domenica 8 novembre 2020

Cosa resta dell’America dopo la caduta di Trump. - Furio Colombo

 

Donald Trump, un uomo ricco e senza reputazione, nelle elezioni presidenziali del 2016 si è messo alla testa dei repubblicani, con un linguaggio folle e un comportamento talmente volgare da attrarre di colpo una forte attenzione. Da allora quei repubblicani si sono rapidamente trasformati, come in una strana fiaba, da conservatori rigorosi, preoccupati della protezione della ricchezza e dunque duri con i nemici ma aperti ai buoni accordi col mondo, in un vasto corteo di gente in cerca di decisioni assolute, qui, adesso, in America, senza perdere tempo a cercare amici, portando in dono ossessioni e false credenze.

Primi sono arrivati i portatori di ossessioni che sembrano religiose (aborto, gay, gender). Ma è gente che, se necessario, uccide. Molti medici sono stati uccisi perché ginecologi laici. Arrivano subito i fondamentalisti di diversi cristianesimi che vogliono scuole senza Storia e senza Scienza, fondate su una loro interpretazione della Bibbia. Si arruolano frammenti di un oscuro e sommerso pensiero americano, come i QAnon, dediti alla invenzione di complotti, i Wolverine Watchmen, che secondo l’Fbi stavano preparando il rapimento della governatrice del Michigan, i ProudBoys, che Trump stesso ha citato, raccomandando loro di “tenersi pronti e restare in attesa” durante il primo dibattito con Biden. Intanto erano già entrate nel corteo di Trump due grandi forze delle rivolte popolari apparentemente improvvisate: il negazionismo – che è un rigetto violento della cultura e dell’informazione e adesso ha come nemico la pandemia che “non esiste” – e il vasto schieramento del razzismo.

Il ginocchio del poliziotto sul collo del cittadino George Floyd, condannato a morte perché nero su un marciapiede di Minneapolis, resterà il simbolo delle elezioni americane del 2020. Mossa atroce e ben calcolata. I neri infatti si sono ribellati (Black Lives Matter) e la televisione poteva filmare afroamericani armati nelle strade d’America. Ci sono certo state persone prudenti che hanno deciso di non votare contro Trump, che, in circostanze difficili, è uno forte e sa intervenire. Nonostante ciò i democratici forse hanno vinto, contro la violenza aggressiva e la misteriosa malattia del presidente, curato solo da medici militari e salvato da una guarigione istantanea, come se il Walter Reed Hospital di Washington fosse Lourdes. Certo, nel progressivo affermarsi del partito democratico nel corso dello spoglio elettorale, la folla di Trump ha cominciato a sentire un odore per lei disgustoso di normalità: le frontiere con il Messico non erano più per gli Usa un pericolo così grave da rendere necessario l’invio di truppe e la crudeltà di strappare i bambini alle madri che tentavano di passare il confine. Certo, fuori della bottega di Trump piena di atomiche, c’era il resto del mondo, e la possibilità di tentare di ristabilire rispettosi legami.

Pensate come cambiano i rapporti se nel grande Paese che ha sconfitto il fascismo – il Paese di Roosevelt, di Kennedy, di Martin Luther King, di Barack Obama – viene rimossa la targa “Make America great again”, che identifica un Paese avaro, isolato, circondato di dazi, amico di Putin, con il debito nelle mani dei cinesi e neppure un sospetto che esistano l’Africa e l’America Latina. O anche solo l’Unione europea.

L’invenzione di Trump è stata quella di scatenare e tenere vivo un continuo scontro con il buon senso e la normalità psichica (“Ma lei non è lo zio matto, lei è il presidente degli Stati Uniti”, gli ha gridato una intervistatrice coraggiosa), mantenendo vivo il divertimento della sua folla. L’errore dei democratici è stato di comportarsi come se Trump fosse davvero il presidente degli Stati Uniti e non una persona fuori equilibrio, chiedendo troppo tardi una verifica dello stato mentale dell’uomo che stava recando danni irreversibili all’America. Nonostante la guarigione miracolosa, il Coronavirus è stato la buccia di banana su cui è scivolato il mago asserragliato nella Casa Bianca. Ha fallito nel negare l’epidemia, i suoi malati, le sue terapie intensive, i suoi morti. Ha fallito nel tentare di passare oltre. Lo ha scosso e spaventato la perdita del controllo divertito e assoluto di cui ha goduto. I democratici hanno vinto bene (senza perdere dignità) e hanno vinto male (non erano a fianco dei neri colpiti e non hanno fatto nulla per impedire le squadre armate e ricordare l’insegnamento di Luther King: “La nonviolenza è la strada”). E per questo ci saranno ben pochi neri proprio nel Parlamento per cui hanno rischiato. Biden, quando avrà vinto, governerà un Paese di macerie morali e istituzionali. Ma lascerà un segno per i futuri bambini delle scuole americane: da uomo inerme, con un partito malconcio, con le sue brevi corse al microfono dei “rallies” ha dato lo spintone a Trump.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/08/cosa-resta-dellamerica-dopo-la-caduta-di-trump/5995956/

Un fenomeno chiamato Zen De Baikal. - Marilena Loparco

 

Un fenomeno chiamato Zen De Baikal ...
Sulla superficie ghiacciata del Lago Baikal in Siberia, raffiche di vento portano pietre. Durante il giorno, il sole riscalda la parte superiore e i bordi della pietra. Il calore riflesso scioglie il ghiaccio formando una conca tutt'intorno alla pietra, tranne la parte inferiore che è sempre in ombra. La pietra poggia quindi in equilibrio su una sorta di piedistallo di ghiaccio.

Renzi ora accusa i pm “da ribalta” Poi ricatta Conte: “Senza noi è ko”. - Wanda Marra

 

L’inchiesta Open è “un assurdo giuridico” , ha creato “un danno pazzesco” a Italia Viva. Che è “decisiva” per la durata del governo e della legislatura. Appare in diretta Facebook poco dopo le 15 Matteo Renzi, da una terrazza di Roma, per la terza assemblea del partito che ha fondato un anno fa, convocata via Zoom (in streaming va solo il suo intervento, il resto è chiuso al pubblico). Assemblea convocata da tempo e non rimandata dopo che l’ex premier ha saputo di essere indagato, insieme a Maria Elena Boschi e a Luca Lotti per finanziamento illecito ai partiti in relazione ai fondi gestiti appunto da Open, la fondazione che organizzava la Leopolda.

L’appuntamento di ieri diventa un “One man show”. Del fu Giglio Magico, Lotti è restato nel Pd, Boschi non interviene. Renzi parte dalle elezioni americane e dal vincitore, Joe Biden: “Ho avuto la fortuna e la possibilità di incontrarlo in più di un’occasione”, dice. Tanto da ricevere il racconto sul pizzaiolo del Delaware che lo accompagnava durante le sue prime campagne elettorali. Su Open sceglie la teoria del complotto. “Un anno fa stavamo puntando al 10% nei sondaggi e avevamo centinaia di migliaia di euro di finanziamento”. E poi? “Un pm di Firenze manda 300 finanzieri a casa di 50 persone per bene per chiedere se hanno contribuito alla Leopolda o alla fondazione Open: e certo che hanno contribuito, tutto alla luce del sole. Quella vicenda ci ha causato un danno pazzesco”. Il riferimento è alle perquisizioni della Guardia di Finanza del novembre 2019. Si tratta della stessa linea difensiva scelta in Senato, lo scorso dicembre, quando Renzi citò Aldo Moro e Bettino Craxi per sostenere che la magistratura aveva fatto un’invasione di campo, volendo decidere “cosa è un partito e cosa no”. Un anno dopo sembra passata un’era geologica e non solo per il Covid che ha cambiato il panorama mondiale. Iv si è dimostrata un’operazione fallimentare, il suo leader non può giocarsi molto altro che la carta del ricatto nei confronti del governo. Le parole sull’inchiesta sono meno fiammeggianti di allora. E peraltro si fanno forza con quanto stabilito dalla Cassazione, che a fine settembre aveva accolto il ricorso di Marco Carrai (già indagato) contro il sequestro di documenti e pc.

Dice Renzi: “Ci sono dei magistrati a cui la ribalta mediatica piace più che il giudizio di merito. La Corte di Cassazione, nel giudicare il sequestro preventivo fatto quella mattina di novembre, ha totalmente annullato il provvedimento, dando anche un chiaro segnale ai pm dell’accusa”. Insomma, “mi sarei aspettato una lettera di scuse e invece è arrivato un avviso di garanzia, che mi riguarda”. Poi annuncia una specie di dream team per la difesa di ciascun indagato: “La professoressa Severino per Maria Elena Boschi, il professor Coppi per Luca Lotti, il professor Di Noia per il dottor Carrai e il professor Caiazza per il sottoscritto”.

Ma è in realtà la parte politica del suo intervento quella a cui l’ex premier tiene di più. Con relativo avvertimento a Conte: “Iv c’è, decisiva in Parlamento, decisiva per la tenuta di questa legislatura, perché senza di noi non c’è maggioranza”.

E allora, “se sui temi c’è accordo la maggioranza va avanti fino al 2023, e potrà eleggere un presidente della Repubblica non sovranista”. Renzi si fa forte dei numeri in Senato e del tavolo politico che si è aperto giovedì, per il quale avverte che non c’è un tempo illimitato: fino a fine mese. Chiede un contratto di governo alla tedesca. Non a caso a puntellare le sue parole manda una scena di Gigi Proietti che scorre le pagine di un contratto, con il refrain “Qui te s’inculano. Qui ce l’inculamo”. Messaggi non esattamente sottili. Dopo di lui intervengono solo fedelissimi, che esprimono solidarietà a lui, alla Boschi e pure a Lotti. Ettore Rosato, i ministri Teresa Bellanova, Elena Bonetti. E i parlamentari Mattia Mor, Lisa Noja, Luciano Nobili. Tra deputati e senatori in molti aspettavano l’incontro di ieri per porre qualche problema politico. Ma la notizia dell’avviso di garanzia mette il silenziatore al dissenso. “Complotti” che funzionano al contrario.

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Grazie Gigi per quel sorriso al fosforo. - Amntonio Padellaro

 

“Potrei esserti amico in un minuto, ma se nun sai ride mi allontano. Chi non sa ride, m’insospettisce”.

Gigi Proietti

Queste parole di Gigi Proietti sono il mio alibi per ciò che sto per scrivere, perché so che lui mi perdonerà se confesso di avere sorriso per un momento, giovedì scorso, mentre lo salutavamo nella Chiesa degli Artisti di piazza del Popolo. È stato alla lettura del passo biblico che ci descrive Giobbe, quello della pazienza. Personaggio giusto, onesto, ricco e molto devoto, che viene messo alla prova da satana per convincere Dio che l’uomo lo onora solo per conservare i propri privilegi materiali. Seguiva l’elenco interminabile delle disgrazie, la morte di dieci figli, la perdita di ogni bene e infine la terribile lebbra che gli causa dolori e sofferenze. Ecco, in quel momento mi veniva in mente che questo eccessivo campionario di sfighe avrebbe strappato al protagonista della mesta cerimonia uno di quei suoi fantastici, assoluti sorrisi di traverso che saldati a quegli occhi di fosforo “please” hanno regalato tesori di complicità ai nostri pensieri più ribaldi. E poiché credo alla vita dopo la morte, sono convinto che, standosene lì tra chi lo commemorava e lo piangeva, ne avrà tratto spunto per un nuovo spettacolo il cui titolo, azzardo, potrebbe essere: “Se vuoi che tutti parlino bene di te, muori”. Ma il libro di Giobbe si addice anche alla piazza desertificata dalla malattia, così come la città e il mondo circostante, a ricordarci che nel nostro stato terreno alla fine tutto passa. Infatti ci viene detto che Dio, mosso a pietà, ristabilì il poveretto nello stato di prima, e accrebbe anzi più del doppio quanto aveva posseduto (e qui Proietti poteva sbizzarrirsi ancora su certe strampalate logiche divine). Per concludere questo breve, sgangherato pezzo colmo di gratitudine, ho trovato che anche Woody Allen chiama in causa Giobbe quando in “Manhattan”, rapito dalla beltà di Mariel Hemingway, le dice: “Senti tu sei la risposta di Dio a Giobbe: sai, avresti messo fine a tutte le discussioni tra loro. Dio avrebbe indicato te e detto: ‘Faccio tante cose tremende, ma ne so fare anche come questa, sai’. E Giobbe avrebbe detto: ‘Okay, hai vinto’”. E visto che Dio insieme al Covid ci ha pure regalato il tuo, il nostro sorriso, diremo: “Okay Gigi, hai vinto”.

Antonio Padellaro

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Malgrado l’Innominabile. - Marco Travaglio

 

Mentre gli strateghi discutono se abbia più vinto Biden o più perso Trump, se c’entri il Covid, se il sovranismo e il populismo siano passati o solo rimandati, noi profani preferiamo dedicarci a una questione all’apparenza minore: ma se il vecchio Joe è pappa e ciccia del nostro Innominabile, che salta sul carro del vincitore dopo aver perso tutto, lo chiama “fratello maggiore saggio”, racconta di averlo scoperto lui (“io ho capito che se la sarebbe giocata fino alla fine”) e narra telefonate, cene e pranzi quotidiani per scambi di “empatici consigli”, come avrà fatto a vincere? Stiamo parlando del politico che contende a Fassino il Guinness dei baci della morte e la fama di maggior perditore della storia dopo Fantozzi. Uno che dal 2014 riesce a schiantarsi in tutte le elezioni circoscrizionali, comunali e regionali, più referendum. Uno che annuncia la rinascita di Alitalia, che affonda. Il risanamento di Mps (“un bell’affare in cui investire”), che cola a picco. La resurrezione dell’Unità, che chiude. Il salvataggio di Almaviva, che defunge. L’Italicum che tutto il mondo c’invidia, e la Consulta glielo rade al suolo. Fa gli auguri agli azzurri per i Mondiali 2014 e vince la Germania. Li rifà per gli Europei 2016 e vince il Portogallo. Vola alle Olimpiadi di Rio e manda un “Forza Vincenzo” al superfavorito Nibali, che si schianta per la prima volta in vita sua (doppia frattura). Poi twitta: “Il mio atleta preferito è Federica Pellegrini, la Divina: l’ho vista in forma” e la poverina arriva quarta. Fa gli auguri alla sonda Schiaparelli per l’euromissione su Marte (“Un grande sogno europeo grazie alla straordinaria qualità dei ricercatori italiani che ho incontrato giorni fa a Torino. Viva chi ci prova, chi si mette in gioco e chi innova”) e la capsula spaziale precipita nel vuoto senza lasciare tracce. Fa il ganzo all’Expo con Putin: “Non parlo dei Mondiali, sennò c’è crisi diplomatica perché vogliamo vincere Russia 2018”: infatti l’Italia nemmeno si qualifica.

Nel 2016 tifa Hillary e vince Trump. Un anno fa vuole rovesciare Conte, e arriva il Covid. Non per nulla è l’Innominabile. Il Divino Otelma l’ha definito “un vampiro astrale che porta sfiga a chi gli è vicino”. Eppure stavolta tifava Biden e Joe ha vinto lo stesso. Un’eccezione alla regola? Mica tanto. Donald aveva dalla sua un menagramo ancor più potente: il Cazzaro Verde, che andava in giro con la mascherina “Trump 2020”. Quindi guai a trarre conclusioni affrettate: l’Innominabile ci ha provato anche stavolta, ma forze ancor più micidiali hanno neutralizzato le sue. Ieri però, mentre si arrampicava sulla spalla del fratello Joe per festeggiare, gli è piovuto in testa un avviso di garanzia. Come portatore di sfiga a se stesso, è sempre il numero 1.

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