sabato 11 maggio 2019

Vitalizi Trentino-Alto Adige, la Consulta: “Taglio previsto da legge legittimo”. M5s: “Privilegi e non diritti acquisiti”. - Giuseppe Pietrobelli

Vitalizi Trentino-Alto Adige, la Consulta: “Taglio previsto da legge legittimo”. M5s: “Privilegi e non diritti acquisiti”

Anche se reatroattive, per i giudici, le norme rispondevano a due esigenze fondate. La prima era quella “di ricondurre a criteri di 'equità e ragionevolezza' gli assai favorevoli meccanismi di calcolo dell’attualizzazione degli assegni vitalizi”. La seconda esigenza era quella “di provvedere al contenimento della spesa pubblica”. E la Lega annuncia un nuovo disegno di legge.

I tagli ai vitalizi dei consiglieri regionali del Trentino-Alto Adige decisi nel 2014 non erano incostituzionali. Lo ha stabilito la Consulta che ha esaminato i quesiti posti dal giudice civile di Trento Massimo Morandi e riguardanti la norma che aveva cercato di ridurre gli effetti a favore della casta politica di una precedente legge regionale del 2012. La causa riguardava gli effetti “retroattivi, permanenti ed irreversibili” che vietavano il cumulo con altri vitalizi nazionali o europei oltre i 9.000 euro lordi mensili e prevedeva un taglio del 20 per cento dell’importo erogato dalla Regione.

Le cause erano state promosse dalle vedove di Hans Rubner e di Ioachim Dalsass, che avevano visto ridurre gli assegni di reversibilità mensili lordi da 4.765,89 a 1.895 euro e da 6.761 a 1.895. Altre cause erano state promosse da due ex consiglieri e deputati, Hubert Frasnelli (vitalizio calato da 7.965 a 5.891 euro, che si aggiungeva a 3.108 da deputato nazionale) e Siegfrid Brugger (da 3.543 a 139 euro euro, oltre agli 8.860 incassati da deputato). Erano tagli legittimi e proporzionati? Poteva la Regione prendere una decisione che incideva sui benefici acquisiti? La Consulta dà una risposta precisa e ritiene infondata la censura di incostituzionalità. Anche se retroattive, le norme rispondevano a due esigenze fondate. La prima era quella “di ricondurre a criteri di ‘equità e ragionevolezza’ gli assai favorevoli meccanismi di calcolo dell’attualizzazione degli assegni vitalizi” introdotti da una legge regionale del 2012 e da due delibere dell’ufficio di presidenza del Consiglio regionale nel 2013. La seconda esigenza era quella “di provvedere al contenimento della spesa pubblica”. In particolare, scrivono i giudici della Consulta, “l’intervento legislativo aveva mirato a correggere gli effetti di una normativa che aveva complessivamente determinato un ampliamento della spesa pubblica regionale, in controtendenza rispetto alle generali necessità di contenimento e risparmio perseguite dal legislatore statale, a fronte di una crisi economica di ingente (e notoria) portata”.
La notizia arrivata da Roma ha scatenato qualche scintilla tra Lega e Movimento Cinquestelle. Roberto Paccher, presidente leghista del Consiglio regionale, ha commentato: “Dopo questa storica sentenza, che conferma che si possono tagliare i vitalizi, è mia intenzione presentare un nuovo disegno di legge per trasformare i vitalizi dal sistema retributivo a quello contributivo”. Pungente la replica di Filippo Degasperi, di M5S: “Siamo molto soddisfatti, anche perché la sentenza di fatto chiarisce che la vicenda non riguarda diritti acquisiti, ma privilegi auto-riconosciuti da un’intera classe politica”. Il consigliere trentino punta il dito contro “i commenti entusiastici di rappresentanti appartenenti a partiti che non hanno offerto alcun sostegno alla causa e che anzi, oltre ad aver approvato la legge con cui sono stati distribuiti 96 milioni di euro a circa 150 colleghi ed ex, hanno mantenuto il segreto più rigoroso per quasi due anni sul pagamento degli assegni d’oro”. A che cosa si riferisca Degasperi è presto detto: “Solo l’avvento del M5s, con un’interrogazione a mia prima firma ha scoperchiato il pentolone della legge Vergogna che era stata approvata nel 2012 per acclamazione e senza riserve dal Consiglio regionale”.
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Presenze e assenze in Parlamento, non solo Angelucci: Cerno, Brambilla e gli altri onorevoli “desaparecidos”. - Maria Cristina Fraddosio

Presenze e assenze in Parlamento, non solo Angelucci: Cerno, Brambilla e gli altri onorevoli “desaparecidos”

Se anche per i parlamentari valessero le norme che la ministra Giulia Bongiorno vorrebbe applicare agli assenteisti della Pubblica amministrazione, alla Camera e al Senato ne vedremmo delle belle. Fortunatamente per gli eletti non è così, anche se ce n’è più d’uno che latita durante le sedute, qualcuno addirittura con percentuali che sfiorano il 100 per cento in questa XVIII legislatura, entrata nel vivo giusto un anno fa con l’arrivo in Parlamento del Documento di economia e finanza varato dal governo Gentiloni il 26 aprile.
I dati sono su openparlamento.it. Breve premessa: il conteggio delle assenze include anche l’astensione dal voto, cioè un legittimo atto politico. Partiamo dalla Camera coi suoi 628 deputati. Già a luglio era scoppiata la polemica per il caso del deputato-velista Andrea Mura, cacciato dai 5 Stelle e passato al gruppo Misto: è cessato dalla carica a settembre. A Montecitorio ci andava una volta alla settimana, il resto del tempo lo dedicava al mare perché – a suo dire – più che deputato, era un “testimonial in difesa degli oceani”.

Veniamo a chi resta: nella top ten degli assenteisti quattro su 10 sono di Forza Italia. In cima alla classifica c’è Michela Vittoria Brambilla, assente al 98,5 per cento delle votazioni: impegnata com’è tra dog show, dibattiti sulla caccia, 35 gatti12 cani2 cavalli2 asinelli, 7 capre e via dicendo, di tempo a disposizione ne ha ben poco. La scorsa legislatura superò di poco l’1 per cento di presenze, ma non risultò tra gli assenteisti per via di una straordinaria percentuale di missioni, vale a dire attività autorizzate fuori da Montecitorio, pari all’80 per cento.
Al secondo posto c’è un habitué, Antonio Angelucci. Da portantino a imprenditore milionario, plurindagato, con una richiesta di condanna a 15 anni per truffa ai danni della sanità, proprietario dei quotidiani Il Tempo e Libero, anche lui è di Forza Italia: è assente all’89 per cento delle votazioni. Sul podio anche l’imprenditore tuttofare, Guido Della Frera, berlusconiano pure lui, col 74,8 per cento di assenze: d’altra parte ha il suo daffare col gruppo di famiglia, di cui è presidente, attivo nei settori sanitario, turistico, alberghiero, ristorativo e immobiliare.
Al quinto posto si piazza Giorgia Meloni: “Noi difendiamo chi lavora e produce, non i mantenuti”, s’è sgolata a Jesolo per la festa del 1° maggio. Ecco, la leader di Fratelli d’Italia ha una percentuale di assenza che supera il 73 per cento. Quasi la stessa al centesimo di Vittorio Sgarbi, eletto con Forza Italia e oggi traslocato nel gruppo Misto. Seguono due nomi di peso: con il 69,1 per cento di assenze l’ex ministro Antonio Martino, uno dei fondatori del partito-azienda di Berlusconi, in Parlamento dal 1994, e l’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, che in questa legislatura ha partecipato a un terzo delle votazioni (67,3 per cento di assenze). Ottavo, nono e decimo posto sono, rispettivamente, di Erasmo Palazzotto di LeU (63,7%), Fausto Longo, eletto in Sud America nelle liste del Pd e ora nel Misto (60,1 per cento), e della vicesegretaria del Pd Paola De Micheli(59,6%).
In Senato, invece, composto da 320 membri, le percentuali di assenteismo sono in generale più contenute. Tolti i senatori a vita, in pole position c’è Tommaso Cerno, l’ex direttore dell’Espresso, finito nelle liste del Pd per volere di Matteo Renzi. Per lui, come recita il proverbio, assalto francese e ritirata spagnola: all’inizio sempre presente al fianco di Renzi, ora desaparecido. Ha partecipato a 818 votazioni su 3.550: la sua percentuale di assenze è del 76,9 per cento. Secondo in classifica, impegnato com’è a difendere nei tribunali Silvio Berlusconi, è Niccolò Ghedini, che in questa legislatura ha raggiunto il 61,3 per cento di assenze. Segue – sempre targata Forza Italia – la figlia di Bettino, Stefania Craxi (57,38 per cento). Medaglia di legno per il vicepresidente del Senato ed ex ministro, l’avvocato Ignazio La Russa (Fratelli d’Italia) col 55,46 per cento di assenze, seguito da un ex collega nel governo Berlusconi, Paolo Romani(45,69 per cento). A continuazione – tutti del gruppo Misto – l’ex viceministro socialista Riccardo Nencini (36,2 per cento), la leader di +Europa Emma Bonino (35,75) e il calabrese d’argentina Adriano Cario(32,5), eletto all’opposizione ma fattosi subito governativo. Chiude la top ten la regina dei salotti televisivi, Daniela Santanché, che comunque risulta presente o in missione in oltre il 70 per cento dei voti.

Ovviamente non mancano gli stakanovisti: alla Camera i primi cinque sono grillini, ma il 100 per cento delle votazioni ce l’ha solo Marco Bella, chimico, ha fatto ricerca in California per poi rientrare a casa e insegnare alla Sapienza. Per rigore, però, vincono i senatori: ce ne sono ben 19 presenti a tutte le votazioni (9 sono del M5s, 8 della Lega, uno di Fratelli d’Italia e uno di Forza Italia).
Diceva questa estate la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati: “Per quanto riguarda il contenimento dei costi della politica, è evidente che il dibattito non si esaurisce certo con i vitalizi. Ad esempio quando non si è presenti in aula o in commissione deve esserci una sensibile diminuzione degli emolumenti. È un principio di giustizia e meritocrazia”. Per ora, questo principio non pare una priorità delle Camere.