La Russa, Presidente del Senato e fondatore di Fratelli d'Italia, dichiara che inviterà i cittadini italiani a non andare a votare per il referendum che tutelerebbe maggiormente i lavoratori...
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 12 maggio 2025
Referendum 8 e 9 giugno io voto si.
mercoledì 10 febbraio 2021
Quel fascino discreto di astenersi. - Antonio Padellao
Sono convinto che in queste ore decisive per il futuro della Nazione non siano in pochi a meditare sul fascino discreto dell’astensione. Per i grillini più lacerati, tra coloro cioè chiamati a decidere sulla piattaforma Rousseau se il M5S debba concedere oppure no la fiducia al nascente governo Draghi, la terza opzione non sarebbe forse un provvidenziale salvagente? E il nì coniato dal professor Michele Ainis non farebbe un gran comodo ai Fratelli d’Italia, combattuti tra l’orgoglioso isolamento propugnato da sorella Giorgia e il timore di finire inutilizzati nel frigorifero dello storia, come accadde a Giorgio Almirante al tempo dell’onda nera missina? E poi, astenersi in prima battuta per poi decidere quali provvedimenti dell’esecutivo di SuperMario votare e quali no non sarebbe il modo migliore per marcare stretto quell’intruppone di Matteo Salvini? Siate sinceri compagni duri e puri di LeU, esserci ma anche non esserci non è il vostro sogno nel cassetto per evitare contaminazioni con i sequestratori di Ong e gli amici di Casapound? (quanto a Roberto Speranza abbia pazienza e salti un giro).
L’elogio delle mani libere rievoca un antico governo della non sfiducia. Era il 31 luglio 1976, e mentre l’Italia viveva l’ordinaria emergenza del terrorismo e della lira a picco, nasceva il terzo gabinetto Andreotti con il voto favorevole della Dc e dei sudtirolesi, e le astensioni di Pci, Psi, Pri, Psdi, Pli. Riuscì, pensate, a restare a galla un paio d’anni. Da ciò si ricava la natura multiforme dell’astensione che oltre alla consueta modalità sospensiva può manifestarsi nella veste opportunista (qui lo dico e qui lo nego), cinica (che mi dai in cambio?), intimidatoria (il nì che promette un no), fausta (oppure un sì). Si può dare vita insomma a un ventaglio cangiante di posizioni, a un acrobatico triplo salto con piroetta, o se preferite a un kamasutra di salute pubblica. Va detto infine che nello stretto interesse del premier pervenire (o non frapporre ostacoli) a una scrematura dei più incerti e dubbiosi potrebbe non essere un danno. Per arginare il rischio di un’ammucchiata troppo indistinta e dunque incline alla contrattazione sfibrante e alla politica del rinvio. Ma ecco qui di seguito un paio di massime utili. “Non appena ci manifestiamo in un modo o nell’altro, ci facciamo dei nemici. Se vogliamo farci degli amici o conservare quelli che abbiamo, l’astensione è di rigore” (Emil Cioran). Ma anche: “Nel rischio astieniti” (Marcello Marchesi).
giovedì 24 settembre 2020
Conte unico vincitore. E occhio ai 209 miliardi. - Massimo Fini
Ma c’è un altro partito, che esiste da decenni in Italia, ma di cui prudentemente si parla poco o preferibilmente nulla, che esce vincitore da queste elezioni ed è il più forte di tutti: il partito degli astenuti. Prendiamo il referendum. Il quesito era semplice e tale da attizzare l’attenzione dei cittadini: mandare a casa, per la prossima legislatura, un bel numero di deputati e senatori. L’affluenza è stata del 53,84%, 12 punti in meno rispetto al referendum del 2016 (65,47%) che pur poneva questioni molto più complesse. L’affluenza alle Regionali di quest’anno (57,19%) è superiore a quella delle Regionali del 2015 (53,15%), ma si avvale del balzo dell’affluenza in Toscana (quasi 3 milioni aventi diritto al voto) dove quest’anno si giocava la partita decisiva per la tenuta del governo del Paese. Nel 2015 quando questo problema non esisteva andò a votare solo il 48,3% mentre questa volta si è arrivati al 62,6%. Interessante è l’alta affluenza, sia pur sempre in termini relativi, alle elezioni comunali dove ci si attesta al 66,19% confermando, con un lieve margine di aumento, il dato del 2015. E si capisce il perché. Il voto nei Comuni e soprattutto nei piccoli Comuni è l’unico autenticamente democratico perché il sindaco è permanentemente sotto il controllo dei concittadini, poiché vive fianco a fianco con loro. Come esce di casa c’è sempre qualcuno che gli può contestare ciò che ha fatto o piuttosto non ha fatto.
Il partito degli astensionisti è contro la politica in generale? Non credo. È contro la democrazia parlamentare? Forse. Sicuramente è contro una democrazia trasformatasi da decenni in partitocrazia, cioè in strapotere del tutto illegittimo di queste lobby di cui la nostra Costituzione si occupa in un solo articolo, il 49 (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”) e che invece ha finito per occupare abusivamente gli altri 138, infiltrandosi nel Csm, nella Magistratura ordinaria, nella burocrazia, nelle Forze Armate, nell’industria pubblica e anche privata, negli enti di Stato e di parastato (la Rai-tv è solo l’esempio più noto e clamoroso), nei giornali, negli enti culturali, nei teatri, nei conservatori, nelle mostre, nelle banche, nelle grandi compagnie di assicurazione, nelle università, giù giù fino ai vigili urbani e agli spazzini.
Questa avversione nei confronti dei partiti è confermata anche da chi in questa tornata a votare ci è andato turandosi montanellianamente il naso. Tutti i partiti, dal Pd alla Lega ai Cinque Stelle a Forza Italia, hanno perso, solo il partito di Giorgia Meloni ha guadagnato in consensi. Prendiamo la Toscana: il Pd ha perso 12 punti, è stato salvato dalle cosiddette liste civiche cioè da cittadini che al Pd non credono più affatto, ma non si sentivano di consegnare quella regione e forse il Paese a Matteo Salvini. Non è stato quindi un voto a favore, ma un voto contro.
Mai come in questa occasione si è potuto osservare come la democrazia partitocratica sia fatta di accordi e accordicchi in funzione del proprio potere personale o di lobby senza alcuno sguardo all’interesse nazionale. L’esecutivo Conte, che ha governato bene, si è salvato perché i partiti si sono paralizzati a vicenda. Poi ci sono naturalmente le eccezioni, il governatore del Veneto Zaia è stato riconfermato perché evidentemente ha governato bene soprattutto durante l’emergenza Covid e quello della Liguria Toti per lo stesso motivo e anche perché, coadiuvato dal sindaco di Genova Marco Bucci, ha affrontato con efficacia le conseguenze del crollo del ponte Morandi che noi “stranieri” abbiamo sempre chiamato il “ponte sul Polcevera” e i genovesi “ponte Saragat” perché fu inaugurato dall’allora presidente della Repubblica e che ora si chiamerà ponte San Giorgio. E questo apre uno spiraglio di speranza per il nostro futuro che però dipende molto, almeno nell’immediato, da come verranno utilizzati i 209 miliardi che l’Europa, l’inutile Europa secondo i cretini “sovranisti”, ci ha generosamente concesso: se cioè finiranno nelle fauci dei soliti noti che le hanno già aperte o verranno distribuiti con intelligenza e soprattutto equità sociale.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/23/conte-unico-vincitore-e-occhio-ai-209-miliardi/5940736/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-09-23
lunedì 5 novembre 2012
Elezioni Sicilia, parla il pentito Mutolo: “Messaggio della mafia per Pdl e Udc”. - Silvia Truzzi
No, perché Crocetta non se la prenderà solo con le coppole storte, ma anche con i referenti politici. Io ho paura che ci sarà una stagione più violenta di quella del ‘92-‘93. L’unica speranza è Crocetta: se riesce veramente a fare pulizia, può darsi che la Sicilia si salvi.
Questo silenzio – che non succedono cose, che non ci sono omicidi – era una direttiva di Provenzano, poco prima di essere arrestato: stare sette anni senza fare rumore. Se lo Stato non riesce a dare una svolta, molti personaggi importanti che stanno a Roma, avranno cose da temere: avevano garantito che per i siciliani sarebbe andata diversamente. Se torniamo indietro, sappiamo perfettamente che la mafia si muove sempre per un interesse vitale. Il primo segnale c’era stato nell’87, quando la mafia smise di votare per la Democrazia cristiana e scelse i socialisti: nell’84 era nato il maxi-processo, e dopo tre anni erano ancora tutti dentro. Quello era un messaggio alla Dc che perdeva tempo, diceva ai boss di avere pazienza.
Alle famiglie, sia quelle di sangue che quelle di mafia, ci comandarono di votare Psi. Io ero nel carcere all’Ucciardone per il maxi-processo. Venne da me Peppe Leggio e mi disse: “Ga spare tu dici alla tua famiglia che vota per i socialisti”. A lui sicuramente glielo aveva detto qualche personaggio più importante.
Visto che sono collaboratore di giustizia, ho potuto ascoltare un’intercettazione ambientale, in cui si sentivano parlare alcuni boss riuniti in un’albergo dei Graviano. Ancora non era nata Forza Italia che già parlavano di sostenerla: cercavano i nuovi referenti, dopo la fine della diccì.
La mafia in Sicilia è in condizioni di pilotare ancora – ma veramente – il voto, con le buone o con le maniere sue. Cosa nostra sa bene a che livello è la collusione con la politica, quindi secondo me i mafiosi hanno permesso di vincere a Crocetta per dire ai signori politici che stanno a Roma: guardate che questo a noi ci ha sempre combattuto, ma ora cercherà di combattere anche a voi. Loro parlano così. La morte di Enzo Fragalà, avvocato e deputato del Pdl ucciso a bastonate nel 2010, secondo me è stato uno degli ultimi omicidi della mafia, ed è stato l’ennesimo avvertimento. Questa delle regionali è un’avvisaglia per le elezioni nazionali. I politici cambiano partito, ma gli uomini sono sempre gli stessi. E quando si voterà per il nuovo governo e per le Camere, se non ci saranno provvedimenti favorevoli ai boss, come – mi ripeto, ma è molto importante – è stato promesso vent’anni fa, si avvierà una stagione ancora più violenta.
È un sintomo coerente con la mia lettura. L’ordine è stato categorico, evidentemente. Quelli che non hanno votato sono controllati dalla mafia. E ora la mafia spera che i politici hanno una reazione. I voti della mafia sono stati fermi, per adesso . Vede, così a lungo i mafiosi non ci sono stati mai dentro, soprattutto con questo regime duro del 41-bis. Per loro è una cosa inaccettabile. Dell’Utri, Schifani, Berlusconi sono ancora nei posti chiave: i pezzi da novanta vogliono mandare un messaggio. Prova ne sia che c’è ancora il processo sulla trattativa e sappiamo quali sono le richieste della mafia.
Ci sono quelli che fanno i grandi affari, che sono il perno di tutto. Hanno detto a Milano che la ‘ndrangheta ha venduto i voti a quell’assessore: ma quelle sono sciocchezze, regalini. Le cose importanti, che importano a tutte le mafie, sono i grandi appalti, i business veri, i soldi che possono arrivare. Mafia e politica si sono sempre sostenute a vicenda, perché avevano interessi comuni.
Mi trovavo ad andare da qualche politico, come Ernesto Di Fresco o l’onorevole Matta, amicissimo di Lima e Ciancimino. Ci andavo perché volevo segnalare una persona che m’interessava, per un concorso all’università o in ospedale. In queste occasioni, loro parlavano anche di politici, carabinieri o magistrati che davano disturbo. Ma attenzione: non è che dicevano “sparategli”. Di Fresco mi fece il nome di Dalla Chiesa, che andava dagli studenti a parlare di mafia e faceva i controlli nelle autoscuole, perché non venisse concesso il foglio rosa ai mafiosi. Più che lamentele, erano consigli.
mercoledì 31 ottobre 2012
La Politica Comincia da Te. - Giampaolo Marcucci
la politica si occupa comunque di te.

