trovato Giuliano Floro Vito. Chi è ? E’ l’ex cognato di Domenico Mattace, il presidente della TreEmme e considerato dagli inquirenti un elemento di grande spessore criminale, legato al clan della n’drangheta dei Dragone e poi dei Grandi Aracri, già posto agli arresti nel 2001 e poi assolto per l’operazione “Scacco Matto”, finito poi in manette per usura nell’aprile 2010. Per questa vicenda Floro Vito, per la legge dovrebbe essere agli arresti domiciliari e sorvegliato speciale. Peccato che si trovasse sul cantiere di Novellara come dipendente della Tre Emme.

Dalle fatture poi risulta che la Bacchi ha versato alla Tre Emme 161 mila euro. Una cifra superiore a quello concordata. In particolare maggiore alla soglia che fa scattare l’obbligo di certificazione antimafia. Altra anomalia. L’azienda di Boretto ha chiesto alla stazione appaltante, Iniziative Ambientali, società mista che vede tra i soci le municipalizzate Sabar Spa, Iren Spa e Unieco, di poter procere all’affidamento del subappalto solo il 21 giugno 2010. Ma i Bacchi avevano già firmato il contratto con la ditta dei Mattace da circa un mese e mezzo.



Pdl campano, per compilare le liste gli indagati Cosentino e Nespoli.



Per le amministrative il Pdl in Campania promette liste pulite. Ma chi le compila è sotto inchiesta: il coordinatore regionale Nicola Cosentino, sotto processo per concorso esterno in associazione camorristica, ma anche Vincenzo Nespoli, sindaco-senatore, vice-coordinatore provinciale. Per lui il Riesame ha confermato gli arresti domiciliari, negati dal Senato.

Nelle ore della consegna delle candidature in vista delle elezioni amministrative – il termine scadeva oggi a mezzogiorno – torna di attualità il tema delle liste pulite. Dai partiti arrivano ampie rassicurazioni e per le comunali a Napoli, il candidato del Pdl Gianni Lettieri ha promesso attenzione massima: “Etica pubblica e legalità sono al centro della nostra campagna elettorale. Chiederò ad ogni lista che mi sostiene la nomina di un garante per assicurare candidati autorevoli e specchiati. Alla fine di questo percorso sarò io il responsabile per tutti. Sfido gli altri a fare lo stesso”. Un’attenzione particolare per non ripetere il caso di Roberto Conte, un passato nel centro-sinistra, che alle ultime regionali nonostante la condanna in primo grado a due anni e otto mesi per concorso esterno in associazione camorristica, si è presentato in una lista a sostegno di Caldoro. Intanto, non si arrestano le migrazioni. Alfredo Ponticelli, assessore allo sport della giunta uscente di Rosa Russo Iervolino si è dimesso e appoggia, con il suo partito (il Pri), Gianni Lettieri.

Ma in attesa di conoscere nei dettagli i candidati, non tranquillizzano certo le posizioni giudiziarie dei vertici regionali del Pdl. Lettieri è stato accompagnato da Silvio Berlusconi per l’investitura ufficiale da Nicola Cosentino, sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa, prossima udienza il 18 aprile. Cosentino, dimessosi da sottosegretario ma ancora coordinatore regionale, in queste settimane è impegnato in prima persona per la compilazione delle liste dopo aver scelto il candidato sindaco a Napoli e negli altri comuni al voto in Campania. Un compito non facile. Per la scelta dei candidati nei comuni della provincia, nell’area a nord di Napoli c’è un altro vertice locale del partito Vincenzo Nespoli, vice-coordinatore provinciale del Pdl (il coordinatore è Luigi Cesaro, presidente della provincia) e vice-responsabile nazionale del settore elettorale.

Nespoli è anche senatore della Repubblica e sindaco di Afragola, comune in provincia di Napoli, ma il doppio incarico è l’ultimo dei suoi problemi. Nel maggio 2010 la procura di Napoli (pm Piscitelli, Woodcock, Di Mauro) ha chiesto e ottenuto dal gip gli arresti domiciliari. Accusato di diversi reati: concorso in riciclaggio e bancarotta fraudolenta. L’autorizzazione all’esecuzione della misura cautelare, come nel caso di Nicola Cosentino, è stata però negata prima dalla giunta per l’immunità (di cui Nespoli faceva parte) e poi dal Senato, nel luglio scorso.

Nei giorni scorsi il Tribunale del riesame ha confermato la misura cautelare. Le motivazioni dell’ordinanza sono diventate un manifesto politico delle opposizioni, che da tempo per Afragola chiedono l’istituzione di una commissione di accesso da parte della prefettura. I giudici del riesame considerano «indispensabile» la misura dei domiciliari. E sull’esponente del Pdl, scrivono: «Le modalità con cui ha portato a termine il proprio intento criminoso sono certamente sintomatiche di una pericolosità in quanto denotano una scaltrezza e una spregiudicatezza, rivelatrici di professionalità nel delinquere, che lo dipingono come un soggetto di notevole spessore criminale».

Nespoli continua a negare ogni addebito, a dirsi estraneo ad ogni accusa. Tutto ruota attorno ad una vicenda di mattoni e di un istituto di vigilanza. Vincenzo Nespoli, secondo la Procura, è dal 2001 amministratore di fatto di una società di vigilanza, la Gazzella srl, fallita nel 2007 (con un passivo di 25 milioni di euro), affidata nelle mani di uomini di fiducia. Secondo l’accusa e le ricostruzioni documentali della Guardia di Finanza, dai bilanci dell’istituto sono stati distratti soldi che sarebbero confluiti nelle società immobiliari (Immobiliare San Marco e Sean spa) riconducibili al senatore, impegnate in attività di lottizzazione eseguite nel comune di Afragola, dove Nespoli è primo cittadino. Ma non solo. Nonostante le gravi condizioni economiche dell’azienda e lo stato di mobilità, furono assunte diverse persone in cambio del pagamento di 30 mila euro. Per il posto da guardia giurata: soldi e la riconoscenza alle urne.

Ora lo stato maggiore del Pdl campano è pronto a presentare i candidati puliti per le prossime amministrative.




Fede, l'ultima resistenza "Non datemi per finito".



“Continuerò al Tg4, Silvio è con me”. Ma i suoi giornalisti non lo appoggiano più

GIOVANNI CERRUTI

MILANO
Dipendesse da lui, dal decano dei Direttori, questa pagina e questo titolo dovrebbero essere dedicati ad altri e forse più nobili argomenti. «Non sarà mica il mio necrologio professionale, vero?», si raccomanda Emilio Fede. «Perché per quello c’è ancora tempo, tanto tempo. Continuerò a dirigere il mio Tg4, a fare il mio mestiere, la diretta è la mia vita». A giugno compirà 80 anni e quel giorno è facile immaginarselo lì, nella redazione del suo tg, perché Fede non stacca mai, è sempre Fede, è sempre sul pezzo, Natale, Capodanno e compleanno. A prolungare e difendere una carriera che non può, come si dice, finire a puttane.

Anche ieri, qualche minuto prima delle 19, ha dato il via al suo tg con il solito entusiasmo. Il capello però era meno curato del solito, il nodo della cravatta un po’ troppo largo. Piccoli e forse unici indizi della frenesia di queste ore e questi tempi. C’è il telefono che suona sempre, e la risposte sono cortesi, disponibili, avvolgenti, a volte perfino elogi allo sconosciuto di turno. Ci sono le cronache giudiziarie da leggere e rileggere. Ci sono gli avvocati da chiamare: «Non ho mai querelato nessuno e sono arrivato alla quinta in pochi giorni», annuncia. E solo un malintenzionato può sospettare che sia un invito alla cautela.

Anche se non ne ha lo spirito, ora che ha l’età dei nonni - come si son permesse di ricordare un paio di ragazze che l’hanno frequentato ad Arcore -, il Direttore scopre che qualche cautela, appunto, a volte sarebbe consigliabile. «Altrimenti si può mettere tutto in ridicolo, e non è giusto». E dunque prima di parlare si documenta, s’informa, verifica. E poi richiama. «Eccomi! Allora: il 6 gennaio ero qui al lavoro, poi sono andato in palestra e poi sì, credo, ad Arcore per la cena della Befana, mi ricordo certi pupazzi... Per l’ultima volta, come hanno scritto i giornali». Quella notte dell’Epifania che tutte le feste s’è portata via.

«Ma insomma, ma dài...». E mica si vorrà credere che sia davvero tutto finito, che se Fede non va più ad Arcore vita e affetti siano cambiati, compreso quello con Silvio Berlusconi. Non è vero, non è vero, non è vero. «L’affetto e la stima ci sono sempre, è falso che abbia problemi con lui. Se lo sento? L’ultima volta è stata tre giorni fa. Dice che dovrei difendermi di più, che sono troppo silenzioso». Il Cavaliere, bontà sua, secondo il compassato "Times" l’ha assolto così: impossibile che le ragazze di Arcore toccassero Emilio proprio da quelle parti lì, perché «per trovare il pisello di Fede devi fare la caccia al tesoro».

Nel suo tg non ha bisogno di citare la sua disavventura, ammicca. L’altra sera c’era Maurizio Paniz, l’avvocato bellunese che ha convinto la maggioranza del Parlamento sulla parentela tra Mubarak e l’avvenente nipotina. «Se si fa un referendum l’opinione pubblica è contro l’abuso delle intercettazioni telefoniche», dice Fede. Allude, appunto. «A cosa mi riferisco? A nulla». Si deve trattenere. «Evito di utilizzare il mio tg per la mia difesa. Lo faccio per rispetto nei confronti del Comitato di Redazione, anche se l’altro giorno hanno scritto un comunicato che chiede chiarezza, e io avrei preferito fosse di appoggio».

Ma non è più il tempo delle liti, non è il momento delle sfuriate in diretta, dei cazziatoni che basta un clic e si rivedono su YouTube. Ora è con i suoi giornalisti. «Si vuole tentare di far passare un angolo di informazione come una sorta di casting del malaffare - ha dichiarato all’agenzia Ansa -. Tutto questo mi amareggia, e condivido pienamente lo sgomento della redazione dove lavorano solo professionisti». Che in questi giorni lo scrutano, notano una certa malinconia, e scommettono che non se ne andrà mai. La redazione è sempre stata la sua casa, il rifugio dove si sente coccolato, protetto, intoccabile.

«Adesso che ci ripenso - richiama -: non è vero che l’ultima volta l’ho sentito tre giorni fa. Con il Presidente Berlusconi ho parlato anche ieri, mi ha detto che è disponibile ad andare in tv per difendermi». Nell’attesa Fede provvede, e da solo. E in diretta s’infervora e s’impappina su uso&abuso, ovviamente delle intercettazioni telefoniche. «Questo governo è già in ritardo». Non ce l’ha con l’uso, ma con l’abuso, «che mortifica la dignità delle persone». E ne discetta con Daniele Capezzone, portavoce Pdl, che almeno venerdì non l’ha salutato come all’inizio di questo caos di reati o peccati: «Tenga duro, Direttore».

Perché, sia chiaro, per Fede di reati qui non ce n’è. «E io non ho alcuna responsabilità penale». E le cene erano normalissime cene, e «non c’è bisogno di rivangare vicende che non esistono», e «sui giornali finiscono solo i pettegolezzi e bisogna intervenire», ed «è grave per me e la mia famiglia quello che viene scritto». E chi lo ferma più, questo Fede. Una risposta per tutto. Che ci faceva alle 3 di notte in piazza Loreto, alla stessa ora in cui risulterebbero lì anche due ragazze appena uscite da Arcore? Che domanda scema, ma certo che passa da Piazza Loreto di notte, c’è l’edicola che vende i quotidiani del giorno dopo...

Aspettando il Premier che lo difenderà in tv Emilio Fede resiste, resiste, resiste. Le voci maligne lo vorrebbero in partenza, incompatibilità con Berlusconi jr., via dal Tg4 in cambio di una vagonata di euro. «Cretinate», dice il Direttore. Meno male che c’è chi si preoccupa per lui, ed è Paolo Brosio, il telecronista di Mani Pulite passato da Fede alla Madonna di Medjugorje: «Mi dispiace, chi tocca il Tg4 tocca la mia vita dice -. I magistrati facciano il loro dovere, ma spero che si chiarisca tutto. Il Direttore ha già passato momenti difficili, spero passino anche questi. Prego tanto per lui». E così sia.


http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/398229/