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mercoledì 15 maggio 2024

LISTE D’ATTESA BLOCCATE? IL GRIMALDELLO PER ACCEDERE ALLE CURE NEI TEMPI E SENZA PAGARE. - Raffaele Varvara

 

Sta esplodendo la piaga sociale delle liste d'attesa con migliaia di italiani che rinunciano alle cure: la soluzione per ripristinare la salute del Paese è nella nostra azione decisa e consapevole.


Le liste sono bloccate e le agende chiuse per tutto il 2024“, “Mi spiace, non c’è posto“: sono sempre più frequenti queste risposte dagli operatori dei Centri Unici di Prenotazione (CUP); l’interfaccia del Servizio Sanitario Nazionale che accoglie la domanda di salute dei cittadini e dovrebbe fornire una risposta certa, risponde invece che lo Stato non riesce a garantire il fondamentale diritto alla salute.

Un problema annoso con cui gli italiani fanno i conti da molto tempo, ma che adesso sta esplodendo in tutte le sue contraddizioni: proprio quel sistema che “per la nostra salute”, aveva prodotto quel propagandato vaccino-messia in pochi mesi e reso obbligatorio in meno di un batter d’occhio, oggi ti risponde che, invece, per una risonanza o una visita ortopedica devi aspettare anni perchè “le liste sono bloccate” e “le agende sono chiuse“; a meno che non paghi e l’esame o la visita la ricevi prontamente anche l’indomani.

Durante la cosiddetta emergenza sanitaria, interi reparti furono chiusi, sale operatorie dismesse con interventi rimandati e tutto il personale dirottato nei centri tampone, negli hub vaccinali o nelle terapie intensive da campo; tutto il SSN era concentrato nella cura del virus mentre si tralasciava il resto: oggi si sono accumulati oltre 400mila interventi chirurgici e altrettanti esami diagnostici e visite specialistiche. Con l’emorragia di personale sanitario che migra verso il privato o verso l’estero, le liste d’attesa ingolfate, il sistema sovraccaricato, lo Stato non riesce a garantire la sicurezza delle cure, parte integrante del diritto alla salute.

Fino a qualche anno fa, gli italiani attingevano ai risparmi privati per ovviare a queste deficienze ed accedere alle cure; l’aumento esponenziale della spesa sanitaria out of pocket ne è la dimostrazione: la spesa sanitaria a carico dei cittadini è passata dai 28,13 miliardi del 2016, ai 40,26 miliardi nel 2022 (1).

Dal 2023 ad oggi, l’impennata dell’inflazione e l’aumento del costo della vita, rappresentano un mix esplosivo del fenomeno della rinuncia alle cure: il 42% dei pazienti con redditi più bassi, fino a 15 mila euro, è stato costretto a procrastinare o a rinunciare alle cure sanitarie perché nell’impossibilità di accedere al Servizio sanitario nazionale e non potendo sostenere i costi della sanità a pagamento. La quota di chi è costretto a procrastinare o rinunciare alle cure scende al  32,6% dei redditi tra i 15 mila e i 30 mila euro, il 22,2% di quelli tra i 30 mila e i 50 mila euro e il 14,7% di quelli oltre i 50 mila euro. L’indagine punta i riflettori anche su un altro fenomeno allarmante: “l’effetto erosivo” sulla ricchezza che, ovviamente, impatta in modo difforme sulle classi di reddito. Il 36,9% degli italiani ha infatti rinunciato ad altre spese per sostenere quelle sanitarie: è il 50,4% tra i redditi bassi, il 40,5% tra quelli medio-bassi, il 27,7% tra quelli medio-alti e il 22,6% tra quelli alti (2).

Per questi motivi, nel 2024 si sono moltiplicate le associazioni, che rivendicano la salute come diritto universale garantito da uno stato sociale perequativo delle diseguaglianze, non un bene di consumo fruibile da chi dispone di ingenti capitali. Il grimaldello di questa rivendicazione è il D.lgs 124/1998 che stabilisce la certezza delle cure entro tempi prestabiliti. Facendo appello a questa legge, le liste d’attesa magicamente si sbloccano e le agende si riaprono, poichè, dice la legge, se non c’è disponibilità di un esame o di una visita nei tempi stabiliti dalla classe di priorità indicata in ricetta dal medico prescrittore nella propria ASL di appartenenza, si ha diritto ad accedere alle cure in regime di intramoenia (privato), alle stesse condizioni del pubblico (ovvero pagando solo il ticket, ove previsto).

Anche il comitato Di Sana e Robusta Costituzione, dopo la consolidata esperienza con l’operazione “Riapriamo le porte” per rimuovere ostacoli all’accesso alle cure come tamponi e mascherine, ha inaugurato l’operazione “Cure si-cure”, un percorso di garanzia delle cure in 3 semplici passi che chiunque può compiere in autonomia seguendo le indicazioni contenute in QUESTO MODULO o chiedendo il supporto al difensore clinico del comitato.

Il comitato si muove contemporaneamente su un piano individuale, prendendo in carico ogni singolo caso e su un piano collettivo con l’obiettivo di determinare gli equilibri politici del governo, sollecitando la corrente sovranista a ripristinare lo stato di salute del Paese tramite rifinanziamento del fondo sanitario nazionale con la tassazione degli extraprofitti dei colossi farmaceutici.

Per slegare la spesa sanitaria dai vincoli di bilancio, pensavamo di farcela tramite la presenza e la forza dei partiti antisistema nelle istituzioni ma la loro frammentazione e gli ostacoli sempre più insormontabili per accedere e concorrere alle elezioni, ci hanno fatto capire che non può essere questa l’unica strada.

Le rigide organizzazioni partitiche antisistema, scegliendo di concentrare le proprie energie esclusivamente nel momento elettorale, col crescente fenomeno della diserzione delle elezioni, non riescono a spostare uno spillo nello scacchiere dei rapporti di forza attualmente dispiegati.

Le dinamiche organizzazioni associative, riescono, invece, ad abbattere le liste d’attesa e garantire il diritto alla salute dei cittadini, predisponendo gruppi di cittadini organizzati a condividere una strategia comune, consapevoli che la strada delle elezioni è al momento impercorribile perchè il nemico si è blindato nella sua fortezza ed ha alzato il ponte levatoio.

Oggi assume forza politica non l’organizzazione statica che conta migliaia di tesserati o vanta decine di simboli, che realizza congressi autoreferenziali per autoproclamarsi soggetto federativo, ma un’organizzazione dinamica che mobilita gli slogan contenuti nei programmi (uscita da UE), in percorsi di azione capaci di incidere e determinare le scelte politiche locali, nazionali e sovranazionali.

In tanti preconizzano una maxi-diserzione delle prossime europee che verosimilmente segnerà il capolinea dei partiti convenzionali. L’alternativa si configura unicamente nel rilanciare la partecipazione democratica e l’esercizio della sovranità in forme inedite, creative e innovative.

Di Raffaele Varvara, per ComeDonChisciotte.org

  1. https://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/dal-governo/2023-12-21/spesa-sanitaria-2022-italiani-hanno-pagato-tasca-propria-4026-miliardi-83percento-192355.php?uuid=AF7a5A9B
  2. https://www.repubblica.it/salute/2024/03/27/news/sanita_poverta_rinuncia_cure-422381005/


https://comedonchisciotte.org/liste-dattesa-bloccate-il-grimaldello-per-accedere-alle-cure-nei-tempi-e-senza-pagare/

sabato 8 aprile 2023

Sistema Sanitario - Giuseppe Conte

 

“La fine del Sistema sanitario nazionale pubblico e universalistico porterà a un disastro sociale ed economico senza precedenti. Ma temo che nessuno se ne renda conto”. Nella Giornata mondiale della Salute è doveroso prendere in forte considerazione l'allarme lanciato nelle scorse settimane da Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.
Mentre il Governo continua a puntare sull’aumento delle spese militari, battendosi perché siano scorporate dai vincoli di bilancio, i problemi quotidiani che i cittadini vivono sulla propria pelle rimangono sullo sfondo, privi di risposta.
Nella sanità la situazione sta diventando drammatica.
Le liste di attesa aumentano, i pronto-soccorso scoppiano, mentre medici specialisti e infermieri scarseggiano. Le stime dei sindacati di settore calcolano una carenza di oltre 60.000 infermieri nell’organico del nostro sistema sanitario nazionale, mentre le dimissioni dei medici dalle strutture pubbliche nel biennio 2020-2021 sono state circa 7 al giorno, e sono in costante aumento. Chi può si rifugia nelle strutture private, di qui la crescita della spesa sanitaria privata, che ha superato il 25% di quella complessiva, per un importo di 623 euro a persona. Con il risultato che si acuiscono le diseguaglianze già esistenti: si oscilla da un massimo 849 euro pro-capite a un minimo di 335 euro, con un’ovvia sperequazione tra le regioni del Nord e le regioni del Sud.
Il Governo in carica non fa nulla per invertire questa deriva che sta portando ad abbassare il livello delle prestazioni e ad aumentare i tempi delle liste di attesa. In base ai documenti di bilancio il Governo ha programmato una spesa sanitaria per il 2025 del 6,1% del Pil, mentre nel 2019 era del 6,4%. Molte Regioni hanno già denunciato che saranno costrette a tagliare i servizi sanitari e ad alzare i tributi locali.
Quando ragioniamo dei principi e dei valori a cui deve ispirarsi la nostra democrazia consideriamo anche questo: per la nostra Costituzione la guerra è un male che va ripudiato, la salute è l’unico diritto esplicitamente qualificato come fondamentale. Incrementare le spese militari e tagliare i servizi sanitari significa operare un completo ribaltamento dei nostri principi costituzionali.

giovedì 30 dicembre 2021

La sanità a Palermo.

 

La sanità a Palermo è il caos totale.

Se fai una richiesta di visita medica tramite lo sportello online, puoi aspettare mesi, fino a quando decidi di disdire la richiesta e vai allo sportello materiale.

Ma, anche allo sportello materiale, se trovi un impiegato su tre sportelli disponibili sei fortunato, pertanto, aspetti ore per il tuo turno. 

A turno ultimato ti presenti allo sportello dove trovi l'impiegato che, chiamato mentre si faceva i fatti suoi, è incazzato nero e comincia farti tante di quelle proposte oscene che per la rabbia lo frusteresti, ma accetti che ti mandi a 30 km da casa e dopo 4 mesi per una visita, da effettuare "entro 10 giorni" dalla data della prescrizione medica.

E non è finita, perché, disdetta delle disdette, ti mettono anche un ticket da pagare in esenzione totale E01.

Questo significa che dovrò pagare, anche se esente, perchè, naturalmente, mi faranno tutte le obiezioni del caso se non pago...

Ed è completamente inutile cercare di scrivere all'azienda ospedaliera per chiedere chiarimenti perché ai numeri presenti nell'apposito link non rispondono e se invii una email all'indirizzo segnato sempre nell'apposito link si ha questa risposta: 

""L'indirizzo a cui hai inviato il messaggio non è stato trovato nel dominio di destinazione. Potrebbe essere stato digitato in modo errato o non esistere. Prova a risolvere il problema eseguendo una o più delle operazioni seguenti:

  1. Invia di nuovo il messaggio, ma prima elimina e ridigita l'indirizzo. Se il programma di posta elettronica suggerisce automaticamente un indirizzo, non selezionarlo.
  2. Cancella la cache di completamento automatico dei destinatari nel programma di posta elettronica seguendo la procedura descritta in questo articolo: Codice di stato 5.1.1. Quindi invia di nuovo il messaggio, ma prima elimina e ridigita l'indirizzo.
  3. Contatta il destinatario in altro modo (ad esempio tramite telefono) per verificare che l'indirizzo usato sia corretto. Chiedi al destinatario se ha configurato una regola di inoltro della posta elettronica che potrebbe inoltrare il tuo messaggio a un indirizzo non corretto.""
Premetto che non ho digitato l'indirizzo, ma l'ho copiato ed incollato, quindi non posso averlo sbagliato.

Questo è il sistema sanitario odierno: definirlo caos è limitativo... è un eufemismo.

Ci fu un tempo in cui tutto funzionava alla perfezione, ma non avevamo un governo di MIGLIORI ... mi domando che succederà quando ne avremo uno di PEGGIORI...

cetta

sabato 19 giugno 2021

Rifiuti, armi e Sanità: i chi finanzia la Meloni. - Valeria Pacelli e Stefano Vergine

 

Dietro il boom di Fratelli d’Italia.

Più consensi, più soldi. Mano a mano che il partito di Giorgia Meloni s’impone come principale forza della destra (stando ai sondaggi Fratelli d’Italia ha raggiunto la Lega), anche le casse del partito si gonfiano. In via principale, di denaro donato dai suoi eletti, ma anche da tante imprese, alcune con interessi economici nei Comuni e nelle Regioni dove i meloniani governano. Lo dicono i bilanci di Fd’I e lo raccontano nel dettaglio i rendiconti pubblici analizzati da Il Fatto. Nel 2019, quando era al 4% (sondaggio YouTrend di gennaio), il partito erede dell’Msi ha raccolto contributi privati pari a 1 milione di euro. L’anno dopo il pallottoliere ha toccato quota 1,4 milioni (registrando quindi un +40%). Da gennaio ad aprile di quest’anno (ultimi dati disponibili), siamo già a 337mila euro incassati. Tutti contributi leciti e regolarmente dichiarati dal partito.

SANITà. Fd’I piace molto al mondo della sanità privata. Tra i principali finanziatori spicca il Gruppo Villa Maria (Gvm), che nel 2020 ha fatto partire due bonifici per un totale di 50mila euro. Con oltre 3900 dipendenti e 715 milioni di fatturato (dati 2019), quella fondata da Ettore Sansavini è una multinazionale delle cliniche private presente in mezzo mondo, dalla Francia, all’Albania e alla Polonia. Il core business resta però in Italia. “Non abbiamo mai ricevuto alcun favore particolare dalla politica e finanziamo diversi partiti, non solo Fd’I, ma anche ad esempio la Lega e il Pd”, ci ha assicurato Sansavini. Dai rendiconti pubblici dal 2018 in poi non risultano donazioni di Gvm ad altre forze politiche. Bisogna anche dire che nei mesi scorsi il gruppo ha trovato qualche ostilità da parte di esponenti di Fd’I in Regione Lazio. Era marzo 2020 quando Gvm firma un protocollo per la trasformazione dell’Istituto clinico Casal Palocco in centro Covid. Il consigliere regionale Giancarlo Righini chiede spiegazioni alla Regione “sulla scelta di allestire un Ospedale Covid in una piccola clinica privata”. “Chiedevo un dettaglio dei costi. – spiega oggi Righini al Fatto – Ho appreso solo di recente del contributo, ma questo prescinde dalla mia attività di verifica. Sull’Icc di Casal Palocco tornerò a chiedere informazioni”.

Nella lista di donatori ci sono anche altre imprese legate al mondo della sanità. Soprattutto quella marchigiana, dove Fratelli d’Italia è riuscita nel settembre scorso a fare eleggere il suo secondo presidente di Regione, Francesco Acquaroli (il primo, Marco Marsilio, governa dal 2019 l’Abruzzo). C’è ad esempio la Innoliving di Ancona, che ha versato 5 mila euro ad ottobre 2020. Controllata dal russo Andrey Derevyanchenko e da Andrea Falappa, produce in Cina e vende in Italia piccoli elettrodomestici e dispositivi diagnostici. Da ottobre scorso, la società fornisce tamponi rapidi dall’aeroporto delle Marche, di cui la Regione detiene una quota. “L’hub che effettua tamponi presso l’Aeroporto – spiegano dalla Regione Marche – è gestito da un soggetto privato, l’iniziativa non è promossa dalla Regione”. A settembre 2020 a Fd’I sono arrivati poi 4 mila euro da un’altra azienda marchigiana: la Radiosalus, un centro polispecialistico privato. L’azienda, sempre a settembre, ha donato 5mila euro anche al candidato presidente del centro sinistra, Maurizio Mangialardi, sconfitto da Acquaroli.

L’AFFARE ESSELUNGA. Non c’è solo il mondo della sanità. Tra i bonifici più generosi ci sono quelli di Aep, ditta di costruzioni. La donazione a Fd’I – 49.500 euro in totale, versati in due tranche tra settembre e ottobre 2020 – è diventato un caso a Lodi, dove i meloniani sono in maggioranza, con tanto di denuncia in Procura presentata da un gruppo di cittadini e poi archiviata dai pm, che non hanno ravvisato alcun reato. Il motivo delle proteste è che Aep sta costruendo in città un supermercato per Esselunga. Racconta Stefano Caserini, consigliere d’opposizione: “Nel territorio dove si sta costruendo, il piano di governo del territorio (pgt) prevedeva un’area prevalentemente residenziale e direzionale. Poi, dopo che Aep ha acquistato il terreno, in consiglio comunale è stata approvata una variante al pgt per rendere l’area commerciale, e questo con i voti della sola maggioranza di cui fanno parte 5 consiglieri di Fd’I. L’approvazione è avvenuta il 22 settembre 2020, un giorno dopo il primo bonifico al partito da parte di Aep, da 25mila euro. Il 27 settembre e il 4 ottobre Fd’I ha organizzato un banchetto in città a favore della costruzione del supermercato Esselunga. Il 23 ottobre Aep ha fatto l’altro bonifico, da 24.500 euro”. E quindi? “Quindi”, dice Caserini, “non mi sembra normale che un costruttore doni soldi a un partito quando sta portando avanti operazioni urbanistiche in cui i rappresentanti di quel partito sono coinvolti”. Coincidenza. Nello stesso periodo poi Aep ha fatto una donazione da 50mila euro al Comitato Giovanni Toti Liguria. Anche in questo caso c’è di mezzo un nuovo supermercato Esselunga. Come rivelato dal Fatto, Aep era infatti impegnata nella realizzazione di un supermercato a Genova per conto della catena di ipermercati.

ARMI E RIFIUTI. Sottomarini militari venduti alle forze armate di mezzo mondo, comprese quelle italiane. C’è anche il gruppo Drass Srl fra i finanziatori di Fd’I. La storica azienda livornese tra il 2019 e il 2020 ha donato 7.500 euro alla sezione toscana del partito. Tra i prodotti di punta della Drass c’è ad esempio il “sottomarino compatto per acque costiere”.

Tra le aziende donatrici di Fd’I c’è poi la Ecoserdiana, che gestisce una discarica a 20 chilometri da Cagliari e il 17 maggio del 2019 ha versato 6mila euro alla sezione sarda del partito. Altra donazione (in questo caso i dettagli sono raccontati nell’articolo accanto) arriva poi dalla Rida Ambiente Srl, società che gestisce una discarica ad Aprilia (Latina) e che il 7 maggio 2019 ha donato 3.200 euro alla sezionale nazionale del partito. Nei mesi scorsi alcuni dei vertici della Rida Ambiente sono finiti nel mirino dei pm di Roma per traffico illecito di rifiuti. “Il procedimento penale deriva da una denuncia del gruppo Cerroni con il quale non corre buon sangue”, spiega il presidente del Cda Fabio Altissimi, oggi indagato. “Abbiamo dimostrato – aggiunge – che (…) Rida Ambiente non ha guadagnato un euro in più di quanto le spettava in base alla tariffa regionale”.

Associazioni. Fd’I però deve aver fatto colpo anche sul mondo delle associazioni. A luglio del 2020 la Confederazione generale dell’Agricoltura ha versato al partito 2800 euro; Confapi – che riunisce le piccole e medie imprese – ne ha invece donati 4 mila. Altri 12500 euro sono arrivati, a settembre 2020, da Confartigianato imprese Marche.

IlFQ

giovedì 1 aprile 2021

Lombardia, il sistema sanitario (privato e pubblico) ha fallito. - Gianni Barbacetto

 

L’Italia ha sempre imparato poco dalla sua storia (Magistra vitae, ma senza discepoli) e niente dalle sue disgrazie (terremoto dopo terremoto, frana dopo frana, esondazione dopo esondazione). Chissà se imparerà qualcosa dalla pandemia. Che il sistema sanitario non abbia funzionato è sotto gli occhi di tutti. Ma riusciremo a riformarlo per ridurre almeno le storture più evidenti? C’è chi è al lavoro per avanzare proposte di riforma, a Roma e a Milano. A Milano i cambiamenti sono più urgenti, vista la disfatta del sistema sanitario regionale lombardo davanti all’assalto del Covid-19. In Lombardia, la super-privatizzazione dei servizi e la super-ospedalizzazione del sistema, che esibivano qualche effetto benefico in tempi “normali”, hanno mostrato tutta la loro inadeguatezza in tempi di attacco pandemico, quando la sanità diventa ancora più vitale. Questo anno di Covid ha mostrato il fallimento non soltanto della riforma sanitaria di Roberto Formigoni, ma anche di quella successiva e ulteriormente peggiorativa di Roberto Maroni (2015), in un’Italia in cui la sanità nazionale è stata (disgraziatamente, per molti) tagliuzzata in 21 sanità regionali. Che cosa cambiare? Sono al lavoro da mesi i “saggi” convocati dal presidente lombardo Attilio Fontana, da cui si distacca il professor Giuseppe Remuzzi, dell’Istituto Mario Negri, che ha presentato nei giorni scorsi le sue proposte. 

Uno. Troppo privato, in Lombardia, dove gli imprenditori della sanità privata sono equiparati al pubblico e dove questo rischia di deperire di fronte al più aggressivo concorrente. Remuzzi propone allora che la contrattualizzazione dei privati sia fatta soltanto per quei servizi che il pubblico non riesce a fare. 

Due. Troppa politica, nella sanità lombarda (e non solo lombarda). I manager, i direttori generali delle aziende ospedaliere, non devono più essere lottizzati e scelti dai partiti.

Tre. Troppo poca sanità territoriale, in Lombardia. Al centro del sistema è stato posto il grande ospedale, con conseguente marginalizzazione della componente territoriale. L’attuale sistema organizzativo è un gomitolo che si fatica a dipanare: da una parte, le Ats (Agenzie di tutela della salute) che dovrebbero presidiare il territorio; dall’altra, le Asst (Aziende socio sanitarie territoriali), il soggetto pubblico che, insieme ai privati accreditati, deve erogare le prestazioni sanitarie e sociosanitarie. Nei poli ospedalieri, innanzitutto, ma anche nella rete territoriale, che però resta debole e inspiegabilmente separata dalle Ats. “Si è perpetuata un’asimmetria tra ospedale e territorio e tra pubblico e privato, in assenza di una cabina di regia super partes”, scrivono i ricercatori del Mario Negri. Poi i malati cronici sono stati affidati ai cosiddetti “gestori”, togliendoli ai medici di base e generando di fatto “reti parallele (di gestori pubblici e privati) in competizione tra di loro e in concorrenza con la medicina di base. Sono così emersi soggetti alternativi al servizio pubblico, svincolati dal contesto territoriale”. Risultato: “Scarsa capacità da parte dei servizi territoriali, impoveriti e disorganizzati, di dare risposte sul territorio ai bisogni socio-sanitari di importanti settori di popolazione come anziani, malati psichiatrici e soggetti socialmente fragili”. Anche prima dell’emergenza Covid. Per gli anziani, infine, è quasi scomparsa l’assistenza domiciliare, a tutto vantaggio delle Rsa, quasi tutte private.

La riforma sanitaria è forse la più necessaria oggi, dopo l’attacco pandemico. La situazione in Lombardia ci dimostra che le incapacità, le sottovalutazioni, gli errori dei governanti e dei loro manager, che abbiamo visto squadernarsi in questo anno-Covid, si innestano in un sistema, quello Formigoni-Maroni, che non funziona e va cambiato al più presto.

IlFattoQuotidiano

mercoledì 31 marzo 2021

Quelle tragedie fatte sparire per non perdere consensi. - Andrea Bonanno

Ruggero Razza ex assessore sanità Sicilia

 Ruggero Razza, l'uomo a cui il presidente Musumeci aveva affidato i dodici e passa miliardi di euro di spesa sanitaria, l'avvocato penalista di grido, l'ultimo enfant prodige della politica siciliana. Prima che pronunciasse la frase intercettata quando parlava al telefono con la dirigente regionale dei morti di Covid dello scorso 4 novembre: "Spalmiamoli un poco", diceva l'assessore. Quasi che quelle 19 persone (questo il dato fornito dalla Regione quel giorno) fossero il burro sui crostini, o la crema solare sulla schiena. E invece erano i dati sulle vite spezzate dal coronavirus, che impietoso dilagava pure in Sicilia. Per difendere la faccia, lo smalto, il prestigio politico di un assessore e del suo staff che avevano voglia di fare bella figura con lo Stato e con i siciliani evitando la zona rossa.

E impedire le restrizioni impopolari, dare un'immagine di efficienza di una macchina organizzativa scalcinata, in cui regna l'improvvisazione. "Spalmiamoli un poco", dice l'assessore di Diventerà bellissima, nel tentativo di far quadrare le cifre dei morti. Non era questo l'atteggiamento che ci si aspettava dall'assessore alla Salute in un momento drammatico come quello che la Sicilia e tutto il mondo sta vivendo. Il cinismo dimostrato da Razza e dal suo staff somiglia più a un goffo tentativo di mascherare la verità con una bufala di proporzioni stratosferiche. Una sorta di "non ce n'è Coviddi" ai più elevati livelli.

LaRepubblica

giovedì 18 marzo 2021

Il nuovo Cts: Speranza declassato, Salvini gode. - Marco Palombi

 

E tre… - Dopo le teste di Borrelli e Arcuri, Draghi dà alla Lega un Comitato più “aperturista”. Il caso Gerli: il suo modello previsivo non prevede per niente bene.

In assenza di novità sostanziali nelle politiche che riguardano la pandemia, Mario Draghi continua a offrire senza risparmio ai suoi alleati di centrodestra, Matteo Salvini in primis, se non altro qualche scalpo simbolico. A fronte delle nuove chiusure, per prepararsi al futuro gli “aperturisti” vogliono almeno isolare Roberto Speranza, rimasto ministro della Salute solo grazie a un diktat di Sergio Mattarella: prima venne la sostituzione del capo della Protezione civile Angelo Borrelli, poi quella politicamente più rilevante del commissario all’emergenza Domenico Arcuri e ora si passa al Comitato tecnico scientifico, la cui “riforma” è stata subito festeggiata da Matteo Salvini.

La scelta del premier di modificare il Cts – tecnicamente attraverso un’ordinanza di Protezione civile – ha ovviamente delle sue ragioni: intanto un’assemblea più snella è un bene (da 26 a 12 membri), come pure l’ingresso di un immunologo come Sergio Abrignani (specializzazione finora mancante nel Comitato). In generale, però, è alla presa del ministero della Salute sul Cts che mirano le novità: prima aveva al suo interno quattro direttori generali, oggi il solo Giovanni Rezza. Ma al di là dei numeri, anche i nomi scelti segnano il cambio di orizzonte verso la nuova “unità nazionale”, ovviamente da realizzare attraverso l’asse Draghi-destra (senza, d’altra parte, non ci sarebbe discontinuità).

Ad esempio l’Agenzia del farmaco (Aifa) resta nel Cts: non più però col dg Nicola Magrini, ma col presidente Giorgio Palù, virologo con ottimo curriculum che fu consulente di Luca Zaia e – essendosi spesso schierato su posizioni “moderate” rispetto alla pandemia – spesso citato da Salvini lungo quest’anno per dimostrare che era possibile “aprire”. Palù, peraltro, firmò a giugno una dichiarazione che metteva in dubbio che gli asintomatici potessero trasmettere il virus con Donato Greco, ex dirigente del ministero e dell’Iss e autore del Piano pandemico del 2006: anche lui entra nel Cts e molti ricordano una sua presa di posizione di settembre (“anche se il Covid circola ancora, l’emergenza è finita a maggio”).

Un certo scalpore ha destato la scelta di Alberto Gerli, ingegnere gestionale che ha elaborato un suo modello matematico di previsione dei contagi amato dai giornali e poco dagli epidemiologi, che sostiene – all’ingrosso – che i cicli di espansione della curva dei contagi durino 40 giorni, sempre: “A fine febbraio il Veneto sarà zona bianca” (era rossa), “a metà marzo in Lombardia 350 contagi al giorno” (4.700), prevedeva a fine gennaio. Va detto che il modello Gerli a volte sbaglia pure per eccesso, come nei casi dei contagi nelle province di Como e Bergamo. Ora la sua stima è che siamo vicini al picco, a prescindere dalle chiusure decise dal governo, che vanno quindi considerate inutili.

A capo del Comitato, dimessosi Agostino Miozzo, sarà il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli, storicamente più “aperturista” dei colleghi. Il numero 1 dell’Iss Silvio Brusaferro sarà invece il portavoce: ruolo che lo ingabbierà nella necessità di fare sintesi con gli altri. Il segretario del Comitato, infine, non sarà più il medico della PS Fabio Ciciliano (che resta nel Cts), ma l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino: scelto dal nuovo capo della Protezione civile Fabrizio Curcio, che è uomo assai legato a Franco Gabrielli, a sua volta sottosegretario alle grane di Draghi.

Un altro nome nuovo è quello di Cinzia Caporale, dirigente del Cnr e membro del Comitato nazionale per la bioetica, sia detto en passant moglie di Angelo Maria Petroni, che i più ricordano in un mitico cda Rai regnante Berlusconi e oggi segretario generale dell’Aspen (l’unica altra donna è Alessia Melegaro, che insegna Demografia e Statistica sociale e dirige il Covid Crisis Lab della Bocconi).

Vanno infine notate almeno un paio di assenze: escono dal Cts sia Kyriakoula Petropulakos, dg della Sanità emiliana indicata a suo tempo dal presidente della Conferenza Stato-Regioni Stefano Bonaccini, sia Sergio Iavicoli dell’Inail, assenza sorprendente mentre si riscrivono i nuovi protocolli anti-Covid per i luoghi di lavoro (bizzarramente silenti i sindacati). Non bastasse il Cts, al povero Speranza è toccato pure ingoiare la nomina (in quota Gelmini e FI) dell’infettivologo della Cattolica Roberto Cauda al tavolo tecnico che dovrà rivedere i famosi 21 parametri di rischio epidemiologico odiati dalle Regioni, Lombardia su tutte, che com’è noto ha problemi a inviare i dati giusti.




mercoledì 24 febbraio 2021

Covid: Dia, le mani delle mafie su 'green' e sanità. -

 

'Seri rischi infiltrazione, crescono riciclaggio e corruzione', l'allarme nella relazione semestrale della direzione investigativa Antimafia.

La pandemia di Covid-19 rappresenta una "grande opportunità" per le mafie e lo snellimento delle procedure d'affidamento degli appalti e dei servizi pubblici comporterà "seri rischi di infiltrazione mafiosa dell'economia legale, specie nel settore sanitario". E' poi "oltremodo probabile" che i clan tentino di intercettare i finanziamenti per le grandi opere e la riconversione alla green economy. L'allarme è contenuto nell'ultima Relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia (Dia), che evidenzia seri rischi di infiltrazione e la crescita di riciclaggio e corruzione. 

Le indagini raccontano di una criminalità organizzata che durante il lockdown ha continuato ad agire sottotraccia, con un calo delle "attività criminali di primo livello" (traffico di droga, estorsioni, ricettazione, rapine), ma un aumento al Nord ed al Centro dei casi di riciclaggio e, al Sud, i casi di scambio elettorale politico-mafioso e di corruzione.

Stabile l'usura, fattore sintomatico di una pressione "indiretta" comunque esercitata sul territorio. Si tratta, segnala la Dia, "di segnali embrionali che, però, impongono alle Istituzioni di tenere alta l'attenzione soprattutto sulle possibili infiltrazioni negli Enti locali e sulle ingenti risorse destinate al rilancio dell'economia del Paese". Sono cresciute anche le segnalazioni di operazioni sospette (Sos) pervenute alla Direzione rispetto allo stesso periodo del 2019. Un dato, viene sottolineato, "indicativo se si considera il blocco delle attività commerciali e produttive determinato dall'emergenza Covid della scorsa primavera". La disponibilità di liquidità delle cosche punta ad incrementare il consenso sociale anche attraverso forme di assistenzialismo a privati e imprese in difficoltà, con il rischio che le attività imprenditoriali medio-piccole "possano essere fagocitate nel medio tempo dalla criminalità, diventando strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti". Diventa pertanto fondamentale, si legge nella Relazione, "intercettare i segnali con i quali le organizzazioni mafiose punteranno, da un lato, a 'rilevare' le imprese in difficoltà finanziaria, esercitando il welfare criminale ed avvalendosi dei capitali illecitamente conseguiti mediante i classici traffici illegali; dall'altro, a drenare le risorse che verranno stanziate per il rilancio del Paese". Da Nord a Sud, infatti, il comune denominatore delle strategie mafiose, in questo periodo più di altri, pare collegato alla capacità di operare in forma imprenditoriale per rapportarsi sia con la Pubblica Amministrazione, sia con i privati. Nel primo caso per acquisire appalti e commesse pubbliche, nel secondo per rafforzare la propria presenza in determinati settori economici scardinando o rilevando imprese concorrenti o in difficoltà finanziaria. La Dia parla di "propensione per gli affari che passa attraverso una mimetizzazione attuata mediante il "volto pulito" di imprenditori e liberi professionisti attraverso i quali la mafia si presenta alla pubblica amministrazione adottando una modalità d'azione silente che non desta allarme sociale".

https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2021/02/24/covid-dia-le-mani-delle-mafie-su-green-e-sanita_c2298c69-8188-4d4d-9f60-dd949ff03bc7.html

venerdì 8 gennaio 2021

Cassandro Ricciardi. - Marco Travaglio

 

Le interviste a getto continuo del professor Walter Ricciardi, “consigliere del ministro Speranza”, insidiano per frequenza e molestia quelle del professor Sabino Cassese, consulente di sé medesimo. È, il prof. Ricciardi, uno strano tipo di consigliere, perché non è mai d’accordo con chi dovrebbe consigliare. Al punto da autorizzare il sospetto che i consigliati non ascoltino mai i suoi consigli, o li ascoltino per fare il contrario (in entrambi i casi, non si spiega perché se lo tengano). Di solito i consulenti consigliano e poi tacciono. Invece il consulente Ricciardi, che è un po’ il Bartali della sanità (tutto sbagliato, tutto da rifare), parla con tutti e dappertutto, sempre per annunciare catastrofi, cataclismi e funerali, con una voluttà sepolcrale che fa apparire la buonanima di Ugo La Malfa un buontempone. Dipendesse da lui, saremmo sepolti vivi in casa come l’abate Faria almeno da marzo. Senza ora d’aria. Se il governo fa il lockdown, dice che non basta: ci vuole l’ergastolo. Se il governo fa le zone rosse, chiede perché ce n’è pure qualcuna gialla e arancione. Se il governo parte col vaccino facoltativo, lo vuole obbligatorio. A novembre voleva un lockdown bis e, siccome il governo non lo fece, vaticinò che ci saremmo finiti lo stesso riempiendo ospedali e terapie intensive. Invece in lockdown ci sono finite Berlino e Londra, e noi abbiamo ridotto i ricoveri ordinari da 35 a 23mila e in terapia intensiva da 3.900 a 2.300 senza il suo amato lockdown. A dicembre voleva riaprire le scuole a metà gennaio e ora che riaprono a metà gennaio dice che è folle (si riferiva a gennaio 2022). Forse pensa che gli studenti, se non vanno a scuola, si barrichino tutti in casa h24.

Pagherei un capitale per assistere a un dialogo fra il consigliere Ricciardi e il consigliato Speranza. Ma anche per seguire il nostro Cassandro nella sua vita quotidiana. La mattina esce di casa, anzi dal feretro, in gramaglie e ammonisce il lattaio: “Ha saputo? Andrà tutto male”. Poi passa dal fruttivendolo: “Si ricordi che deve morire”. E, al barista appena uscito dal Covid, rammenta: “Io gliel’avevo detto, anzi vedrà che il virus ritorna”. Ieri era di turno sul Messaggero e piangeva perché “le limitazioni del governo non basteranno, i contagi cresceranno”, “la politica non decide” (come vuole lui), bisogna fare “come l’Australia e la Nuova Zelanda” (e pazienza se quelle sono isole e soprattutto sono in piena estate). Insomma, ci vuole “un lockdown vero”, anche se in Germania e Gran Bretagna che ne fanno uno dopo l’altro non funziona. Ma solo perché lo fanno sempre “troppo tardi” e non quando lo dice lui. Però deve pure capirli: se non se lo fila il governo di cui è consulente, possibile mai che gli diano retta quelli del resto del mondo?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/08/cassandro-ricciardi/6058729/

giovedì 31 dicembre 2020

Conte: “Sintesi urgente sul Recovery, governo non può galleggiare”. Renzi? “Non sfido nessuno. Se manca fiducia andrò in Aula”. E sulla delega ai Servizi: “È prerogativa premier”. Vaccino: “Escludo obbligo”.

 

LA CONFERENZA DI FINE ANNO - Il premier replica ai malumori della maggioranza: “Abbiamo un patrimonio di fiducia e credibilità da non disperdere”. Sulle minacce di Italia Viva: "Il passaggio parlamentare è fondamentale e ognuno si assumerà le rispettive responsabilità". E sulla delega ai Servizi: "Chi chiede al premier di abbandonarla deve spiegare perché. Altrimenti dobbiamo cambiare la legge". Sulle critiche alla manovra: "E' un collage di favori? Sì, ma a sostegno della sanità, delle famiglie e del lavoro".

Sul Recovery Plan serve subito una “sintesi politica” e ci sarà un Consiglio dei ministri già “nei primi giorni di gennaio”. È “urgente” arrivare subito a un accordo, perché il governo “non può permettersi di disperdere il patrimonio di fiducia e di credibilità” che si è costruito in Italia e in Europa. Ma, “se verrà meno la fiducia di un partito, andrò in Parlamento“. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte evita preamboli ed nella conferenza stampa di fine anno entra subito nel cuore del dibattito politico di questi giorni, chiedendo alle forze di maggioranza una sterzata decisiva, perché l’Esecutivo “non può permettersi di galleggiare“. Occorre “accelerare” la cosiddetta verifica di maggioranza, spiega, così da affrontare “nei primi giorni di gennaio” il Recovery Plan, da consegnare poi alle “parti sociali e alle Camere” per definirlo in via definitiva “a febbraio“. “Dobbiamo correre”, ripete più volte il premier. Il Piano, dai progetti alla governance, è uno dei temi che divide la maggioranza. Ma Conte affronta anche il nodo Mes e soprattutto il tema della delega ai Servizi, altro argomento al centro delle critiche di Renzi: “Chi chiede al premier di abbandonare la delega deve lui spiegare perché: è una prerogativa del premier. Altrimenti dobbiamo cambiare la legge“. La conferenza è anche l’occasione per parlare agli italiani di come proseguirà la lotta alla pandemia: il vaccino non sarà obbligatorio, la scuola e i trasporti restano i punti “più critici” e a marzo la fine del blocco dei licenziamenti è “uno scenario molto preoccupante“. Infine c’è la manovraapprovata oggi dal Senato: “Concordo, è un collage di favori a sostengo della sanità, delle famiglie e del lavoro“, risponde il premier al Corriere della Sera che citava le durissime critiche contenute in un commento del giurista Sabino Cassese, che parlava di “corporativismo”.

La replica a Renzi e la verifica in Aula – La conferenza di fine anno di Conte, iniziata poco dopo le ore 11 con un minuto di silenzio in ricordo delle vittime del Covid e poi con le parole del presidente dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Verna, è l’occasione per parlare agli italiani della lotta al Covid: dal piano vaccini alle eventuali riaperture post-Epifania. Ma è anche la sponda ideale per una replica a Matteo Renzi e ai malumori che animano la maggioranza sul Recovery Plan. “Il premier non sfida nessuno, ha la responsabilità di una sintesi politica e di un programma di governo. Per rafforzare la fiducia e la credibilità del governo e della classe politica bisogna agire con trasparenza e confrontarsi in modo franco”, risponde Conte a chi gli chiede del leader di Italia Viva. “E’ chiaro che non si può governare senza la coesione delle forze di maggioranza, si può vivacchiare“, ripete più volte il premier. Per questo “il passaggio parlamentare è fondamentale“, afferma Conte, confermando la possibilità di ‘testare’ la tenuta della maggioranza proprio con il voto dell’Aula sul Recovery Plan. “Finché ci sarò io ci saranno sempre passaggi chiari, franchi, dove tutti i cittadini potranno partecipare e i protagonisti si assumeranno le rispettive responsabilità“, ribadisce il premier parlando proprio di un eventuale voto di fiducia in Parlamento al termine della verifica di governo. “Non ho sfidato Salvini col voto di fiducia: ho evitato che una crisi di governo si consumasse nel chiuso di un appartamento di rappresentanza o di un salotto“, ricorda ancora Conte.

Rimpasto: se ne può discutere – Il premier cita Aldo Moro e spiega che gli “ultimatum non sono ammissibili”. “Io sono per il dialogo”, ripete. “Un’altra cosa non mi appartiene oltre agli ultimatum. Noi stiamo lavorando al futuro del Paese, stiamo lavorando per il Recovery Plan, abbiamo fatto una manovra espansiva di 40 miliardi, lavoriamo al Bilancio europeo, sono qui per programmare il futuro. Non potrei distogliermi da questo per impegnarmi in una campagna elettorale“, sottolinea Conte. Che aggiunge poi: “Lavoro con disciplina e onore, non certo per fare una mia lista elettorale”. La prospettiva di un rimpasto non è esclusa: “Per quanto riguarda la squadra di governo, il capitano la difende in tutti i modi“. “Se verrà posto il problema se ne discuterà per cercare risposte funzionali che aiutino l’interesse nazionale. Io sono disponibile – chiarisce Conte – nel perimetro di soluzioni che aiutino l’interesse nazionale”. Sull’ipotesi di avere dei vicepremier, risponde: “Una formula rispettata nel precedente governo con scarso successo. Ma non c’è un problema di cambiare squadra, si lavora con le forze di maggioranza, si fa quello che serve al Paese“.

Servizi: legge attribuisce delega al premier – L’altro argomento spinoso è la delega ai Servizi. Renzi da tempo preme affinché Conte ceda la delega e ancora due giorni fa è tornato ad attaccare: “C’è una legge che dice che il presidente del Consiglio affida la delega a una personalità di chiara importanza a cui affida il compito strategico di gestire l’intelligence, che non è la polizia personale di qualcuno”. Il premier in conferenza replica: “La legge del 2007 attribuisce al presidente del Consiglio la responsabilità politica e giuridica sulla sicurezza nazionale”, spiega. “Io ne rispondo comunque. Che mi avvalga o meno di nominare una persona di fiducia”, aggiunge Conte, ricordando che anche il premier Gentiloni non aveva affidato la delega a un sottosegretario. “E poi – prosegue – abbiamo il Copasir che è un organismo fondamentale, composto da tutte le forze rappresentate in parlamento, presieduto da un esponente delle forze di opposizione. Il Copasir garantisce che ci sia il rispetto dell’interesse generale e la direzione politica per il rafforzamento dei presidi”. Il punto, secondo il premier, è un altro: “Chi mi chiede di abbandonare la delega deve spiegare. Domanda: perché si chiede a un presidente del Consiglio di liberarsi dei suoi poteri? Io non posso liberarmi, è una prerogativa del premier. Altrimenti dobbiamo cambiare la legge“, conclude Conte sull’argomento.

I nodi Mes e governance – Conte affronta anche il tema del fondo salva-Stati: “A un tavolo di maggioranza si può discutere di tutto, fermo restando che parlando di Mes, l’ho già detto, sarà il Parlamento a dover decidere se attivarlo o meno. Quello che va chiarito è che non possiamo usare tutti i prestiti in modo aggiuntivi, se lo facessimo avremmo vari inconvenienti“, chiarisce ancora una volta il premier, evidenziando che “nel 2020, sul fronte dei fondi, non siamo riusciti a spendere il 60%. Quindi c’è un limite alla capacità di spesa”. Per quanto riguarda il meccanismo di governance del Recovery Plans, occorre pensare a “una clausola di salvaguardia“, spiega Conte. “Il meccanismo europeo funziona con erogazioni semestrali, se non si rispetta il cronoprogramma le erogazioni sono sospese o addirittura si devono restituire i fondi. Per questo serve un meccanismo che stabilisca una volta per tutte cosa succede se si accumulano ritardi e si rischia di perdere le somme”, sottolinea il premier. “Sulla struttura di governance penso a un decreto: è una richiesta precisa della Commissione europea“, specifica poi Conte.

Il vaccino e il contratto Ue – Oltre le tensioni politiche e i malumori della maggioranza, Conte affronta anche i temi che riguardano più direttamente la lotta alla pandemia, a partire dal vaccino anti-Covid: “Io stesso per dare il buon esempio lo farei subito ma è giusto rispettare le priorità approvate dalle Camere”. Conte ribadisce inoltre che il governo esclude la possibilità di una “vaccinazione obbligatoria“. Quanto alle dosi extra comprate dalla Germania fuori dal recinto Ue, il premier replica: “Italia, Francia, Germania e Olanda sono stati i primi paesi che in modo sintonico si sono mossi per l’alleanza per i vaccini, dopo aver già preso contatti con le ditte. E’ stata una scelta politica. L’Italia non ha tentato di assicurarsi altre commesse perché le dosi contrattualmente negoziate sono centinaia di milioni. E poi L’Italia non l’ha fatto perché all’articolo 7 del contratto della commissione europea c’è il divieto di approvvigionarsi a livello bilaterale”, chiarisce Conte. Che poi dedica un passaggio anche agli insulti ricevuti dalla prima infermiera vaccinata in Italia, Claudia Alivernini: “E’ inaccettabile. Ancor più inaccettabile adesso che stiamo realizzando un piano vaccinale che consentirà di mettere in sicurezza il Paese”.

I licenziamenti – Il premier ammette invece la sua preoccupazione per la fine del blocco dei licenziamenti: “La ministra con i sindacati e le forze sociali sta già lavorando allo scenario che dovremo affrontare dopo marzo“. “È uno scenario molto preoccupante. Abbiamo costruito una cintura di protezione sociale che più o meno sta funzionando, ha scongiurato il licenziamento per 600mila persone. Ma dobbiamo lavorare alla riforma e riordino degli ammortizzatori sociali e rendere più incisive le politiche attive del lavoro. Dovremo lavorare per non farci trovare impreparati. Il mercato del lavoro si preannuncia molto critico dopo marzo”, ammette Conte. L’Italia ha dati economici più negativi di altri Paesi? “I nostri dati economici non lo sono. Aspettiamo l’ultimo trimestre e vediamo”, risponde poi il premier.

La scuola e i trasporti – “Auspico che il 7 gennaio le scuole secondarie di secondo grado possano ripartire con una didattica integrata mista almeno al 50% in presenza, nel segno della responsabilità, senza mettere a rischio le comunità scolastiche”, annuncia invece Conte parlando delle restrizioni post-Epifania e dell’eventuale rientro in classe per gli studenti più grandi. “Se, come mi dicono, i tavoli delle prefetture, hanno lavorato in modo efficace, potremo ripartire quantomeno col 50%“, afferma il premier. “Abbiamo approfittato di dicembre per un ulteriore passo avanti, in una logica di massima flessibilità. Abbiamo compreso che il sistema è così integrato che non è possibile decongestionare i flussi attorno alla scuola, anche per il trasporto pubblico locale, se non si integrano i comparti diversi. Le prefetture hanno avuto il compito di coordinare soluzioni flessibili, da valutare paese per paese, scuola per scuola. C’è stata disponibilità a differenziare gli orari di ingresso anche negli uffici pubblici”, spiega ancora Conte. “Il trasporto si è rivelato uno dei momenti più critici nella fase pandemica, perché se dovessimo rispettare il distanziamento, dovremmo quintuplicare la flotta dei mezzi di trasporto – ammette il premier – ma abbiamo stanziato tre miliardi per sostituire la flotta dei bus e stanziato 390 milioni per favorire il noleggio dei mezzi privati. Sono iniziative che vanno messe a terra a livello regionale”.

Le critiche sulla gestione della pandemia – In Italia i dati peggiori sul Covid che altrove? “Teniamo conto che l’Italia è stato il primo Paese europeo e occidentale in cui è scoppiata la pandemia in modo così incisivo. Questo ci ha complicato la risposta e abbiamo dovuto elaborare risposte che non ci consentivano di riprodurre quelle applicate altrove”, risponde il premier Conte alle osservazioni e critiche ricevute. E chiede aspettare prima di fare bilanci: “Avremo sempre il massimo impegno per limitare le limitazioni delle libertà personali. Nella seconda ondata le misure restrittive sono dappertutto e a volte anche in modo più incisivo che da noi”. Poi sul numero di decessi aggiunge: “Lascio agli scienziati e agli esperti le valutazioni. Dagli esperti ci viene detto che fattori che hanno contribuito c’è che abbiamo la popolazione più anziana d’Europa: in Italia si muore tardi ma si invecchia male. Tutti questi fattori, associati alle abitudini di vita dei nostri anziani che facciamo vivere con noi, possono aver contribuito”.

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