Quindi i droni russi finiti in Polonia non erano russi, ma addirittura missili polacchi. Eppure quell’idiota di Zelensky diceva di avere le prove, e tutta l’armata Brancaleone della NATO parlava di attacco deliberato da parte di Putin e Lavrov.
Ovviamente stendiamo un velo pietoso sulla stampa di regime, che continua a scavare anche dove non è possibile scavare.
Ma comunque, hanno usato una casa polacca per dimostrare l’attacco russo, salvo poi scoprire che quella casa era stata colpita da un missile a stelle e strisce, lanciato da un F-16 polacco. Ma pensa te!
Ora, chi glielo dice a Mattarella che, immediatamente dopo questa ennesima bugia targata NATO, si era precipitato in paragoni con il 1914 e la Prima guerra mondiale? Chi glielo dice ai pennivendoli che hanno sprecato fiumi di inchiostro per scrivere l’ennesima bugia targata NATO? E chi glielo dice al Papa, che giusto ieri ha benedetto e assolto la NATO senza bisogno che essa passasse dal confessionale?
Ma soprattutto, chi glielo dice a Putin, Lavrov e ai dirigenti russi che quegli imbecilli della NATO si smentiscono da soli, a casa loro, senza che dal Cremlino muovano un dito?
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 18 settembre 2025
Bugia targata NATO. - Giuseppe Salamone
lunedì 19 maggio 2025
Oleksandr Shyrshyn, comandante ucraino. - Giuseppe Salamone
Vi ricordate quando ci raccontavano a reti unificate che l'invasione di Kursk avrebbe "cambiato la guerra"? Vi ricordate che, quando dicevamo che sarebbe stata un fallimento e una mattanza di ucraini che non spostava una virgola, ci accusavano di essere delle spie del Cremlino?
E vi ricordate quando la donna, madre e cristiana sbraitava e scommetteva sulla vittoria dell'Ucraina? Ecco, leggete queste parole non di un membro dei servizi segreti russi, ma di uno dei migliori comandanti ucraini, Oleksandr Shyrshyn:
"Non ho mai ricevuto incarichi più stupidi di quelli attuali. Vi racconterò i dettagli in futuro, ma la perdita di personale è stata stupida. Tremare davanti al fatto che un generale incompetente non porti ad altro che fallimenti. Sono capaci solo di rimproveri, indagini, imposizione di sanzioni. Andranno tutti all’inferno. Grazie Stato Maggiore delle Forze Armate dell’Ucraina! Spero che anche i vostri figli siano in fanteria e svolgano i vostri compiti."
Questa è la dimostrazione lampante di come abbiano usato gli ucraini come carne da macello per far avanzare gli interessi di Washington e della Nato ai confini della Russia. Questa è la dimostrazione di quello che abbiamo sempre detto. Due cose su tutte: che la Russia non potesse essere sconfitta e che l'esercito ucraino fosse usato come carne da cannone. Adesso lo dicono anche loro, i comandanti ucraini. Però poi i cattivi sarebbero sempre gli altri...
P.S: stasera ne parleremo con Roberto Iannuzzi, grande analista coraggioso, su YouTube.
T.me/GiuseppeSalamone
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domenica 28 febbraio 2021
Sull’Arabia Saudita Renzi si intervista da solo. Rivendica i rapporti e i soldi ricevuti. E attacca Pd-M5s-Leu: “Uniti solo contro di me”.
Il leader di Italia viva risponde con una auto-intervista alle richieste di chiarimenti da parte degli ex alleati di governo sui suoi rapporti con il principe Bin Salman. L'ex premier si fa le domande e si dà le risposte da solo. E il report della Cia che accusa direttamente l'erede al trono dell'omicidio di Khashoggi non cambia le sue posizioni.
Aveva garantito che avrebbe convocato una conferenza stampa per chiarire i suoi rapporti con il regime saudita, alla fine ha deciso di auto-intervistarsi. Matteo Renzi, di fronte alle richieste di Pd-M5s-Leu di spiegazioni sui legami con il principe Bin Salman e sulla sua partecipazione a Riad agli eventi della fondazione Future Investment Initiative Institute (del cui advisory board è membro con un compenso fino a 80mila euro annui), ha deciso di diffondere una Enews dove si fa da solo le domande e si dà le risposte. Solo ieri, l’amministrazione Biden ha diffuso un report della Cia che accusa direttamente il principe dell’efferato omicidio del giornalista Khashoggi. Lo stesso principe saudita “intervistato” dal leader di Italia viva, durante una conferenza per la quale è volato a Riad nel pieno della crisi di governo del Conte 2: un colloquio diffuso poi su Youtube nel quale l’ex premier parla in toni entusiastici di un presunto “nuovo Rinascimento” dell’Arabia saudita e si spinge a dire che invida il loro “costo del lavoro”. Secondo Pd-M5s-Leu, il chiarimento ora, alla luce delle accuse della Cia, non è più solo questione di “opportunità”, ma una faccenda di “interesse nazionale“.
Renzi alle critiche risponde auto-intervistandosi: rivendica non solo i rapporti, ma anche i soldi ricevuti. E attacca gli ex alleati di governo, dicendo che “sanno essere uniti solo contro di lui”. E soprattutto, nelle cinque risposte ai suoi stessi interrogativi non cita mai il principe Bin Salman e, di fatto, non entra mai nel dettaglio dei fatti che gli vengono contestati. “Tu, Matteo Renzi, svolgi attività stile conferenze o partecipazione ad advisory board o attività culturali o incarichi di docente presso università fuori dall’Italia?”, è la domanda 1, ovvero quella che dovrebbe chiarire la questione dei compensi. “Risposta: Sì. Svolgo attività previste dalla legge ricevendo un compenso sul quale pago le tasse in Italia. La mia dichiarazione dei redditi è pubblica. Tutto è perfettamente legale e legittimo“.
Per evitare di entrare nel dettaglio degli 80mila euro, allora Renzi risparmia a se stesso la seconda domanda e passa subito a una domanda che riguarda presunti finanziamenti ai partiti italiani: “Il tuo partito, Pd prima e Italia Viva poi, ha ricevuto da governi stranieri – o agenzie collegate – finanziamenti per la propria attività politica?”. “Risposta. No. Il Pd sotto la mia gestione e Italia Viva dalla sua nascita non hanno mai ricevuto denari da governi stranieri o strutture ad essi collegati. Mi auguro che possano dirlo tutti gli altri partiti, a cominciare da chi in passato ha stretto rapporti strategici con il Venezuela”. Un riferimento a una vicenda sollevata dal giornale spagnolo Abc a giugno scorso su presunti finanziamenti al M5s, smentita dall’ambasciata di Caracas che parlò di un “documento contraffatto”. E che al momento non ha avuto alcuna conferma.
Archiviata quindi in poche righe la questione dei soldi ricevuti e come questi siano legati al regime saudita, Renzi passa appunto ai rapporti con il principe messo sotto accusa dalla Cia. Domanda 3, Renzi si chiede qualche dettaglio in più sui rapporti con il regime saudita. “E’ giusto intrattenerli”? “Risposta: Sì. Non solo è giusto, ma è anche necessario. L’Arabia Saudita è un baluardo contro l’estremismo islamico ed è uno dei principali alleati dell’Occidente da decenni”. E per sostenere la sua tesi, cita il presidente degli Stati uniti: “Anche in queste ore il Presidente Biden ha riaffermato la necessità di questa amicizia in una telefonata al Re Salman. Biden ha, tuttavia, ribadito la necessità di procedere con più determinazione sulla strada del rispetto dei diritti. Non dimentichiamo che, fino a cinque anni fa, in Arabia Saudita le donne non potevano nemmeno guidare la macchina. Le esecuzioni capitali stanno scendendo da 184, nel 2019, a 27 nel 2020. Ma Biden ha chiesto giustamente di fare di più. Soprattutto sulla questione del rispetto dei giornalisti. Sulla quale rimando alla domanda numero 5″. A questo punto sarebbe stata necessaria un’altra domanda, piuttosto sull’opportunità di Renzi come senatore e leader di partito (non è un capo di Stato) di avere rapporti con il regime saudita. Ma anche in questo caso, ha deciso di non farsela.
Anzi, alla domanda 4, Renzi ha chiesto a se stesso di parlare di più del programma Vision 2030, ovvero il programma di riforme voluto, finanziato e portato avanti da Bin Salman. “Hai elogiato pubblicamente il Programma Vision 2030. Ti sei pentito di averlo fatto?”. “Risposta: No. Credo in questo programma. Vision2030 è la più grande possibilità per modernizzare l’Arabia Saudita. Ed è una grandissima opportunità anche per le aziende di tutto il mondo che lavorano lì, tra cui moltissime italiane. Rispettare i diritti umani è una esigenza che va sostenuta. Ma chi conosce il punto dal quale il regime saudita partiva sa benissimo che Vision 2030 è la più importante occasione per sviluppare innovazione e per allargare i diritti”. Insomma, Renzi non fa più ricorso all’infelice espressione “nuovo Rinascimento”, giù usata pubblicamente per magnificare l’Arabia saudita, ma di certo non rivede le sue posizioni.
Infine, solo alla domanda 5, arriva a parlare dell’efferato omicidio del giornalista Khashoggi, tagliato a pezzi nell’ambasciata saudita di Istanbul. “Perché tu, Matteo Renzi, non hai condannato la tragica scomparsa del giornalista saudita?”, si chiede. “Risposta: Ho condannato già tre anni fa quel tragico evento e l’ho fatto anche nelle interviste sopra riportate, su tutti i giornali del mondo. Difendere i giornalisti in pericolo di vita è un dovere per tutti. Io l’ho fatto sempre, anche quando sono rimasto solo, come nel Consiglio Europeo del 2015, per i giornalisti turchi arrestati. Difendere la libertà dei giornalisti è un dovere, ovunque, dall’Arabia Saudita all’Iran, dalla Russia alla Turchia, dal Venezuela a Cuba, alla Cina”.
Quindi, a conclusione della sua auto-intervista (“io non scappo mai”, dice a se stesso), parla degli ex alleati di governo. E li attacca per le richieste di chiarimento arrivate in queste ore: “Sono, del resto, felice perché in queste settimane, dopo la fine dell’esperienza del governo Conte (l’ex premier, peraltro, ha ripreso a insegnare proprio a Firenze, auguri sinceri di buon lavoro), i Cinque Stelle, il Pd e persino Leu sono dilaniati da polemiche interne. Litigano su tutto, a cominciare dai posti al governo. Sono davvero felice di essere uno dei rari motivi di unità: si ricompattano solo per sparare a zero su di me”. E chiude: “Mi spiace solo che si utilizzi la vicenda saudita per coprire le difficoltà interne italiane e per giustificare un’alleanza dove – come spesso è accaduto a una certa sinistra – si sta insieme contro l’avversario e non per un’idea”.
domenica 15 novembre 2020
Autostrade mentì allo Stato che non ha mai controllato. - Carlo Di Foggia e Valeria Pacelli
I controlli su Autostrade per l’Italia da parte della vigilanza del Ministero delle Infrastrutture dal 2016 al 2019 sono stati “cartolari”, ossia si basavano sui documenti forniti dalla concessionaria. Peccato però che, come ricostruito nelle carte dell’inchiesta della Procura di Genova, nella documentazione inviata al Ministero la reale situazione delle barriere fonoassorbenti (per i pm pericolose e sostitute tardi) veniva occultata. Lo scrive il Gip di Genova Paola Faggioni nell’ordinanza di misura cautelare ai domiciliari emessa per l’ex Ad di Autostrade Giovanni Castellucci e i manager Michele Donferri Mitelli e Paolo Berti. L’inchiesta riguarda le barriere fonoassorbenti e antivento installate in tutta Italia da Aspi (il modello “Integautos”). Secondo le accuse, nonostante il vecchio management fosse consapevole della loro pericolosità non ha provveduto a sostituirle subito. Questo per evitare “gli ingentissimi costi che tali attività avrebbero comportato”.
Si deciderà di sostituirle solo a partire da gennaio scorso dopo che il consulente della procura di Genova, l’ingegnere Placido Migliorino, capo dell’ufficio ispettivo di Roma, stila una pesante perizia sulle criticità. Il tecnico fa a pezzi l’operato della concessionaria: errori progettuali; materiali di ancoraggio “non certificati” (sono “incollate col Vinavil”, dice un manager intercettato); difetti nella posa in opera; consegna al ministero di perizie incomplete; omissione degli atti di collaudo e via discorrendo. A parere di Migliorino, il problema poteva “essere risolto in maniera definitiva solo con l’integrale sostituzione”.
Il caso delle barriere è noto ad Aspi da novembre 2016, quando alcune si staccarono dal viadotto Rezza per il vento. Ma perché si è dovuto aspettare l’intervento dei pm? Mercoledì dal ministero hanno fatto sapere di aver “imposto il monitoraggio effettuato da società terze” perché “prima i controlli venivano effettuati da società interne agli stessi concessionari”, che nel caso di Aspi era Spea Engineering. E di aver istituto “l’agenzia di sicurezza Ansfisa” con 50 persone in più della direzione concessioni dedicate alla “verifica e all’approvazione dei programmi di manutenzione”. L’agenzia, voluta due anni fa dall’allora ministro Toninelli non è però ancora operativa ed è stata azzoppata da un emendamento che l’ha resa solo ‘promotrice’ della sicurezza e non ‘responsabile’ come pensato quando fu istituita.
Stando alle indagini di Genova, i documenti inviati da Aspi al ministero fornivano una visione distorta della condizione delle barriere. Il gip parla di “sistematico occultamento della situazione, attuato anche attraverso vari artifici quali l’abbassamento delle ribaltine adducendo motivi fittizi, il rialzo delle stesse nei casi nei quali le proteste richiamavano l’attenzione, l’omessa comunicazione delle problematiche allo Stato e addirittura anche il tentativo di aggiustamento di atti presso la Polizia Stradale”. Delle mancate comunicazioni al Ministero parla anche un ex responsabile dei lavori di Aspi. Ai pm dice – sintezza il gip – che “le disposizioni di servizio che ordinavano l’abbattimento delle ribaltine nell’area ligure sono state inviate al primo Tronco di Aspi e a Spea…, ma non al Mit”.
L’indagine della procura di Genova riguarda 30 km di barriere installate in Liguria da Autostrade (60 in tutta Italia), ma negli atti si parla di strutture molto più estese sul territorio. Per il Gip, da un’intercettazione, emerge che erano 400 i chilometri da adeguare. La domanda è: oltre la Liguria, ci sono altre tratte sulle quali intervenire? La palla passa al Ministero che potrebbe effettuare verifiche più estese e non “cartolari”, come fatto finora.
Intanto l’inchiesta complica la trattativa tra Atlantia e il governo per cedere il controllo di Aspi alla Cassa depositi e a due fondi speculativi. Mercoledì, dopo gli arresti, in un teso vertice video il Tesoro avrebbe fatto presente agli uomini della holding che il prezzo dovrà calare. Risposta: non se ne parla.
martedì 10 novembre 2020
“È falso”: ora cominciamo a dirlo forte. - Antonio Padellaro
“Non esiste nessuna contea degli Stati Uniti nelle quali ci siano stati più voti che votanti. L’informazione fornita da Matteo Salvini venerdì scorso, in chiusura di questa trasmissione, era una notizia falsa. Punto e basta”. Questa puntuale rettifica di Simone Spetia, conduttore di 24 Mattino su Radio 24, rappresenta una difesa efficace del diritto vitale dei cittadini alla corretta informazione, ora più che mai minacciata dalla bomba atomica delle fake news. Non è difficile immaginare, infatti, cosa potrebbe diventare avanti di questo passo la sala ovale della Casa Bianca nei settanta giorni che separano l’America e il mondo dall’ingresso di Joe Biden: una centrale di contaminazione permanente e ossessiva della realtà dei fatti. A meno che, come molti si augurano (ma pochi ci sperano) Donald Trump non ascolti chi, nel Partito Repubblicano e perfino nelle stanze accanto, starebbe cercando di convincerlo ad accettare il verdetto delle urne e a ritirarsi in buon ordine senza gettare altra benzina sul fuoco. Perché la strategia presidenziale della menzogna, oltre a fomentare le milizie dei pazzoidi che si aggirano per l’America muniti di armi automatiche, può motivare i numerosi avvelenatori di pozzi che prosperano dappertutto sul negazionismo complottista. Non desta infatti grande sorpresa che il cosiddetto leader italiano impegnato a spargere disinformazione sulla legittimità del voto negli Stati Uniti, sia il medesimo che sulla pericolosità del Covid ha detto tutto e il contrario di tutto, togliendosi e mettendosi la mascherina. Giorgia Meloni ha ragione quando sostiene che il populismo non è affatto finito, come dimostra l’accresciuto consenso ottenuto da Trump. E che la sinistra, oltre a esultare per la vittoria di Biden farebbe bene a non descrivere l’avversario come “un mostro pericoloso”, accettando invece di “confrontarsi sulle proposte” con partiti e movimenti che al di qua e al di là dell’oceano continuano a raccogliere un vasto consenso popolare. Altro discorso però è l’intossicazione delle false notizie di cui gli stregoni del populismo sovranista (e certi apprendisti nostrani) si servono per i loro scopi, e i loro spot. Si può fare un tifo sfegatato per Trump senza per questo negare la realtà, come Edward Luttwak che su La Verità dice: “Veri e propri brogli non ne vedo, al massimo qualche irregolarità qua e là”. Anche per i dottor Stranamore c’è un limite all’indecenza.
sabato 3 ottobre 2020
CARO MATTEO (si fa per dire). - Rino Ingarozza
Egregio Senatore Matteo Salvini, dopo aver scritto alla sua grande amica Meloni, lo faccio anche con lei.
martedì 29 settembre 2020
Tridicoli. - Marco Travaglio
Tra un conato di vomito e l’altro per questa ributtante polemica sul non-caso Tridico per lo stipendio di 150mila euro lordi, vorremmo rivolgere un consiglio non richiesto. Non ai politici indignati, che non lo capirebbero (a menare il torrone sono parlamentari perlopiù fancazzisti che prendono 360-400mila euro l’anno, compresi quelli della Lega che ha fatto sparire 49 milioni). Ma ai “giornalisti” che da tre giorni mentono sapendo di mentire e si arrampicano sui vetri pur di tenere il non-scandalo sulle prime pagine, nelle rassegne stampa e sui social: ragazzi, vi state coprendo di ridicolo molto più del solito, perché lo capisce anche uno scemo che non fate più informazione, ma rastrellamenti. Sarebbe molto meno sputtanante stilare una lista di indesiderati da eliminare – chiunque appartenga ai 5Stelle o sia stato nominato dai 5Stelle o piaccia ai 5Stelle o abbia incontrato una volta per caso un 5Stelle – anziché andare a stanarli caso per caso, anzi casa per casa. La gente non è cretina: a furia di vedere dove finiscono le vostre accuse di rubare o truffare o mafiare a chiunque porti quel marchio d’infamia, capisce il giochino. Ci avete provato con Conte: tutte balle. Con Bonafede: tutte balle. Con la Raggi (e la Muraro): tutte balle. Con Di Maio e famiglia: tutte balle. Con la Azzolina: tutte balle. Ora, nel copione dei dieci piccoli grillini, tocca a Tridico: tutte balle.
La prima pietra la scaglia Repubblica, quella della “macchina del fango” e delle “fake news”. Titolo di sabato: “Tridico si alza la paga con effetto retroattivo: 150mila euro, il 50% in più del suo predecessore Boeri”. Tre balle in una: non se l’è alzata lui, ma un decreto ministeriale; non ha alcun effetto retroattivo; e i 150mila euro sono lo stesso costo del predecessore Boeri (che ne prendeva 103mila più 45mila di rimborsi per casa e trasferte, mentre finora Tridico incassava la metà: 62mila). Titolo di domenica: “Quei compensi dei vertici finanziati grazie ai tagli sulle cartelle ai pensionati”. Altra balla: i risparmi per gli aumenti di stipendi non vengono dal taglio delle “buste arancioni” (peraltro sospese da prima che arrivasse Tridico), cioè del capitolo “Spese posta massiva”, ma da quello dei capitoli “Spese postali, telegrafiche e telefoniche” e “Manutenzione e noleggio impianti e macchine”. Il resto lo fanno gli house organ di B. e Salvini, che una volta tanto si limitano a copiare Repubblica. Giornale: “Tridico senza vergogna. L’Inps è un disastro, ma lui pensa solo a raddoppiarsi la paga”. Libero: “Tridico non paga gli italiani, ma si raddoppia lo stipendio”, “Grillini zombie e avidi di denaro”, “Ecco i grillini arricchiti”. Verità: “Il presidente Inps si è raddoppiato lo stipendio”.
Idem Corriere e Messaggero. Un perfetto gioco di squadra, anzi da plotone d’esecuzione: Rep spara la prima raffica e gli altri il colpo di grazia. Seguono approfondite indagini su chi è stato a perpetrare l’orrendo delitto di dare al presidente Inps lo stipendio più basso mai visto per un dirigente pubblico. Fino al 2014 il presidente Mastrapasqua intascava 1,2 milioni. Tuttora 32 dirigenti Inps di prima fascia (su 40) guadagnano 240mila euro e centinaia di dirigenti di seconda fascia più dei 150mila di Tridico. Che sono 90mila in meno del tetto fissato dalla legge (240mila) per i dirigenti pubblici e del giusto stipendio (sempre 240mila) fissato per lui dal software usato dalla PA per stabilire i compensi dei Cda. Il problema s’è posto perché nel marzo 2019 il Conte 1 riformò la governance di Inps e Inail, cancellando i superpresidenti-commissari creati da B. nel 2010 e ripristinando i Cda. Nel periodo transitorio, Tridico divenne presidente con pieni poteri, ma dovette dividersi lo stipendio del predecessore Boeri (103mila) col vice Adriano Morrone imposto dalla Lega (62 a lui e 41 a Morrone). A giugno il ministero del Lavoro fissò gli stipendi per i presidenti di Inps e Inail non appena si fossero insediati i Cda: 150mila. Poi il governo cadde e i due Cda si insediarono solo il 15 aprile 2020. Il 7 agosto i ministri Gualtieri e Catalfo firmarono il dl interministeriale che confermava i nuovi compensi: non per iniziativa di Tridico, ma per una legge dello Stato, e per nulla retroattiva al 2019 (versione Repubblica&C.), ma a decorrere dall’insediamento della nuova governance (15 aprile ’20).
Questi sono i fatti. Che però non interessano a nessuno, perché riguardano l’informazione: nei rastrellamenti non si va tanto per il sottile. Tridico uguale 5Stelle, uguale Reddito di cittadinanza, uguale bonus ai poveri anziché ai padroni dei giornali e dell’Italia: quindi raus! E guai se qualcuno, come Stefano Fassina, osa difenderlo: finisce bersaglio della macchina del fango di Repubblica, con Stefano Folli che sproloquia di “comportamento approssimativo e opaco”, “modo poco trasparente e obliquo”, “zone d’ombra”, “aspetti meschini” e altre scemenze. Intanto Sebastiano Messina delira di una fantomatica “Doppia morale 5Stelle sui soldi”: come se le battaglie contro gli scandalosi megastipendi, pensioni d’oro e vitalizi a spese dei contribuenti confliggessero con la decorosa retribuzione riconosciuta a Tridico. A proposito: se 150mila euro al presidente dell’Inps (26mila dipendenti) sono troppi, siamo curiosi di conoscere gli stipendi degli indignatissimi direttori di quotidiani con poche centinaia o decine di giornalisti. Così magari se li tagliano. O si costituiscono.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/29/tridicoli/5947146/
venerdì 31 luglio 2020
Il Protocazzaro. - Marco Travaglio

E niente, non si riesce a stargli dietro. Questo Fontana è un’iradiddio: spara più balle delle macchinette automatiche lanciapalle con cui si allenano i tennisti. Di questo passo il record del Cazzaro è in serio pericolo. Riavvolgiamo il nastro.
A mia insaputa. “Non sapevo nulla della procedura e non sono intervenuto in alcun modo” (8.6). Falso. Il suo assessore Raffaele Cattaneo dichiara a verbale di aver informato Fontana della fornitura di 75mila camici per 513mila euro affidata dalla regionale Aria Spa alla Dama Spa (l’azienda di suo cognato e di sua moglie, Andrea e Roberta Dini) fin da subito, cioè dal 16 aprile. E lui intervenne per trasformare il contratto oneroso in donazione solo il 20maggio, quando Report aveva scoperto tutto.
Date ballerine. “Solo il 12 maggio sono stato informato che la fornitura di camici da Dama era a titolo oneroso” (in Consiglio Regionale, 27.7). Falso: oltre alla smentita del suo assessore, c’è quella dell’ex ad di Aria Spa, Filippo Bongiovanni: “Comunicai la fornitura di Dama alla segreteria di Fontana il 10 maggio”.
Donazione lucrosa. “Quando è saltata fuori questa storia e ho visto che mio cognato faceva questa donazione, ho voluto partecipare anch’io. Fare anch’io una donazione” (La Stampa, 26.7). “Ho voluto alleviare l’onere dell’operazione, partecipando personalmente alla copertura di parte del mancato introito. È stata una decisione spontanea. Col mio legame avevo solo arrecato svantaggio a un’azienda legata alla mia famiglia” (in Consiglio Regionale, 27.7). Ma era il cognato che voleva fare la donazione o è lui che gliel’ha imposto e poi ha tentato di risarcirlo con i 250mila euro che voleva bonificare dal suo conto svizzero, ma furono bloccati per sospetto riciclaggio? E che senso ha risarcire qualcuno per i mancati introiti di una donazione, per definizione gratuita e senza introiti? Che cos’era, beneficenza a pagamento?
Regione indenne. “Regione Lombardia non ha speso un euro per la fornitura dei camici” (in Consiglio Regionale, 27.7). Sì, ma non grazie a lui che avallò la fornitura da 513mila euro: grazie a Report che scoprì lo scandalo e al Fatto che lo raccontò in anteprima, inducendo tutti alla precipitosa retromarcia. In ogni caso la Regione ha subìto un bel danno: ha firmato un contratto per 75mila camici, ma la ditta dei congiunti di Fontana ne ha consegnati solo 49mila. Gli altri 26mila Dini, quando seppe che non ci avrebbe più guadagnato, li tenne per sé e tentò di venderli a prezzo maggiorato a una clinica di Varese: la Gdf li ha trovati e sequestrati ieri perquisendo l’azienda come corpo del reato di frode in pubblica fornitura.
Già, perché il contratto Aria-Dama resta valido: la Regione non l’ha mai tramutato in donazione, dunque Dama è inadempiente.
Camici utilissimi. “In quel frangente avremmo acquistato camici e mascherine da chiunque, mi creda” (al Foglio, 29.7). Purtroppo lo smentisce Bongiovanni: “Quei camici alla Regione non servivano più”.
Nassau vende moda. “Escludo che mia madre sia mai stata alle Bahamas, non ho idea di come sia venuta fuori questa storia. A quanto ne so quei soldi sono sempre rimasti a Lugano… I risparmi di una vita dei miei genitori” (ibidem, 29.7). “Quello all’estero era un conto che avevano i miei genitori, una cosa purtroppo di moda a quei tempi” (a Repubblica, 28.7). Infatti dal Varesotto partivano ogni giorno voli charter per le Bahamas, il famoso ponte aereo Varese-Nassau, dove le dentiste (come mamma Fontana, la più cara del mondo) e gli impiegati alla mutua (come babbo Fontana, il più pagato del mondo) portavano i risparmi: nel caso di specie, 5,3 milioni. Peccato non aver saputo di quella simpatica moda, sennò ne avremmo approfittato tutti.
Macché evasori. “Evasione fiscale? Ma che dice? I miei hanno sempre pagato tutte le tasse, mia madre era super fifona, figurarsi evadere… Non so davvero dirle perché portassero fuori i loro risparmi” (ibidem). E perché Fontana, avvocato dal 1980, vice-pretore onorario (cioè magistrato) dal 1983, politico della Lega Nord dal 1990, non gliel’ha mai domandato? Secondo lui, perché mai una coppia di italiani, se vuol pagare le tasse, nasconde i soldi su due trust alle Bahamas? Per esotismo? Se i soldi fossero stati legalmente esportati pagando le tasse, che bisogno c’era dello schermo dei due trust a Nassau? E perché Fontana, dopo averli ereditati, redasse la voluntary disclosure con la legge del 2014 per rimpatriare i capitali illecitamente esportati? E perché, se li fece rientrare in Italia, li lasciò su un conto all’Ubs di Lugano?
Conto dormiente. “Comunque era un conto non operativo da almeno la metà degli anni 80” (ibidem). Balla pure questa: quel conto, fra il 2009 e il 2013 (quando sua madre aveva 86-90 anni e lui ne era contitolare e beneficiario), movimentò centinaia di migliaia di euro. Faceva tutto la vecchina o vi operava pure lui nel sonno?
Tutto dichiarato. “Quel conto è dichiarato, pubblico, trasparente, riportato nella mia dichiarazione patrimoniale sui siti regionali fin dal primo giorno del mio mandato” (ibidem). Peccato che nel 2017 l’Anac abbia multato Fontana per aver omesso nel 2016 la dichiarazione patrimoniale obbligatoria dei 5,3 milioni scudati in Svizzera nel 2015. A risentirci alla prossima balla.
giovedì 21 novembre 2019
Il prezzo delle bugie di Salvini lo paga tutto il Paese. - Gaetano Pedullà

Visto il grande successo delle paure, adesso ci si riprova con le incertezze. Su come siano state montate le prime è tutto chiaro. Una retorica incessante sullo straniero che ruba il lavoro agli italiani, o sui criminali dietro l’angolo, ha fatto schizzare il consenso di chi promette di risolvere i problemi buttando i migranti a mare o parandogli davanti un velleitario blocco navale. Per il momento, però, di andare alle urne non se ne parla e allora bisogna toccare altre corde, tenere alto il livello dell’indignazione popolare, a costo di raccontargli nuove frottole. Ai politici, si sa, questo sport riesce benissimo, ma l’ultima trovata della Lega per attaccare gli avversari al Governo è insuperabile.
Dopo l’invenzione di una Manovra che aumenta le tasse, mentre in realtà le diminuisce, ora ci raccontano che daremo un sacco di soldi pubblici al Fondo europeo Salvastati, togliendoli agli italiani che stringono la cinghia, e tutto questo in gran segreto. Regista della rapina del secolo sarebbe il premier Giuseppe Conte, che si è accordato nottetempo con la Merkel, i poteri forti, le barbe finte e chissà chi altri. In un Paese normale, un politico serio si guarderebbe bene dal farsi ridere dietro raccontando una tale panzana, ma a furia di ripetere le stesse bugie molti si convincono che queste siano la verità, e così il beneficio elettorale è assicurato. E dire che a Bruxelles si tratta sul Fondo salvastati da oltre un anno, e lo stesso Conte ha ricordato ben quattro riunioni con la Lega per aggiornare l’Esecutivo dell’epoca sugli sviluppi di un accordo che costa qualcosa a tutti gli Stati dell’Eurozona, ma serve a prevenire eventuali crisi di sistema.
Scoperto a mentire, Matteo Salvini ha cambiato la sua versione, affermando di essersi sempre espresso contro. Ora, delle due l’una: o non sapeva (versione 1) oppure (versione 2) si è espresso contro su qualcosa che a quel punto non poteva non sapere, per la serie delle supercazzole tipo la casa di Scajola comprata a sua insaputa. Certo, buttarla ogni giorno in caciara, alimentando incertezze che già abbondano per conto loro (vedi la vicenda Ilva) sconcerta il Paese, allontana gli elettori dal Governo e li avvicina alla Lega, ma a un prezzo che paga – questo sì sul serio – tutto il Paese.
https://infosannio.wordpress.com/2019/11/21/il-prezzo-delle-bugie-di-salvini-lo-paga-tutto-il-paese/?fbclid=IwAR0UiC0rh1XPXlUGbt4KOZYlGcGKVHrBCVXDeGSrGOnE_QBZ8oixKYaum88
lunedì 12 agosto 2019
mercoledì 3 settembre 2014
Ipse dixit. - Sergio Di Cori Modigliani

Matteo Renzi ha dichiarato in data 29 agosto 2014: "Abbiamo creato, grazie all'azione di governo, ben 100mila nuovi posti di lavoro". Non ha specificato dove e come.
48 ore dopo l'Istat ha comunicato che la disoccupazione ha raggiunto il livello di 12,6% ed è aumentata nel mese di Luglio del 3,8%, toccando il livello più alto mai raggiunto dal 1954.
Sempre lo stesso giorno ha dichiarato: "Grazie agli incentivi del governo sono nate in questi ultimi mesi nuove startup di giovani che si lanciano con ottimismo nel mercato".
L'ufficio statistico del Ministero del Lavoro ha annunciato, il giorno dopo, che da quando Renzi si è insediato si perdono 1000 posti di lavoro al giorno. Finora ha provocato la perdita di lavoro per ben 212.000 unità lavorative. La disoccupazione giovanile ha raggiunto il 48%.
In data 1 settembre 2014 ha dichiarato che "anche se di poco, ma non posso non sottolineare la buona notizia che ci giunge dagli esperti del settore e che ci comunicano che i consumi nel mese di agosto sono aumentati di poco, di una piccola frazione, di appena un +0,2%. Ma ciò che conta è rubricare la ripresa dell'economia italiana e dell'ottimismo da parte dell'industria. Saremo noi, l'Italia paese, a essere la locomotiva d'Europa". Neppure sei ore dopo, il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, dichiarava "Stiamo in una situazione davvero drammatica, forse il governo non si rende conto che il paese sta affondando". Dopo dodici ore l'ufficio statistico della Confcommercio ha annunciato che i consumi interni nel mese di agosto sono diminuiti di un -3,8% raggiungendo il livello del 1959 e provocando l'effetto deflazione.
(messa così forse la situazione è più chiara).
Fine del post.
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