lunedì 10 ottobre 2011

Catania, l’ex sindaco Scapagnini e le sue giunte condannati per falso in bilancio.




Secondo il giudice, l'ex primo cittadino e i suoi assessori "falsificarono" i documenti contabili del 2004 e 2005 per "occultare il disavanzo" ed evitare così, oltre al dissesto finanziario, la decadenza e l'incompatibilità da amministratori.

L'ex sindaco di Catania Umberto Scapagnini
Falso in bilancio: con questo capo d’imputazione il giudice monocratico del Tribunale di Catania oggi pomeriggio ha condannato a 2 anni e 9 mesi di reclusione l’ex sindaco del capoluogo etneo e attuale parlamentare nazionale del Pdl, Umberto Scapagnini. Oltre a lui, pene severe per le due giunte comunali dell’era Scapagnini. I componenti del primo governo (l’ex ragioniere Vincenzo Castorina e gli ex assessori Francesco Caruso,Giuseppe ArenaSanto Li Gresti, Giuseppe MaimoneGiuseppe Siciliano e Gianni Vasta) dovranno scontare la stessa condanna dell’ex primo cittadino, mentre gli assessori della seconda giunta (Filippo DragoStefania Gulino,Mimmo RotellaSalvatore SantamariaNino StranoMario De Felice e Giuseppe Zappalà) hanno avuto uno sconto di sei mesi: per loro ‘solo’ 2 anni e 3 mesi di carcere. Gli imputati, inoltre, sono stati anche dichiarati interdetti dai pubblici uffici per una durata pari a quella della pena principale e condannati al pagamento delle spese processuali.

Il processo per falso ideologico per il ‘buco’ in bilancio per centinaia di milioni di euro al Comune si è celebrato davanti al giudice monocratico Alfredo Cavallaro, dopo la decisione del 30 marzo 2010 di archiviazione del capo di imputazione più grave, quello di abuso d’ufficio. Il procedimento prese avvio da osservazioni formulate a suo tempo dai revisori dei conti relativamente al bilancio consuntivo del 2003, sul quale ha mosso rilievi anche la Corte dei conti. Nello specifico, Umberto Scapagnini e le due giunte municipali di Catania da lui guidate “falsificarono” i bilanci comunali del 2004 e 2005 per “occultare il disavanzo” ed evitare così, oltre al dissesto finanziario, la decadenza e l’incompatibilità da amministratori. Un buco in bilancio colmato con il finanziamento di 140 milioni di euro deciso dal governo Berlusconi e prelevati dai fondi Fas.

La condanna, inoltre, ha un peso specifico importante per due motivi: innanzitutto perchè i pubblici ministeri avevano chiesto la condanna a due anni e 4 mesi per l’ex sindaco e due anni per tutti gli assessori. Il tribunale, dunque, è andato oltre la richiesta. L’altro motivo è da ricercarsi nel fatto che il processo, già in fase di udienza preliminare, aveva perso uno dei due reati che venivano contestati, visto che il gip aveva prosciolto tutti per l’abuso rinviando a giudizio solo per il falso.

La vicenda giudiziaria per il buco in bilancio al comune di Catania è durato due anni: secondo i magistrati, la giunta Scapagnini nel formulare il bilancio del 2004 avrebbe previsto una copertura del disavanzo di 40 milioni di euro, indicando vendite di immobili che non potevano avvenire. Stesso discorso e stesso disavanzo per il rendiconto 2005. Nell’inchiesta entrò anche “Catania Risorse“, società creata dal comune per vendere immobili e fare cassa. Beni risultati però inalienabili. Secondo, l’accusa, dunque, i bilanci erano stati truccati ad arte.


La visita aziendale di B. in Parlamento. di Furio Colombo






Domanda: Egregio Colombo, come si può avere rispetto per una classe politica che non ha nessun rispetto per i cittadini italiani? Ogni parlamentare dovrebbe agire come rappresentante dei cittadini e cercare di risolvere i gravi problemi che ci riguardano tutti, facendosi garante dei nostri diritti e portavoce delle nostre disperate aspettative. Firmato Baretton Ettore, Treviso.

Risposta: Giovedì 6 ottobre. Sono appena passate le 10,30. Una cinquantina di adulti, uomini e donne, ministri e deputati, ascoltano e ridono alla fine di ogni battuta, come in certi spettacoli della Tv americana anni Cinquanta. Sono il pubblico entusiasta e affezionato di un narratore di barzellette. Le storielle sono vivaci, lunghe, elaborate. Richiedono buffe espressioni facciali, gesti delle mani (lunghezza, larghezza di qualcosa che fa ridere), richiede movimenti in su e in giù delle dita, nell’atto di dirigere o dare il ritmo. L’aggregato umano si sposta, come la coreografia di un balletto, piccoli passi in qua e in là, svelti per non perdere il contatto, evidentemente benefico, con il narratore. Si spostano se si sposta lui. Lui è Berlusconi, il presidente del Consiglio italiano. Il luogo è l’emiciclo della Camera dei Deputati, mentre una seduta del Parlamento è sospesa.

Berlusconi di solito non viene mai in Parlamento. Giustamente lo considera una perdita di tempo perché ottiene approvazione solo con la procedura detta “voto di fiducia” che è un voto di sfiducia, perché non ti fidi di nessuno. E infatti nessuno, neppure i tuoi più fidati, ha la possibilità di discutere. Ma oggi è venuto perché è il giorno della legge bavaglio, quella che proibisce, pena la prigione, di parlare di tutto il fango che sta colando sull’Italia e ne ha già stroncato la reputazione. Oggi il Capo del Governo è venuto per far vedere che non è affatto disperato di essere l’autore del più grande fallimento italiano dopo il 1945. Anzi, è allegro perché sta per arrivare la legge bavaglio, e ha voglia di condividere il suo buon umore, subito dopo che il debito italiano è stato pesantemente declassato, provocando costi altissimi nel pieno di una crisi già molto grave. A un certo punto, in quel cerchio di persone aggrappate al lui, scoppia un applauso, una risata forte e piena, come nel momento più riuscito di una gita aziendale. La gita aziendale di Berlusconi in Parlamento dura poco. Una volta dimostrato che il suo umore è sempre eccellente, una volta confermato che il giorno del bavaglio è giorno suo perché è esclusivamente per lui la legge, una volta stabilito che se non ti occupi della crisi che travolge il Paese, quella crisi se ne andrà da sola, anzi non esiste perché è una invenzione della sinistra e dei giudici, la piccola testa marrone scuro di Berlusconi scompare in fretta.

Restano, un po’ svuotati, i suoi deputati e deputate e ministri, che adesso devono sostenere da soli che “la legge sulle intercettazioni ce la chiedono i cittadini”. A sostegno della memorabile impresa c’è il governo al gran completo, dal ministro degli Esteri che aveva appena mentito sulla Libia assicurando ottimi rapporti con persone che hanno già annunciato il loro ritiro dal governo di quel Paese, al ministro dell’Interno, che si vanta di avere inventato le prigioni galleggianti davanti al porto di Palermo, per rinchiudere profughi fuggiti dalla Libia. E c’è il ministro Romano, in forte odore di mafia e il ministro Romani, che dovrebbe, almeno lui, essere occupato giorno e notte altrove, perché gli è stato affidato l’incarico, subito prima della scena delle barzellette narrate in aula con trionfo di risate dei dipendenti, di procedere a “rimettere in moto l’Italia” e a “dare il via alla crescita.” Invece è una seduta lunga e squallida. L’opposizione (tutta) riesce per il momento a impedire che ci siano i primi voti sul progetto di legge più vergognoso di una vergognosa legislatura.

Ma subito l’allegro presidente del Consiglio, di cui l’intero mondo democratico attende le dimissioni, fa sapere che ci sarà un nuovo partito, e si chiamerà “Forza gnocca”. E un suo ministro ha un’idea anche più adeguata al prestigio della vita e delle opere del governo di cui fa parte. Cito dal Corriere della Sera (6 ottobre): “Ignazio la Russa, ministro della Difesa, lasciando via del Plebiscito mostra ad alcuni giornalisti il bozzetto con il logo del nuovo partito: la bandiera italiana con le parole ‘viva la fica, Berlusconi Presidente’. “Notare che il ministro della Difesa sta giocando – per disegnare il logo del suo partito ‘viva la fica’ – con la stessa bandiera che, ogni due o tre settimane, mette sulla bara dei soldati morti in Afghanistan. Famiglia cristiana, il settimanale cattolico, ha già mandato una lettera: “presidente, se lei non si vergogna, ci vergogniamo noi. E chiediamo scusa, a suo nome, di fronte al mondo”. Ma in aula – testimonia e scrive il deputato Sarubb – un leghista (pensate, si dovrebbe dire “collega”) ha gridato alla deputata Lucia Codurelli (Pd ): “Vai a farti scopare, che è meglio”. Scrive il Corriere che ho citato: “Alessandra Mussolini definisce “splendida” la battuta”.

Era il giorno in cui nessuna decisione è stata presa o annunciata sul nuovo governatore della Banca d’Italia, ma tutti i deputati hanno trovato in casella un testo anonimo in cui si descrive ognuno degli squallidi eventi italiani che coinvolgono e svergognano il premier come una serie di complotti orditi da giudici comunisti che, da un capo all’altro della penisola, tramano la rovina del Paese attraverso gli attacchi contro Berlusconi. Tutto ciò serve da cornice alla giornata e per dire: la legge bavaglio è legittima difesa. Più o meno la logica di Totò Riina quando ha organizzato la eliminazione di Falcone e Borsellino. Sono gesti da disperati, e basterebbe leggere il verbale della seduta della Camera dei Deputati e le dichiarazioni urlate dei deputati di “forza gnocca” e “viva la fica” per constatare la disperazione. Però perché una armata di disperati in cerca precipitosa di qualche forma di salvezza vuole governare? È la risposta che non so dare all’angosciato lettore di cui ho pubblicato la lettera.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/10/la-visita-aziendale-di-b-in-parlamento/163014/

Siamo tutti prigionieri del Cavaliere. - di Marcello Sorgi






Incredibile quanto si vuole, la situazione è questa: a diciott’anni dalla scomparsa della Dc, le sorti del governo, ogni giorno di più, dipendono da un gruppetto di democristiani, che vorrebbero democristianizzare Berlusconi.

Per chi ha ancora memoria della Balena bianca, la domenica di ieri ha avuto uno strano effetto déjà-vu: riuniti a Saint-Vincent, grosso modo nello stesso periodo e nello stesso luogo in cui si riunivano sempre i seguaci della corrente di Donat-Cattin, i nuovi Dc hanno cercato in tutti i modi di convincere il democristianissimo e contrarissimo segretario del Pdl Alfano che il Cavaliere deve trovare il coraggio di dimettersi, aprire la crisi, e magari ricandidarsi alla guida di un Berlusconi-bis per il fine legislatura. Che poi le probabilità per il premier di succedere a se stesso siano minime e le possibilità di aprire un negoziato sui posti e sul programma inesistenti, i Dc non lo danno per inteso.

Per loro infatti la crisi non sarebbe che una delle tante, decine e decine, vissute ai bei tempi della Prima Repubblica. E che alla fine Berlusconi possa essere sostituito da un altro presidente del Consiglio, la logica conseguenza di una normale alternanza e del rispetto della Costituzione.

Con quest’obiettivo, da giorni, il governatore della Lombardia Formigoni e gli ex-ministri Scajola e Pisanu, per citare i più attivi, rilasciano interviste a tutto spiano per illustrare il loro programma: ai primi posti, la cancellazione del cuore della manovra economica d’agosto, quei tagli agli enti locali e ai ministeri che, seppure insufficienti, costituiscono almeno un tentativo di adesione alle richieste sollecitate e inviateci dalla Banca centrale europea. E in prospettiva, una perfetta restaurazione dei metodi e delle regole di venti, trenta e quarant’anni fa, a cominciare dalla legge elettorale proporzionale che dovrebbe restituire ai partiti (agli attuali partiti!), togliendolo ai cittadini, il diritto di scegliersi i governi.

Ora, intendiamoci, se non fossimo di questi tempi, con l’Italia in bilico su un destino che i pessimisti, le cui file continuano ad infoltirsi, preconizzano simile a quello della Grecia, anche l’idea di una restaurazione non dovrebbe essere respinta pregiudizialmente. Che la Prima Repubblica, pur versando da tempo in una crisi senza rimedio, sia finita più per intervento della magistratura che non per effetto della sua malattia, è un fatto. E altrettanto che la Seconda, a quasi due decenni dalla cosiddetta «rivoluzione italiana», sia rimasta un’incompiuta, a causa, o per colpa, in gran parte di Berlusconi, ma anche dei governi di centrosinistra, che hanno perso per strada la spinta propulsiva per realizzare le riforme. Esiste ovviamente la necessità di riprendere il cammino virtuoso della modernizzazione. Ma ad essere sinceri, va detto, non è questo il momento.

A diciotto mesi dalla fine della legislatura e nel bel mezzo di un’emergenza di dimensioni mondiali, quel che ci si aspetta dal governo è di affrontare i problemi che abbiamo di fronte con urgenza, senza divagare né tergiversare. Sincerità per sincerità, non è detto che l’ultralogorato governo in carica possa farcela. Ma è assai più improbabile che possa riuscirci un nuovo governo che nascerebbe ammesso che il parto sia possibile sulla base del pensionamento forzato del premier e di una maggioranza raccogliticcia almeno quanto quella attuale.

Per questo, conoscendo la caratteristica prudenza e ambiguità dei democristiani, al fondo non si capisce a cosa puntino le loro manovre. Finora l’unico effetto è di ricordarci, dimostrandocelo fino all’asfissia, che siamo - e purtroppo restiamo - prigionieri di Berlusconi. E se riusciranno davvero a far cadere il governo, di portarci alle elezioni in un clima, se possibile, ancora più confuso.



http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9302

Inchieste escort: Nitto Palma manda gli ispettori a Napoli e Bari.






Ispettori alle procure di Napoli e Bari. E’ quanto ha deciso il ministro della Giustizia Nitto Palma, che ha dato mandato ai suoi ispettori di recarsi nei due uffici giudiziari, oltre a chiedere l’acquisizione al Csm delle audizioni del procuratore capo Antonio Laudati e dell’ex pm Giuseppe Scelsi. La decisione del ministro sembrerebbe seguire la richiesta ad hoc avanzata nei giorni scorsi daFabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, capigruppo del Pdl alla Camera e al Senato.

Sono tre invece i punti su cui, a Napoli, Nitto Palma ha chiesto accertamenti agli ispettori guidati daArcibaldo Miller. Innanzitutto il fatto che siano stati i pm (e non il giudice) ad emettere un decreto con cui è stato sollevato dal segreto professionale l’avvocato Nicola Quaranta, uno dei legali di Tarantini. Oltre a questo, gli ispettori devono verificare da cosa è dipesa la fuga di notizie su un’intercettazione tra Lavitola e Berlusconi pubblicata dal settimanale L’Espresso prima ancora che venisse depositata. Infine, la revoca della competenza ad indagare decisa dal tribunale di Napoli. Per quanto riguarda le indiscrezioni pubblicate dai giornali, però, risulta quantomeno paradossale che, almeno stando all’elenco di motivazioni fornito dalle agenzie di stampa, tra i motivi che hanno scaturito l’ispezione alla procura di Napoli non ci sia la fuga di notizie che ha portato allo scoop agostano di Panorama, che per primo il 24 agosto parlò dell’inchiesta del presunto ricatto di Lavitola e Tarantini al presidente del Consiglio.

Tornando ai motivi reali della visita degli ispettori ministeriali, per il caso dell’avvocato Nicola Quaranta, le camere penali di Bari nei giorni scorsi hanno inviato un esposto al Guardasigilli e al procuratore generale della Cassazione, titolari dell’azione disciplinare, per lamentare l’adozione di un “atto abnorme” da parte dei tre pm Francesco CurcioVincenzo Piscitelli ed Henry John Woodcock che nell’ascoltare l’avvocato Quaranta (uno dei legali di Tarantini) lo sollevarono dal segreto professionale, mentre – secondo i penalisti – in base all’articolo 200 del Codice di Procedura Penale ciò sarebbe consentito soltanto al giudice a seguito di accertamenti.

Quanto alla pubblicazione sulla stampa del contenuto di una intercettazione non ancora depositata (quella del 24 agosto scorso quando il premier consigliò a Lavitola di rimanere all’estero), gli ispettori potrebbero avviare accertamenti sulla tenuta dei dati sensibili presso gli uffici giudiziari di Napoli. Un precedente in tal senso sarebbe rappresentato dall’invio a Milano degli ispettori, nel 2006, per verificare come fosse stata possibile la pubblicazione da parte del quotidiano Il Giornale del contenuto dell’intercettazione, non trascritta e depositata, tra Fassino e Consorte sul caso Unipol.

Per quanto riguarda l’ispezione nel capoluogo pugliese, invece, la stessa era stata sollecitata nei giorni scorsi anche da una interrogazione parlamentare dal responsabile della giustizia del PdAndrea Orlando e dal capogruppo in commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti. Il caso è ormai noto. Giuseppe Scelsi, attualmente sostituto procuratore generale presso la Corte d’Appello di Bari, ha denunciato al Csm il suo ex capufficio Laudati, lamentando ritardi nell’inchiesta sul caso Tarantini, indagine che aveva fatto luce su un giro di escort utilizzate per presunte feste nella residenza del premier Silvio Berlusconi. Il procuratore Laudati si è difeso davanti al Consiglio Superiore della Magistratura, asserendo che nell’inchiesta sulle escort “erano stati commessi gravi errori”.

Immediate le prime reazioni alla notizia delle ispezioni ministeriali. “Il Pdl chiama, Nitto Palma risponde. E’ bastato che Gasparri e Cicchitto chiedessero l’invio degli ispettori e subito il ministro Nitto Palma lo ha disposto. Nonostante tutto, va riconosciuto che questo governo morente è stato capace di innovare la politica e inventare una nuova figura: il ministro a chiamata”: è la dura presa di posizione del capogruppo alla Camera dell’Idv Massimo Donadi.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/10/inchieste-escort-nitto-palma-manda-gli-ispettori-a-napolie-e-bari/163290/

Arrestaci tutti: tanto il bavaglio è bucato. di Bruno Tinti.






Come questo giornale ha detto molte volte, non obbediremo alla legge bavaglio. I nostri lettori leggeranno le informazioni derivanti da un processo penale quando sarà caduto il segreto investigativo (art. 329 codice di procedura) e quindi quando saranno pubbliche per legge. Senza attendere l’udienza preliminare o altre scadenze processuali che la fantasia di B&C si inventerà. E non solo le informazioni di rilevanza penale, questa ridicola categoria che la Federazione della Stampa ha accettato, rendendosi schiava volontaria del giudice che dovrebbe stabilire, lui, quali notizie si possono pubblicare e quali no. Un nuovo Minculpop, con veline preconfezionate per giornali e giornalisti megafono del potere. Le leggeranno tutte; tutte, si capisce, quelle di interesse pubblico. B che ha pagato Mills perché dicesse il falso; ma anche B che si circonda di puttane e di magnaccia e che si fa ricattare.

Commetteremo un reato, forse parecchi reati. E magari, oltre a noi de Il Fatto, qualche altro giornalista disobbedirà alla legge più vergognosa che B&C hanno avuto il coraggio di inventarsi. Perché delinquere e comportarsi con sfrenata immoralità è cosa grave. Ma costruirsi un’immagine pubblica falsa attraverso la menzogna e l’intimidazione è da veri tiranni. E i tiranni vanno combattuti. E, prima ancora, per convincere abbastanza persone della necessità di combatterli, vanno smascherati; bisogna far vedere che persone spregevoli sono; e così “radunare le truppe”. Poi qualcuno le organizzerà e le condurrà “all’immancabile vittoria”. Diciamo che i giornalisti saranno l’avanguardia: è una buona ragione per farsi processare. Questi toni da farsa militaresca (non prendersi troppo sul serio aiuta sempre a essere consapevoli dei propri limiti) non devono spaventare. Rischi veri non ce ne sono. Un po’ di udienze, un buon palcoscenico per parlare finalmente di democrazia, di diritti, di doveri, di specifiche vergogne rese pubbliche (mica male come effetto collaterale), un po’ di soldi spesi e poi il ritorno a casa con l’aureola dell’eroe.

Questa che segue è una ragionevole anticipazione di quello che succederà. Un gip cattura un magnaccia che ha procurato puttane a B motivando il suo provvedimento con i risultati delle indagini del pm. Tra questi ci sono le trascrizioni di intercettazioni di conversazioni telefoniche nel corso delle quali B promette lucrose consulenze e ancora più lucrosi appalti al magnaccia e ai suoi amici; e anche manifesta preferenze per pratiche sessuali particolari e aspetto fisico delle donne con cui vuole accoppiarsi. Il magnaccia e il suo avvocato si leggono il provvedimento del gip che, per legge, da quel momento è pubblico. Il Fatto pubblica le trascrizioni; l’autore, il direttore e il vice direttore (non vedo perché Marco Travaglio se la debba passare liscia) vengono denunciati e incriminati. Tutti chiederanno di essere sentiti dal pm e lì confesseranno la loro responsabilità penale: è vero, ho commesso il fatto e l’ho commesso con piena consapevolezza di violare la legge.

Saranno quindi rinviati a giudizio (a piede libero: incensurati e con ragionevole probabilità di godere della sospensione condizionale della pena) oppure avanti al gip. Qui eccepiranno l’incostituzionalità della legge bavaglio per violazione dell’art. 21 della Costituzione e il giudice quasi certamente riterrà la questione “non manifestamente infondata” e la trasmetterà alla Corte. Questo per via dei precedenti di seguito sommariamente indicati:

Il diritto di cronaca può essere esercitato, anche quando ne possa derivare lesione all’altrui reputazione, purché: la notizia sia vera; esista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti; l’informazione sia mantenuta nei giusti limiti di obbiettività. (Cass. pen., 10/12/1997, n. 1473).

La libertà di cronaca (comprensiva della acquisizione delle notizie) e la libertà d’informazione, sono i cardini del regime di democrazia garantito dalla Costituzione; la stampa è strumento essenziale di quelle libertà. (Corte cost., sent. n. 1/1981)

La Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo sancisce (art. 10), il principio della libertà di manifestazione del pensiero. Tale diritto abbraccia la libertà di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche. I limiti della critica esercitabile nei confronti di dirigenti politici sono più ampi di quelli relativi ai semplici privati. (CEDU, 8/7/1986, Lingens c. Austria; 25/3/1985, Barthold c. Repubblica Federale di Germania).

Il diritto della stampa di informare su indagini in corso e quello del pubblico di ricevere notizie su inchieste scottanti prevalgono sulle esigenze di segretezza. (CEDU 7/6/2007)

Gli Stati contraenti sono vincolati ad uniformarsi alle interpretazioni che la Corte di Strasburgo dà delle norme della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. (Corte cost. sent. 39/2008)

La Corte dichiarerà la legge bavaglio incostituzionale (con questi precedenti!) e noi ce ne torneremo in redazione e ci ubriacheremo tutti. Ma, se non andasse così, ricominceremo tutto daccapo in Appello e in Cassazione (non l’eccezione di incostituzionalità già respinta e che non avrebbe senso riproporre). Condannati (tecnicamente siamo colpevoli), faremo ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ci darà ragione sicuramente e condannerà B e i suoi amici a darci un sacco di soldi per risarcimento danni. Molto più ricchi di prima, torneremo in redazione e ci ubriacheremo con champagne millesimato. Insomma: B&C non imparano mai. Non basta far scrivere al Parlamento norme stupide per farle diventare leggi dello Stato; bisogna che siano conformi alla Costituzione italiana; e anche ai principi fondamentali delle democrazie occidentali. Con buona pace di B, il mondo, non comincia e non finisce ad Arcore.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/09/caimano-arrestaci-tuttitanto-il-bavaglio-e-bucato/163022/

Perché gli italiani non si ribellano. - di Marco Travaglio



Marco Travaglio


All'estero se lo chiedono tutti. ma la risposta è semplice: perché la grande maggioranza delle persone non sa la verità. Essendo informata da un sistema televisivo che rifila loro una balla dopo l'altra. Ah, a proposito: si chiama regime.


Ad Anne Wintour, direttrice di "Vogue", che si domanda cosa aspettino gli italiani a ribellarsi, qualcuno dovrebbe spiegare quante notizie arrivano alla gran parte degli italiani: poche e perlopiù taroccate. Anni fa Giovanni Sartori spiegò che l'Italia è "un regime" perché "nelle democrazie le bugie hanno le gambe corte", mentre qui, con il controllo politico sull'informazione che conta, "hanno gambe lunghissime". C'è solo l'imbarazzo della scelta.

Fiumi di parole e di inchiostro per stigmatizzare lo scandalo delle "100 mila intercettazioni" dell'inchiesta di Bari sulle escort del duo Tarantini&Berlusconi. "Cose da pazzi, e il Csm zitto", tuona Angelo Panebianco sul "Corriere". Persino il cardinale Angelo Bagnasco, per indorare l'anatema contro i "comportamenti licenziosi" del premier, denuncia "l'ingente mole di strumenti d'indagine". E tutti a ripetere a pappagallo quella cifra astronomica senza prendersi la briga di verificarla. Bene, sapete quante sono le persone intercettate per mesi dalla Guardia di Finanza di Bari nell'inchiesta sul mega-giro di prostituzione, cocaina e tangenti messo in piedi da Tarantini? Quindici, diconsi 15.

Centomila sono i "contatti" complessivi: cioè le telefonate e gli sms in arrivo e in partenza dalle numerose utenze fisse e cellulari dei 15. Più le conversazioni captate dalle "ambientali" (le cimici) in abitazioni, automobili, uffici: ogni volta che una persona presente nel luogo "ascoltato" inizia a parlare, si conta un contatto; poi segue il silenzio, rotto da una nuova frase che costituisce un altro contatto. Così, per mesi e mesi, si arriva al totale di 100 mila. Altro che "cose da pazzi" e "ingente mole".

Altro scandalo: Minzolini indagato per non avere reintegrato Tiziana Ferrario. Lui strepita nel solito editoriale: "Mi vogliono intimidire". "Il Giornale" spara: "Chi difende il Cav deve pagare. Indagano pure il Tg1". E "Libero", a ruota: "Lo attaccano per aver cacciato la Ferrario". Poi si scopre che Minzolini è indagato perché la Ferrario ha vinto la causa in primo e in secondo grado per il demansionamento subìto "per motivi politici", il giudice ha ordinato a Minzolini di reintegrarla al suo posto e Minzolini se n'è infischiato. Purtroppo in Italia, come in ogni Stato di diritto, disobbedire a una sentenza esecutiva è reato: abuso d'ufficio e inosservanza dell'ordine del giudice. 



Altra bufala: tutti i giornali, fuorviati da un lancio farlocco di agenzia, annunciano che l'8 novembre inizierà alla Corte d'appello di Caltanissetta il processo di revisione per Bruno Contrada, condannato in Cassazione a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Esultano Contrada, il suo avvocato e il solito coro di trombettieri. Peccato che non sia vero niente: all'udienza dell'8 novembre la Corte deciderà solo se ammettere o respingere l'ennesima richiesta di revisione (dopo che altre due erano finite nel nulla).

Ultima patacca: secondo 50 scienziati e quasi tutta la stampa italiana, il processo iniziato all'Aquila contro i membri della commissione Grandi Rischi della Protezione civile, accusati di omicidio colposo plurimo per i morti del terremoto del 2009, sarebbe una follia e una grave violazione della libertà scientifica. Perché, ripetono tutti a pappagallo, "i terremoti non si possono prevedere", dunque non ha senso processare chi non previde il sisma dell'Aquila. Già, ma i cervelloni della Grandi Fiaschi sono imputati per avere previsto che non ci sarebbe stato alcun terremoto, rassicurando la popolazione che fino a quel giorno, in sei mesi di sciame sismico, a ogni scossa scendeva in strada e dormiva all'addiaccio, mentre dopo le rassicurazioni dei Bertolaso Boys molti si tranquillizzarono e ripresero a dormire a casa, dove li colse la scossa fatale del 6 aprile, e in 309 morirono sotto le macerie.

Basta un pizzico di logica per comprendere che, se non si può prevedere che un terremoto ci sarà, non si può nemmeno prevedere che non ci sarà: chi lo fece, il 31 marzo 2009, diffuse notizie fasulle. L'esatto contrario di ciò che dovrebbe fare uno scienziato serio. Lo scrive, in uno splendido articolo su "Nature" ripreso da "Internazionale", il giornalista inglese Stephen S. Hall. Anche se conosce poco l'Italia. O forse proprio per questo.



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/perche-gli-italiani-non-si-ribellano/2163180

Cucinare in lavastoviglie, l'ultima frontiera del risparmio energetico.






Roma, 8 ott. (Adnkronos) - Come primo un couscous con zucchine, piselli e menta, per secondo il rombo su letto di porri, crema di baccelli e germogli e per finire un dessert alle ciliegie con panna e pistacchi. Niente male come menu', ma la sua particolarita' e' che tutte le portate sono state cotte in lavastoviglie. Sembra impossibile, ma non lo e': cucinare in lavastoviglie non solo e' semplice e sicuro, ma anche sostenibile perche' permette di cuocere a costo zero senza sprecare ulteriore acqua o energia.


Basta utilizzare i contenitori giusti perche' gli alimenti non vengano a contatto con i detersivi, e poi scegliere il ciclo di lavaggio piu' adatto a ogni preparazione, tenendo conto dei tempi e delle temperature dell'elettrodomestico. Per esempio, per cuocere un uovo a 60-65°C, e ottenere una vera e propria delizia, ci sono due possibilita': o immergere l'uovo in una pentola d'acqua e monitorare la temperatura costantemente per almeno un'ora, oppure metterlo in un vasetto di vetro, aggiungere acqua, chiudere bene il coperchio e inserirlo in lavastoviglie, tra i piatti da lavare. Una volta selezionato il ciclo di lavaggio 'normale', che oscilla tra i 50 e i 70°C, il gioco e' fatto.
L'acqua e il vapore del lavaggio penseranno a cuocere la pietanza al posto nostro e il risultato sara' sorprendente, perche' le cotture che utilizzano le basse temperature permettono di preservare ed esaltare le proprieta' nutritive e organolettiche dei cibi. Basta seguire alcune linee guida e iniziare, per stare sicuri, con le ricette di Lisa Casali, eco-foodblogger con la passione per la cucina, che dopo aver sperimentato la tecnica con successo, ha scritto il libro "Cucinare in lavastoviglie. Gusto, sostenibilita' e risparmio con un metodo rivoluzionario".
Il volume, pubblicato da Edizioni Gribaudo, contiene ricette che esaltano le virtu' della cottura a bassa temperatura, quella del lavaggio in lavastoviglie che oscilla tra i 55 e i 75°C, perfetta per cotture lunghe e delicate, facili e a ridotto impatto ambientale. Tutti i modelli di lavastoviglie, spiega la Casali, hanno almeno quattro programmi di lavaggio in comune (rapido, eco, normale e intensivo), ognuno con specifiche durate e temperature.
Le ricette proposte sono studiate per essere pronte esattamente nel tempo del ciclo di lavaggio scelto.Cosi', mentre la lavastoviglie e' in funzione, si puo' sfruttare la durata del programma (da 30 minuti a 3 ore circa) per preparare raffinate pietanze senza dover badare alle pentole sul fuoco.Basta inserire gli ingredienti indicati nelle ricette nei vasetti di vetro o nei sacchetti per alimenti, trovare lo spazio giusto tra piatti e bicchieri e lanciare il lavaggio.
Niente paura per quanto riguarda l'igiene: le analisi chimiche effettuate su alcuni campioni di pietanze preparate dalla Casali in lavastoviglie dimostrano che impiegando i giusti contenitori non c'e' rischio di contaminazione, senza contare che la cottura in lavastoviglie elimina anche il fastidioso problema degli odori che invadono casa quando si cucina con metodi tradizionali.
Insomma, basta superare l'iniziale diffidenza, abbandonare ogni pregiudizio e cimentarsi con i menu' proposti nel libro, uno per ogni stagione. Perche' per essere davvero sostenibili bisogna fare attenzione alle materie prime e scegliere quelle che la natura mette a disposizione nei vari periodi dell'anno. No a pesci, crostacei o molluschi sovrasfruttati o a rischio di estinzione, si' ai tagli di carne seconda e terza scelta.
I pasti preparati in lavastoviglie stupiranno, secondo l'autrice del libro, per gusto e aroma. E in piu', alcuni alimenti cotti con questo metodo, possono essere conservati in frigorifero anche fino a 3 giorni.
Naturalmente, anche il libro "Cucinare in lavastoviglie" e' attento all'ambiente: oltre a scegliere carta certificata si sono compensate le emissioni di Co2 derivanti dalla stampa delle varie copie aderendo al progetto Impatto Zero di Lifegate.



L’associazione del Garda rifiuta Brancher “E’ condannato, si faccia da parte” - di Mario Portanova




Nel processo sulla scalata di Antonveneta il parlamentare del Pdl ha preso due anni in via definitiva per ricettazione e appropriazione indebita. Contro di lui pronte le interpellanze degli amministratori locali: "'Lago di Garda tutto l'anno' è un'istituzione pubblica e la sua carica è incompatibile".

Dopo aver stabilito il record di ministro più breve d’Italia (dal 18 giugno al 6 luglio 2010 è stato ministro per l’attuazione del federalismo del quarto governo Berlusconi), il parlamentare del Pdl Aldo Brancher rischia di perdere un’altra poltrona. Motivo: la condanna definitiva a due anni di reclusione per ricettazione e appropriazione indebita rimediata al processo sulla scalata di Antonveneta, ramo del noto scandalo dei “furbetti del quartierino”.

Brancher, infatti, è presidente di Lago di Garda tutto l’anno, un’associazione di 25 comuni della Riviera, tra Veneto, Lombardia e Trentino: da Riva a Desenzano, da Sirmione a Salò, da Malcesine a Lonato, e così via. Solo che in molti consigli comunali coinvolti nel progetto spira aria di rivolta e sono in arrivo interpellanze contro il presidente-parlamentare. “Lago di Garda tutto l’anno” è un’istituzione partecipata da Comuni, quindi – questa la tesi – regolata dal Testo unico sugli enti locali. Che vieta la presidenza di organizzazioni di quel tipo a chi è stato condannato in via definitiva a una pena non inferiore a due anni.

“Lago di Garda tutto l’anno” è costituita il 16 aprile 2011, previa approvazione della relativa delibera da parte di tutti i consigli comunali coinvolti. I Comuni non hanno alcun impegno finanziario – il progetto è raccogliere fondi da sponsor privati – ma in occasione delle manifestazioni devono fornire “senza oneri” agli organizzatori “spazi pubblicitari, suolo pubblico, autorizzazioni, utenze, allestimenti, impianti di amplificazione, pulizia, custodia” e altri servizi che un costo ce l’hanno.

Proprio il veneto Brancher ne è stato l’ispiratore e promotore. Da un po’ l’ex prete diventato manager di Publitalia, e protagonista di numerose vicende giudiziarie, si dà da fare nel settore turistico lacustre. Il 14 gennaio era stato nominato presidente – con firma del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e del ministro dell’Economia Giulio Tremonti – dell’Organismo di indirizzo, un nuovo ente parastatale dotato di fondi pubblici per 160 milioni di euro destinati “ai soli comuni veneti e lombardi delle fasce di confine di Trento e Bolzano”, come ricostruisce una recente inchiesta dell’Espresso.

Brancher diventa presidente della neonata associazione (inutile cercare l’organigramma sul sito dell’ente), anche se gli grava sulle spalle una condanna in appello a due anni di reclusione per ricettazione e appropriazione indebita. Non certo un bel biglietto da visita per l’amministratore di un’associazione pubblica. Il 4 agosto la Corte di cassazione respinge il ricorso del parlamentare: la condanna diventa definitiva e va ad aggiungersi a un curriculm giudiziario già movimentato.

Poco più di una settimana dopo, il 13 agosto, “Lago di Garda tutto l’anno” debutta a Malcesine con la sua prima iniziativa, “La grande notte delle stelle”, con un’esibizione di Enrico Ruggeri e fuochi d’artificio fnali, iniziativa che suscita perplessità sul rapporto tra i costi e i benefici reali.

Passata l’estate, il malcontento di diversi amministratori locali verso questo nuovo ente che spende soldi pubblici in nome della promozione turistica proprio mentre i tagli falciano gli uffici pubblici preposti intravede una via di sfogo. Il Testo unico sugli enti locali (decreto legislativo 267 del 2000), all’articolo 58 recita: “Non possono ricoprire le cariche di presidente delle aziende speciali e istituzioni (…) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva a una pena definitiva non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo”. E una volta venuto a conoscenza della condanna, “l’organo che ha provveduto alla nomina” deve revocarla.

Su questa base, diversi consiglieri dei comuni coinvolti stanno preparando interpellanze per sollevare il caso, e alcuni di loro frequentano la pagina Facebook anti-Brancher. Se la legge è dalla loro parte lo stabilirà nel caso un giudice. Ma la curiosità sui criteri di meritocrazia che regolano le carriere nel fronte berlusconiano resta.