giovedì 18 ottobre 2018

Agenzia delle Entrate, 562 dipendenti accusati di manipolazione dei dati. - Ivan Cimmarusti

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Nel 2017 sono finiti sotto procedimento 562 dipendenti dell’Agenzia delle Entrate, per accuse che vanno dalla corruzione all’accesso abusivo al sistema informatico. Funzionari che offrivano «accessi alla documentazione, fornendo - dietro adeguato compenso - ausilio a imprenditori e soggetti che si rivolgevano loro per ottenere la verifica degli estratti ruolo, la rateizzazione di cartelle esattoriali senza averne i requisiti» e tanto altro.
Particolari contenuti nelle relazioni investigative e che ricalcano i fatti contestati a un dipendente dell’Agenzia, arrestato per essere stato corrotto da un commercialista.
I dati: 455 indagati e 107 condannati.
Stando ai dati forniti dalla stessa Agenzia delle Entrate, al 31 dicembre 2017 sono finiti sotto inchiesta 455 dipendenti, mentre in 107 sono stati condannati.
TOTALE DIPENDENTI CON PROCEDIMENTI PENALI IN CORSO E CON CONDANNE NON PASSATE IN GIUDICATO.
 
Dati al 31/12/2017
PRINCIPALI TIPOLOGIE DI REATO.
I reati contestati riguardano proprio forme di corruzione e di accesso abusivo ai sistemi informatici. Questo perché dietro adeguata “remunerazione” sarebbe stato possibile manipolare i dati dei contribuenti che intendevano pagare meno tasse e ottenere particolari sgravi.
Le 2.278 pratiche modificate.
Indagando su questi fronti, la Procura di Roma ha arresto un dipendente dell’Agenzia Roma 2. Bastava una tangente e le tasse erano facilmente aggirabili. Debiti fiscali, liste di controlli preventivi e operazioni correttive erano manipolabili attraverso il sistema informatico dell’Agenzia delle Entrate. 
L’innesto del procedimento è un whistleblower (disciplinato dall'articolo 1 comma 51 della legge 6 novembre 2012, n. 190), ossia un dipendente dell’Agenzia che ha denunciato un suo collega, colto in flagrante a contare i soldi di una tangente in un bar. I pm hanno ottenuto l’arresto di Orazio Orrei, funzionario accusato di essere stato corrotto da Maurizio Sinigagliesi, commercialista romano. Gli accertamenti - supportati anche da verifiche svolte dall’Agenzia tramite audit - hanno confermato l’attività illecita del dipendente: in pochi i giorni,
dal primo dicembre del 2015 al 17 febbraio del 2016, il funzionario ha alterato dati fiscali per oltre 2.278 pratiche per fare ottenere ai clienti del commercialista una diminuzione dell’importo dell’imposta dovuta.
L’alterazione dei dati fiscali.
Gli inquirenti hanno scoperto che avrebbe ottenuto il denaro per «alterare i dati fiscali di numerosi contribuenti, in modo da ridurne i debiti erariali; trasmettere con ritardo le dichiarazioni presentate dai contribuenti in cartaceo presso l’ufficio territoriale, in modo da impedire tanto la liquidazione automatizzata quanto il successivo contro formale». Inoltre i magistrati ritengono che abbia garantito «l’inserimento di alcune dichiarazioni nelle liste di controlli preventivi – c.d. “preruoli”, nelle quali confluiscono le dichiarazioni tardive (pervenute oltre 90 giorni dopo la scadenza) per verificare se queste siano state effettivamente presentate con ritardo dal contribuente ovvero se siano state tempestivamente presentate, ma trasmesse in ritardo dall’ufficio – acquisendo al contempo numeri di protocollo idonei a dimostrare (falsamente) la presentazione all’ufficio di una dichiarazione cartacea tempestiva. In tal modo, Orrei impediva la liquidazione manuale dell’imposta nonché gli accertamenti automatici».
Fonte: ilsole24ore del 18/10/2018

Dl fisco, bozza: “Chi aderisce alla pace fiscale non è punibile se ha riciclato”. Di Maio: “Va tolta, non era negli accordi”.

Dl fisco, bozza: “Chi aderisce alla pace fiscale non è punibile se ha riciclato”. Di Maio: “Va tolta, non era negli accordi”

Nell'ultima versione del testo si chiarisce che avvalendosi del condono si avrà diritto a uno "scudo" rispetto alle conseguenze penali di dichiarazione infedele, omesso versamento di ritenute e omesso versamento di Iva. Ancora in forse l'estensione alla dichiarazione fraudolenta. Previsto il carcere da 1 anno e 6 mesi a 6 anni per i contribuenti che forniscono atti o dati falsi.

Chi aderisce alla pace fiscale presentando una dichiarazione integrativa sulle somme nascoste al fisco non sarà punibile per dichiarazione infedele, omesso versamento di ritenute e omesso versamento di Iva, nemmeno nel caso in cui abbia riciclato impiegato proventi illeciti. Questo fino al 30 settembre 2019. Lo prevede l’ultima bozza del decreto fiscale approvato lunedì sera dal consiglio dei ministri ma ancora non reso pubblico. Le norme su prevenzione antiriciclaggio e terrorismo rimangono applicabili per gli altri casi. È allo studio – si evince dalla bozza di cui danno conto le agenzia Ansa e La Presse – la possibilità di escludere anche la punibilità della dichiarazione fraudolenta. “Va tolta, non era negli accordi”, è stato il commento di Luigi Di Maio.
“Nei confronti dei contribuenti che perfezionano la procedura di integrazione o emersione ai sensi del presente articolo e limitatamente alle condotte relative agli imponibili, alle impostee alle ritenute oggetto della procedura: è esclusa la punibilità” per i reati di dichiarazione infedele, omesso versamento di ritenute e omesso versamento Iva. Inoltre nell’ambito di questi reati “è esclusa la punibilità” di riciclaggio, scrive La Presse citando il testo della bozza non definitiva.
In compenso è previsto il carcere da un anno e 6 mesi fino a 6 anni per chi, dopo aver chiesto la “pace”, fornisce atti falsi e comunica dati non rispondenti al vero: si tratta della pena prevista oggi per la dichiarazione fraudolenta. Per chiedere di fare la pace col fisco i contribuenti potranno “correggere errori od omissioni” presentando una apposita “dichiarazione integrativa speciale” fino al “31 maggio 2019”, si legge nel testo, che conferma il limite del 30% di quanto già dichiarato e per un totale non superiore ai 100mila euro l’anno ma specifica che il tetto vale per ogni singola imposta. A quel punto si pagherà un’imposta sostitutiva pari al 20% del dovuto in un’unica soluzione entro fine luglio o a rate per 5 anni a partire da settembre 2019.
“Chiunque fraudolentemente si avvale” della dichiarazione integrativa speciale “al fine di far emergere attività finanziarie e patrimoniali o denaro contante o valori al portatore provenienti da reati diversi da quelli previsti è punito con la medesima sanzione” prevista per il reato di esibizione di atti falsi e comunicazione di dati non rispondenti al vero, punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, recita il testo.
La possibilità di definizione agevolata, nella bozza, si allarga anche all’Iva: “È ammessa la definizione agevolata dei debiti tributari, per i quali non sia ancora intervenuta sentenza passata in giudicato, maturati fino al 31 dicembre 2018 a titolo di imposta di consumo, con il versamento, da parte del soggetto obbligato, di un importo pari al 5 per cento degli importi dovuti, con le modalità stabilite nel presente articolo. Non sono dovuti gli interessi e le sanzioni”.
produttori di sigarette elettroniche contenenti nicotina potranno inoltre sanare la loro posizione con il fisco pagando il 5% degli importi dovuti a titolo di imposta di consumo e produzione, mentre non sono dovuti sanzioni e interessi. Così si conferma l’intenzione annunciata dal governo di “chiudere il pregresso per il mondo delle sigarette elettroniche e dello svapo”, come ha detto al termine del Consiglio dei ministri che ha varato il provvedimento il vicepremier Matteo Salvini, con l’obiettivo di salvare “migliaia di posti di lavoro, di imprese e di negozi”. Si avrebbe una perdita di gettito di 177 milioni. La norma si applica ai debiti tributari per i quali non sia ancora intervenuta sentenza passata in giudicato.
Confermato infine lo stralcio delle cartelle fino a mille euro affidate agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2010: saranno annullate il 31 dicembre 2018.
Fonte: ilfattoquotidiano del 17/10/2018

Decreto Fisco, l’articolo fantasma pro Croce rossa: 84 milioni all’insaputa di Conte e ministri. Poi il premier lo stralcia. - Thomas Mackinson

Decreto Fisco, l’articolo fantasma pro Croce rossa: 84 milioni all’insaputa di Conte e ministri. Poi il premier lo stralcia

Il governo approva il decreto ma alla vigilia era spuntato uno stanziamento in favore della gestione commissariale della Croce Rossa. Il premier chiede ai ministri, nessuno sa nulla. Imbarazzo generale, poi le ammissioni del capo di Gabinetto di Tria. La tensione tecnici-politici torna così massimi livelli, e alla fine Conte stralcia: "Troppi dubbi". Mef: "Norma per superare ambiguità e lacune".

Domenica sera, preconsiglio dei ministri, vigilia di approvazione del Decreto Fiscale. Attorno al tavolo ci sono Giuseppe Conte, i suoi ministri e sottosegretari, vari tecnici. Arrivano le bozze aggiornate del decreto e, racconta chi c’era, il capo del governo in persona alza il sopracciglio: “Scusate, che roba è?”. Tra le mani tiene il testo dell’articolo 23: due commi che muovono 84milioni di euro in tre anni intitolati a “Disposizioni urgenti relative alla gestione liquidatoria dell’Ente strumentale alla Croce rossa Italiana”. Righe così urgenti, che nessuno sa chi le abbia scritte: si materializza, insomma, la solita “manina”, l’eterna burocrazia senza nome che sa erigere muri sulle virgole e abbattere montagne in una riga. E così facendo, fatalmente, comanda.
La norma, in soldoni, stabilisce che i 117 milioni di euro l’anno appena stanziati dal Mef a favore della Croce Rossa siano da rimodulare almeno in parte, conferendo annualmente una quota significativamente maggiore alla struttura commissariale retta da Patrizia Ravaioli, già direttore generale della Cri e liquidatore, nonché moglie di Antonio Polito, notista politico e vice direttore del Corriere della Sera. Il commissario, evidentemente, ha bisogno di soldi per il personale e per le “spese correnti di gestione”. E prontamente qualcuno li trova.
Nel decreto che ha sbloccato i fondi, quelli per l’ente liquidatore si fermavano a 15.190.765 l’anno per tre anni. La rimodulazione spuntata nel ddl ne assegna alla struttura oltre dieci di più, sempre a valere sul Fondo sanitario nazionale, arrivando così a 28,1 l’anno. Magari è un bene, magari no. Il punto è che nessuno,  a quanto pare, ne sapeva nulla. Un “dettaglio” che fa correre nuova bile tra tecnici e politici ormai ai ferri cortissimi, come ha rivelato il famoso trovino i soldi o li cacciamo tutti”, lanciato come un guanto di sfida dal portavoce di Conte, Rocco Casalino, ai cronisti. E rilanciato dallo stesso Luigi Di Maio che a stretto giro ha attaccato i dirigenti del Mef e il Ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco (“C’è chi rema contro, faccio controllare ogni norma dai miei collaboratori perché non mi fido).
Letta la norma, stando a ricostruzioni convergenti, Conte ha fatto un rapido giro di consultazione tra i presenti e nessuno l’ha rivendicata. Non il ministro della Difesa Trenta che, non ha più competenze sul riordino della CRI. Non quello della Salute Grillo, che pure è autorità vigilante (e non nasconderà di nutrire alcune perplessità sulle cifre).
Alla fine sarà Roberto Garofoligrand commis del Mef, a spiegare ai presenti che la norma è stata effettivamente scritta dal Mef, a livello di Ragioneria Generale dello Stato, al seguito di una interlocuzione con l’ente in liquidazione e col ministero. Garofoli è il capo di Gabinetto di Tria, lo era anche di Padoan e prima ancora di Patroni Griffi. Ma è stato anche segretario della presidenza del Consiglio con Enrico Letta, prima ancora capo del legislativo con D’Alema e Prodi. Inutile bussare alla sua porta per dettagli, non risponde. “Di quell’articolo non so nulla”, taglia corto il commissario Ravaioli che, a precisa richiesta, non fa nomi, ma a sua volta chiama in causa il Ragioniere dello Stato e il ministero della Salute. Prevedendo poi la bufera, precisa: “Io sono un tecnico, mi attengo alle opzioni politiche che stanno in capo al ministro”.
Nella serata di ieri il Mef ha poi inviato una nota tecnica per spiegare la genesi della norma e rivendicarne la bontà (scarica). Sarebbe legata alle perplessità sulla possibilità di finanziare (con il decreto di metà settembre) alcune voci di costo della gestione liquidatoria, diverse e aggiuntive rispetto al costo del trattamento del personale funzionale alla liquidazione richieste dall’ente. Perplessità comunicate al Ministero della Salute ma non raccolte, che vengono ripresentate e sciolte ora con un finanziamento che in parte compensa anche il fatto che i 15,2 milioni di euro appena conferiti all’ente commissariale non comprendono l’importo di circa 7 milioni di euro che l’ente valuta di dover pagare nel 2018 a titolo di trattamento di fine rapporto.
Sia come sia la “manina” resterà ufficialmente ignota, e il testo non passerà. Conte in persona, stando a chi c’era, l’avrebbe giudicato  estraneo al decreto per materia e scritto in modo da non diradare del tutto il sospetto che risorse stanziate per servizi finiscano a coprire altre spese. Così, è arrivato l’aut-aut: o mi sapete indicare esattamente a quale urgenza risponde, come e perché o questa cosa non passa. E così è stato, ma per fermarla c’è voluto l’intervento diretto del Presidente del Consiglio. Perché la guerra di potere, ormai, si combatte ai più alti livelli.
Fonte: ilfattoquotidiano del 16/10/2018

Uganda, “bambini al lavoro nei campi della Chiesa cattolica”. - Lara Volpi

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Uganda, “bambini al lavoro nei campi della Chiesa cattolica”
La denuncia arriva da un'inchiesta della Bbc, che ha intervistato anche un ex bambino soldato dell'Uganda. Interpellato dai giornalisti della tv britannica, il portavoce vaticano padre Federico Lombardi ha negato ogni addebito: "Se c'è un problema con la chiesa locale non sono io il responsabile"


KAMPALA – La Chiesa cattolica e quei legami con il lavoro minorile in Uganda: si intitola così un’inchiesta firmata da Vinnie O’Dowd e Danny Vincent della Bbc che indaga il rapporto tra il Paese africano, la Chiesa e i bambini sfruttati. Durante la sua visita dello scorso novembre in Africa, continente in cui vivono quasi 200 milioni di cattolici, papa Francesco ha detto che i bambini sono le maggiori vittime dello sfruttamento occidentale in Africa. Allo stesso tempo ha invitato con forza i giovani africani a resistere alla corruzione. Eppure, si chiedono i cronisti della Bbc, il Vaticano potrebbe forse fare qualcosa di più? Alex Turyaritunga, ex bambino soldato dell’Uganda che oggi ha 32 anni, ha raccontato la propria esperienza alla Bbc: “Ero un bambino soldato, nulla me lo farà mai dimenticare. Ricordo la guerra nel 1994. Portavo un fucile in spalla”. Oggi Turyaritunga è un infermiere presso l’Agenzia Onu per i rifugiati in Uganda. Da bambino, però, rimase orfano del padre. Ad aiutare lui, sua madre e i suoi fratelli, ha detto alla Bbc, fu la Chiesa cattolica, che nel suo paese, Kabale, gli pagò gli studi. “Mi aiutarono a diventare quello che sono”, dice oggi. Allo stesso tempo, però, non risparmia le accuse. Turyaritunga sostiene infatti che la Chiesa tolleri nelle sue terre di Kabale il lavoro minorile: ci sono anche bambini di 10 anni che lavorano nelle piantagioni di tè, ha detto il giovane ugandese alla Bbc. Secondo le stime dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, in Uganda ci sono tre milioni di bambini lavoratori. Circa il 30% dei piccoli tra i cinque e i 14 anni lavorano, nonostante quella dei 14 anni sia l’età minima legale per qualunque tipo di lavoro. I bambini vengono pagati tra i mille e i duemila shillings ugandesi al giorno, ovvero tra i 30 e i 60 centesimi di dollaro. I cronisti della Bbc sono andati in Uganda e hanno verificato di persona la situazione. Hanno provato a contattare il vescovo locale, monsignor Callistus Rubaramira, che però era irreperibile. A quel punto hanno cercato di chiedere delucidazioni al suo segretario, padre Luciano, che però ha negato che nella piantagione venisse utilizzata manodopera minorile. Alla fine i giornalisti della Bbc hanno contattato direttamente il Vaticano. Il portavoce, padre Federico Lombardi, ha però negato qualunque responsabilità: “Se c’è un problema con la chiesa locale non sono io il responsabile”, ha detto alla Bbc. -


Fonte: laici.forumcommunity del 8/1/2016

Quella convenzione cucita su misura per Autostrade. - Mattia Fantinati e Danilo Toninelli

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Il Pd già sapeva! Già sapevano che la convenzione di Autostrade era una truffa per i cittadini. Sapevano tutto e se ne sono infischiati, tanto pagavano i contribuenti! Lo dimostra la relazione della Ragioneria dello Stato che oggi pubblichiamo. In questo documento, il ragioniere generale rilevava come la convenzione che il governo aveva “cucito” su misura per Autostrade fosse in contrasto con leggi e regolamenti.
In particolare, era contro ogni logica l’idea che, in caso di revoca o comunque di decadenza per una grave inadempienza di Autostrade, lo Stato dovesse comunque pagare una sorta di penale fino a coprire i presunti utili incassati dal gestore per tutti gli anni futuri della concessione.

Tale penale si configurava come risarcimento da mancato guadagno, quando normalmente è il privato a dover risarcire, in caso di inadempimento del concessionario.
La relazione notava come questa follia fosse illegittima e avrebbe avuto conseguenze sia finanziarie sia sui pedaggi pagati dai cittadini.

La verità è che i partiti hanno fatto consapevolmente un favore ad Autostrade. Confezionando una concessione capestro, dalla quale fosse impossibile recedere anche per inadempienza del privato, salvo pagare penali assurde. Penali illegittime, che Autostrade e i suoi amici hanno utilizzato contro il governo per indurci a non tagliarli fuori dalla ricostruzione del Ponte Morandi.

E il Pd, erede di quel governo Prodi a cui la Ragioneria dello Stato aveva allora scritto, ha avuto la faccia tosta anche di accusarci di violare la legge perché vogliamo togliere la concessione ad Autostrade dopo la strage di Genova. Quando proprio loro avevano approvato una concessione piena zeppa di regole illegittime. E ne erano consapevoli.
Per fortuna dell’Italia, non ci siamo fatti bloccare dalle loro minacce, perché anteponiamo l’interesse dei cittadini a quello dei potentati economici che i governi della Casta hanno favorito.
Le nostre decisioni erano corrette, legali. Nonostante abbiano cercato di bloccarci con cavilli adottati in spregio delle leggi. I cittadini hanno capito chi rispetta le regole e chi le manipola per interessi di parte.

Fonte: ilblogdellestelle del 15/10/2018