E tre… - Dopo le teste di Borrelli e Arcuri, Draghi dà alla Lega un Comitato più “aperturista”. Il caso Gerli: il suo modello previsivo non prevede per niente bene.
In assenza di novità sostanziali nelle politiche che riguardano la pandemia, Mario Draghi continua a offrire senza risparmio ai suoi alleati di centrodestra, Matteo Salvini in primis, se non altro qualche scalpo simbolico. A fronte delle nuove chiusure, per prepararsi al futuro gli “aperturisti” vogliono almeno isolare Roberto Speranza, rimasto ministro della Salute solo grazie a un diktat di Sergio Mattarella: prima venne la sostituzione del capo della Protezione civile Angelo Borrelli, poi quella politicamente più rilevante del commissario all’emergenza Domenico Arcuri e ora si passa al Comitato tecnico scientifico, la cui “riforma” è stata subito festeggiata da Matteo Salvini.
La scelta del premier di modificare il Cts – tecnicamente attraverso un’ordinanza di Protezione civile – ha ovviamente delle sue ragioni: intanto un’assemblea più snella è un bene (da 26 a 12 membri), come pure l’ingresso di un immunologo come Sergio Abrignani (specializzazione finora mancante nel Comitato). In generale, però, è alla presa del ministero della Salute sul Cts che mirano le novità: prima aveva al suo interno quattro direttori generali, oggi il solo Giovanni Rezza. Ma al di là dei numeri, anche i nomi scelti segnano il cambio di orizzonte verso la nuova “unità nazionale”, ovviamente da realizzare attraverso l’asse Draghi-destra (senza, d’altra parte, non ci sarebbe discontinuità).
Ad esempio l’Agenzia del farmaco (Aifa) resta nel Cts: non più però col dg Nicola Magrini, ma col presidente Giorgio Palù, virologo con ottimo curriculum che fu consulente di Luca Zaia e – essendosi spesso schierato su posizioni “moderate” rispetto alla pandemia – spesso citato da Salvini lungo quest’anno per dimostrare che era possibile “aprire”. Palù, peraltro, firmò a giugno una dichiarazione che metteva in dubbio che gli asintomatici potessero trasmettere il virus con Donato Greco, ex dirigente del ministero e dell’Iss e autore del Piano pandemico del 2006: anche lui entra nel Cts e molti ricordano una sua presa di posizione di settembre (“anche se il Covid circola ancora, l’emergenza è finita a maggio”).
Un certo scalpore ha destato la scelta di Alberto Gerli, ingegnere gestionale che ha elaborato un suo modello matematico di previsione dei contagi amato dai giornali e poco dagli epidemiologi, che sostiene – all’ingrosso – che i cicli di espansione della curva dei contagi durino 40 giorni, sempre: “A fine febbraio il Veneto sarà zona bianca” (era rossa), “a metà marzo in Lombardia 350 contagi al giorno” (4.700), prevedeva a fine gennaio. Va detto che il modello Gerli a volte sbaglia pure per eccesso, come nei casi dei contagi nelle province di Como e Bergamo. Ora la sua stima è che siamo vicini al picco, a prescindere dalle chiusure decise dal governo, che vanno quindi considerate inutili.
A capo del Comitato, dimessosi Agostino Miozzo, sarà il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli, storicamente più “aperturista” dei colleghi. Il numero 1 dell’Iss Silvio Brusaferro sarà invece il portavoce: ruolo che lo ingabbierà nella necessità di fare sintesi con gli altri. Il segretario del Comitato, infine, non sarà più il medico della PS Fabio Ciciliano (che resta nel Cts), ma l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino: scelto dal nuovo capo della Protezione civile Fabrizio Curcio, che è uomo assai legato a Franco Gabrielli, a sua volta sottosegretario alle grane di Draghi.
Un altro nome nuovo è quello di Cinzia Caporale, dirigente del Cnr e membro del Comitato nazionale per la bioetica, sia detto en passant moglie di Angelo Maria Petroni, che i più ricordano in un mitico cda Rai regnante Berlusconi e oggi segretario generale dell’Aspen (l’unica altra donna è Alessia Melegaro, che insegna Demografia e Statistica sociale e dirige il Covid Crisis Lab della Bocconi).
Vanno infine notate almeno un paio di assenze: escono dal Cts sia Kyriakoula Petropulakos, dg della Sanità emiliana indicata a suo tempo dal presidente della Conferenza Stato-Regioni Stefano Bonaccini, sia Sergio Iavicoli dell’Inail, assenza sorprendente mentre si riscrivono i nuovi protocolli anti-Covid per i luoghi di lavoro (bizzarramente silenti i sindacati). Non bastasse il Cts, al povero Speranza è toccato pure ingoiare la nomina (in quota Gelmini e FI) dell’infettivologo della Cattolica Roberto Cauda al tavolo tecnico che dovrà rivedere i famosi 21 parametri di rischio epidemiologico odiati dalle Regioni, Lombardia su tutte, che com’è noto ha problemi a inviare i dati giusti.
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