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giovedì 26 agosto 2021

Camici, lo staff di Fontana bloccò il cronista: “Dissero ‘non scrivere, danneggi la famiglia’”. - Davide Milosa


Pressioni o “richieste”. Arrivate direttamente dallo staff del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana per non pubblicare un articolo sull’inchiesta dei camici che vede oggi il governatore leghista indagato per frode in pubbliche forniture. Motivo: non danneggiare Fontana e la sua famiglia. L’articolo non sarà pubblicato. La vicenda, che non ha riverberi penali, emerge dalle carte dell’indagine e riguarda un giornalista (non indagato) del sito Affari Italiani definito negli atti “giornale di area politica vicina alla Regione”. Tutto avviene a giugno 2020, quando il caso dei camici venduti alla centrale acquisiti della Regione (Aria) dal cognato di Fontana è da poco di dominio pubblico. Il giornalista, che dagli atti appare vittima di un sistema di potere, viene sentito dai pm l’8 maggio. Spiega: “Volevo scrivere un articolo durissimo di commento contro Filippo Bongiovanni (ex dg di Aria indagato, ndr) perché (…) una volta saputo della fornitura di Dama (l’azienda del cognato Andrea Dini, indagato, ndr) avrebbe dovuto chiamare Fontana e chiedere spiegazioni”.

L’articolo non uscirà mai anche a causa, ragionano gli inquirenti, delle lamentele di Bongiovanni arrivate ai vertici regionali. “Non ho anticipato a Bongiovanni che avrei scritto, non so chi possa averglielo detto”. Di certo il giornalista ne parla con Paolo Sensale, portavoce di Fontana. “Ricordo di aver detto che Bongiovanni aveva sbagliato. A Sensale ho detto che stavo per scrivere questo articolo durissimo”. Prosegue: “Non ho più scritto l’articolo perché Sensale mi ha convinto dicendomi che Fontana avrebbe avuto dei problemi con la sua famiglia”. Aggiunge: “Escludo sia stata una imposizione, ma una richiesta, e quando nelle intercettazioni parlo del presidente faccio riferimento al suo portavoce o alla sua segreteria”. Le intercettazioni sono con l’ex presidente di Aria Francesco Ferri. Qui Ferri dice “di sapere quale fosse il motivo per il quale Fontana aveva chiesto di non scrivere più sulla vicenda Dama”. Spiega Ferri a verbale: “Fu Bongiovanni a dirmi che lui sarebbe andato a parlare con i magistrati a riferire quanto a sua conoscenza se fossero continuati gli articoli di stampa contro di lui, in particolare di Affari Italiani. Mi disse che ne parlò con Antonello Turturiello (segretario generale della Regione non indagato)”. Interrogato sul punto Bongiovanni dice: “Ferri mi disse che quel giornale voleva indicarmi come capro espiatorio. In quel periodo Fontana raccontava una versione non veritiera”. Il giornalista, prima di rinunciare a scrivere, il 15 giugno incontra il deputato leghista Paolo Grimoldi. “Non fu Grimoldi a dirmi di non scrivere”. Richiesta che venne a suo dire dal portavoce del presidente.

ILFQ

martedì 24 agosto 2021

Donazione camici: Bongiovanni, ex dg Aria “L’ordine di Fontana non era negoziabile”. - Davide Milosa

 

“La volontà del presidente Attilio Fontana non era negoziabile (…) Mi sono adeguato (…) Ho accondisceso a quella richiesta (…) Ero stato nominato. Venivo pagato da Regione Lombardia”. È il 24 maggio scorso quando Filippo Bongiovanni, ex dg della centrale acquisti di Regione Lombardia (Aria), rivela un dato che secondo la Procura di Milano chiuderà il cerchio sulle responsabilità del governatore leghista rispetto all’indagine dei camici venduti (e poi donati) al Pirellone dal cognato Andrea Dini, titolare della Dama spa. L’inchiesta, finita il 27 luglio, conta cinque indagati accusati di frode in pubbliche forniture tra i quali, oltre a Fontana e Dini, anche Bongiovanni, un altro dirigente di Aria e il vicesegretario generale della Regione Pier Attilio Superti. Nel verbale agli atti, l’ex dg affronta il passaggio dall’affidamento “oneroso” siglato il 14 aprile 2020 di 75 mila camici per 513 mila euro fino alla donazione dei camici consegnati alla data del 20 maggio. Passaggio voluto, secondo i pm, anche da Fontana. Bongiovanni conferma: nei due giorni precedenti al 20 maggio in Regione ci saranno diversi incontri. L’ex dg parla con Superti e con il segretario generale Antonello Turturiello (non indagato). “Ricordo – dice – che Superti o Turturiello mi spiegarono che per salvaguardare la figura politica del presidente Fontana sarebbe stato necessario formalizzare la donazione e rinunciare alla restante parte della fornitura”. Prosegue: “In quei giorni Superti mi disse di aver avuto un incontro con la moglie di Fontana” (non indagata). Ancora: “Ho acconsentito alla richiesta perché sono un dipendente regionale” e perché “mi è stato rappresentato in maniera diretta che questa era la volontà del presidente su un tema che gli stava (…) a cuore e di conseguenza mi sono adeguato”. L’ordine “non era negoziabile”. Non aver obbedito, prosegue, “avrebbe rappresentato una clamorosa rottura con il presidente”. Il 18 maggio l’ex dg incontra in Regione Superti e Turturiello: “Superti mi ha prospettato l’intenzione di Dama di donare e di ritenere chiuso il contratto (…) La versione che mi ha raccontato è che Fontana voleva l’Iban (di Dama, ndr) e l’importo dei camici già consegnati e fatturati”. In un’intercettazione del 14 luglio 2020, quando la vicenda è già pubblica, Bongiovanni dice di essersi trovato “in una situazione di impotenza”. A verbale conclude: “Ho eseguito quello che ritenevo un ordine”.

ILFQ

sabato 27 marzo 2021

Arriva la Finanza! “L’uomo di Fontana cancella le chat.” - Davide Milosa

 

Camici. Inchiesta sulle forniture del cognato del presidente: Caparini (assessore leghista) disinstallò WhatsApp poco prima del blitz GdF.

Storie di chat: mandate, ricevute, lette o addirittura cancellate disattivando l’app di WhatsApp come ha fatto, secondo quanto ha ricostruito la Procura di Milano, l’assessore regionale al Bilancio, Davide Caparini, poche ore prima che la Guardia di finanza si presentasse nei suoi uffici per acquisire i dati del telefono. Sta qui il piatto forte dell’inchiesta sui camici prima venduti e poi donati dal cognato del governatore Attilio Fontana alla centrale acquisiti della Regione Lombardia (Aria), ente nato nel luglio 2019 su input di Fontana e dello stesso Caparini. Ente pubblico oggi nella bufera dopo il caos prenotazioni per i vaccini anti-Covid. Non un bel momento per Caparini, leghista da sempre, prima in Parlamento e ora in Regione, figlio di Bruno, tra i padri nobili della Lega nord e influ-ente notabile della provincia bresciana, già in contatto con un imprenditore calabrese indagato per legami con la ’ndrangheta a Milano, ma poi archiviato. Ora, seppur a oggi non indagato, anche Davide Caparini è per la Procura, uno dei protagonisti del “Camicigate” iniziato l’aprile scorso con una fornitura ad Aria di 75mila camici da parte di Dama spa, società di Andrea Dini, cognato di Fontana. Sia il presidente lombardo sia Dini sono attualmente indagati per frode in pubbliche forniture.

Il 24 settembre scorso, Caparini risulta tra i destinatari indicati dalla Procura per l’acquisizione dei contenuti del suo cellulare. Ma c’è una sorpresa: quando la Guardia di finanza analizza il telefono di Caparini si accorge che l’applicazione di WhatsApp è stata disattivata solo da poche ore. Che cosa è successo? Per capire bisogna tornare ai giorni del 23 e del 24 settembre. Sono date decisive. Il 23 settembre, infatti, la Procura di Pavia che indaga sul caso della sperimentazione dei test rapidi Diasorin in collaborazione con il policlinico San Matteo e sull’acquisto senza gara di 500mila test da parte della Regione, dispone il sequestro di alcuni cellulari. Tra questi c’è quello del presidente Fontana (non indagato a Pavia), dell’ex assessore al Welfare Giulio Gallera e di Giulia Martinelli (entrambi non indagati), influente capo della segreteria di Fontana ed ex compagna di Matteo Salvini.

Il giorno dopo, il 24 settembre, si replica. Questa volta l’ordine arriva dalla procura di Milano che indaga sui camici. Vengono così acquisiti i dati di Roberta Dini, moglie di Fontana, dell’assessore all’Ambiente Raffaele Cattaneo, dello stesso Caparini e ancora una volta di Giulia Martinelli. Il materiale analizzato è stato riversato in una annotazione depositata in Procura pochi giorni fa. È in queste pagine che viene ricostruita la singolare vicenda della chat disinstallata da Caparini poche ore di prima dell’arrivo della Finanza.

Torniamo, allora, al 23 settembre. Verso sera e dopo le acquisizioni di Pavia – è stato documentato – Caparini incontra Giulia Martinelli. Nessuno saprà mai il contenuto di quell’incontro. La mattina del 24 settembre, la Guardia di finanza si presenta in Regione per acquisire i cellulari. Poco prima, spiegano fonti vicine agli inquirenti, dal telefonino di Martinelli parte un messaggio WhatsApp indirizzato a Caparini. Il testo: “Arrivata notifica”. Il significato letterale non sembra corrispondere a quanto sta succedendo. La Procura così ipotizza un messaggio “in codice”. Fatto è, Caparini non leggerà mai quel messaggio che non risulta spuntato. Lo leggerà (forse) senza aprirlo. Quando poi la Finanza chiede a Caparini il cellulare, è spiegato in Procura, l’assessore al Bilancio tergiversa. Passa del tempo, come viene annotato nell’informativa. Dopodiché la Finanza si accorgerà che l’app è stata disattivata. Non vi è dubbio che l’operazione è stata fatta nelle ore precedenti in un lasso temporale che va dalla sera del 23 alla mattina del 24. Quando precisamente questo non si sa. La Procura vorrebbe saperlo, lo ha chiesto al perito, che però non è stato in grado di fissare un orario preciso. Tutto questo nulla ha di penalmente rilevante. Di curioso certamente sì.

I messaggi, disinstallando l’app, non sono stati cancellati del tutto e dunque potrebbero essere recuperati. Certo è che dagli atti dell’inchiesta affidata all’aggiunto Maurizio Romanelli “il coinvolgimento dell’assessore Caparini attiene sia alla fase genetica dell’affidamento sia alla trasformazione in donazione” e quindi “è ragionevole pensare che sia stato messo al corrente dello sviluppo delle trattative”. Il 27 marzo 2020, poche settimane prima dall’affidamento di Aria, Roberta Dini, moglie di Fontana, scrive al fratello: “Prova a chiamare assessore Cattaneo (…). Sembra che siano molto interessati ai camici (…), questo mi dice l’assessore al Bilancio Caparini”. Annota la Procura: “Caparini era uno dei promotori che segnalava alla Dini il nome di Cattaneo”. Tanto più che l’11 maggio 2020, otto giorni prima di una riunione in Regione dalla quale uscirà la decisione, poi comunicata il 20 maggio da Andrea Dini all’ex dg di Aria, Filippo Bongiovanni, di trasformare la fornitura in donazione, si tiene un incontro tra Caparini, Bongiovanni e Martinelli. I tre si trovano al 35° piano del palazzo della Regione nell’ufficio di Martinelli. Qui viene sollevata la questione, confermata da Martinelli, di un legame stretto tra Dama e la famiglia di Attilio Fontana.

IlFattoQuotidiano

sabato 29 agosto 2020

L’altra truffa a Zingaretti. I camici mai consegnati. - Vincenzo Bisbiglia

L’altra truffa a Zingaretti. I camici mai consegnati
Dopo il caso delle mascherine pagate 11 milioni (3 rientrati) e mai consegnate, alla Regione Lazio c’è quello dei camici e delle tute protettive. Mai arrivati, se non in minima parte e peraltro già sequest0rata dalla Guardia di Finanza. La Regione guidata da Nicola Zingaretti ha revocato l’ordine alla società Internazionale Biolife che quattro mesi fa si impegnò a consegnare “con estrema urgenza per fronteggiare l’emergenza” 850mila camici e 1 milione di tute. Alla fine ne sono arrivati meno di 150 mila, con la Regione ora pronta a chiedere indietro l’anticipo già versato, ossia 2,8 milioni di euro, più altri 1,4 milioni di penale. Guai però a chiamarlo buco (questa volta) perché con la stessa società “l’agenzia di Protezione Civile del Lazio non ha saldato una fornitura di mascherine, autorizzate e conformi, provenienti della stessa società” e quindi pari patta: una valutazione che non trova d’accordo le opposizioni.
Ma procediamo con ordine. In piena pandemia, l’ente assegna commesse per oltre 100 milioni di euro in via diretta a società minuscole, appena costituite o senza alcun know-how nel settore: le conseguenze sono ritardi e mancata consegna del materiale. È il 30 marzo quando la Regione decide di affidare alla Internazionale Biolife, con sede a Taranto e che vende prodotti omeopatici compresi quelli per il benessere sessuale, il corposo ordine da “fornire entro l’8 aprile, presso l’aeroporto di Fiumicino”. Il giorno dopo viene pagato l’acconto, 20% del totale, ma la prima consegna di camici avviene il 3 giugno. A metà del mese arrivano in tutto circa 150mila camici su un totale di 1 milione. E si arriva così al 26 agosto quando la Finanza notifica il sequestro “emesso dalla procura di Taranto nell’ambito di un procedimento penale che vede indagati i responsabili della Internazionale Biolife”. Per la società i ritardi sono dovuti alle procedure di sdoganamento presso le dogane turche e al porto di Bari, a cui si aggiunge la necessità di “rietichettatura delle confezioni” dei camici. La Regione però a questo punto decide per la revoca: “La condotta contrattuale della Biolife è chiaramente caratterizzata da inaffidabilità e inattendibilità dei tempi di esecuzione. Ha omesso di curare con la dovuta diligenza ed il necessario tempismo l’adempimento della propria obbligazione”.
Una versione che fa quasi sorridere l’amministratore delegato, Luciano Giorgetti: “Ai primi di agosto abbiamo chiuso un’altra commessa con gli stessi soggetti che pubblicamente ci accusano di essere inaffidabili, mi sembra un bel paradosso. Sul mio procedimento abbia fatto ricorso al Riesame. Inoltre abbiamo denunciato i fornitori: se non verremmo pagati chiederò il sequestro dei conti correnti”. Una storia che si preannuncia ricca di ulteriori colpi di scena, senza dimenticare il caso iniziale, anticipato dal fattoquotidiano.it, della EcoTech, un’azienda che vende lampadine a Led, ma che ha avuto una commessa da 35 milioni di euro per le mascherine, mai arrivate. “Purtroppo avevamo ragione, la Ecotech non era un caso isolato, sono stati confermati tutti i nostri dubbi anche sulle forniture della Internazionale Biolife. Sorprendente che il Direttore della protezione civile sia ancora al suo posto” incalza Roberta Angelilli di Fratelli d’Italia. Ecotech aveva corrisposto una parte dell’anticipo alla società svizzera Exor, che a sua volta, aveva chiesto l’approvvigionamento sempre alla Biolife, che poi dalla Regione riceverà la commessa dei camici.
Non sembra l’unico problema del Lazio, alle prese con i ritardi nei tamponi per chi rientra dalle vacanze: le Asl fanno attendere per giorni, romani e turisti in coda anche per 4 ore ad alcuni “drive in” per i test e il sindaco di Civitavecchia, snodo centrale degli arrivi dalla Sardegna e non solo, fatica a gestire il traffico e gli assembramenti.

mercoledì 29 luglio 2020

“Informai Fontana il 16 aprile” “I camici? Non servivano più”. - Davide Milosa

“Informai Fontana il 16 aprile” “I camici? Non servivano più”

L’inchiesta sul governatore. Le deposizioni L’assessore Cattaneo e il direttore di Aria Bongiovanni smentiscono il capo della Giunta.

Il 20 maggio scorso, Andrea Dini, patron della Dama Spa, con un’email avverte l’allora direttore generale di Aria che la fornitura di camici per l’emergenza Covid si fermerà a 49 mila invece dei 75 mila iniziali e sarà trasformata in donazione. Il dg della centrale acquisti della Regione Lombardia, Filippo Bongiovanni, prende atto e ringrazia.

Perché non fece presente a Dini la differenza di 26 mila camici ancora da consegnare secondo l’accordo siglato il 16 aprile? La domanda è stata posta dalla Procura al dirigente ed ex finanziere durante l’interrogatorio della scorsa settimana. Secondo quanto ricostruito dal Fatto, Bongiovanni ha spiegato ai pm che in quel momento – siamo ancora in piena emergenza – i camici non servivano più. Questa, secondo l’accusa, la spiegazione dell’ex dirigente oggi indagato per turbata libertà del contraente e frode in pubbliche forniture. Posizione curiosa visto che pubblicamente, più volte, la Regione ha spiegato in questi mesi di aver necessità di 3 milioni di camici al mese, circa 50 mila al giorno. I camici mancanti – hanno ricostruito i pm – saranno oggetto di un tentativo di vendita separata da parte di Dini a un’azienda del Varesotto a un prezzo di 9 euro, 3 in più rispetto all’offerta iniziale fatta ad Aria. La scelta di bloccare la fornitura a 49 mila camici fu poi dettata dall’intervento di Fontana, che chiese al cognato di rinunciare al compenso. Denaro che lo stesso governatore tenterà di risarcire con un bonifico di 250 mila euro da un suo conto svizzero. E proprio sui camici mancanti ieri sera la Guardia di finanza ha eseguito una perquisizione lampo alla sede della Dama dove sono stati trovati i camici e altro importante materiale probatorio.

Non è però solo questa l’unica incongruenza che emerge dalle indagini. Una seconda riguarda il periodo in cui il governatore, indagato solo per frode in pubbliche forniture, è venuto a conoscenza del rapporto commerciale tra Dama e Aria. Secondo Bongiovanni la notizia arrivò sul tavolo del capo segreteria Giulia Martinelli domenica 10 maggio, secondo Fontana, che ne ha parlato lunedì in Consiglio regionale, il 12 maggio ovvero il giorno prima dell’intervista fatta a Report. C’è però una terza versione ed è quella messa a verbale dall’assessore regionale all’Ambiente, Raffaele Cattaneo, sentito a sommarie informazioni e non indagato. Durante l’emergenza Covid, Cattaneo ha diretto la task force per gli approvvigionamenti di mascherine e altro. Ai pm, per quanto risulta al Fatto, spiega che informò Fontana di un possibile rapporto commerciale tra Dama e la Regione prima che la società di Andrea Dini sottoscrivesse il contratto retrodatando il tutto a metà aprile, cioè un mese prima rispetto alla versione di Fontana. Una ricostruzione involontariamente confermata dallo stesso presidente, quando in Consiglio ha spiegato: “Sapevo che Dama si era dichiarata disponibile a rendersi utile. L’assessore Cattaneo aveva interpellato Dama e altri imprenditori sul territorio disposti a dare una mano”. Nessuna delle altre aziende, spiega la Procura, ha fatto donazioni ad Aria, ma solo offerte. Del resto, in una lettera poco prima del 12 aprile, giorno di Pasqua, già pubblicata dal Fatto, lo stesso Dini invia a Bongiovanni l’offerta commerciale di 75mila camici per 513 mila euro. Qui Dini scrive: “Egregio dottor Bongiovanni, come da indicazioni del dottor Cattaneo le invio la nostra proposta”. Dopodiché chiude con un “Buona Pasqua”. Il contratto viene siglato il 16 aprile. Insomma ben poco torna nelle ricostruzioni del governatore Fontana. Incongruenze che, secondo la Procura, corroborano e chiudono il cerchio attorno alla vicenda-camici dove Fontana è accusato di frode in pubbliche forniture. Accusa legata al suo “ruolo attivo” nel far retrocedere il cognato Dini dal rapporto commerciale con la Regione per tutelare la sua immagine. Ciò provocherà una inadempienza nella fornitura.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/07/29/informai-fontana-il-16-aprile-i-camici-non-servivano-piu/5883534/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-07-29

sabato 25 luglio 2020

L’ex capo di Aria ieri in Procura: “È collaborativo”. - Gianni Barbacetto

L’ex capo di Aria ieri in Procura:  “È collaborativo”

Ha un atteggiamento “costruttivo”, Filippo Bongiovanni, di fronte ai magistrati che ieri mattina lo hanno a lungo interrogato. Bongiovanni è l’ex direttore generale di Aria, la centrale acquisti della Regione Lombardia, che compra tutti i beni e i servizi che servono per le strutture regionali. È indagato, insieme ad Andrea Dini, cognato del presidente della Lombardia Attilio Fontana, per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente. La vicenda è quella ormai famosa della fornitura di camici, copricapi e calzari sanitari da impiegare negli ospedali durante l’emergenza Covid-19: un affidamento diretto, senza gara, del valore di oltre mezzo milione di euro, alla Dama spa, società controllata dal cognato di Fontana e di cui la moglie del presidente lombardo, Roberta Dini, detiene il 10 per cento. Una fornitura in conflitto d’interessi, dunque, avviata il 16 aprile 2020 e consolidata con regolari fatture emesse dalla Dama spa a partire dal 30 aprile. La situazione ha però una svolta nel mese successivo, dopo che un giornalista della trasmissione televisiva Report comincia a fare domande sull’operazione: il 20 maggio la fornitura da 513mila euro viene trasformata in donazione, e le fatture sono di fatto cancellate da note di storno.
Ieri Bongiovanni, ex ufficiale della Guardia di finanza (“Sono stato in divisa per 26 anni e 22 giorni”) è arrivato a palazzo di Giustizia accompagnato dall’avvocato Domenico Aiello (lo stesso che difende l’ex presidente di Regione Lombardia Roberto Maroni in tutte le sue vicende giudiziarie). È stato interrogato per tre ore dai pm che indagano sulla vicenda camici, Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas, coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli. L’interrogatorio è avvenuto al quarto piano del palazzo di giustizia, in una stanza vicina a quella del procuratore della Repubblica Francesco Greco, il quale ha disposto che i cronisti non potessero accedere al corridoio dov’era in corso l’atto d’indagine.
Ha spiegato, Bongiovanni. Ha raccontato meticolosamente tutti i passaggi della fornitura trasformata in donazione, ha ricostruito con atti e documenti i passaggi della procedura. Ha voluto spiegare lo stato d’emergenza in cui Aria e Regione Lombardia si sono trovate a operare nelle settimane più drammatiche della pandemia. Ci ha tenuto a sottolineare l’impegno con cui le strutture regionali hanno cercato di far fronte all’emergenza. Oggi Bongiovanni è dimissionario, ha lasciato il suo posto dentro Aria ed è convinto di riuscire a spiegare ai magistrati e agli ex colleghi della Guardia di finanza il suo ruolo nella vicenda degli 82mila camici e altro materiale di protezione cercati affannosamente nei giorni in cui la Lombardia era bloccata dal lockdown, le terapie intensive erano sovraffollate e il virus diffondeva il contagio e mieteva morti. Poi toccherà a Fontana chiarire il suo ruolo nella vicenda.
La Regione Lombardia del presidente Fontana e dell’assessore al Welfare e sanità Giulio Gallera è sotto osservazione e sotto inchiesta anche per altre storie. 
Dalle donazioni per l’inutilizzato ospedale Covid in Fiera ai troppi morti nelle residenze per anziani, dalla mancata chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo alla scelta della società Diasorin come partner unico per i test sierologici.

venerdì 10 luglio 2020

Camici alla Lombardia, ecco il documento esclusivo: in un’email il cognato di Fontana parlava di “prezzi e forniture”. - Luigi Franco

Camici alla Lombardia, ecco il documento esclusivo: in un’email il cognato di Fontana parlava di “prezzi e forniture”

Lombardia - Macché regalo. La Guardia di Finanza in Regione.
L’offerta da 513 mila euro per la fornitura alla Regione Lombardia dei camici dell’azienda del cognato di Attilio Fontana ha in calce una firma. Ed è proprio quella di Andrea Dini, cognato del governatore lombardo oltre che proprietario e ad di Dama, la società di cui detiene il 10% Roberta, moglie di Fontana. La sua firma fa fuori in un colpo solo la versione propinata per un mese sul contratto concesso a Dama in affidamento diretto, poi trasformato in donazione. E dimostra che tutti quei camici all’inizio erano ben lontani dall’essere un dono. Eppure Fontana il 7 giugno, dopo le anticipazioni del Fatto sull’inchiesta di Report che ha svelato il caso, scriveva su Facebook che c’era “alla base la volontà di donare il materiale alla Lombardia”, mentre Dini dava la colpa a un fraintendimento dei suoi collaboratori, responsabili di aver trattato per errore la donazione come un normale contratto. Ma ora il Fatto è in grado di rivelare che nell’offerta di Dama da cui tutto è partito i prezzi dei prodotti erano in bella mostra. E sotto i prezzi, il timbro dell’azienda e una firma. Non un collaboratore, ma il “dott. Andrea Dini”. Un elemento inedito in una vicenda al vaglio della procura di Milano, che ha iscritto nel registro degli indagati per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente Dini e Filippo Bongiovanni, direttore generale di Aria, la centrale acquisti della Regione. Ieri la guardia di finanza si è presentata in Regione per acquisire i documenti relativi alla fornitura.
Altro che donazione. Nell’offerta inviata prima di Pasqua ad Aria, vengono proposti 7 mila set di camici, calzari e cuffie a 9 euro l’uno e 18 mila camici a 6 euro. Dini si dice inoltre disponibile alla “fornitura” di altro materiale: 50 mila set oppure 57 mila camici. “Sempre agli stessi prezzi. Tutto made in Italy”. Aria sceglie la seconda opzione e il 16 aprile emette un ordine per 7 mila set e 75 mila camici, per un valore totale di 513 mila euro.
Iniziano le consegne, tutte fatturate da Dama, finché il 20 maggio Dini invia un’email ad Aria annunciando la decisione di trasformare il contratto in una donazione. Ma solo per i camici già consegnati, visto che la fornitura del resto viene interrotta. L’email arriva dopo che da giorni Report ha iniziato a investigare sul caso. Quando l’inviato Giorgio Mottola citofona a Dini, lui sostiene che la commessa avrebbe dovuto essere sin da subito una donazione: “Non ero in azienda durante il Covid, chi se ne è occupato ha mal interpretato la cosa. Me ne sono accorto e ho immediatamente rettificato perché avevo detto ai miei che doveva essere una donazione”. Parole che ora vanno in fumo, di fronte alla sua firma sull’offerta.
L’offerta di Dini è indirizzata a Bongiovanni e fa riferimento alle “indicazioni” ricevute dall’assessore all’Ambiente Raffaele Cattaneo, sentito ieri come testimone insieme a Francesco Ferri, presidente di Aria. Perché Cattaneo fa da intermediario tra Dama e Aria? “Durante l’emergenza Cattaneo è stato in contatto con tutte le aziende che si sono offerte di riconvertire la propria produzione, affinché potessero produrre dispositivi di protezione individuale di qualità”, rispondono dall’assessorato ricordando che Cattaneo è stato a capo della task force per coordinare i fornitori. “I rapporti con le aziende per le fasi successive, come donazioni o forniture, sono invece stati gestiti da altri interlocutori”.
Altri interlocutori che ora dovrebbero rispondere a diversi quesiti. Per esempio sui 25 mila camici mai consegnati dopo che il contratto è diventato donazione. “Per quali motivi Aria non ha diffidato Dama a completare la fornitura? Perché non richiede il risarcimento danni per inadempimento contrattuale? La Regione non ritiene di segnalare Dama all’Anac?”, chiede in un’interrogazione il consigliere M5S Marco Fumagalli, che mette in dubbio anche la congruità del prezzo di 6 euro proposto da Dama: “Tra gli ordini di Aria c’è un acquisto di 44 mila camici su Amazon, a 1,6 euro l’uno”. Quattro volte in meno del prezzo del cognato di Fontana.

Il sospetto: “Ruolo attivo di Fontana per il cognato”. - Davide Milosa

Il sospetto: “Ruolo attivo di Fontana per il cognato”

Al vaglio dei pm le “mosse anomale del governatore nella fornitura dei dispositivi di protezione”.
L’inchiesta milanese sui camici prima venduti e poi donati dalla società del cognato del governatore Attilio Fontana alla centrale acquisiti della Regione (Aria) entra nel vivo. La Procura ha in mano due dati fondamentali per comprendere come si è svolta la vicenda e quale scopo aveva. Il primo elemento è la “prova” che Dama spa di Andrea Dini dopo aver chiuso la donazione con 25 mila camici in meno dell’accordo iniziale (50 mila invece che 75 mila) ha tentato di rivendere il rimanente a prezzo maggiorato e da un’altra parte. Il secondo elemento riguarda invece il ruolo del governatore Attilio Fontana che al momento non risulta indagato. Il tutto è ricondotto al 15 maggio quando il cronista di Report intervista il governatore. In quel momento il contratto (e non la donazione) di forniture è in essere da circa un mese.
Nel colloquio con il presidente non si parla dei camici, il tema è l’emergenza Covid e come è stata affrontata. La cosa però, si ragiona in Procura, pare aver insospettito Fontana che, secondo la ricostruzione dei pm, si è adoperato perché quella che fin dall’inizio doveva essere una fornitura commerciale per 513 mila euro di camici si trasformasse in una improbabile donazione. Un atteggiamento lodevole se non fosse legato, spiegano fonti qualificate, a una possibile anomalia precedente l’inizio del contratto tra Dama e Aria. Risultato: il 20 maggio Dini annuncia ad Aria lo storno delle fatture trasformando parte dell’offerta in donazione. Insomma pare di capire che Attilio Fontana, dopo essere stato archiviato dall’accusa di abuso d’ufficio in relazione all’incarico dato dalla Regione a un suo ex socio di studio, ora rischi di ricadere nel frullatore giudiziario. I pm stanno valutando un suo “ruolo attivo” in questa storia. I contorni, dunque, iniziano a chiarirsi dopo che la Procura ha iscritto Andrea Dini e il dg di Aria Filippo Bongiovanni con l’accusa di turbata libertà della scelta del contraente. Ieri, per sette ore, è stata interrogata come persone informata sui fatti, Carmen Schweigl, il responsabile della struttura gare e numero due di Aria. In realtà le vere novità emergono dalle carte acquisite in Regione. La Dama spa, tra i cui soci per il 10% c’è Roberta Dini moglie di Fontana, viene introdotta in Aria dall’assessore regionale all’Ambiente Raffaele Cattaneo. Cattaneo due giorni fa è stato interrogato dai pm e non risulta indagato. La sua posizione, pur nel suo ruolo di capo della task force per le forniture, è ritenuta marginale e comunque il fatto di aver introdotto, come da lui ammesso ai magistrati, la società del cognato di Fontana in Regione appare, al momento, un elemento accidentale. Ben più grave, come ricostruito dai pm, il fatto che fin da subito e fino a ieri la presunta donazione vantata da Dini non sia mai stata accettata da Aria, il che rende ancora valido il contratto del 16 aprile per 75 mila camici pagati 513 mila euro. Particolare reso ancora più evidente da una mail pre-pasquale, pubblicata dal Fatto, in cui Dini firma una proposta di contratto (e non di donazione) alla centrale acquisiti della Regione. È evidente, secondo la Procura, che molti sapessero quello che si stava consumando, e cioè un enorme conflitto d’interessi mai segnalato da Dama perché Aria ha deciso di derogare al patto di integrità della Regione.
La proposta commerciale di Dini elimina l’ipotesi che quella dovesse essere una donazione smentendo la ricostruzione dello stesso cognato, ovvero che fu solo un fraintendimento di comunicazione in azienda poi sanato dal suo intervento. Fin dall’inzio si è trattato di un’offerta commerciale il cui ok, secondo i pm, è avvenuto con “metodo fraudolento” e in modo illegale visto il conflitto d’interessi. La proposta, come detto, arriva prima di Pasqua, il contratto parte il 16 aprile. Tutto fila liscio fino al 15 maggio, data dell’intervista. Quel giorno ai piani alti del Pirellone le paure si fanno feroci. Cinque giorni dopo Dini invia a Bongiovanni un mail nella quale conferma lo storno di alcune fatture per un totale di 50mila camici. Nessuno però fa notare a Dama che ne mancano 25 mila per circa 130 mila euro. Cifra non da poco in giorni in cui la pandemia in Lombardia stava raggiungendo il picco. Che succede a quel punto? Andrea Dini, da bravo imprenditore, tenta di minimizzare il danno provando a rivendere i 25 mila camici a un prezzo superiore a 5,99 euro.

martedì 9 giugno 2020

Camici, inchiesta aperta a Milano. A Como arriva un’altra denuncia. - Gianni Barbacetto e Davide Milosa

Camici, inchiesta aperta a Milano. A Como arriva un’altra denuncia

La Procura di Milano ha un fascicolo aperto sulla fornitura di camici e altro materiale sanitario offerti alla Regione Lombardia dalla Dama spa, l’azienda controllata da Andrea Dini e da sua sorella Roberta, moglie del presidente lombardo Attilio Fontana.
Giornata pesante, quella di ieri, per il presidente, che in mattinata ha visto il Tar annullare l’accordo della Regione con Diasorin sui test sierologici. Poi il Fatto ha dato notizia dell’indagine sui camici: un fascicolo per ora a modello 45, senza indagati e ipotesi di reato. Riguarda la fornitura ad affidamento diretto, che la Regione accetta ad aprile 2020, di materiale sanitario per 513 mila euro, che Dama spa ha fatturato in data 30 aprile.
La vicenda è stata raccontata domenica dal Fatto Quotidiano, anticipando una inchiesta giornalistica di Giorgio Mottola andata in onda ieri sera nel programma Report di Rai3.
Fontana ha passato la giornata di ieri a difendersi, sostenendo che si è trattato non di una fornitura commerciale, ma di una donazione. “Non c’è stato alcun equivoco. Sono stati comprati tutti i camici di tutti quelli che li producevano perché ne avevamo bisogno. Da parte dell’azienda di mio cognato i camici sono stati donati. Quindi non c’è alcun problema”.
Eppure l’affidamento diretto a una azienda controllata dalla moglie e dal cognato del presidente della Regione configura un imbarazzante conflitto d’interessi. Potrebbe in astratto comportare anche un’ipotesi d’accusa di abuso d’ufficio, ma la Procura milanese, in attesa di compiere accertamenti, ha aperto soltanto un fascicolo a modello 45, cioè senza indagati né ipotesi di reato. All’ufficio diretto dal procuratore Francesco Greco era arrivata nelle scorse settimane una segnalazione proveniente dall’interno di Aria, la centrale acquisti della Regione Lombardia. Una segnalazione da Aria risulta sia arrivata anche alla Procura di Como.
Dama spa compare regolarmente nell’elenco fornitori della società regionale Aria. Ma a differenza di altre aziende fornitrici, non ha sottoscritto il “patto d’integrità” del 2019, che comprende anche la dichiarazione di assenza di conflitti d’interesse. Così, in piena emergenza Covid, l’azienda aveva potuto presentare un’offerta commerciale alla Regione per la fornitura di camici, copricapi e calzari sanitari. Aria aveva accettato l’offerta, firmato l’ordine di fornitura il 16 aprile e il 30 aprile aveva ricevuto una regolare fattura, con pagamento previsto a 60 giorni.
Soltanto il 22 maggio (dopo che il giornalista di Report aveva chiesto spiegazioni a Dini e Fontana) erano cominciate ad arrivare in Regione note di storno di Dama spa che annullavano le richieste di pagamento. Ma le donazioni prevedono tutt’altra procedura, spiega uno specialista, l’avvocato Mauro Mezzetti: “Intanto non basta la decisione del solo rappresentante legale: è necessaria una decisione del consiglio d’amministrazione di cui deve essere informato il collegio sindacale, perché sia garantito che la donazione non danneggia l’azienda donatrice. Poi, se non si tratta di una donazione di beni di modico valore (e mezzo milione di euro non mi pare sia un valore modico)”, continua l’avvocato Mezzetti, “ci vuole un atto notarile, sottoscritto con la presenza di due testimoni e la redazione di una nota firmata da chi dona, da chi riceve e dal notaio”. Non solo: “L’atto di donazione va registrato entro venti giorni – conclude Mezzetti – altrimenti scattano sanzioni, perché le donazioni sono sottoposte a un’imposta dell’8 per cento, con pene pecuniarie per chi non paga”.