La Fontana di Trevi è una delle attrazioni turistiche più notevoli di Roma. Quello che la maggior parte dei visitatori non sa è che un importante sito archeologico si trova proprio sotto il famoso quartiere.
Oggi conosciuta come la "Città delle acque", Vicus Caprarius è un antico complesso di appartamenti romani (insule) risalente al I secolo, istituito dopo il grande incendio del 64. Fu successivamente ristrutturato in una domus, o casa di classe superiore, durante il IV secolo. Il sito è stato scoperto alla fine degli anni novanta, i durante l'ampliamento del cinema Trevi, situato sopra di esso.
È stata portata alla luce una grande quantità di manufatti, tra cui statuette in terracotta, ceramica africana e un tesoro di oltre 800 monete (ora esposti nel museo adiacente).
L'Aqua Virgo, uno degli 11 acquedotti dell'antica Roma, scarica ancora parte della sua acqua nei bacini del Vicus Caprarius, oltre a trasportare l'acqua alla Fontana di Trevi.
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 5 luglio 2023
Vicus Caprarius: la città dell'acqua. - Hasan Törön
giovedì 2 marzo 2023
Inchiesta sul Covid in Bergamasca, indagati Conte e Speranza. - Francesca Brunati e Igor Greganti
A tre anni di distanza dallo scoppio della pandemia di Covid che, tra febbraio e aprile 2020, ha straziato la Bergamasca con oltre 6 mila morti in più rispetto alla media dell'anno precedente, è stata chiusa l'inchiesta per epidemia colposa con 19 indagati tra cui l'ex premier Giuseppe Conte, l'ex ministro della Salute Roberto Speranza, il Governatore della Lombardia Attilio Fontana e l'ex assessore della sanità lombardo Giulio Gallera.
Il procuratore aggiunto di Bergamo Cristina Rota con i pm Silvia Marchina e Paolo Mandurino, sotto la super visione del Procuratore Antonio Chiappani, hanno tirato le somme di una indagine con cui si è cercato di far luce e individuare le responsabilità di quella tragedia che ha lasciato una profonda ferita, e di cui è ancora vivo il ricordo delle lunghe file di camion dell'esercito con sopra le bare delle vittime da trasportare fuori regione per essere cremate.
"E' vergognoso che una persona che è stata sentita a inizio indagine come persona a conoscenza dei fatti scopra dai giornali di essere stato trasformato in indagato.
E' una vergogna sulla quale non so se qualche magistrato di questo Paese ritiene di indagare. Sicuramente non succederà niente", afferma a Radio Anch'io il governatore Attilio Fontana. "Anche in altri processi in cui sono stato assolto - aggiunge - ho saputo dai giornali cose che non sapevo".
"Anticipo subito la mia massima disponibilità e collaborazione con la magistratura - ha commentato l'ex presidente del Consiglio e ora a capo del M5, Conte -. Sono tranquillo di fronte al paese e ai cittadini italiani per aver operato con il massimo impegno e con pieno senso di responsabilità durante uno dei momenti più duri vissuti dalla nostra Repubblica".
Tra i destinatari dei 17 avvisi di conclusione delle indagini, che saranno notificati giovedì, e nei quali sono contestati a vario titolo i reati di epidemia colposa aggravata, omicidio colposo plurimo, rifiuto di atti di ufficio e anche falso ci sono anche il presidente dell'Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro, il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli, il coordinatore dell'allora Comitato Scientifico Agostino Miozzo, l'ex capo della protezione civile Angelo Borrelli e tra i tecnici del ministero della salute l'ex dirigente Francesco Maraglino. Riguardo invece a Conte e Speranza gli atti dovranno essere trasmessi al Tribunale dei Ministri.
L'inchiesta, che già contava alcuni indagati come i vertici dell'Ats di Bergamo e dirigenti dell'assessorato regionale alla sanità, come scrive in una nota il Procuratore Chiappani, "sono state articolate, complesse e consistite nell'analisi di una rilevante mole di documenti" informatici o cartacei "nonché di migliaia di mail e di chat telefoniche in uso ai soggetti interessati dall'attività investigativa, oltre che nell'audizione di centinaia di persone informate sui fatti". Un'attività che ha consentito di ricostruire i fatti a partire dal 5 gennaio 2020, quando l'Oms aveva lanciato l'allarme globale a tutti i paesi e che si è avvalsa di una maxi consulenza firmata da Andrea Crisanti, microbiologo dell'Università di Padova e ora senatore del Pd. Gli accertamenti hanno riguardato tre livelli, uno strettamente locale, uno regionale e il terzo nazionale con le audizioni a Roma di Conte, Speranza i veri tecnici e anche l'ex ministro dell'Interno Luciana Lamorgese.
Nel mirino degli inquirenti e degli investigatori della Guardia di Finanza sono finiti non solo i morti nelle Rsa della Val Seriana e il caso dell'ospedale di Alzano chiuso e riaperto nel giro di poche ore, ma soprattutto la mancata istituzione di una zona rossa uguale a quella disposta nel Lodigiano e i mancati aggiornamento del piano pandemico, fermo al 2006, e l'applicazione di quello esistente anche se datato e che comunque, stando agli elementi raccolti, avrebbe potuto contenere la trasmissione del Covid. Riguardo alle omissioni, come ha sottolineato Crisanti nella sua consulenza in base a un modello matematico, se fosse stata istituita la zona rossa in Val Seriana, al 27 febbraio i morti sarebbero stati 4.148 in meno e al 3 marzo 2.659 in meno.
Mentre Speranza in una nota ha affermato di aver "sempre pensato che chiunque abbia avuto responsabilità nella gestione della pandemia debba essere pronto a renderne conto", aggiungendo di essere "molto sereno e sicuro di aver sempre agito con disciplina ed onore nell'esclusivo interesse del Paese", i parenti delle vittime hanno commentato: "Da oggi si riscrive la storia della strage bergamasca e lombarda, la storia delle nostre famiglie, delle responsabilità che hanno portato alle nostre perdite. La storia di un'Italia che ha dimenticato quanto accaduto nella primavera 2020, non a causa del Covid19, ma per delle precise decisioni o mancate decisioni".
"Non avevamo il minimo segnale di partecipare al 'banchetto' degli indagati. Fontana era stato sentito come persona informata sui fatti e da allora silenzio assoluto", commenta l'avvocato Jacopo Pensa, legale del governatore Fontana, alla chiusura dell'inchiesta della Procura di Bergamo sulla gestione della pandemia di Covid. "Apprendiamo prima dai media e senza alcuna notifica formale di essere tra gli indagati". E ancora: "Prendiamo atto - spiega il difensore - che la Procura di Bergamo ha sottolineato che la conclusione delle indagini non è un atto di accusa. Vedremo, vedremo. Non è neanche un atto di difesa".
giovedì 26 agosto 2021
Camici, lo staff di Fontana bloccò il cronista: “Dissero ‘non scrivere, danneggi la famiglia’”. - Davide Milosa
Pressioni o “richieste”. Arrivate direttamente dallo staff del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana per non pubblicare un articolo sull’inchiesta dei camici che vede oggi il governatore leghista indagato per frode in pubbliche forniture. Motivo: non danneggiare Fontana e la sua famiglia. L’articolo non sarà pubblicato. La vicenda, che non ha riverberi penali, emerge dalle carte dell’indagine e riguarda un giornalista (non indagato) del sito Affari Italiani definito negli atti “giornale di area politica vicina alla Regione”. Tutto avviene a giugno 2020, quando il caso dei camici venduti alla centrale acquisiti della Regione (Aria) dal cognato di Fontana è da poco di dominio pubblico. Il giornalista, che dagli atti appare vittima di un sistema di potere, viene sentito dai pm l’8 maggio. Spiega: “Volevo scrivere un articolo durissimo di commento contro Filippo Bongiovanni (ex dg di Aria indagato, ndr) perché (…) una volta saputo della fornitura di Dama (l’azienda del cognato Andrea Dini, indagato, ndr) avrebbe dovuto chiamare Fontana e chiedere spiegazioni”.
L’articolo non uscirà mai anche a causa, ragionano gli inquirenti, delle lamentele di Bongiovanni arrivate ai vertici regionali. “Non ho anticipato a Bongiovanni che avrei scritto, non so chi possa averglielo detto”. Di certo il giornalista ne parla con Paolo Sensale, portavoce di Fontana. “Ricordo di aver detto che Bongiovanni aveva sbagliato. A Sensale ho detto che stavo per scrivere questo articolo durissimo”. Prosegue: “Non ho più scritto l’articolo perché Sensale mi ha convinto dicendomi che Fontana avrebbe avuto dei problemi con la sua famiglia”. Aggiunge: “Escludo sia stata una imposizione, ma una richiesta, e quando nelle intercettazioni parlo del presidente faccio riferimento al suo portavoce o alla sua segreteria”. Le intercettazioni sono con l’ex presidente di Aria Francesco Ferri. Qui Ferri dice “di sapere quale fosse il motivo per il quale Fontana aveva chiesto di non scrivere più sulla vicenda Dama”. Spiega Ferri a verbale: “Fu Bongiovanni a dirmi che lui sarebbe andato a parlare con i magistrati a riferire quanto a sua conoscenza se fossero continuati gli articoli di stampa contro di lui, in particolare di Affari Italiani. Mi disse che ne parlò con Antonello Turturiello (segretario generale della Regione non indagato)”. Interrogato sul punto Bongiovanni dice: “Ferri mi disse che quel giornale voleva indicarmi come capro espiatorio. In quel periodo Fontana raccontava una versione non veritiera”. Il giornalista, prima di rinunciare a scrivere, il 15 giugno incontra il deputato leghista Paolo Grimoldi. “Non fu Grimoldi a dirmi di non scrivere”. Richiesta che venne a suo dire dal portavoce del presidente.
ILFQ
martedì 24 agosto 2021
Donazione camici: Bongiovanni, ex dg Aria “L’ordine di Fontana non era negoziabile”. - Davide Milosa
“La volontà del presidente Attilio Fontana non era negoziabile (…) Mi sono adeguato (…) Ho accondisceso a quella richiesta (…) Ero stato nominato. Venivo pagato da Regione Lombardia”. È il 24 maggio scorso quando Filippo Bongiovanni, ex dg della centrale acquisti di Regione Lombardia (Aria), rivela un dato che secondo la Procura di Milano chiuderà il cerchio sulle responsabilità del governatore leghista rispetto all’indagine dei camici venduti (e poi donati) al Pirellone dal cognato Andrea Dini, titolare della Dama spa. L’inchiesta, finita il 27 luglio, conta cinque indagati accusati di frode in pubbliche forniture tra i quali, oltre a Fontana e Dini, anche Bongiovanni, un altro dirigente di Aria e il vicesegretario generale della Regione Pier Attilio Superti. Nel verbale agli atti, l’ex dg affronta il passaggio dall’affidamento “oneroso” siglato il 14 aprile 2020 di 75 mila camici per 513 mila euro fino alla donazione dei camici consegnati alla data del 20 maggio. Passaggio voluto, secondo i pm, anche da Fontana. Bongiovanni conferma: nei due giorni precedenti al 20 maggio in Regione ci saranno diversi incontri. L’ex dg parla con Superti e con il segretario generale Antonello Turturiello (non indagato). “Ricordo – dice – che Superti o Turturiello mi spiegarono che per salvaguardare la figura politica del presidente Fontana sarebbe stato necessario formalizzare la donazione e rinunciare alla restante parte della fornitura”. Prosegue: “In quei giorni Superti mi disse di aver avuto un incontro con la moglie di Fontana” (non indagata). Ancora: “Ho acconsentito alla richiesta perché sono un dipendente regionale” e perché “mi è stato rappresentato in maniera diretta che questa era la volontà del presidente su un tema che gli stava (…) a cuore e di conseguenza mi sono adeguato”. L’ordine “non era negoziabile”. Non aver obbedito, prosegue, “avrebbe rappresentato una clamorosa rottura con il presidente”. Il 18 maggio l’ex dg incontra in Regione Superti e Turturiello: “Superti mi ha prospettato l’intenzione di Dama di donare e di ritenere chiuso il contratto (…) La versione che mi ha raccontato è che Fontana voleva l’Iban (di Dama, ndr) e l’importo dei camici già consegnati e fatturati”. In un’intercettazione del 14 luglio 2020, quando la vicenda è già pubblica, Bongiovanni dice di essersi trovato “in una situazione di impotenza”. A verbale conclude: “Ho eseguito quello che ritenevo un ordine”.
ILFQ
sabato 3 aprile 2021
“Messinscena Fontana: l’evasione fiscale scaricata tutta sulla madre”. - Davide Milosa
La vicenda dei conti esteri e la presunta evasione fiscale del presidente lombardo Attilio Fontana sono descritte dalla Procura di Milano come “una complessiva messinscena” costruita “per motivi di immagine politica” e “per evitare di denunciare al fisco la propria pregressa evasione fiscale”. Parole nette quelle dei magistrati, scritte nelle conclusioni della richiesta di rogatoria inviata alle autorità svizzere. A pagina dieci (di 14), la Procura si fa più stringente: “La falsità ideologica che permea l’operazione di rimpatrio dei capitali illeciti ha consentito a Fontana di trarre illegittimo profitto dall’utilizzo della simulata causale della successione ereditaria”, risparmiando 171mila euro di sanzioni. Secondo i pm non tutti i 5,3 milioni scudati sarebbero da ricondurre al presunto “nero” dei genitori del presidente.
A pagina 2 si legge che, “secondo l’assunto investigativo” Fontana “nel corso della procedura di voluntary ha dichiarato falsamente che il denaro detenuto all’estero sarebbe da ricondurre all’evasione fiscale posta in essere dalla madre Giovanna Maria Brunella, malgrado siano emersi plurimi elementi per ritenere che si sia trattato di provento (tutto o in parte) riconducibile alla propria evasione fiscale”. Poco dopo: “A seguito dell’esito favorevole del procedimento in questione, Fontana ha poi impiegato tali proventi in attività speculative”. Seguendo l’impianto dell’accusa, a pagina 7 si riprende una nota dell’Agenzia delle entrate relativa ai redditi dei genitori del presidente: “Alla luce dei livelli reddituali dichiarati” tra “il 1988 e il 2004 si rileva che il patrimonio detenuto al 31 dicembre 2014 risulta potenzialmente incongruo”.
L’incipit delle conclusioni della richiesta rogatoriale è ancora più netto. È scritto che “gli elementi” raccolti dall’accusa “portano a concludere per la protagonistica gestione da parte” di “Fontana delle operazioni finalizzate a ripulire una parte consistente (almeno 2,5 milioni) dei proventi dell’evasione fiscale per il tramite di un distorto utilizzo della voluntary disclosure”. Distorsione legata anche al fatto che Fontana, secondo i pm, non ha fornito “i documenti (…) per spiegare come sono stati generati i capitali all’estero”. Tanto che “la relazione (…) al riguardo è totalmente muta”. Di più: i tentativi dei pm di recuperare i documenti sono falliti visto che “le procedure di voluntary” per come spiegato dai testimoni “hanno seguito percorsi (…) inverosimili”. Per questo il governatore lombardo è indagato per autoriciclaggio e false dichiarazioni in voluntary. Fontana è anche accusato di frode in pubbliche forniture rispetto al caso dei camici venduti alla Regione dal cognato.
Sempre a pagina 10 della rogatoria si spiega come è stato impiegato il denaro scudato nel 2016: “Non vi sono dubbi che il patrimonio ripulito (…) è stato reinvestito da Fontana in strumenti finanziari”, attraverso un mandato all’Unione fiduciaria e l’apertura di un profilo di investimento presso Ubs che, per la Procura, “è annoverabile nel genus delle attività speculative”. Dagli atti, poi, emerge che Fontana scuderà 5,3 milioni, ma solo 3,5 sono riconducibili al conto del 1997 intestato alla madre. Su altri 2,5 milioni vi sono dei buchi che la rogatoria tenterà di ricostruire. Si legge, infatti, che “con l’apertura della relazione (…) (quella del 2005) vi è stata “una immissione di liquidità ulteriore rispetto a quella proveniente dalla relazione (…) (quella del 1997)”.
Dalla rogatoria emerge poi un dubbio di autenticità sulle firme relative al conto del 2005 e anche al conto del 1997. Viene scritto: “L’elaborato peritale rileva (…) anomalie nelle firme apposte nel 1997 da Fontana e da sua madre all’atto dell’apertura del conto (…) in quanto apparentemente apposte in un primo momento dalla signora Brunella e solo successivamente in circostanze di luogo e di tempo diverse, da Fontana”. Insomma una “messinscena” e, per i pm, “un duplice movente: economico e di immagine”. Fontana dal canto suo ha inizialmente spiegato di aver saputo del primo conto nel 2015 e poi, ieri, di averlo saputo già allora, anche se il conto lo gestiva la madre. Ora da indagato, se vorrà, potrà spiegare tutto ai magistrati.
IlFattoQuotidiano
sabato 27 marzo 2021
Arriva la Finanza! “L’uomo di Fontana cancella le chat.” - Davide Milosa
Camici. Inchiesta sulle forniture del cognato del presidente: Caparini (assessore leghista) disinstallò WhatsApp poco prima del blitz GdF.
Storie di chat: mandate, ricevute, lette o addirittura cancellate disattivando l’app di WhatsApp come ha fatto, secondo quanto ha ricostruito la Procura di Milano, l’assessore regionale al Bilancio, Davide Caparini, poche ore prima che la Guardia di finanza si presentasse nei suoi uffici per acquisire i dati del telefono. Sta qui il piatto forte dell’inchiesta sui camici prima venduti e poi donati dal cognato del governatore Attilio Fontana alla centrale acquisiti della Regione Lombardia (Aria), ente nato nel luglio 2019 su input di Fontana e dello stesso Caparini. Ente pubblico oggi nella bufera dopo il caos prenotazioni per i vaccini anti-Covid. Non un bel momento per Caparini, leghista da sempre, prima in Parlamento e ora in Regione, figlio di Bruno, tra i padri nobili della Lega nord e influ-ente notabile della provincia bresciana, già in contatto con un imprenditore calabrese indagato per legami con la ’ndrangheta a Milano, ma poi archiviato. Ora, seppur a oggi non indagato, anche Davide Caparini è per la Procura, uno dei protagonisti del “Camicigate” iniziato l’aprile scorso con una fornitura ad Aria di 75mila camici da parte di Dama spa, società di Andrea Dini, cognato di Fontana. Sia il presidente lombardo sia Dini sono attualmente indagati per frode in pubbliche forniture.
Il 24 settembre scorso, Caparini risulta tra i destinatari indicati dalla Procura per l’acquisizione dei contenuti del suo cellulare. Ma c’è una sorpresa: quando la Guardia di finanza analizza il telefono di Caparini si accorge che l’applicazione di WhatsApp è stata disattivata solo da poche ore. Che cosa è successo? Per capire bisogna tornare ai giorni del 23 e del 24 settembre. Sono date decisive. Il 23 settembre, infatti, la Procura di Pavia che indaga sul caso della sperimentazione dei test rapidi Diasorin in collaborazione con il policlinico San Matteo e sull’acquisto senza gara di 500mila test da parte della Regione, dispone il sequestro di alcuni cellulari. Tra questi c’è quello del presidente Fontana (non indagato a Pavia), dell’ex assessore al Welfare Giulio Gallera e di Giulia Martinelli (entrambi non indagati), influente capo della segreteria di Fontana ed ex compagna di Matteo Salvini.
Il giorno dopo, il 24 settembre, si replica. Questa volta l’ordine arriva dalla procura di Milano che indaga sui camici. Vengono così acquisiti i dati di Roberta Dini, moglie di Fontana, dell’assessore all’Ambiente Raffaele Cattaneo, dello stesso Caparini e ancora una volta di Giulia Martinelli. Il materiale analizzato è stato riversato in una annotazione depositata in Procura pochi giorni fa. È in queste pagine che viene ricostruita la singolare vicenda della chat disinstallata da Caparini poche ore di prima dell’arrivo della Finanza.
Torniamo, allora, al 23 settembre. Verso sera e dopo le acquisizioni di Pavia – è stato documentato – Caparini incontra Giulia Martinelli. Nessuno saprà mai il contenuto di quell’incontro. La mattina del 24 settembre, la Guardia di finanza si presenta in Regione per acquisire i cellulari. Poco prima, spiegano fonti vicine agli inquirenti, dal telefonino di Martinelli parte un messaggio WhatsApp indirizzato a Caparini. Il testo: “Arrivata notifica”. Il significato letterale non sembra corrispondere a quanto sta succedendo. La Procura così ipotizza un messaggio “in codice”. Fatto è, Caparini non leggerà mai quel messaggio che non risulta spuntato. Lo leggerà (forse) senza aprirlo. Quando poi la Finanza chiede a Caparini il cellulare, è spiegato in Procura, l’assessore al Bilancio tergiversa. Passa del tempo, come viene annotato nell’informativa. Dopodiché la Finanza si accorgerà che l’app è stata disattivata. Non vi è dubbio che l’operazione è stata fatta nelle ore precedenti in un lasso temporale che va dalla sera del 23 alla mattina del 24. Quando precisamente questo non si sa. La Procura vorrebbe saperlo, lo ha chiesto al perito, che però non è stato in grado di fissare un orario preciso. Tutto questo nulla ha di penalmente rilevante. Di curioso certamente sì.
I messaggi, disinstallando l’app, non sono stati cancellati del tutto e dunque potrebbero essere recuperati. Certo è che dagli atti dell’inchiesta affidata all’aggiunto Maurizio Romanelli “il coinvolgimento dell’assessore Caparini attiene sia alla fase genetica dell’affidamento sia alla trasformazione in donazione” e quindi “è ragionevole pensare che sia stato messo al corrente dello sviluppo delle trattative”. Il 27 marzo 2020, poche settimane prima dall’affidamento di Aria, Roberta Dini, moglie di Fontana, scrive al fratello: “Prova a chiamare assessore Cattaneo (…). Sembra che siano molto interessati ai camici (…), questo mi dice l’assessore al Bilancio Caparini”. Annota la Procura: “Caparini era uno dei promotori che segnalava alla Dini il nome di Cattaneo”. Tanto più che l’11 maggio 2020, otto giorni prima di una riunione in Regione dalla quale uscirà la decisione, poi comunicata il 20 maggio da Andrea Dini all’ex dg di Aria, Filippo Bongiovanni, di trasformare la fornitura in donazione, si tiene un incontro tra Caparini, Bongiovanni e Martinelli. I tre si trovano al 35° piano del palazzo della Regione nell’ufficio di Martinelli. Qui viene sollevata la questione, confermata da Martinelli, di un legame stretto tra Dama e la famiglia di Attilio Fontana.
IlFattoQuotidiano
mercoledì 23 dicembre 2020
Artiglio Fontana. - Marco Travaglio
Miseramente fallito come presidente di Regione, Artiglio Fontana diventa editorialista del Corriere, diretto dal suo omonimo Luciano Fontana, che anziché correre all’anagrafe per cambiare cognome gli pubblica una lettera in cima alla pagina dei commenti. Spazio ben meritato, viste l’autorevolezza del mittente e l’acutezza dell’analisi. L’incipit è folgorante: “Caro direttore, il Covid ha cambiato il mondo”. Perbacco. “Ha stravolto il nostro modo di vivere”, tipo quando rischiò di strozzarsi con una mascherina. “Bisogna immaginare la Lombardia e l’Italia del domani”, dal che si deduce che la Lombardia non è in Italia (infatti lui i soldi li aveva alle Bahamas e i conti in Svizzera). “Sarà dura per tutti quando finiranno le misure che vietano i licenziamenti”: tipo il suo e quello di Gallera, peraltro già consentiti. “Occorre mettere mano alla legislazione dei contratti e degli appalti”, perché ora “servono tre anni solo per aggiudicare un’opera” (ma per suo cognato bastano un paio di giorni). Sennò addio “opere per le Olimpiadi Invernali del 2026”: e questo, visto che mancano 6 anni, più che mettere mano alle leggi, è mettere le mani avanti.
E la sua Regione? Possono definirla “pasticciona” e parlare di “disastro Lombardia” sulla sanità solo “commentatori distratti o faziosi”, incapaci di accorgersi che “il sistema ha retto”. Infatti, anche grazie alle mancate zone rosse e all’ordinanza che mandava gl’infetti nelle Rsa, ha sterminato 25mila persone (un terzo dei morti di tutta Italia, che sarebbe sotto la media europea se i morti lombardi fossero nella media nazionale). Ma l’editorialista Fontana, anziché scusarsi, dimettersi e andare a nascondersi, avverte: “Non siamo disposti a mettere in discussione il principio di libera scelta dell’individuo di farsi curare dove vuole a carico del sistema sanitario”: lo Stato paga e i privati intascano. Segue minaccia terrificante sul Recovery: ”Le Regioni devono giocare un ruolo da protagonista (sic, ndr)”: così pure quello finisce come i vaccini e le Rsa. Bisogna “lasciarle più libere” (di fare altri danni). Così alla fine gli sgovernatori potranno “essere premiati o puniti dai cittadini” (un chiaro tentativo di suicidio). Il crescendo fontaniano tocca l’acme con una perla di cultura: “Siamo chiamati a scorgere l’alba dentro l’imbrunire”. Citazione a cazzo da Prospettiva Nevskij di Battiato, che non meritava lo sfregio. Noi avremmo optato per “Quante squallide figure che attraversano il Paese, com’è misera la vita negli abusi di potere”. O “Povera patria, schiacciata dagli abusi del potere di gente infame che non sa cos’è il pudore”. O meglio: “E perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti?”.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/23/artiglio-fontana/6045922/
giovedì 10 dicembre 2020
Ecco i giacobini del Covid-19: c’è poco da ridere. - Antonio Padellaro
Liberté, contagé, trapassé: guidati dal Robespierre lombardo Attilio Fontana (“comprendo chi viola divieti incomprensibili e assurdi”), i giacobini del Covid inneggiano alla rivoluzione contro le limitazioni festive del perfido Conte. Sventolano copie di Libero che incitano (istigano?) alla rivolta tuonando: “Importante è disobbedire”. Pendono dall’ugola sdegnata di Mario Giordano (e di Iva Zanicchi). Riscoprono gli affetti più cari, a cominciare dai nonnini di cui ignoravano l’esistenza in vita, e che adesso come non mai bramano di sbaciucchiare cantando Che sarà sarà.
Purtroppo c’è poco da ridere, e speriamo che non ci sia molto da piangere quando il 6 gennaio si faranno i conti con gli intrepidi patrioti del virus natalizio. Con l’augurio che non sia un bilancio salatissimo in termini di vittime, come dopo la scatenata estate del contagiatevi allegramente e così sia. C’è del metodo in questa follia, a cominciare dal presidente della Regione Lombardia, ormai sovrapponibile (col degno sodale Gallera) alla macchietta che ne fa Maurizio Crozza. Travolto dai camici del cognato, dai soldi nei paradisi fiscali, dal flop dei vaccini antinfluenzali, Fontana cerca rifugio presso il ribellismo di più bassa Lega, indegno di chi ricopre una così importante carica istituzionale.
Quanto poi all’odio per il premier, si può comprendere che si usino tutti i mezzi, anche i più biechi per disarcionarlo e mandarlo a casa. Si resta però di sasso quando per fomentare l’implacabile crociata ci si percuote appassionatamente gli zebedei. Perché, cari colleghi di Libero, si ha un bel dire che “basta il buon senso per evitare norme incomprensibili”.
Purtroppo il buon senso è criterio abbastanza opinabile. Così come tutto può essere “incomprensibile” per chi non possiede capacità di giudizio e di comprendonio. Dio non voglia che pur di ottemperare al vostro appello alla disobbedienza, qualcuno un giorno non vi (ci) starnutisca in faccia, sostenendo che la mascherina comprime i diritti costituzionali (sì, abbiamo letto anche questo). Infine, a sostegno del facciamo come ci pare, citate una frase di Indro Montanelli: “Più che comandare io preferisco disobbedire”. Che però risulta abbia anche detto: “Non c’è alleato più prezioso di un nemico cretino”.
domenica 6 dicembre 2020
Che faccio, compro?. - Marco Travaglio
Dopo le ultime performance sui vaccini antinfluenzali, più introvabili della pietra filosofale, si pensava che Giulio Gallera avesse definitivamente scalzato Attilio Fontana nell’ambìto ruolo di capocomico del duo “I Nuovi Legnanesi”. Invece, con una zampata da grande guitto, lo sgovernatore ha scavalcato l’assessore proprio sul finale, ricacciandolo al rango di spalla. La sua lettera ai quattro pm che l’hanno indagato per frode in pubbliche forniture per la commessa dei camici, affidata senza gara dalla sua Regione alla ditta di suo cognato, si inscrive nella nobile tradizione di quella di Totò e Peppino alla malafemmina e di Benigni e Troisi a Savonarola. Titolo: “Che faccio, compro?”. Trama, semplice e travolgente: il presidente leghista, dopo averlo negato per mesi, si accorge finalmente che il “modello Lombardia” non riesce neppure a vaccinare dall’influenza medici, infermieri e i malati cronici over 80: “Regione Lombardia si trova, ancora una volta, al centro di un problema emergenziale relativo al vaccino antinfluenzale”, la cui “reperibilità è, come è noto, assai problematica”. Ma, anziché guardarsi allo specchio e sputarsi solennemente in un occhio per manifesta incapacità, magari invitando alla cerimonia anche Gallera, se ne lagna con gli “Ill.mi Magistrati”, che non c’entrano una mazza. E – dopo aver tentato invano di far importare dei vaccini indiani da un dentista di Bolzano (non autorizzato) tramite un intermediario turco con gli auspici di un conoscente cinese – li informa di aver finalmente trovato “un fornitore” addirittura “autorizzato: l’importatore svizzero Unifarma”, che ne ha “350 mila dosi”. Un po’ pochine, per 10 milioni di abitanti, ma meglio di niente. Solo che, essendo dicembre con l’epidemia influenzale in pieno corso (infatti tutti si vaccinano a ottobre-novembre), non c’è tempo per bandire una gara (altrimenti il vaccino arriva per quella dell’anno prossimo): bisogna “addivenire all’acquisto a trattativa privata”, prima che “i suddetti vaccini spariscano dal mercato”. E qui, anziché prendersela con chi non ci ha pensato a luglio-agosto (come si fa ogni anno dalla notte dei tempi), cioè con se stesso e la spalla, scarica tutto sui dirigenti della centrale acquisti regionale Aria Spa, indagati con lui per i camici del cognato, che “si rifiutano di procedere all’acquisto, salvo che il Presidente Fontana ottenga l’autorizzazione della Procura della Repubblica (!)”. Il punto esclamativo è suo, ma pure nostro. Lui ovviamente è “lungi dal chiedere, seppur implicitamente, salvacondotti o autorizzazioni che appaiono indebite”, però li chiede. E “si assume la responsabilità” dell’acquisto.
Però la scarica sui pm, che con l’inchiesta sui camici gli han paralizzato l’Aria Spa. E domanda senza domandarlo: “Che faccio, compro?”, anzi, “addivengo all’acquisto?”. Come se sapesse che ciò che sta per fare è illegale, visto che le commesse senza gara sono giustificate per l’emergenza Covid (ma per quelle c’è il commissario Arcuri) e non per quelle di routine, tipo i vaccini antinfluenzali, che si fanno da sempre con la mano sinistra e che la sua Regione è riuscita a cannare in toto, con 12 gare deserte o riuscite con esiti tragicomici (dosi pagate ora 5 euro, ora 27). Senza contare che il parallelo fra camici del cognato e vaccini non regge: a meno che, dietro il fornitore svizzero, si nasconda un altro parente, tipo un cugino, un nipote, una zia; o che anche stavolta vengano fuori conti milionari in Svizzera, trust alle Bahamas, scudi fiscali. Pur ammirati dal sense of humour, ci permettiamo di aggiungere alle sue un paio di domande. Risulta che Fontana sia avvocato: ma nei suoi studi di giurisprudenza, salvo che si siano svolti al Cepu o per corrispondenza alla scuola Radio Elettra o coi punti della Miralanza, ha mai saputo di indagati che avvertono i pm che stanno per riviolare la legge? In quale Codice, fuori da Paperopoli e Topolinia, è prevista questa prassi, volgarmente detta “mettere le mani avanti” o “pararsi il culo”? E se, come traspare dai punti esclamativi, essa pare bizzarra pure a lei, perché l’ha seguita? Davvero si aspettava che i pm rispondessero alla letterina a Babbo Natale se non per dire che non sono affari loro?
Le possibili risposte alternative erano solo due: “Faccia pure, presidente, che sarà mai la legge vigente: ma proprio perché è lei, e che non si ripeta più”; oppure “Non si azzardi, sennò finisce dentro”. La seconda sarebbe uno splendido alibi per scaricare sulle solite toghe rosse le colpe della sua incapacità. La prima sarebbe un’amnistia preventiva ad personam e farebbe schiattare d’invidia B.. Il quale, a saperlo, si sarebbe risparmiato un mare di guai passando la vita a scrivere letterine alle Procure su un modulo prestampato con la casella dei reati in bianco: “Che faccio, ingaggio Mangano o deludo Dell’Utri?”, “Che faccio, chiamo la Questura per la nipote di Mubarak o lascio stare?”, “Che faccio, frodo il fisco o pago le tasse?”, “Che faccio, falsifico i bilanci o ci metto tutto?”, “Che faccio, compro la sentenza Mondadori o dico a Previti di farsi un giro?”, “Che faccio, corrompo Mills e le Olgettine o li lascio parlare?”, “Che faccio, bonifico 23 miliardi a Craxi o pago in natura?”, “Che faccio, compro i senatori o li lascio a Prodi?”, “Che faccio, bungabunga o astinenza?”, “Punto, punto e virgola, due punti. Massì, abbondiamo! Abbondantis abbondandum”.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/06/che-faccio-compro/6028097/
Lombardia “no vax”, per Fontana la colpa è della magistratura. - Andrea Sparaciari
La lettera - Surreale missiva spedita ai pm.
Non era mai successo che un presidente di Regione scrivesse ai magistrati – gli stessi che lo stanno indagando per frode in pubbliche forniture – dichiarandosi pronto ad assumersi “in prima persona” tutte le responsabilità derivanti da una procedura di acquisto senza gara, perché i suoi funzionari si rifiutano di procedere senza “l’autorizzazione della Procura”. Attilio Fontana il 2 dicembre ha voluto stabilire il precedente. In quella data, come riportato dal Corriere, i suoi legali hanno inviato alla Procura di Milano una missiva nella quale spiegavano che, vista l’emergenza dovuta alla mancanza di vaccini antinfluenzali, la difficoltà di reperirli sul mercato, le gare andate deserte, l’Agenzia regionale per gli acquisti (Aria) si apprestava ad aprire una trattativa privata con la svizzera Unifarma per 300 mila dosi, aggiungendo che, poiché “il timore di intraprendere iniziative o decisioni suscettibili del vaglio di legittimità da parte della Magistratura, paralizza di fatto l’opera dei funzionari”, Fontana “lungi dal richiedere salvacondotti”, avrebbe comunque proceduto all’acquisto, “assumendosene la responsabilità”.
Un concetto ribadito ieri dal presidente: “Per esigenze di tempestività in una situazione complicatissima per il mercato dei vaccini, si trattava di acquistarne un quantitativo a trattativa privata superando l’obbligo della gara pubblica. Ho quindi voluto rappresentare questo paradosso ai pm per rassicurare Aria sulle eventuali responsabilità”, ha fatto sapere.
Scontata la risposta della Procura. L’aggiunto Romanelli in serata ha sottolineato come “le forniture pubbliche sono di responsabilità esclusiva della pubblica amministrazione. La Procura non ha alcun ruolo. Non è la magistratura che blocca l’azione amministrativa”. La Procura “si limita a considerazioni generali” e “la magistratura ha il ruolo di verifica della legalità in relazione all’eventuale commissione di reati”. Tradotto: voi fate ciò che dovete, noi interverremo se ci sarà qualcosa di non chiaro.
Ma dalle parti di Aria c’è tutto tranne tranquillità. Del resto è la stessa agenzia che aveva accordato alla società Dama, di proprietà della moglie e del cognato di Fontana, l’affidamento senza gara da 513 mila euro per i camici. Un appalto cui sono seguite le indagini su Fontana e famiglia e le dimissioni del dg di Aria, Filippo Bongiovanni (anche lui indagato). Tuttavia Aria ha continuato a lavorare. Il 3 dicembre (il giorno dopo la lettera ai pm), l’Agenzia ha chiuso un affidamento per 150 mila dosi di vaccino. Pur ancora da assegnare ufficialmente, a vincere la 13esima gara dell’anno, aperta il 30/11 e chiusa il 4/12, è stata la Solstar Italia Srl, che ha piazzato 120 mila dosi di Influvac Tetra a 17,85 euro l’una e 30 mila di Fluquadri a 18,90. Incasso totale: 2.709.000 euro.
Al di là delle gare, una cosa è chiara: se la Lombardia il 6 dicembre si ritrova senza vaccini – ne mancano almeno 700 mila –, la responsabilità è di Aria, la società voluta dall’assessore al Bilancio, il leghista Davide Caparini. “Aria è una maxi aggregazione di tre società pubbliche (Infrastrutture Lombarde, Lombardia informatica e Arca) che doveva migliorare le performance. Invece è un mostro senza guida che ha combinato il pasticcio dei camici, ritardato l’acquisizione dei dpi, gestito l’operazione delle mascherine pannolino, fallito sui vaccini”, dice il Pd, Bussolati. Tranchant, l’M5s, Fumagalli: “Fontana non può pensare di cavarsela solo assumendosi le responsabilità dei disastri di Aria. Aveva il dovere politico di sostituirne il Cda quando a luglio abbiamo chiesto la revoca del ‘board’ e chiesto al Tribunale di Milano di nominare un commissario giudiziale”.
sabato 28 novembre 2020
Fotana&Gallera hanno finito anche le scuse. - Antonio Padellaro
Non rispondono e scappano. Gli chiedono come sia possibile che a fine novembre le scorte di vaccino antinfluenzale a disposizione dei cittadini lombardi siano spesso introvabili, e loro balbettano, svicolano e se messi alle strette promettono immediate interviste chiarificatrici. Per poi dileguarsi oltre i cristalli del grattacielo della Regione e scomparire per sempre. Il fatto è che assessori e funzionari della giunta di destra non rispondono (giovedì sera all’inviato di Piazza Pulita) perché non sanno cosa diamine dire. E non sanno cosa dire perché la premiata ditta Fontana&Gallera, insieme ai vaccini ha esaurito anche lo stock delle spiegazioni accettabili (in un vortice di camici, cognati e paradisi fiscali). Certo, se proprio non vuoi aspettare inutilmente altre settimane, e forse mesi, in quanto cosiddetto soggetto fragile, per anzianità e patologie varie puoi sempre rivolgerti al benemerito San Raffaele. Dove sarai subito accontentato sborsando 65 euro sull’unghia. Una cifra che spiega nel modo più semplice ed efficace in cosa consista il “virtuoso” modello lombardo, quello che mette in virtuosissima concorrenza la sanità privata con quella pubblica. Dove infatti stravince la prima perché nella seconda il vaccino sarebbe pure gratis, ma purtroppo non c’è. Se tanto ci dà tanto, prepariamoci alla prossima delirante emergenza, quella del vaccino anti-Covid, che una volta validato sarà acquistato e gestito direttamente dallo Stato. Se esso sarà reso obbligatorio è l’interrogativo che appassiona tg e talk. Ma siamo sicuri che il vero problema riguarderà chi non vuole vaccinarsi? E non invece chi vuole vaccinarsi? Perché qualcosa ci dice che di fronte a una richiesta di massa ci sarà qualche Regione, una in particolare, che troverà il modo di far pagare anche questa volta ciò che dovrebbe essere gratuito. E chissà, nel sempre possibile caso di un esaurimento delle scorte, potrebbero pensarci i fan leghisti del caro amico Putin a rifornire del formidabile vaccino Sputnik i poveri lombardi. Che versando 65 euro potranno anche fare da cavia.
venerdì 13 novembre 2020
Salvini: “Via Gallera”. Ma Fontana lo salva (per salvare se stesso). - Giacomo Salvini e Andrea Sparaciari
Bufera Lombardia.
Fino alle 19 di ieri era praticamente fuori dalla giunta lombarda. Poi in pochi minuti è cambiato tutto e l’assessore alla Sanità Giulio Gallera si è salvato. Un’altra volta. Grazie unicamente al presidente Attilio Fontana che questa volta ha detto no. Un no pesantissimo, rivolto al suo Capitano in persona, Matteo Salvini. Era lui, infatti, che scontento dei sondaggi e convinto che così al 2023 il suo presidente “non ci arriva”, aveva elaborato il piano per mettere l’ormai imbarazzante Gallera alla porta: un mini rimpasto di giunta, con l’uscita del buon Giulio e di altre tre assessore. Silvia Piani (Famiglia) e Martina Cambiaghi (Sport), entrambe quota Lega e Lara Magoni (Turismo), Fratelli d’Italia. Un maquillage giusto per salvare le apparenze. Le tre assessore sarebbero rimaste consigliere regionali (con stipendio assicurato) e la giunta ne avrebbe risentito poco. Certo, si sarebbero dovute trovare altre tre donne per mantenere le quote rosa e poi si sarebbe dovuto sdoppiare l’assessorato oggi di Gallera, Welfare e Sanità. Una fatica, ma tutto sommato nulla di impossibile. E infatti Salvini credeva fino alle 18,30 di avercela fatta.
Poi la sorpresa: Fontana che sbatte i pugni e dice il suo no, consapevole che la caduta di Gallera equivarrebbe a una sua perdita di credibilità personale. Inoltre, tra Fontana e il suo (ancora) assessore molti in questo ultimo anno turbolento sono stati gli interessi comuni e le scelte, non sempre prese in totale accordo. E non sarebbe “saggio” da parte del governatore lasciare che un Gallera demansionato possa parlare liberamente del passato. Così Attilio ha salvato Giulio. Il quale però resta in bilico e nel mirino del Carroccio. Anche perché Matteo Salvini non è solito accettare dei no. Oggi per le 14,30 è convocata una riunione dei capigruppo della maggioranza. Ma Fontana non è stato invitato.
Che Gallera fosse di fatto fuori dal Pirellone fino a una manciata di ore fa, è un dato di fatto. Ancora in serata, fonti vicine al segretario leghista fanno sapere che “l’operato di Gallera non è certo stato all’altezza. Il problema non sono tanto le gaffe sugli “asintomatici non contagiosi” o sui “due infetti che servono per contagiare una persona” con un Rt pari a 0,5. E nemmeno le giravolte sui mancati provvedimenti per chiudere Alzano e Nembro (prima era “competenza dello Stato”, poi “ho approfondito e in effetti una legge del 1978 ci dava quel potere”) o l’incredibile delibera dell’8 marzo con cui la Regione Lombardia spediva i malati nelle Rsa. Tutto questo, sottolinea un leghista lombardo che conosce bene i corridoi e le zone d’ombra del Pirellone, “nel partito è considerata acqua passata, relativa alla prima ondata”. Il problema di oggi – mentre la Lombardia è zona rossa con un ritmo di 10 mila contagi al giorno e con gli ospedali di Monza e Varese che scoppiano – è un altro: “Che Gallera è sempre lì, inchiodato alla sua poltrona a far danni” continua tra l’amareggiato e il furioso lo stesso leghista. Poi certo l’assessore alla Sanità della Regione Lombardia è solo la punta dell’iceberg della giunta di Fontana già di per sé fragilissima e che, nonostante le difese ufficiali, ha perso da tempo il sostegno del Capitano, convinto che i disastri della prima ondata abbiano fatto perdere molti consensi alla Lega. Ma Fontana ormai è diventato un simbolo e, per ordine di via Bellerio, deve “reggere” fino al 2023.
Sicché il bombardamento continuo sulla chat della Lega lombarda e le telefonate che riceve quotidianamente da sindaci che si sentono abbandonati (“Matteo, cambiamolo!”) hanno convinto Salvini che l’obiettivo deve essere un altro: cacciare o commissariare Gallera. Da qui gli attacchi che l’assessore alla Sanità di Forza Italia ha ricevuto nelle ultime ore da leghisti di primo piano: prima era arrivato quello a testa bassa di Emanuele Monti, presidente leghista della Commissione Sanità che al sito Malpensa 24 ha fatto capire che la giunta sta ignorando l’emergenza nella sua Varese, nuovo focolaio dell’epidemia: “Stride il fatto che l’assessore al Welfare Giulio Gallera non sia venuto fisicamente a Varese. È stato a Monza, ma non qui da noi” la frase sibillina. Poi è arrivata la lettera inviata dal consigliere regionale Alessandro Corbetta, e prontamente resa pubblica, per chiedere a Gallera interventi “in tempi rapidissimi” per l’ospedale San Gerardo di Monza “al collasso”. Come dire: cosa ha fatto Gallera finora? Tutte avvisaglie di una bocciatura che appare semplicemente rimandata.
giovedì 12 novembre 2020
Comprati da un dentista di Bolzano, importati dall’India, contatto cinese e intermediario turco: la farsa dei 150mila vaccini antinfluenzali di Regione Lombardia. - Luigi Franco
È la surreale filiera esistente dietro una discussa fornitura che ora rischia di saltare. Sul caso hanno avviato verifiche sia i carabinieri del Nas di Trento sia la guardia di finanza di Bolzano, dopo l’articolo de ilfattoquotidiano.it che ha svelato i retroscena dell’ultimo tentativo della giunta Fontana per mettere una pezza sul pasticcio dei vaccini. Dai primi riscontri è emerso che la società dello studio dentistico non è iscritta nel registro degli intermediari di prodotti farmaceutici detenuto dal ministero della Salute. E per questo i carabinieri, in attesa di approfondire eventuali rilievi penali, hanno già preso un primo provvedimento amministrativo: una sanzione da 6mila euro allo studio.
Vaccini indiani importati da un dentista di Bolzano attraverso un intermediario turco, grazie agli auspici di un conoscente cinese. È questa la surreale filiera dietro la fornitura di 150mila dosi di vaccino antinfluenzale che Regione Lombardia era in procinto di affidare allo Studio Dr. Mak & Dr. D’Amico Srl, società che gestisce un piccolo studio dentistico in Alto Adige. Una fornitura che ora rischia di saltare. Sul caso hanno infatti avviato verifiche sia i carabinieri del Nas di Trento sia la guardia di finanza di Bolzano, dopo l’articolo de ilfattoquotidiano.it che ha svelato i retroscena dell’ultimo tentativo della giunta Fontana per mettere una pezza sul pasticcio dei vaccini. Dai primi riscontri è emerso che la società dello studio dentistico non è iscritta nel registro degli intermediari di prodotti farmaceutici detenuto dal ministero della Salute. E per questo i carabinieri, in attesa di approfondire eventuali rilievi penali, hanno già preso un primo provvedimento amministrativo: una sanzione da 6mila euro allo studio.
La vicenda è solo l’ultimo tassello della tragicomica rincorsa ai vaccini antinfluenzali di Regione Lombardia, che dopo una sequela di errori fatti nei bandi d’acquisto è arrivata in ritardo e con carenza di dosi all’appuntamento con la campagna vaccinale, quest’anno ancora più importante del solito per la concomitanza con la pandemia di Covid. Nelle scorse settimane la Procura di Milano ha aperto un fascicolo conoscitivo sui prezzi elevati a cui sono stati acquistati alcuni lotti. E come se non bastasse 620mila dosi, parte delle 2,9 milioni di dosi ordinate, sono al momento senza l’autorizzazione all’importazione dell’Agenzia italiana del farmaco. Così il 28 ottobre la centrale acquisti regionale Aria ha pubblicato in fretta e furia un ultimo bando, il decimo, per l’acquisto di altre 150mila dosi. Un bando lampo, rimasto aperto per sole 24 ore, tempo comunque sufficiente perché la società Studio Dr. Mak & Dr. D’Amico Srl di Bolzano, che ha come soci e amministratori il dentista Lars D’Amico e la specialista in ortodonzia Rozmary Mak D’Amico, inviasse la propria offerta da 2,7 milioni di euro e si aggiudicasse la gara, salvo le verifiche ancora da effettuare sul possesso dei requisiti richiesti.
A colpire sono soprattutto il brevissimo tempo previsto dal bando per presentare un’offerta e le caratteristiche dell’unico partecipante, che in quanto studio dentistico dovrebbe occuparsi di ben altro, piuttosto che fornire vaccini alle regioni. Ma non è tutto: la società di Bolzano è stata costituita poco più di un mese fa, il 30 settembre, giusto in tempo per partecipare alla gara lombarda. Quando la settimana scorsa ilfattoquotidiano.it ha chiesto chiarimenti in Regione, l’assessore al Welfare Giulio Gallera ha scaricato ogni responsabilità relativa ai bandi su Aria. E Lorenzo Gubian, direttore generale che in Aria ha sostituito Filippo Bongiovanni dopo il caso dei camici comprati dall’azienda di famiglia Fontana, ha spiegato che era “in corso la verifica dei requisiti sulla base del codice appalti. Se l’operatore economico non è una casa farmaceutica, sarà un intermediario come succede per tantissime gare di beni sanitari. Se ha i requisiti per poterlo fare, non c’è nessun problema dal punto di vista della legittimità”.
Ma l’autorizzazione per fare da intermediario nella vendita di farmaci, non si ottiene di solito nelle poche settimane trascorse dalla costituzione della società. E i farmaci possono venderli i farmacisti e i grossisti farmaceutici, non i medici o i dentisti. Così a Bolzano sulla vicenda si è scatenato un vespaio. Se ne sono interessati l’ordine dei farmacisti e quello dei medici, che ha avviato una serie di verifiche. Così come hanno fatto la guardia di finanza e i carabinieri del Nas che, come detto, hanno già sanzionato la studio dentistico, mentre ulteriori approfondimenti sono in corso. Tornando in Lombardia, resta da capire se davvero in Aria e negli uffici dell’assessorato di Gallera non si sono accorti di avere in corso una negoziazione per la fornitura di vaccini non con una società che commercia farmaci, ma con un dentista. Il quale – secondo i primi accertamenti – per venderli alla Lombardia se la fornitura non andrà a monte, li importerà dall’India attraverso una triangolazione con un conoscente cinese e un intermediario turco. “La fornitura è sotto verifica – si limita a dire ancora oggi il direttore generale di Aria -. Le procedure d’acquisto sono regolate dal codici appalti e le verifiche dei requisiti vengono effettuate in sede di gara prima di procedere all’esecuzione del contratto. Questo è il modo previsto dalla norma a tutela della stazione appaltante”. Raggiunto al telefono da ilfattoquotidiano.it, invece, il dentista D’Amico dice: “Non so nulla della sanzione. Per il momento non posso dire niente, posso solo dire che tutto procede per il meglio”.
lunedì 9 novembre 2020
Zaia&C. lasciano solo Salvini: basta guerra al governo. - Giacomo Salvini
Toni distensivi. E lui blinda Fontana.
Il primo a commentare, a dpcm appena sfornato, è stato Luca Zaia secondo cui “quello delle aree non è un gioco a premi”. E ancora: “Legittimo protestare, ma l’obiettivo è uscire dalla crisi tutti insieme” ha detto il “Doge” che ieri al Corriere ha cercato di riportare il conflitto Stato-regioni verso un “percorso condiviso”. Giovedì mattina quando l’agenzia di Zaia è finita tra le mani di Matteo Salvini, che nel frattempo arringava i suoi governatori e i suoi follower al “riconteggio” dei dati contro le zone rosse e arancioni, il leader del Carroccio ha scrollato le spalle: “Luca dice così solo perché ha la zona gialla e poi ormai fa quello che vuole”. Insomma, certo, dal “Doge” che rivendica autonomia a ogni piè sospinto e si presenta come il volto moderato del Carroccio, nessuno nell’inner circle di Salvini si aspettava che facesse il barricadiero contro Roma quando da Roma, per una volta, avevano deciso di differenziare le restrizioni assecondando le richieste federaliste. Epperò, nessuno si aspettava le prese di posizione distensive di altri governatori leghisti con cui Salvini si confronta tutti i giorni come se fossero il suo braccio armato nei rapporti con il governo.
E quindi, come i governatori repubblicani degli Stati Uniti che hanno criticato Trump perché non stava accettando il voto popolare, l’umbra Donatella Tesei si affretta a condividere le misure del nuovo dpcm (“sono come le nostre in Umbria”) e invita a “trovare un’unità di intenti evitando polemiche sterili”. Lo stesso il ligure Giovanni Toti, che pur non essendo iscritto alla Lega è molto vicino a Salvini: “Questo non è il momento delle polemiche, non è una partita politica” va dicendo e ieri ha spiegato che l’idea di dividere l’Italia per fasce è “giusta” dicendosi anche disponibile ad accettare un passaggio della Liguria da gialla ad arancione (“Stiamo affrontando un momento difficile”). E così anche il presidente della Provincia di Trento Maurizio Fugatti che si è adeguato al “lockdown light” del governo senza dire una parola, Arno Kompatscher a Bolzano (della Svp ma sostenuto dalla Lega) che dichiara zona rossa in tutta la Provincia fino al friulano Massimiliano Fedriga secondo cui sì, Conte deve “coinvolgere di più le regioni”, ma “non vogliamo riversare le responsabilità su Roma, adesso serve equilibrio”. Non proprio toni in linea con quelli del segretario. “Sono tutte regioni gialle con esigenze diverse dalle rosse Lombardia, Piemonte e Calabria” si smorza dallo staff di Salvini. Ma in realtà alcune di queste – Liguria e Umbria in primis – da oggi potrebbero retrocedere ad arancione. E quindi i toni durissimi di Salvini, che hanno fatto sobbalzare molti nel Carroccio, si possono inquadrare con una strategia precisa: fare quadrato intorno al governatore lombardo Attilio Fontana e quindi a sé stesso.
Salvini in estate voleva il rimpasto di giunta e ora ha di fatto “commissariato” la coppia Fontana-Gallera che si interfaccia direttamente con lui o con il segretario regionale Paolo Grimoldi. E quale migliore occasione se non la “chiusura” della Lombardia per difendere il proprio governatore contro gli assalti interni ed esterni? Poi c’è il fronte che lo riguarda in prima persona: nella Lega raccontano che Salvini sia molto preoccupato dagli ultimi sondaggi. Venerdì secondo la supermedia Agi/Youtrend, la Lega ha perso un altro 0,6% in due settimane arrivando al 24%, il punto più basso del Carroccio dal 2018. Silenzio tombale anche sulla sconfitta di Trump. Da qui la strategia di alzare i toni. Anche a dispetto dei suoi governatori.