mercoledì 28 luglio 2021

Con la riforma Cartabia rischiano di andare in fumo anche i processi per reati commessi prima del 2020. Il precedente della Consulta (e la ministra era giudice). - Paolo Frosina

 

L'improcedibilità della nuova norma rischia di essere considerata retroattiva al primo ricorso delle difese che si appelleranno al favor rei. Almeno a leggere una sentenza della corte Costituzionale del 2019 (quando ne faceva parte pure la Guardasigilli), che cita a sua volta un'altra pronuncia del 2006.  Pasquale Bronzo, docente di Procedura penale alla Sapienza: "Qualsiasi avvocato solleverà la questione".

La riforma Cartabia non renderà impunibili solo i reati commessi dopo il 1° gennaio 2020, ma molto probabilmente anche quelli precedenti. Tra cui il crollo del ponte Morandi, il disastro di Rigopiano, la trattativa Stato-mafia. Lo dicono avvocati, accademici e persino la Corte costituzionale, che ha sempre espresso un principio chiaro: le norme penali più favorevoli si applicano retroattivamente ai processi in corso, e la legge non può – come fa il testo del Governo – limitarne l’applicazione nel tempo senza una valida ragione. “Dal punto di vista costituzionale, quella norma è piuttosto pericolante“, conferma al fattoquotidiano.it Pasquale Bronzo, docente di procedura penale alla Sapienza di Roma. E la Guardasigilli lo sa benissimo. L’ultima sentenza a esplicitare il principio, infatti, è la 63 del 2019: il presidente della Consulta è Giorgio Lattanzi, proprio l’ex magistrato voluto da Cartabia a capo della commissione di studio del progetto di riforma. Il relatore è il penalista Francesco Viganò. E tra i nove giudici del collegio c’è lei, la studiosa di diritto costituzionale ora ministra della Giustizia. La regola fondamentale da cui parte il ragionamento è quella dell’articolo 2, quarto comma del codice penale, il principio di retroattività della legge penale più favorevole: “Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”.

Ma il valore di questo principio, spiega la Corte, non è quello di una semplice norma di legge ordinaria. “La regola dell’applicazione retroattiva della lex mitior (la legge meno severa, ndr) in materia penale”, si legge, “non è sprovvista di fondamento costituzionale: fondamento che la costante giurisprudenza di questa Corte ravvisa anzitutto nel principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio criminis (la depenalizzazione, ndr) o la modifica mitigatrice”. Quindi: l’imputato sotto processo ha il diritto di godere della norma più favorevole, anche se non era in vigore nel momento in cui ha commesso il reato. E a dirlo non è solo la Costituzione ma il diritto internazionale ed europeo: la retroattività, ricordano i giudici, “è in particolare enunciata tanto dall’art. 15, comma 1, terzo periodo, del Patto internazionale sui diritti civili e politici (…) quanto dall’art. 49, paragrafo 1, terzo periodo, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”.

È per questo che nel 2006 un’altra pronuncia della Consulta – citata da Lattanzi, Cartabia e gli altri – ha dichiarato incostituzionale una norma molto simile a quella con cui la Cartabia esclude dai propri effetti i reati commessi prima del 2020. Era l’articolo 10, comma 3 della legge ex-Cirielli – la famosa “accorcia-prescrizione” voluta dal secondo governo Berlusconi – che proibiva di applicare la prescrizione più breve ai processi in cui fosse già stato aperto il dibattimento di primo grado. La regola, concludeva la sentenza, “limita in modo non ragionevole il principio della retroattività della legge penale più mite e viola l’art. 3 della Costituzione”: quel principio infatti “può essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo“, e in quel caso, secondo la Corte, non ce n’erano. Cosa succederebbe se, all’entrata in vigore della riforma Cartabia, gli imputati per reati anteriori al 2020 chiedessero l’applicazione retroattiva delle nuove norme, come hanno già annunciato alcuni legali nel processo per il crollo del Morandi? Non c’è motivo di pensare che la decisione dovrebbe essere diversa.

O meglio, in teoria c’è: perché la norma transitoria nel ddl Cartabia è definita come una regola processuale, che non rientra nel principio enunciato dal codice penale. Ma l’opinione più diffusa tra gli addetti ai lavori è che invece – di fatto – sia una norma sostanziale, perché incide direttamente sulla punibilità. È semplice: se il processo muore dopo due anni in Appello, l’imputato non può più essere condannato. Nè più nè meno che se il reato fosse prescritto. Per questo il professor Bronzo, uno dei più stretti collaboratori di Lattanzi, definisce la previsione “pericolante” e immagina già le conseguenze. “L’efficacia retroattiva si può sicuramente ipotizzare. Impedire la retroattività dando una veste processuale alla norma è l’ambizione di chi ha scritto il testo: se si applicano gli ultimi criteri dettati dalla Corte europea, l’improcedibilità si può definire una norma a effetti sostanziali. Qualsiasi avvocato diligente solleverà la questione, anche soltanto ponendo una questione di eguaglianza: possiamo dare per scontato che il tema arriverà di fronte alla Corte costituzionale“. Una pioggia di ricorsi, che, quella sì, di certo non velocizzerà i processi.

ILFQ

Ove Mai. - Marco Travaglio


Paolo Mieli vaga ramingo di talk in talk lacrimando non tanto per quel che ho detto su Draghi alla festa di Articolo 1, quanto perché la gente applaudiva. In effetti è bizzarro che il popolo della sinistra non si prostri adorante al culto mariano del governo che prende ordini da Confindustria e persino da Bonucci&Chiellini, sblocca i licenziamenti, blocca il cashback, condona gli evasori, ingaggia la Fornero, fa politiche ambientali da Premio Attila e riforme della giustizia da Trofeo Berlusconi. Io però, appena vedo Mieli, non riesco a non pensare al suo scoop del 17 giugno a Otto e mezzo sul cambio della guardia tra Figliuolo e Arcuri: “Quando è arrivato Draghi, ha trovato che Conte e Arcuri avevano acquistato mascherine per 763 settimane, cioè per 14 anni e mezzo, da qui al 2035!”. Obiettai che era una cifra campata per aria. Ma lui ripeteva a macchinetta: “Segnàtevi questo dato: 763 settimane, 14 anni e mezzo di mascherine comprate… un giorno faremo i conti… opacità, cose strane… 763 settimane, 14 anni e mezzo!”. Ricordai che l’inchiesta romana riguarda l’acquisto di circa 1 miliardo di mascherine dalla Cina nel marzo 2020. Ma Mieli mi incalzò implacabile: “Ammetti che sono troppe, ove mai fosse vero che Draghi e Figliuolo han trovato nei loro magazzini 14 anni e mezzo di mascherine?”.

Arcuri smentì quel dato iperbolico con le cifre ufficiali e ricordò che nel marzo 2020 servivano mascherine per un mesetto, poi partì la produzione nazionale. Mi attendevo una puntuta replica, almeno un “ove mai”, invece Mieli non ne parlò più. Ma siccome ha detto che “un giorno faremo i conti”, appena lo vedo spero sempre che il giorno sia arrivato. Nell’attesa, a parte la scena comica di Arcuri che chiama il fornitore e intima “mi mandi 763 settimane di mascherine”, come se si ordinassero a mesi e non a numero, qualche conto l’ho fatto io. Posto che nel lockdown, per ogni italiano circolante (40 milioni su 60), occorrevano due mascherine al giorno (vanno cambiate ogni 4 ore), il fabbisogno giornaliero era 80 milioni, pari a 427,3 miliardi per 763 settimane. A 1 euro a pezzo, Conte e Arcuri avrebbero speso 427,3 miliardi di euro: metà della spesa pubblica annua, oltre il doppio del Recovery fund, sommetta difficile da occultare nelle pieghe del bilancio. Dove avranno preso tutti quei soldi? E dove saranno i famosi magazzini in cui Draghi e Figliuolo han trovato quel po’ po’ di mascherine? A metterle l’una sull’altra a mucchietti, formerebbero un parallelepipedo alto 4mila km su una base di 7,2 milioni di kmq (vasta poco meno dell’Europa). Non vediamo l’ora di andarci in visita guidata, con Mieli, Draghi e Figliuolo come guide turistiche. Ove mai non fossero tutte cazzate.

ILFQ

Vaccini 12-18enni, tutto quel che c’è da sapere in 10 domande e risposte. - Nicola Barone

 

Dagli eventi avversi registrati alle sperimentazioni ancora in corso, come rispondono i pediatri ai dubbi dei genitori.

Consentire un ritorno non traumatico a scuola degli studenti, allontanando lo spettro di nuove fasi di didattica a distanza. Nei pensieri del Governo è una priorità assoluta, di Mario Draghi in particolare che riserva sempre parole nette a riguardo sin dalla primissima ora. Per la vaccinazione obbligatoria del personale non ancora immunizzato niente è ancora deciso. L’altra parte sta invece ai più giovani che sono davanti alla scelta, insieme alle proprie famiglie. Alle più correnti domande danno risposta le Faq pubblicate sul sito della Società Italiana di pediatria (Sip) in cui si «raccomanda la vaccinazione Covid-19 per tutti i bambini e gli adolescenti di età pari o superiore a 12 anni».

I più piccoli sono “risparmiati” dal Covid?

A maggio 2020, ricordano i pediatri italiani, solo il 5% dei pazienti Covid pediatrici che erano stati ospedalizzati aveva comorbidità e il 3,5% di loro è stato ricoverato in terapia intensiva. «Recenti evidenze scientifiche hanno dimostrato in tale fascia di età la presenza di gravi complicanze renali o di complicanze multisistemiche, anche al di là della ben codificata MIS-C, conseguenti ad un’infezione pauci o asintomatica». Rispetto alla celiachia gli studi disponibili non mostrano un incremento dell’incidenza di effetti collaterali in pazienti affetti rispetto al resto della popolazione, vi sono alcuni dubbi sull’efficacia ma ad oggi non sono disponibili studi che lo dimostrino.

Non aver avuto malattie pregresse mette al riparo dalle conseguenze peggiori?

«Anche i bambini adolescenti senza malattie pregresse sono a rischio di ospedalizzazione a causa del Covid, quindi necessitano di essere protetti dalla vaccinazione». Chi soffre di asma, se la malattia è controllata, può essere sottoposto alla vaccinazione e «non vi sono evidenze che dosi basse o moderate di corticosteroidi inalatori possano avere impatto sulla efficacia». Quanto ai bambini con disabilità neurologiche e immunodeficienze, sono più a rischio di essere ospedalizzati a causa del SARS-CoV-2, pertanto «devono essere vaccinati, anche se probabilmente l’immunogenicità della vaccinazione sarà minore». Inoltre il vaccino anti Covid non contiene lattice o proteine dell’uovo per tanto non è controindicato in soggetti con queste allergie.

Quali sono i rischi effettivi di miocarditi e pericarditi?

Qualche motivo di preoccupazione è stato dato da rarissimi casi nel mondo di miocardite, un’infiammazione del muscolo cardiaco, e di pericardite, nella quale a essere interessato è invece il rivestimento dell'organo. Stando a un consistente report del Centers for disease control and prevention di Atlanta (Cdc), su oltre 7,3 milioni di dosi di vaccino somministrate a giovani tra i 12 e i 17 anni, dopo la prima dose sono stati rilevati 4 casi nelle femmine e 32 nei maschi. La maggior parte delle volte i pazienti sottoposti a successive cure mediche hanno risposto bene ai farmaci con risoluzione dei problemi sorti.

In Italia abbiamo avuto morti?

Dai dati dell’Istituto superiore di sanità aggiornati al 9 giugno 2021, nel nostro Paese dei 4,2 milioni di casi di infezione, il 5,5%, ovvero 231.338, ha riguardato bambini tra 0 e 9 anni con 11 morti. Mentre il 9,6%, cioè 406.460 casi, ha interessato la fascia 10-19 anni, in questo caso con 15 decessi. La distribuzione per classe d’età, spiega la Sip, aumenta progressivamente dall’età neonatale a quella adolescenziale, con la metà dei casi che si verifica in minori tra 1 e 14 anni, mentre sono rari i casi nel primo anno di vita.

Sono in corso ulteriori sperimentazioni sotto la fascia di età approvata?

Le autorità di regolamentazione degli Stati Uniti hanno chiesto a Pfizer/BioNTech e Moderna di espandere la dimensione degli studi in corso che testano i loro vaccini anti Covid nei bambini di età compresa tra 5 e 11 anni. La Food and Drug Administration ha indicato che l’attuale ampiezza delle sperimentazioni appare inadeguata per rilevare i rari effetti collaterali.

La vaccinazione favorirà un ritorno a scuola in presenza?

Il Comitato tecnico-scientifico, esprimendosi in un parere richiesto dal ministero dell'Istruzione, ritiene «assolutamente necessario» dare priorità alla didattica in presenza per il prossimo anno scolastico. Non solo come strumento essenziale per la formazione degli studenti, ma anche come «momento imprescindibile e indispensabile nel loro percorso di sviluppo psicologico». Diversamente, la situazione potrà «negativamente tradursi in una situazione di deprivazione sociale e psico-affettiva delle future generazioni». Per il massimo organo consultivo la vaccinazione costituisce, ad oggi, la misura di prevenzione pubblica fondamentale per contenere la diffusione della SARS-CoV-2. È dunque essenziale, per evitare di dover rinunciare alla didattica in presenza, oltre che alle altre attività di socializzazione in ambiente scolastico, e nel contempo impedire che si generino focolai di infezione, promuovere la vaccinazione nella scuola, tanto del personale scolastico (docente e non docente), quanto degli studenti.

È utile o necessario fare una ricerca degli anticorpi prima di prenotare il vaccino?

Nel caso di minore con anamnesi di pregressa infezione da SARS-CoV-2, la Società italiana di pediatria raccomanda un intervallo di almeno 90 giorni tra la diagnosi di infezione o la somministrazione di eventuali anticorpi monoclonali e la prima somministrazione del vaccino Covid-19.

Bisogna fare una profilassi particolare pre vaccinazione?

I pediatri italiani suggeriscono di non prescrivere farmaci finalizzati alla prevenzione degli eventuali eventi avversi postvaccinici.

Dopo si possono abbandonare le regole di contenimento del virus?

Fino a quando non verranno formalizzate specifiche indicazioni da parte degli enti regolatori nazionali, agli adolescenti e le loro famiglie viene ribadito il valore del continuo e costante rispetto delle norme per il contenimento e la diffusione del coronavirus anche dopo la vaccinazione.

Tutti i Paesi si comportano allo stesso modo con i giovani?

No. Uno di quelli più citato è la Germania dove la commissione specializzata indipendente presso il Robert Koch Institut non consiglia di somministrare vaccini in modo generalizzato nella fascia 12-17 anni. Sulla scorta delle evidenze acquisite, la Stiko giudica che l’impatto dell’infezione nella fascia in questione sia troppo piccolo per giustificare il vaccino per tutti i bambini sani. Tanto più che la sicurezza del vaccino non è considerata ancora sufficientemente documentata nello specifico gruppo di età. La vaccinazione viene dunque riservata solo a chi è malato o ha determinate patologie pregresse.

IlSole24Ore