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martedì 8 febbraio 2022

Meta minaccia l’UE: “Chiudiamo Facebook e Instagram”. Ma il ricatto è un altro. - Giovanni De Palma

 

La “minaccia” è solo l’ultimo atto del braccio di ferro tra Facebook e l’Unione Europea. Ma non è questione di Facebook: è in gioco il futuro.

Mark Zuckerberg minaccia di chiudere Facebook (e Instagram) nei Paesi dell’Unione Europea qualora quest’ultima non dovesse cambiare le regole sul trasferimento transatlantico dei dati.

Lo scorso 11 settembre il Garante per la privacy irlandese ha stabilito infatti il che meccanismo di trasferimento dei dati di Meta tra Europa e Stati Uniti non può essere usato: un’azione epocale, la prima di questo genere.

Pensate cosa potrebbe succedere se ciò dovesse avvenire: milioni di persone che lavorano con questi social rimarrebbero senza lavoro, migliaia e migliaia di aziende che hanno investito cifre importanti in queste piattaforme sarebbero costrette a chiudere, migliaia di persone si troverebbero a dover orientare il proprio business su altri canali (e ad oggi non esiste nulla di simile che possa sostituire quelle piattaforme).

È solo una minaccia, potremmo pensare.

Ed è così, per ora. Peraltro non è la prima di questo genere, Zuckerberg ha paventato questa soluzione draconiana anche due anni fa.

Semplicemente, non è questo il punto. Ciò che conta è che un privato cittadino possa, con una sua dichiarazione, di colpo porsi come una minaccia di 28 Paesi, o se preferite di un intero continente. Non è cosa da poco.

Il secondo pensiero che potremmo avere è “lo Stato potrebbe creare un’altra piattaforma in sostituzione a quelle di Meta”. Beh, non è così semplice: ci vorrebbe molto tempo. E poi quale Stato la creerebbe? La Cina ha potuto fare una mossa simile per la grandissima popolazione che detiene e per la coesione sociale basata su uno Stato che è prima di tutto una “civiltà” di quasi 1 miliardo e mezzo di persone.

Forse questa notizia dovrebbe farci aprire un ragionamento sul mondo che abbiamo creato e su dove vogliamo andare. Non si tratta solo di Facebook o di Instagram, non è una questione di una singola azienda, ma del sistema-mondo che abbiamo costruito in questi anni, in questi decenni. Del rapporto stesso che le grandi aziende, specie le Big della tecnologia, stanno avendo nei confronti degli Stati “tradizionali”. Un rapporto che, tra il battere moneta e il costruire mini città-Stato, potrebbe diventare esso stesso la vera, grande minaccia di questo secolo.

Serve riflettere.

L’AUTORE

Giovanni De Palma, laureato in Lingue, lettere e culture comparate (inglese e giapponese); e in Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa con focus sul Giappone (con tesi sulla strategia di sicurezza nazionale del Giappone di Abe); Master SIOI in Studi Diplomatici e Politici. Iamatologo e Orientalista. Si occupa di comunicazione social e political advisoring.

https://beppegrillo.it/meta-minaccia-lue-chiudiamo-facebook-e-instagram-ma-il-ricatto-e-un-altro/

martedì 15 dicembre 2020

Matteo Renzi rinvia l’incontro con Conte mentre continua a minacciare il governo. Boccia: “Giochini di palazzo da irresponsabili”.

 

Il leader di Italia viva, dopo aver fatto saltare il confronto con il presidente del Consiglio, nella e-news ha annunciato: "Diremo la nostra al premier con un documento scritto appena ci sarà occasione di incontrarci". Rosato: "Ci vedremo domani sera o giovedì".

E’ stato lui a volere lo scontro dentro la maggioranza, sempre lui a minacciare Giuseppe Conte in Senato perché su Recovery fund si ridiscutesse tutto da capo. Ma al momento della convocazione da parte del presidente del Consiglio, Matteo Renzi ha deciso di non presentarsi e di far rinviare l’incontro. Il motivo ufficiale? L’impegno della ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova a Bruxelles che le impedisce di partecipare al vertice delle 13. “Ci vedremo domani sera o giovedì“, ha dichiarato Ettore Rosato su Radio Rai Uno. Intanto, in attesa che il faccia a faccia venga ufficialmente riprogrammato, il leader di Italia viva continua a minacciare il governo. E questo nonostante ieri Conte, all’avvio delle consultazioni, abbia ottenuto l’appoggio di M5s e Pd a procedere con il governo e un no secco all’ipotesi rimpasto.

Non solo Renzi ha rinviato la resa dei conti, ma si è affrettato a usare la sua e-news per continuare a ricattare l’esecutivo. E per farlo è ripartito dall’accusa secondo cui sul Recovery plan il governo non sia mai stato consultato. Una notizia smentita però dal Fatto quotidiano di venerdì scorso: sono stati almeno 16 gli incontri al ministero su governance e spartizione dei fondi. Nonostante questo, Renzi scrive: “Il Presidente del Consiglio ha convocato i partiti di maggioranza. Il blitz notturno che avrebbe fatto approvare un documento non condiviso da nessuno e una task force in grado di sostituirsi al governo e al Parlamento è stato ufficialmente bloccato. Lo avevo chiesto in Parlamento (qui) e oggi sono felice che tutti diano ragione a Italia Viva“. In realtà, solo ieri, Conte ha ribadito che la task force ci sarà, come richiesto dall’Ue, e non “non sarà mai sovrapposta ai passaggi istituzionali”.

Ma qual è il piano del leader di Italia viva? Per ora consegnare un documento al premier con le richieste del suo partito. “Sui temi del “salto di qualità” del governo diremo la nostra al premier con un documento scritto appena ci sarà occasione di incontrarci (non oggi perché Bellanova è a Bruxelles). Appena consegnato al premier, lo manderemo a tutti gli amici delle Enews. Stiamo facendo una battaglia per le idee, non per le poltrone: all’incontro verranno anche le ministre, che sono pronte a rimettere il mandato, se serve. Perché chi dice che noi facciamo confusione per avere mezza poltrona in più deve prendere atto che noi siamo l’unico partito che è pronto a rinunciare alle poltrone, non a chiederle”.

Mentre gli alleati tacciono, anche nella speranza che le tensioni possano rientrare, a esporsi è stato il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia: “Chi pensa a fare giochini di palazzo in piena pandemia dimostra di essere un irresponsabile“, ha detto a Rainews24. “Parlare di crisi è semplicemente surreale. I cittadini sono confusi perché invece di mettere davanti la pandemia c’è chi mette davanti le liturgie della politica. Io per fortuna faccio parte del Pd e Zingaretti non fa sconti, si è messo sulle spalle sin dall’inizio la coesione della maggioranza. Il Pd si occupa dei problemi del Paese“.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/15/matteo-renzi-rinvia-lincontro-con-conte-mentre-continua-a-minacciare-il-governo/6037441/

domenica 8 novembre 2020

Renzi ora accusa i pm “da ribalta” Poi ricatta Conte: “Senza noi è ko”. - Wanda Marra

 

L’inchiesta Open è “un assurdo giuridico” , ha creato “un danno pazzesco” a Italia Viva. Che è “decisiva” per la durata del governo e della legislatura. Appare in diretta Facebook poco dopo le 15 Matteo Renzi, da una terrazza di Roma, per la terza assemblea del partito che ha fondato un anno fa, convocata via Zoom (in streaming va solo il suo intervento, il resto è chiuso al pubblico). Assemblea convocata da tempo e non rimandata dopo che l’ex premier ha saputo di essere indagato, insieme a Maria Elena Boschi e a Luca Lotti per finanziamento illecito ai partiti in relazione ai fondi gestiti appunto da Open, la fondazione che organizzava la Leopolda.

L’appuntamento di ieri diventa un “One man show”. Del fu Giglio Magico, Lotti è restato nel Pd, Boschi non interviene. Renzi parte dalle elezioni americane e dal vincitore, Joe Biden: “Ho avuto la fortuna e la possibilità di incontrarlo in più di un’occasione”, dice. Tanto da ricevere il racconto sul pizzaiolo del Delaware che lo accompagnava durante le sue prime campagne elettorali. Su Open sceglie la teoria del complotto. “Un anno fa stavamo puntando al 10% nei sondaggi e avevamo centinaia di migliaia di euro di finanziamento”. E poi? “Un pm di Firenze manda 300 finanzieri a casa di 50 persone per bene per chiedere se hanno contribuito alla Leopolda o alla fondazione Open: e certo che hanno contribuito, tutto alla luce del sole. Quella vicenda ci ha causato un danno pazzesco”. Il riferimento è alle perquisizioni della Guardia di Finanza del novembre 2019. Si tratta della stessa linea difensiva scelta in Senato, lo scorso dicembre, quando Renzi citò Aldo Moro e Bettino Craxi per sostenere che la magistratura aveva fatto un’invasione di campo, volendo decidere “cosa è un partito e cosa no”. Un anno dopo sembra passata un’era geologica e non solo per il Covid che ha cambiato il panorama mondiale. Iv si è dimostrata un’operazione fallimentare, il suo leader non può giocarsi molto altro che la carta del ricatto nei confronti del governo. Le parole sull’inchiesta sono meno fiammeggianti di allora. E peraltro si fanno forza con quanto stabilito dalla Cassazione, che a fine settembre aveva accolto il ricorso di Marco Carrai (già indagato) contro il sequestro di documenti e pc.

Dice Renzi: “Ci sono dei magistrati a cui la ribalta mediatica piace più che il giudizio di merito. La Corte di Cassazione, nel giudicare il sequestro preventivo fatto quella mattina di novembre, ha totalmente annullato il provvedimento, dando anche un chiaro segnale ai pm dell’accusa”. Insomma, “mi sarei aspettato una lettera di scuse e invece è arrivato un avviso di garanzia, che mi riguarda”. Poi annuncia una specie di dream team per la difesa di ciascun indagato: “La professoressa Severino per Maria Elena Boschi, il professor Coppi per Luca Lotti, il professor Di Noia per il dottor Carrai e il professor Caiazza per il sottoscritto”.

Ma è in realtà la parte politica del suo intervento quella a cui l’ex premier tiene di più. Con relativo avvertimento a Conte: “Iv c’è, decisiva in Parlamento, decisiva per la tenuta di questa legislatura, perché senza di noi non c’è maggioranza”.

E allora, “se sui temi c’è accordo la maggioranza va avanti fino al 2023, e potrà eleggere un presidente della Repubblica non sovranista”. Renzi si fa forte dei numeri in Senato e del tavolo politico che si è aperto giovedì, per il quale avverte che non c’è un tempo illimitato: fino a fine mese. Chiede un contratto di governo alla tedesca. Non a caso a puntellare le sue parole manda una scena di Gigi Proietti che scorre le pagine di un contratto, con il refrain “Qui te s’inculano. Qui ce l’inculamo”. Messaggi non esattamente sottili. Dopo di lui intervengono solo fedelissimi, che esprimono solidarietà a lui, alla Boschi e pure a Lotti. Ettore Rosato, i ministri Teresa Bellanova, Elena Bonetti. E i parlamentari Mattia Mor, Lisa Noja, Luciano Nobili. Tra deputati e senatori in molti aspettavano l’incontro di ieri per porre qualche problema politico. Ma la notizia dell’avviso di garanzia mette il silenziatore al dissenso. “Complotti” che funzionano al contrario.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/08/renzi-ora-accusa-i-pm-da-ribalta-poi-ricatta-conte-senza-noi-e-ko/5995973/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-11-08

venerdì 4 gennaio 2013

LO SPREAD IN CAMPAGNA ELETTORALE. - Eugenio Orso




Forse c’è qualcuno che trova alquanto strana la discesa dello spread del btp con il bund, fino a 284 punti, centrando l’obiettivo dichiarato da Monti, proprio nel momento in cui Mario Monti scende nell’arena elettorale, “salendo” in politica per lordarsi le mani. Gli onnipossenti mercati finanziari hanno cessato il fuoco contro l’Italia? I fantomatici investitori (ma non troppo fantomatici …) che hanno imposto tredici mesi di direttorio Monti-Napolitano – il primo dimesso e il secondo in scadenza – hanno deciso improvvisamente di lasciar in pace questo disgraziato paese? Possiamo dubitarne, perché i globalisti non mollano facilmente la presa. Anzi, avvicinandosi le elezioni politiche anticipate, la loro presa dovrà essere ancor più stretta, per pilotarle a dovere nel senso voluto. E il senso voluto è nient'altro che la continuazione della famigerata e socialmente sanguinosa “agenda Monti”, aggregatore di cartelli elettorali centristi, sedicenti moderati, e perciò al servizio del peggior neoliberismo economico. 

Mentre migliora lo spread, che fino a qualche tempo fa sembrava una malattia incurabile che avrebbe ucciso il paese, crollano le vendite di automobili, in Italia e in Europa, riportando la situazione italiana, se è vero ciò che si dice, al lontano 1979. Particolarmente in ambasce la fiat marchionnista e montiana del dopo-Melfi, che sconta un calo delle immatricolazioni in Italia, nel 2012, di quasi il 20%, con una punta negativa del 20,2% nel solo mese di dicembre. Questi sono i concreti, tangibili effetti del marchionnismo e del montismo, che nel settore auto nostrano agiscono congiuntamente. 

La demotorizzazione del paese è dunque un obiettivo (prudentemente non dichiarato) sia della fiat “americana” di Marchionne, che concentra i suoi principali interessi oltreoceano, sia dell’austero Quisling in loden con la voce monocorde, riunitisi a Melfi in pieno sboom come Totò e Peppino, prima divisi e poi uniti a Berlino, negli anni remoti del boom economico? 

Ragionando un po’ sulla situazione, e sulla palese contraddizione del calo dello spread fino e oltre l’obiettivo indicato da Monti che si accompagna al crollo delle immatricolazioni delle auto nuove, è fin troppo facile concludere che lo spread è manovrato dai “soliti ignoti” in posizione dominante sui mercati, i quali lo stanno usando per supportare il centro filomontiano – e le linee programmatiche dell’”agenda Monti” – in piena campagna elettorale. Come dire: “Avete visto? Le politiche governative montiane, applicate per tredici, lunghi mesi di crisi, a suon di sacrifici e voti di fiducia in parlamento, stanno producendo finalmente effetti positivi. E allora è necessario che vi sia continuità programmatica, nei prossimi esecutivi, altrimenti il temutissimo spread riprende a salire. E chi, meglio di Monti che ha salvato l’Italia dallo spread, centrando l’obiettivo dichiarato sotto i 300 punti di differenziale, può garantire questa continuità e continuare con le riforme, sempre più strutturali e liberalizzanti?” Del resto è la stessa cosa che Napolitano va dicendo da qualche tempo, in odor di elezioni, come “consiglio paterno” e come monito concreto.

Il gioco è chiaro. I Mercati & Investitori, cioè le Aristocrazie finanziarie neocapitalistiche che ci controllano dall’alto, irrompono a modo loro nella campagna elettorale italiana, subito dopo l’”endorsement” a favore di Monti delle alte gerarchie vaticane. Questo appoggio, misurato dalla discesa dello spread, è più importante di quello della chiesa, degli alti prelati e del santo padre, per come si configura e funziona il neocapitalismo. Così, lo spread entra in campagna elettorale, questa volta non tanto quale strumento di ricatto, e di minaccia, ma per indurre quei poveri imbecilli di elettori a votare più convinti e numerosi – oltre il misero 12% attribuito dai sondaggisti – per le liste dell’”agenda Monti”. Si potrebbe ironizzare sulla situazione (per quanto ci sia ben poco da ridere) dicendo che lo spread in salita corrisponde a un bombardamento in piena regola, come quello areo della nato il Libia, e quindi rappresenta il bastone, mentre lo spread in discesa di questi giorni corrisponde alla lusinga, e quindi rappresenta la carota. Una carota, in funzione elettorale, agitata dalle Aristocrazie finanziarie per indurre a votare numerosi il centro filomontiano, i suoi partitelli, le sue liste, listine e listoni. Siate pur certi di una cosa: se la lusinga dello spread in discesa non funzionerà, e Monti con tanto di agenda sarà messo da parte, lo spread ricomincerà a salire, toccando nuovi record negativi, e il bombardamento speculativo riprenderà più furioso e distruttivo che prima.

Lo spread in discesa che irrompe in piena campagna elettorale non è una buona cosa, tutt’altro, ma ci dimostra che il differenziale del btp decennale con il bund tedesco è un gigantesco imbroglio, un’arma di pressione e di ricatto, o una lusinga per orientare il consenso, a seconda delle circostanze. Per una volta ha avuto ragione il tanto vituperato Berlusconi, di ritorno dal limbo, quando ha denunciato pubblicamente l’imbroglio dello spread e ha consigliato di lasciarlo perdere. 


Così è, se vi pare, e anche se non vi pare.


http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11292

domenica 7 ottobre 2012

I pm: "Ecco perché Formigoni può essere ricattato". - Piero Colaprico


I pm: "Ecco perché Formigoni può essere ricattato"


I giudici: Daccò e Simone restino in cella, possono ancora incidere sulla Regione. Il governatore: accanimento senza precedenti, tanta durezza neanche con Mani pulite.

MILANO - "Non mi faccio condizionare da nessuno. Com'è possibile dipingere un presidente Formigoni condizionato da qualcuno?", dice il governatore della Regione Lombardia.

Lo dice dopo aver saputo che i magistrati vogliono tenere ancora in carcere i due faccendieri Piero Daccò e Antonio Simone, perché hanno potere di ricatto, e perché stanno arrivando altre carte giudiziarie. Formigoni contrattacca, ma è come se non ricordasse di aver ricevuto a giugno l'invito a comparire per corruzione, e di non aver mai mostrato le ricevute dei cinque lussuosi capidanno, di yacht a disposizione, di eventi, cene e vari benefit mai pagati da lui. 


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