mercoledì 10 febbraio 2021

Il “pacco Bertolaso” già bocciato dal Cts. E in Umbria fa flop. - Vincenzo Bisbiglia

 

Dosi di Salvini.

Il piano di salvaguardia della sanità regionale varato a novembre, con la “superconsulenza” di Guido Bertolaso, è rimasto solo su carta. Così ora l’Umbria di Donatella Tesei si trova impreparata di fronte alla drammatica impennata dei contagi nella provincia di Perugia, con la presidente leghista costretta a implorare l’arrivo di un surplus di fondi e farmaci al governo nazionale. Tutto ciò mentre lo stesso Bertolaso si vede fermare dal Comitato tecnico-scientifico la valutazione sul suo piano vaccinale in Lombardia, che il governatore Attilio Fontana spera di “esportare” in tutto il Paese, come già consigliato da Matteo Salvini e ieri anche da Silvio Berlusconi al premier incaricato Mario Draghi. Intanto il flop del documento umbro, presentato in pompa magna il 16 novembre scorso, è nei numeri: il piano avrebbe dovuto portare alla creazione di “ulteriori 40 posti letto di terapia intensiva, per una disponibilità complessiva di 167 posti letto”. Ma dal dashboard del ministero della Salute, aggiornato all’8 febbraio, si apprende che l’Umbria oggi è dotata di 130 posti di terapia intensiva. In pratica solo tre posti in più rispetto a ottobre, sebbene sia stato raggiunto “l’obiettivo” minimo imposto dal governo di 14 posti ogni 100mila abitanti.

Un ruolo importante l’avrebbe dovuto recitare l’ospedale da campo da 4,5 milioni di euro promesso da Tesei il 7 aprile 2020. Sarebbe dovuto sorgere a Bastia Umbra, ma dopo tutta una serie di ritardi e cambi di appalto, è stato montato alle spalle dell’ospedale Silvestrini di Perugia. La struttura mobile è stata consegnata il 7 febbraio, ben 10 mesi dopo la dichiarazione d’intenti di Tesei. E non è ancora attiva. Non solo. Ci sono stati problemi anche rispetto ai 12 posti letto di terapia intensiva previsti al suo interno. Lo certifica un documento del 19 dicembre, firmato dal dirigente regionale Sandro Costantini e inviato all’Althea Spa – la società che ha realizzato l’ospedale da campo – con all’oggetto la “non conformità dello shelter installato per la terapia intensiva” e la “diffida ad adeguare e a presentare le certificazioni della struttura”. “Il collaudo è terminato lunedì”, ha assicurato ieri il capogruppo della Lega, Stefano Pastorelli. Ma secondo fonti del Fatto Quotidiano, l’ospedale da campo sarebbe stato “consegnato con riserva e in via d’urgenza” e senza le terapie intensive.

La situazione in Umbria è drammatica. In particolare in provincia di Perugia, ormai da giorni in lockdown. La regione ha l’Rt più alto d’Italia (1,18). Ieri Tesei, in consiglio regionale, ha detto che “la variante brasiliana rischia di diventare il nuovo mostro” e ha invocato 50mila dosi di vaccino anti-Covid in più, ristori per le zone rosse e l’anticipo delle cure con la tecnica dei monoclonali. Gli ultimi dati riferiscono di 77 persone in terapia intensiva, per una soglia di saturazione del 56%, su una popolazione totale (890mila abitanti) che è un terzo di quella di Roma. Manca anche il personale, con il bando per 20 anestesisti che ha portato all’assunzione di sole 10 nuove unità. “La maggioranza che guida questa regione è stata incapace di monitorare e intervenire in modo tempestivo”, ha affermato il capogruppo regionale del M5S, Thomas De Luca, che ha aggiunto: “Troppo tardi, il rischio di paralisi della sanità è palese”.

In tutto questo, che fine ha fatto Bertolaso? Incaricato il 4 novembre come “super consulente” di Tesei per la sanità umbra, dopo il varo del piano e l’intervento “a titolo personale” del 30 novembre a Spoleto, dell’ex capo della Protezione civile si sono perse le tracce. Anche il trasferimento di malati Covid nel “suo” ospedale-astronave di Civitanova Marche – a 150 km dal capoluogo – non è mai stato attuato. Bertolaso, come noto, ora è a Milano a fare il “super consulente” del governatore lombardo Attilio Fontana e della neo-assessora Letizia Moratti. Sua la firma sul piano vaccinale di massa della Lombardia, che secondo Fontana dovrebbe essere una “best practice da proporre anche a livello nazionale”, tanto che Matteo Salvini ha proposto il “modello Bertolaso” anche al premier incaricato Mario Draghi. Ma la valutazione del piano vaccinale lombardo, in chiave nazionale, è stata “sospesa” dal Cts: “Ci sono altre priorità”, spiegano dal ministero della Salute.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/10/il-pacco-bertolaso-gia-bocciato-dal-cts-e-in-umbria-fa-flop/6096039/

Quel fascino discreto di astenersi. - Antonio Padellao

 

Sono convinto che in queste ore decisive per il futuro della Nazione non siano in pochi a meditare sul fascino discreto dell’astensione. Per i grillini più lacerati, tra coloro cioè chiamati a decidere sulla piattaforma Rousseau se il M5S debba concedere oppure no la fiducia al nascente governo Draghi, la terza opzione non sarebbe forse un provvidenziale salvagente? E il nì coniato dal professor Michele Ainis non farebbe un gran comodo ai Fratelli d’Italia, combattuti tra l’orgoglioso isolamento propugnato da sorella Giorgia e il timore di finire inutilizzati nel frigorifero dello storia, come accadde a Giorgio Almirante al tempo dell’onda nera missina? E poi, astenersi in prima battuta per poi decidere quali provvedimenti dell’esecutivo di SuperMario votare e quali no non sarebbe il modo migliore per marcare stretto quell’intruppone di Matteo Salvini? Siate sinceri compagni duri e puri di LeU, esserci ma anche non esserci non è il vostro sogno nel cassetto per evitare contaminazioni con i sequestratori di Ong e gli amici di Casapound? (quanto a Roberto Speranza abbia pazienza e salti un giro).

L’elogio delle mani libere rievoca un antico governo della non sfiducia. Era il 31 luglio 1976, e mentre l’Italia viveva l’ordinaria emergenza del terrorismo e della lira a picco, nasceva il terzo gabinetto Andreotti con il voto favorevole della Dc e dei sudtirolesi, e le astensioni di Pci, Psi, Pri, Psdi, Pli. Riuscì, pensate, a restare a galla un paio d’anni. Da ciò si ricava la natura multiforme dell’astensione che oltre alla consueta modalità sospensiva può manifestarsi nella veste opportunista (qui lo dico e qui lo nego), cinica (che mi dai in cambio?), intimidatoria (il nì che promette un no), fausta (oppure un sì). Si può dare vita insomma a un ventaglio cangiante di posizioni, a un acrobatico triplo salto con piroetta, o se preferite a un kamasutra di salute pubblica. Va detto infine che nello stretto interesse del premier pervenire (o non frapporre ostacoli) a una scrematura dei più incerti e dubbiosi potrebbe non essere un danno. Per arginare il rischio di un’ammucchiata troppo indistinta e dunque incline alla contrattazione sfibrante e alla politica del rinvio. Ma ecco qui di seguito un paio di massime utili. “Non appena ci manifestiamo in un modo o nell’altro, ci facciamo dei nemici. Se vogliamo farci degli amici o conservare quelli che abbiamo, l’astensione è di rigore” (Emil Cioran). Ma anche: “Nel rischio astieniti” (Marcello Marchesi).

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/10/quel-fascino-discreto-di-astenersi/6096056/

Governo: M5s, 'Voto su Rousseau temporaneamente sospeso'. Grillo, 'Serve super ministero per transizione ecologica'.

 

Crimi sul blog: 'Nuovi orari saranno successivamente comunicati'.


"Un super ministero per la transizione ecologica lo hanno Francia, Spagna, Svizzera, Costarica e altri paesi. Presto lo dovranno avere tutti.

Non lo dico io. Ce lo gridano la natura, l'economia, la società". Così Beppe Grillo in un tweet.
"Un Super-Ministero per la transizione ecologica - afferma Grillo sul blog - fonde le competenze per lo sviluppo economico, l'energia e l'ambiente. Capiamolo, una volta per tutte: è l'economia che rovina l'ambiente, non il contrario. Lo dico da vent'anni negli spettacoli: 'Il vero ministero dell'ambiente è quello dell'economia, dell'energia, delle finanze'. Un Super-Ministero per la transizione ecologica è la coordinazione per trasformare la società - non solo dell'economia. E' uno strumento fondamentale, come ci sembrarono fondamentali i primi ministeri dell'ambiente negli anni '70. Qualcuno allora faceva ironie. Ma oggi il ministero dell'ambiente lo hanno tutti gli Stati". "Solo un Super-Ministero - afferma il fondatore M5S - per la transizione ecologica può affrontare le crisi che in cinquant'anni di economia patogena abbiamo fatto diventare emergenze: il clima, la biodiversità, le disuguaglianze, il lavoro, le migrazioni. Questa è una pand-economia micidiale. In mezzo secolo, ha fatto più morti che il Covid in un anno".

Via libera su Rousseau da parte degli iscritti M5S alla nuova governance composta da 5 membri che archivia la stagione del capo politico. Il secondo quesito, che introduce il nuovo organo, ha visto prevalere i sì con l'83,5% (24.340 voti) contro il 16,5% (4.793) dei no. A votare sono stati 29.133 iscritti.
Per la modifica dello Statuto M5s "poiché non ha partecipato alle votazioni almeno la maggioranza assoluta degli iscritti, così come previsto dall'articolo 6 dello Statuto del MoVimento 5 Stelle, si procederà con la seconda convocazione dell'Assemblea degli iscritti dalle ore 12 di martedì 16 febbraio 2021 fino alle ore 12 di mercoledì 17 febbraio 202". Lo annuncia il Movimento sul blog delle Stelle.

'Il voto sul governo previsto dalle ore 13.00 di oggi è temporaneamente sospeso. I nuovi orari di inizio e termine votazione saranno successivamente comunicati". È quanto afferma il capo politico M5S Vito Crimi in un post sul blog delle Stelle.
Colpo di scena sulla sorte del governo Draghi. Lo scontro tra i Cinque Stelle costringe Grillo a rinviare il voto degli iscritti su Rousseau per evitare una spaccatura che può essere fatale al tentativo dell'ex presidente della Bce. 'Aspettiamo a votare che Draghi abbia le idee chiare, un po' di pazienza. Ho detto no alla Lega e lui mi ha risposto... non lo so, vediamo...', dice Grillo nel video in cui definisce Draghi 'un grillino'. Arriva la replica di Salvini: 'Incredibile Grillo. Noi confermiamo il nostro atteggiamento costruttivo, responsabile, positivo e che ci porta a non parlare di ministeri e a non mettere veti'.

Stop Grillo a voto Rousseau, "Draghi uno di noi" - IL VIDEO - "Pensavo fosse un banchiere di Dio invece è un grillino". A tarda sera arriva, atteso come se fosse una benedizione da buona parte del M5S, l'endorsement di Beppe Grillo a Mario Draghi e lo stop al voto degli iscritti. Il Garante del M5S, dopo la decisione di mettere su Rousseau la votazione sul governo guidato dall'ex governatore della Bce, è costretto a tornare a Roma e, a sorpresa, a partecipare nuovamente alle consultazioni con Draghi. Serve l'impronta del fondatore sul sì del Movimento al nuovo governo per piegare la trincea dei "contras", folta al Senato e foltissima tra gli attivisti. Con al conseguenza che, un no della base a Draghi, porterebbe ad una sicura scissione nei gruppi pentastellati. La decisione di affidarsi al voto agli iscritti scatena una guerra fratricida nel Movimento che, secondo fonti parlamentari qualificate, innesca una tensione altissima tra Grillo e Davide Casaleggio, sebbene dall'Associazione Rousseau neghino qualsiasi attrito. E perfino il post con cui il capo politico annuncia, poco dopo ora di pranzo, che il M5S chiederà a Draghi quale sia il perimetro politico della maggioranza, finisce sotto attacco da parte dell'ala pro-governo del Movimento, la più numerosa alla Camera e, probabilmente, anche al Senato. "Se vince il no su Rousseau qui facciamo la scissione al contrario", spiega nel pomeriggio un big del gruppo a Montecitorio facendo capire che i pro-Draghi potrebbero anche non rispettare il voto "dell'intelligenza collettiva". Serve che Grillo ritorni in campo. E l'ex comico lo fa. In un video sottolinea alla base come Draghi abbia detto sì al reddito di cittadinanza e all'ambiente come pilastro del nuovo governo. Ma per votare su Rousseau chiede di aspettare. Serve insomma un altro segnale da parte del premier incaricato, che eviti la spaccatura del M5S. E un segnale potrebbe avvenire, secondo un'interpretazione che circola nel Movimento, quando Draghi parlerà al Quirinale dopo il giuramento. E, soprattutto, dopo che avrà stilato la lista dei ministri del nuovo governo. Un governo nel quale Grillo e i vertici del M5S puntano dritti ai temi della transizione ecologica. Nel frattempo, impazza la campagna dei parlamentari a favore o contro il governo. In serata i "contras" si vedono via Zoom al V-Day contro Draghi, per sfogarsi e contarsi, anticipati dall'intervista ad Andrea Scanzi con cui Alessandro Di Battista, proprio mentre Grillo è nella Sala dei Busti con Draghi, ribadisce il suo "no" al professore e al governo con FI e Lega, assicurando che continuerà la battaglia dentro il Movimento. La tensione è altissima. Neppure la mediazione del voto di astensione, proposta dallo stesso Di Battista e da Barbara Lezzi, è una exit strategy. Anche perché, l'ala governista, nell'esecutivo Draghi, ci vuole entrare eccome. E poi ci sono i pontieri, i mediatori e gli indecisi che vogliono prima vederci chiaro proprio sulla natura politica del governo. "Basta protagonismi", avverte Luigi Iovino. "Questa campagna elettorale interna è uno spettacolo indegno", incalza Fabio Castaldo. In mezzo a questa tempesta, nel pomeriggio, torna a Roma Beppe Grillo. Agli uffici della Camera, questa volta, l'ex comico si fa più leader e meno showman. Parla soprattutto ai gruppi, in una riunione in cui mancano sia Luigi Di Maio che Giuseppe Conte. Da lì gira il video con cui congela il voto su Rousseau. Chiedendo "pazienza" ma, volutamente, senza precisare la nuova data della votazione. E' un modo, implicitamente, anche per "far sbollire" l'ala "dibattistiana". Con conseguenze al momento avvolte nella nebbia: ma, stando alle ultime indiscrezioni, la votazione su Rousseau potrebbe essere indetta dopo che Draghi scioglierà la riserva e prima che andrà in parlamento a chiedere la fiducia. Quando, insomma, al M5S sarà più chiaro quanto di pentastellato entrerà nel programma e magari anche nella squadra di governo.

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2021/02/10/annuncio-m5s-voto-temporaneamente-sospeso-_3e18b2d2-0314-4b4b-9f52-10da826a03b0.html

Rousseau, memento Monti. - Marco Travaglio

 

Se anche gl’iscritti 5Stelle gli diranno sì, Mario Draghi avrà la fiducia più larga della storia repubblicana: 596 deputati su 629 e 302 senatori su 321. Gli voterebbero contro soltanto i 33 deputati e i 17 senatori FdI (e meno male che c’è la Meloni: i governi senza opposizione esistono solo nelle dittature). Un record bulgaro che straccerebbe quello dell’altro SuperMario, Monti, “fiduciato” 10 anni fa con 556 voti alla Camera e 281 al Senato (contrari solo i 59+25 leghisti, a cui s’aggiunsero ben presto i 21+12 dipietristi di Idv, che avevano votato solo la prima fiducia per poi passare all’opposizione).

Monti per tre mesi fece il bello e il cattivo tempo sull’onda di un’emergenza drammatica: lo sfascio economico-finanziario in cui il governo B.-3 ci aveva precipitati. Poi, dinanzi alle scelte impopolari di massacro sociale dettate dalla lettera della Bce di Trichet & Draghi, che fecero pagare ai pensionati e ai lavoratori l’intero costo della crisi, la luna di miele finì e iniziarono i distinguo dei partiti.

B., capo di quello di maggioranza relativa, iniziò a fare il capo dell’opposizione con la grancassa dei suoi media: Monti passò dal consenso al dissenso e fu persino costretto a sloggiare anzitempo. Tentò di vendicarsi fondando Scelta Civica con Fini e Casini, ma nel 2013 prese poco più dei voti degli alleati Fli e Udc. Gli elettori punirono duramente anche i due azionisti principali del suo governo, FI e Pd, che persero 6,5 e 3,5 milioni di voti, regalando il 25,5% ai debuttanti 5Stelle.

Ora, Draghi non è Monti e l’Italia del 2021 non è quella del 2011: grazie a Conte e ai presunti “incompetenti”, lo Stato non ha problemi di cassa, anzi sta per incamerare 250 miliardi dall’Ue tra Recovery e fondi di coesione, non appena presenterà quel Plan che sarebbe già pronto se l’Innominabile non l’avesse preso in ostaggio dal 5 dicembre. E le altre emergenze sono avviate a soluzione da Conte e dai presunti “incompetenti”, con una gestione della pandemia e una campagna vaccinale tra le più efficaci d’Europa. Ma i frutti di quella cascata di soldi si vedranno tra qualche anno, quando anche Draghi sarà passato (forse al Colle).

Il suo governo, però, è molto simile a quello di Monti perché tiene tutti dentro. Il che oggi è un elemento di forza. Ma, quando cambieranno i sondaggi e finirà la luna di miele coi partiti, sarà un fattore di debolezza. A meno che qualcuno non creda davvero che il M5S della Spazzacorrotti, delle manette agli evasori, della legge sul voto di scambio politico-mafioso e della blocca-prescrizione possa convivere amabilmente per due anni con un corruttore seriale, pregiudicato per frode fiscale, nove volte prescritto per gravi reati, amico e finanziatore dei mafiosi.

O che Salvini si sia convertito all’europeismo, alla progressività fiscale e all’accoglienza. O che Pd e LeU abbiano archiviato per sempre le differenze destra-sinistra. Più si avvicineranno le elezioni, più ciascun partito riscoprirà le differenze dagli altri, non foss’altro che per trovare qualcosa da dire agli eventuali elettori. Ai quali ciascuno dovrà presentare i propri successi degli ultimi mesi, se ne avrà ottenuti. E sarà un guaio soprattutto per il M5S che, avendo il gruppo parlamentare più ampio e gli elettori più esigenti, avrà suscitato le maggiori aspettative. Nel Conte-1 aveva 9 ministri (più il premier) contro 8 leghisti e 3 indipendenti. Nel Conte-2, 11 ministri (più il premier) contro 9 del Pd, 1 di LeU e 2 indipendenti. Infatti è sua la gran parte delle leggi di questi tre anni. Ma con Draghi, a quel che si dice, avrà 3 o 4 ministri su 20 o più. E nessuno sa ancora quali.

Cosa potrà mai ottenere o mantenere? Che senso ha il mantra del “restare dentro per controllare meglio”? Certo, se strappasse ai vecchi e nuovi alleati Giustizia, Lavoro, Ambiente-Sviluppo e Istruzione con l’impegno scritto, in un contratto di governo, di non toccare le loro leggi-bandiera, sedersi a quel tavolo sarebbe giusto, anzi doveroso. Ma non è aria: tra qualche giorno, salvo miracoli, l’ammucchiata degli altri partiti riesumerà la prescrizione con un emendamento al Milleproroghe.

I numeri in Parlamento e nel governo sono contro i 5Stelle. I media esultano come un sol uomo per la “fine dell’incompetenza”, cioè per la loro fine, preferendo di gran lunga la competenza dei criminali e dei loro compari (nessuno scandalo per la presenza alle consultazioni di B. e del tappetino di Bin Salman). Che senso ha piazzare qualche ministro, magari nei posti sbagliati, per poi assistere impotenti ai nuovi e vecchi alleati che giocano a bowling con le loro conquiste? Se proprio non si vuole dire di no al governo Draghi, cioè a Mattarella che l’ha imposto con la manovra a tutti nota, nulla impone di dire sì, per giunta al buio (a meno che il voto su Rousseau non sia un concorso di bellezza: “Vi piace Draghi?”). Si possono dettare condizioni sui temi del M5S. E, se vengono respinte, ci si può astenere per avere le mani libere e votare di volta in volta su ciascun provvedimento.

Per questo il quesito deve prevedere “fiducia” e “sfiducia”, ma anche “astensione”. Se prevarrà la berlingueriana “non sfiducia”, il governo Draghi diventerà pienamente “politico”, perché dovrà scegliere ogni giorno se dipendere dalla Lega o dal partito di maggioranza relativa. E si vedrà anche se la futura coalizione giallorosa M5S-Pd-Leu intorno a Conte esiste ancora, o è soltanto un pezzo di antiquariato o un’esca per gonzi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/10/memento-monti/6096012/

Berlusconi alle consultazioni con Draghi ma mai in udienza. Negli ultimi 5 mesi chiesti 8 rinvii per motivi di salute in 4 processi.

 

Finiti i tempi dei lodi (più o meno costituzionali) e i problemi causati dall'uveite l'ex Cavaliere - che nel corso degli anni è riuscito a incassare otto prescrizioni - negli ultimi tempi dopo essere stato colpito dal Covid, da cui è guarito, ha accusato problemi cardiaci.

In aula mai negli ultimi cinque mesi, ma alle consultazioni presente con annuncio last minute. I legali di Silvio Berlusconi, che oggi a Roma è apparso molto stanco e affaticato, da settembre e fino al mese scorso hanno chiesto e ottenuto, in diverse occasioni (otto per la precisione) il rinvio delle udienze dei processi in cui è imputato l’ex premier – a Bari per il caso escort e a MilanoRoma e Siena per corruzione in atti giudiziari per l’affaire Ruby – per motivi di salute. Il leader di Forza Italia, 84 anni, era impossibilitato a essere presente, secondo gli avvocati, e come suo diritto ha chiesto e ottenuto slittamenti anche molto lunghi. Finiti i tempi dei lodi (più o meno costituzionali) e i problemi causati dall’uveite l’ex Cavaliere – che nel corso degli anni è riuscito a incassare otto prescrizioni – negli ultimi tempi dopo essere stato colpito dal Covid, da cui è guarito, ha accusato problemi cardiaci. A Milano per esempio negli ultimi mesi sono state celebrate solo due udienze.

I RINVII PER IL PROCESSO OLGETTINE A MILANO – La prima istanza per legittimo impedimento, con data 23 settembre, riguardava l’udienza del 28. Istanza accolta proprio perché Berlusconi risultava ancora positivo a coronavirus. L’ex premier era stato dimesso il 14 settembre dopo undici notti di ricovero. Il collegio, presieduto da Marco Tremolada, aveva rinviato al 19 ottobre. Il processo vede imputati Berlusconi e altre 28 persone, tra cui molte olgettine che avrebbero testimoniato il falso nei due processi sul caso Ruby in cambio di soldi e altre utilità, secondo l’accusa, da parte dell’ex premier. Il processo è nella fase dell’istruttoria testimoniale e sono stati già sentiti in questi mesi numerosi testi chiamati a deporre dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e dal pm Luca Gaglio. E lì è rimasto perché da allora ci sono stati diversi rinvii. Il 19 ottobre il tribunale ha accolto la richiesta e ha aggiornato l’udienza al prossimo 16 novembre nell’aula della Fiera al Portello.

L’avvocato dell’ex premier, Federico Cecconi, in quell’occasione ha presentato documentazione medica per attestare che le condizioni di salute del Cavaliere, oramai 84enne, non consentivano ancora la ripresa della vita ordinaria e quindi anche di recarsi al Palazzo di Giustizia. In quell’occasione il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano aveva chiesto di fare un punto della situazione per concludere la fase dei testimoni e ricordando che Berlusconi “non si è mai presentato”. Anche l’udienza del 16 novembre è saltata – per motivi di salute di un giudice – e riprogrammata al 30 novembre. In quella data la difesa ha presentato una documentazione con l’aggravamento delle condizioni ma non ha chiesto un rinvio. Rinvio deciso per far notificare all’ex premier e a Barbara Guerra e Alessandra Sorcinelli una modifica di alcuni capi di imputazione. L’udienza del 21 dicembre invece era stata rinviata al 27 gennaio, su richiesta della difesa, perché non erano trascorsi i 20 giorni previsti per legge per la notifica. Il 27 gennaio la difesa ha presentato documentazione medica perché Berlusconi necessitava di un “periodo di riposo domiciliare assoluto per 15 giorni dal 19 gennaio” senza chiedere rinvio. Prossima udienza fissata per il 24 marzo.

PROCESSO MARIANI A SIENA – Rinviato sul liminare della camera di consiglio anche il processo che vede l’ex premier imputato a Siena sempre per corruzione in atti giudiziari. Il primo rinvio era stato il 1 ottobre deciso per il 25 novembre. Il giudice Ottavio Mosti aveva accolto l’istanza. Per avere un’idea della dilatazione dei tempi basti pensare che il pm Valentina Magnini aveva chiesto una condanna a 4 anni e 2 mesi il 20 febbraio 2020. All’imputato a cui viene contestato di aver pagato il pianista senese di Arcore, Danilo Mariani, a sua volta imputato, per indurlo a falsa testimonianza. Il processo è stato rinviato ancora il 15 gennaio sempre per problemi di salute. Berlusconi, che avrebbe dovuto fare dichiarazioni spontanee, ha fatto depositare una memoria scritta ai suoi difensori in cui si dichiara innocente. L’ex premier era stato ricoverato su consiglio del medico personale, il professor Alberto Zangrillo, centro Cardiotoracico di Monaco. La data che dovrebbe portare a sentenza il dibattimento è stata fissata all’8 aprile.

PROCESSO APICELLA A ROMA – È slittato da dicembre 2020 a maggio 2021 invece il dibattimento in cui Berlusconi è imputato con il cantate Mariano Apicella per la presunta corruzione per indurlo alla falsa testimonianza sulle feste avvenute ad Arcore. A determinare anche in questo caso il rinvio dell’udienza le precarie condizioni di salute. I giudici della seconda sezione penale hanno accolto la richiesta di legittimo impedimento avanzata dal difensore di Berlusconi, l‘avvocato Franco Coppi. “Dalle cartelle cliniche presentate emergano seri problemi cardiologici”. Cuore del processo il presunto versamento di circa 157mila euro.

PROCESSO ESCORT A BARI – Anche questo processo è stato rinviato per motivi di salute di Silvio Berlusconi. In questo caso al 30 aprile. L’ex presidente del Consiglio dei ministri è imputato per induzione a mentire, con l’accusa cioè di aver pagato le bugie dette dall’imprenditore barese Gianpaolo Tarantini nelle indagini sulle escort. La difesa di Berlusconi, con gli avvocati Francesco Paolo Sisto e Niccolò Ghedini, ha sempre sostenuto che l’ex premier aiutò Tarantini in un momento di difficoltà ma mai lo pagò perché mentisse ai magistrati. In questo giudizio si è costituita parte civile la Presidenza del Consiglio dei Ministri per il danno d’immagine causato al Governo italiano.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/02/09/berlusconi-alle-consultazioni-con-draghi-ma-mai-in-udienza-negli-ultimi-5-mesi-chiesti-8-rinvii-per-motivi-di-salute-in-4-processi/6095716/?utm_content=petergomez&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR3Ht5liaJMW92WRJFuDNKm6K6AnII225MECWbmzhYdNnzQgz2IeZE2197I#Echobox=1612897614

La prescrizione non piace all’Ue. - Piercamillo Davigo

 

Concetto ribadito. La Corte di Giustizia di Lussemburgo ha sentenziato, per ben due volte, che la norma precedente fosse in contrasto col Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Molti di coloro che vorrebbero il ritorno alla prescrizione che continua a decorrere anche dopo una condanna in primo grado si dichiarano europeisti, ma evidentemente ignorano la ben diversa posizione dell’Unione europea sulla questione.

La Corte di giustizia dell’Unione europea (grande sezione), con sentenza 8 settembre 2015, aveva ritenuto che la previgente prescrizione italiana fosse in contrasto con l’art. 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue).

La normativa italiana prevede un termine di prescrizione il cui decorso può essere interrotto dal compimento di determinati atti processuali. Dopo l’interruzione il termine ricomincia a decorrere, ma complessivamente non può superare un quarto del termine massimo. Ad esempio, se un reato è punito con una pena non inferiore a sei anni di reclusione, la prescrizione è di sei anni che decorrono dalla commissione del reato. Se viene compiuto un atto interruttivo (ad esempio l’interrogatorio dell’imputato) i sei anni ricominciano a decorrere da tale ultimo anno, ma il termine complessivo non può superare sette anni e sei mesi.

La Corte di giustizia Ue aveva deciso che un sistema simile pregiudicava la possibilità di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea come in materia di imposta sul valore aggiunto (Iva). Di conseguenza con la sentenza citata (chiamata Taricco) la Corte Ue aveva stabilito che i giudici nazionali dovessero disapplicare la normativa nazionale nella parte in cui poneva un limite di un quarto alla proroga del termine di prescrizione.

In alcuni casi i giudici nazionali disapplicarono tale limite, condannando anche quando, in applicazione del limite di cui all’art. 160 e 161 del codice penale, era maturata la prescrizione. Altri giudici si posero il problema che la disapplicazione loro demandata dalla Corte Ue strideva con alcuni vincoli costituzionali (divieto di retroattività di norme sfavorevoli in materia penale, riserva di legge nella stessa materia, indeterminatezza del concetto di gravi frodi) e sollevarono questioni di legittimità costituzionale.

La Corte costituzionale con ordinanza n. 24 del 2017 sollevò questione di pregiudizialità comunitaria innanzi alla Corte di giustizia Ue segnalando la possibilità di contro limiti quali la prevedibilità delle decisioni, la non retroattività e la natura sostanziale (e non processuale) della prescrizione italiana, la riserva di legge.

La Corte Ue (Grande sezione) con sentenza 5 dicembre 2017 ribadiva il contenuto della sentenza Taricco (punti 29-39), ma rilevava che – sino all’adozione della direttiva (Ue) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio – il regime della prescrizione applicabile ai reati in materia di Iva non era oggetto di armonizzazione da parte del legislatore Ue (punto 44), con la conseguenza che la Repubblica italiana era libera, “a tale data”, di assoggettare il regime della prescrizione “al principio di legalità dei reati e delle pene” (punto 45). Affermava poi che “il principio di legalità dei reati e delle pene, nei suoi requisiti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività della legge penale applicabile”, riflette le “tradizioni comuni agli Stati membri” e ha identica portata rispetto al corrispondente diritto garantito dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (punti 51-55).

Spetta perciò al giudice nazionale il compito di verificare se il riferimento operato nella sentenza Taricco (punto 58) a “un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, conduca a una situazione di incertezza nell’ordinamento giuridico italiano quanto alla determinazione del regime di prescrizione applicabile”. Ove incertezza fosse rilevata dal giudice nazionale, essa “contrasterebbe con il principio della determinatezza della legge applicabile”, con la conseguenza che “il giudice nazionale non sarebbe tenuto a disapplicare le disposizioni del codice penale in questione” (punto 59). In ogni caso il divieto di retroattività vigente in materia penale impone di escludere che possano essere disapplicate le norme sul regime di prescrizione “interno” per i fatti commessi prima della pronuncia Taricco; altrimenti, gli accusati potrebbero essere “retroattivamente assoggettate a un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato” (punto 60).

Detto questo l’ordinanza di rinvio della Corte costituzionale richiamava la responsabilità del legislatore e la Corte di giustizia ha stabilito che “spetta, in prima battuta, al legislatore nazionale stabilire norme sulla prescrizione che consentano di ottemperare agli obblighi derivanti dall’articolo 325 Tfue”.

Questo significa che il ritorno puro e semplice al precedente sistema di prescrizione, invocato da alcune forze politiche anche in occasione della recente crisi di governo, porterebbe all’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia per violazione di tali obblighi.

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