I messaggi veicolati all’esterno, in particolare ai mercati, e quello che accadeva all’interno dell’azienda che i commissari hanno descritto come una sorta di tentativo di “distruggere” l’Ilva. È uno dei punti attorno ai quali si stanno concentrando gli accertamenti della Guardia di finanza che martedì ha sequestrato documenti e corrispondenza di posta elettronica negli uffici di ArcelorMittal – oltre che nella sede di Deloitte e in uno studio di consulenza milanese – proprio per comprendere se c’è stata discrepanza o meno tra le comunicazioni rese e il modus operandi negli uffici. Lo spazio temporale degli accertamenti è stato circoscritto agli ultimi tre mesi. Ma c’è una data di particolare interesse investigativo, quella del 17 settembre 2019. Quel giorno ArcelorMittal Italia – replicando al contenuto di un documentario italo-francese Mittal, il volto nascosto dell’Impero, realizzato nel 2014 e proiettato nella serata a Taranto - scriveva tra le altre cose che “l’Europa era e rimane una regione molto importante per il Gruppo” e “abbiamo completato la nostra presenza sul territorio con l’acquisizione di Ilva”, confermando il “pieno impegno” a “portare avanti le attività” in Italia “dove stiamo investendo per realizzare un piano ambientale e industriale molto ambizioso, per un totale di 2,4 miliardi di euro”.
Quando Morselli disse: “Garantirò il futuro”. L’inchiesta copre quindi almeno due catene di comando della multinazionale dell’acciaio. Quella che fa capo a Matthieu Jehl, storico dirigente dell’azienda, che dal 1° novembre 2017 allo scorso 15 ottobre è stato l’amministratore delegato per il ramo italiano, e quella riconducibile a Lucia Morselli, subentrata proprio al manager belga negli ultimi 40 giorni. Si presentò così nel giorno in cui è stato annunciato il cambio al vertice: “Non esiste forse oggi in Italia una sfida industriale più grande e più complessa di quella degli impianti dell’ex Ilva. Sono molto motivata dall’opportunità di poter guidare ArcelorMittal Italia, e farò del mio meglio per garantire il futuro dell’azienda e far sì che il suo contributo sia apprezzato da tutti gli stakeholder“. Salvo, poi, dopo una ventina di giorni, il 4 novembre, comunicare il recesso e la risoluzione “relativa al contratto di affitto dei rami d’azienda Ilva”, a causa, si leggeva nella comunicazione della società, di “una situazione di incertezza giuridica e operativa che ne ha ulteriormente e significativamente compromesso la capacità di effettuare necessari interventi presso Ilva e di gestire lo stabilimento di Taranto”.
L’ipotesi di voler “cancellare” Taranto. Nel mezzo, come noto, c’è stato l’affossamento della norma che avrebbe reintrodotto l’immunità penale, inserita nel decreto Salva Imprese. Ma se le ipotesi formulate dai commissari straordinari nel ricorso d’urgenza ex articolo 700 e nell’esposto alla procura di Taranto dovessero essere giuste, lo scudo sarebbe solo un “pretesto sotto gli occhi di tutti”, come lo chiamano nelle 70 pagine depositate al Tribunale civile di Milano i legali dei tre gestori di Ilva in amministrazione straordinaria. E dietro ci sarebbe invece un “preordinato illecito disegno”, ordito con “finalità lesive”. Tradotto: per “cancellare” il siderurgico di Taranto ed eliminare così un “concorrente” nel mercato europeo dell’acciaio. Tra le varie contestazioni, ad esempio, c’è quella della scarsa manutenzione degli altoforni già dal momento dell’ingresso nell’acciaieria pugliese che è un’ipotesi sulla quale indagano anche gli inquirenti pugliesi.
Il focus sulle comunicazioni e i rifornimenti. Nel mirino dei pm, dunque, ci sono i comunicati ufficiali con cui la filiale italiana del gruppo, guidata prima da Jehl e poi da Morselli, potrebbe aver manipolato il mercato con false informazioni, mentre sarebbe stato in corso, in realtà, un “depauperamento” dell’azienda in vista della sua uscita dall’Italia. Gli inquirenti analizzano, poi, anche alcune dichiarazioni pubbliche rilasciate da Morselli nello stesso breve periodo, oltre anche ad alcune comunicazioni precedenti dell’azienda, prima che si insediasse il nuovo amministratore delegato tra cui quella del 17 settembre. Dubbi e ipotesi da verificare e che potranno essere chiarite non solo attraverso la corposa documentazione (si parla di terabyte di materiale) portata via dai finanzieri ma anche dalle dichiarazioni dei teste che in questi giorni sono stati convocati in procura dai pm Stefano Civardi e Mauro Clerici che, coordinati dall’aggiunto Maurizio Romanelli, stanno portando avanti l’inchiesta che ipotizza il reato di aggiotaggio informativo.
I testimoni e le operazioni infragruppo. Non a caso tra i primi ascoltati come persone informate sui fatti – allo stato infatti l’inchiesta resta contro ignoti – sono stati sentiti due dirigenti di ArcelorMittal che operano nell’area commerciale e Steve Wampach, general manager del gruppo e direttore finance di ArcelorMittal Italia. La ‘crisi pilotata’, se verificata, si sarebbe infatti concretizzata – secondo l’ipotesi investigativa – anche attraverso l’acquisto a prezzi gonfiati di materie prime dalla società brasiliana Itabrasco – che è una joint venture tra Vale e Ilva in amministrazione straordinaria – attraverso l’intermediazione di una società di trading olandese del gruppo ArcelorMittal. Da verificare quindi se i prezzi a cui la multinazionale ha comprato siano stati davvero più alti rispetto ai valori di mercato, anche tenendo conto dei costi di intermediazione e trasporto. E qui si innesta la seconda contestazione – al momento contro ignoti – di violazione della legge fallimentare che è contestata dal novembre 2018. L’interesse in questo caso si sta concentrando sul contratto d’affitto tra l’Ilva in amministrazione straordinaria e le società del gruppo controllanti e controllate, i rapporti con fornitori e clienti, “con particolare riferimento alla continuità degli ordinativi passivi e attivi” e alle società che hanno comprato e venduto materie prime – come Itabrasco – per comprendere se è stato eroso il patrimonio di Ilva, tenendo presente che i commissari hanno messo nero su bianco di aver consegnato ad ArcelorMittal un magazzino dal valore di circa 500 milioni di euro.