"L' Italia è come quella tipa che ha più talento di tutti, è come quella che le altre se le mangia, perché è nata bella, più bella di tutte e le altre se le asfalta. L' Italia è come quella più ingegnosa, che ha le mani di una fata, che si inventa mille cose, perché è piena di risorse. Sa discutere di storia, di mare, di montagne, sa di cibo, di buon vino, di dialetti, di pittori, di scultori, di scrittori, di eccellenze nella scienza, non c'è niente che non sa. E quando questa tipa bella e talentuosa inciampa e cade, la platea delle sfigate esulta. È la rabbia delle poverine ingelosite, quelle al buio, perché lei è comunque bella anche quando cade a terra. Ma l'Italia è una tipa con stivale tacco 12, ovviamente made in Italy, che nessuna sa portare meglio di lei... solo il tempo di rialzarsi.”
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 3 luglio 2020
È alla sua ottava legislatura, e già questo è tremendo. - Andrea Scanzi
Ha detto cose intelligenti solo una volta a Rai3, ma poi si scoprì che non era lui bensì Marcoré che lo imitava. Incarna, da sempre, la politica più vilipesa, caricaturale e irricevibile che si possa immaginare. Arrogante coi media e con la “plebe” (ricordate il dito medio?), di recente ha fatto il bullo (por’omo) con una giornalista di Report. Sui social gli ridono dietro tutti, nella realtà è pure peggio.
Ma c’è di più.
Dal primo giugno Gasparri è in pensione. Non da parlamentare (presto prenderà anche quella), ma da “giornalista”. Non sto scherzando. Il figaccione qua sotto ha “lavorato” 9 anni al Secolo d’Italia, per poi stare in aspettativa 28 (!?!) anni. Questi requisiti gli sono stati sufficienti per guadagnarsi, legalmente s’intende, la pensione.
Quando pensate alla “casta”, e ai pregiudizi di cui gode, pensate che stiamo parlando di gente così.
https://www.facebook.com/andreascanzi74/photos/a.710778345605163/3733546833328284/?type=3&theater
Fininvent. - Marco Travaglio
Se un vecchio malvissuto come B. è ancora a piede libero, in politica e perfino nei sondaggi, è grazie all’orchestra mediatica di tv e giornali che da 26 anni suona quotidianamente il suo spartito. Ma anche grazie a tutti gli altri media che, l’uno dopo l’altro, si sono accomodati su posizioni “terziste”, come se l’imparzialità fosse l’equilibrio fra guardie e ladri: i soliti Mattia Feltri su La Stampa e Pigi Battista sul Corriere, ma anche la new entry di Repubblica modello Sambuca Molinari che, tradendo 44 anni di storia, l’altroieri ha taciuto in prima pagina l’ultimo scandalo della Banda B. (il giudice morto che parla) e ieri ha dato l’ultima parola sul caso indovinate a chi? A B., con un’intervista senza domande che imbarazzerebbe pure Sallusti. Intanto, mentre tutti disertano, il Premiato Bufalificio di Arcore seguita a sfornare balle a reti ed edicole unificate, come nell’ultimo quarto di secolo: non per prova l’onestà del padrone (non esageriamo), ma almeno per tentare di sputtanare i suoi giudici.
1994. B. è indagato per le mazzette Fininvest alla Guardia di Finanza. Il Giornale, appena finito in mano a Vittorio Feltri, parte all’assalto di Piercamillo Davigo, pm dei processi “Fiamme Sporche”: lo accusa di essere socio occulto del generale corrotto Giuseppe Cerciello; e di ricattare il giudice Romeo Simi de Burgis su vecchie accuse del pentito Epaminonda (poi archiviate). De Burgis sta giudicando alcuni stilisti per altre tangenti alla Gdf: se salta quel processo, B. si salva nel suo. Il secondo scoop viene ripreso da Paolo Liguori a Studio Aperto e rilanciato da Sgarbi quotidiani con una sigla-cartoon che mostra due maiali con la toga insanguinata e un coltello in mano danzanti sulle note di Ci vorrebbe un amico. Per la doppia bufala, Il Giornale&C. verranno condannati per diffamazione.
1995. Il Giornale insinua che il procuratore Francesco Saverio Borrelli cavalchi su un sauro di Giancarlo Gorrini, assicuratore condannato ed ex amico di Di Pietro. Balla sesquipedale: la sigla “G.G.” sulla sella è del proprietario Giuseppe Gennari. Ma B. teme pure l’entrata in politica di Antonio Di Pietro e chiama il comune amico costruttore Antonio D’Adamo: “Si prepari, siamo nelle sue mani!”. Promette aiuti finanziari in cambio di calunnie all’ex pm (5 miliardi dal banchiere-corruttore Pierfrancesco Pacini Battaglia tramite D’Adamo), che lui stesso registra e consegna ai pm di Brescia. Il Giornale dà una mano titolando a tutta prima: “Dal Messico gravi accuse a Di Pietro. Raggio dice che Pacini Battaglia ha dato una valigetta con 5 miliardi a Lucibello perché la consegnasse a Di Pietro”.
Il gup di Brescia accerta poi che sono tutte balle e proscioglie Di Pietro, che farà causa al Giornale e a Feltri. Il quale nel 1997, non avendo uno straccio di prova, si scusa in prima pagina col Di Pietro “immacolato” per quella che lui stesso definisce “bufala”, “ciofeca”, “smarronata”. Titolo: “Il tesoro di Di Pietro non c’è”. Svolgimento: “Tonino, ti stimavo e non ho mai cambiato idea”.
1996. Il Foglio di Giuliano Ferrara pubblica un’intercettazione raccolta dal Gico, in cui Pacini Battaglia dice che Di Pietro e l’avvocato Giuseppe Lucibello “mi hanno sbancato” e che “per uscire da Mani Pulite abbiamo pagato”. Segue una lunga campagna contro Di Pietro corrotto (“scespirianabaldracca”, “troia dagli occhiferrigni”, “trafficante”, “protettore di biscazzieri”, “golpista”, “fa vomitare”). Poi si scopre che “sbancato” era “sbiancato” e soprattutto che il Gico aveva tagliuzzato altre frasi di Pacini che scagionavano l’ex pm, tipo questa: “Io a Di Pietro (i soldi, ndr) non glieli ho dati”. Anche perché da Mani Pulite il banchiere non era mai uscito: era stato regolarmente arrestato e condannato. Seguono le solite condanne per diffamazione.
1997. Vittorio Sgarbi e gli house organ berlusconiani accusano Gherardo Colombo di aver falsificato il pass d’ingresso del deputato FI Massimo Maria Berruti a Palazzo Chigi, che prova il ruolo di B. nel depistaggio delle indagini sulle mazzette alla Gdf. Invece il pass è vero e Berruti sarà condannato, come pure i diffamatori di Colombo. Intanto B. denuncia il pool Mani Pulite a Brescia per “attentato a organo costituzionale” (cioè a lui) per l’invito a comparire per corruzione della Finanza recapitatogli il 21 novembre ’94 durante un convegno internazionale a Napoli. A sostenere il golpe corrono a testimoniare due marescialli dei carabinieri, Giovanni Strazzeri e Felice Corticchia: raccontano che il famoso invito a comparire fu una manovra orchestrata dal pool con Luciano Violante per rovesciare il governo B. con un avviso di garanzia “a mezzo stampa”. In allegato a Panorama, diretto da Ferrara, esce un pamphlet del giornalista Giancarlo Lehner: Articolo 289 Cp. Attentato a organo costituzionale. Strazzeri e Corticchia vengono poi arrestati e patteggiano per calunnia. Si scopre che Corticchia era amico intimo di Emilio Fede, non aveva mai una lira ed era inseguito dai pignoramenti: finché, dopo vari incontri col direttore del Tg4 e uno con B. ad Arcore per concordare la testimonianza fasulla, era diventato ricco sfondato (nuovo appartamento a Milano, villa a Santo Domingo e 250 milioni di lire versati in banca in contanti). Lehner verrà puntualmente condannato per diffamazione.
(1 – continua)
1996. Il Foglio di Giuliano Ferrara pubblica un’intercettazione raccolta dal Gico, in cui Pacini Battaglia dice che Di Pietro e l’avvocato Giuseppe Lucibello “mi hanno sbancato” e che “per uscire da Mani Pulite abbiamo pagato”. Segue una lunga campagna contro Di Pietro corrotto (“scespirianabaldracca”, “troia dagli occhiferrigni”, “trafficante”, “protettore di biscazzieri”, “golpista”, “fa vomitare”). Poi si scopre che “sbancato” era “sbiancato” e soprattutto che il Gico aveva tagliuzzato altre frasi di Pacini che scagionavano l’ex pm, tipo questa: “Io a Di Pietro (i soldi, ndr) non glieli ho dati”. Anche perché da Mani Pulite il banchiere non era mai uscito: era stato regolarmente arrestato e condannato. Seguono le solite condanne per diffamazione.
1997. Vittorio Sgarbi e gli house organ berlusconiani accusano Gherardo Colombo di aver falsificato il pass d’ingresso del deputato FI Massimo Maria Berruti a Palazzo Chigi, che prova il ruolo di B. nel depistaggio delle indagini sulle mazzette alla Gdf. Invece il pass è vero e Berruti sarà condannato, come pure i diffamatori di Colombo. Intanto B. denuncia il pool Mani Pulite a Brescia per “attentato a organo costituzionale” (cioè a lui) per l’invito a comparire per corruzione della Finanza recapitatogli il 21 novembre ’94 durante un convegno internazionale a Napoli. A sostenere il golpe corrono a testimoniare due marescialli dei carabinieri, Giovanni Strazzeri e Felice Corticchia: raccontano che il famoso invito a comparire fu una manovra orchestrata dal pool con Luciano Violante per rovesciare il governo B. con un avviso di garanzia “a mezzo stampa”. In allegato a Panorama, diretto da Ferrara, esce un pamphlet del giornalista Giancarlo Lehner: Articolo 289 Cp. Attentato a organo costituzionale. Strazzeri e Corticchia vengono poi arrestati e patteggiano per calunnia. Si scopre che Corticchia era amico intimo di Emilio Fede, non aveva mai una lira ed era inseguito dai pignoramenti: finché, dopo vari incontri col direttore del Tg4 e uno con B. ad Arcore per concordare la testimonianza fasulla, era diventato ricco sfondato (nuovo appartamento a Milano, villa a Santo Domingo e 250 milioni di lire versati in banca in contanti). Lehner verrà puntualmente condannato per diffamazione.
(1 – continua)
I 4 incontri propiziati da Ferri: così si decise di registrare il giudice. - Gianni Barbacetto
Nessun complotto: caso Mediaset deciso subito perché si prescriveva il 1.8.2013. i 10 misteri dei 4 incontri fra B., il suo giudice e il solito Ferri.
È lui “il magistrato” che porta il giudice Amedeo Franco da Silvio Berlusconi. È Cosimo Ferri, leader storico della corrente Magistratura indipendente, che però nel 2013 riveste un ruolo politico, perché è sottosegretario alla Giustizia (berlusconiano) del governo di Enrico Letta, nato dalle “larghe intese” tra Pd e Berlusconi. È Ferri che chiede un incontro al leader di Forza Italia, perché deve riferire quanto gli ha detto uno dei giudici che hanno firmato la sua condanna definitiva in Cassazione. Silvio tira in lungo, rimanda. “Da tempo aveva chiesto di parlarmi e io mi ero rifiutato”, racconta, “perché ero troppo amareggiato per quello che avevo subito”.
In verità, sono i suoi avvocati, Niccolò Ghedini e Franco Coppi, a suggerirgli prudenza: un giudice che va a parlare con il suo condannato è inconsueto perfino nel magico mondo berlusconiano. Dopo le insistenze di Franco e del suo ambasciatore Ferri, Ghedini e Coppi dicono sì, raccomandando però di registrare gli incontri. Sono quattro o cinque, avvengono a Roma a Palazzo Grazioli tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014. Ad almeno un paio è presente anche Ferri. Nelle trascrizioni compaiono anche due voci femminili, che potrebbero essere segretarie e assistenti di Berlusconi. Ghedini e Coppi ne restano fuori, anche per non diventare testimoni dei fatti e dover rinunciare alla difesa. Finché Franco è vivo, non esibiscono gli audio, che sono però evocati in una memoria alla Corte di Strasburgo del 2015. Nel 2017 ne accenna Berlusconi nel programma di Bruno Vespa, dicendo che “aveva la prova” che la sentenza di Cassazione era viziata. Il 20 maggio 2020 – dopo la morte di Amedeo Franco – Ghedini e Coppi depositano a Strasburgo anche i file audio. Uomo-chiave degli incontri è Ferri. È lui a contattare Berlusconi per farlo parlare con Franco. È lui ad accompagnarlo a Palazzo Grazioli.
Figlio d’arte, Cosimo ha ereditato le sue due anime dal padre, Enrico Ferri, magistrato ma anche ministro socialdemocratico dei Lavori pubblici ai bei tempi della Prima Repubblica. Fa il giudice al Tribunale di Massa, sezione penale di Carrara. Ma la sua vera passione sono le relazioni. A soli 35 anni viene eletto, grazie alla campagna elettorale paterna, al Consiglio superiore della magistratura. Poi diventa segretario generale di Magistratura indipendente, che trasforma nella sua rete di rapporti e di potere. Nel 2012, alle elezioni dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), stabilisce il record italiano delle preferenze, raccogliendo 1.199 voti. Si butta in politica. Sotto l’ombrello di Berlusconi: nel 2013 diventa sottosegretario alla Giustizia del governo Letta. È questo il momento in cui porta Amedeo Franco a Palazzo Grazioli. Resta sottosegretario anche dopo la fine delle “larghe intese”: autoproclamandosi “tecnico”. Mantiene la poltrona anche nei successivi governi Renzi e Gentiloni. Nel 2018 viene eletto deputato del Pd, che lascia nel settembre 2019 per aderire a Italia Viva.
Il suo nome compare come il prezzemolo in molti succulenti piatti-scandalo italiani. In Calciopoli entra, da gran collezionista di poltrone qual è, come membro dell’Ufficio vertenze economiche della Federcalcio. Nel 2005, in una telefonata intercettata, ringrazia il vicepresidente Figc, Innocenzo Mazzini, a nome dell’amico Claudio Lotito, patron della Lazio, per aver fatto designare un arbitro che ha favorito i biancazzurri: “Mi ha detto Claudio di ringraziarti. Sei un grande”. Nel 2009 si occupa di Michele Santoro: Giancarlo Innocenzi, commissario berlusconiano all’Agcom, dice a Berlusconi di “aver trovato una chiave interessante” per bloccare il programma Annozero, grazie ai preziosi consigli di Ferri. Nel 2010, compare nelle intercettazioni dello scandalo P3: si dava da fare per piazzare magistrati nei posti desiderati.
Per lui, la frontiera tra politica e magistratura è frastagliata e incerta come i crinali della sua Lunigiana. Così nel 2014 fa campagna elettorale per il Csm, mandando sms ai suoi ex colleghi magistrati, per invitarli a votare due suoi protetti. L’Anm denuncia l’interferenza della politica e del governo nelle attività elettorali del Csm. Tutte medaglie. Il 21 luglio si presenterà alla sezione disciplinare del Csm, per lo scandalo Palamara: dovrà spiegare i suoi incontri con il deputato renziano Luca Lotti, con cui discuteva la nomina del procuratore di Roma. Chissà se spiegherà anche il suo ruolo di mediatore tra il giudice e il condannato.
B. si stava trasfigurando ma un Nastro ce l’ha ridato. - Antonio Padellaro
Fino a qualche giorno fa, Silvio Berlusconi godeva del meritato riposo, circondato dall’affetto dei suoi cari e dalla riconoscenza degli azionisti Mediaset. Perfino i tanti nemici del passato, anch’essi ormai incanutiti, deposte le armi sembravano non serbargli astio alcuno, non coltivando più memoria delle trascorse pugne. E se si parlava di lui si aveva cura di farlo sottovoce, come in certi caldi pomeriggi estivi accade con gli ottuagenari assopiti sotto il tiglio, cullati dal frinire delle cicale. Delle sue antiche birbonate si era perso perfino il ricordo, retrocesse a innocenti gherminelle quando le cronache, per esempio dopo un trasloco, tornavano a imbattersi, per dire, nel lettone di Putin, o nel palo della lap dance, o nell’atelier per infermiere sexy. Quanta nostalgia. Di tanto in tanto rilasciava un’intervista, per dichiararsi a favore del Mes e per fantasticare di nuove maggioranze (immaginate in realtà dagli amanuensi all’uopo stipendiati). Testi che egli faceva finta di approvare prima di perdersi nella luce declinante del giorno.
Tutto sembrava andare nel verso giusto, con la definitiva trasfigurazione del Caimano nel nonno buono delle favole quando, da parte di mani irresponsabili (e forse ostili), fu diffuso il nastro fatale. Sulla bizzarra natura del quale non ci soffermeremo, se non per denunciare il formidabile danno prodotto alla reputazione di un uomo che non meritava ulteriori sofferenze. Poiché, improvvisamente riemerso dal passato, il penoso reperto del defunto giudice Amedeo Franco non ha toccato di una virgola la sentenza di condanna. In compenso ci ha restituito di colpo, l’album di un Silvio che avevamo volentieri dimenticato. Con le immagini dell’incallito imputato in fuga dai processi. Del premier delle leggi “ad personam”, del gigantesco conflitto d’interessi televisivo, dell’editto Bulgaro contro Biagi, Santoro e Luttazzi. Fu lui che ospitò lo stalliere Mangano, spedito da Cosa Nostra? Il socio del condannato per mafia Marcello Dell’Utri? L’artefice dell’umiliante prostituzione del Parlamento all’incredibile balla di Ruby, nipote di Mubarak? Sì, fu proprio lui. Avevamo rimosso quasi tutto nell’illusione che, come il Jean Valjean di Victor Hugo, braccato dalla legge, il dono della grazia lo avesse riscattato concedendogli un’onesta vecchiaia. Ci hanno pensato i suoi amici a restituircelo tutto intero.
Giustizia per Berlusconi! - Serena Verrecchia
Che l'Italia sia un Paese incredibile lo conferma il fatto che in questi giorni si stia parlando di "riabilitare" Berlusconi, uno che una sentenza definitiva ha riconosciuto come "delinquente naturale". Finanziatore della mafia, scampato a decine di processi per aver piegato la legge ai propri comodi, Silvio Berlusconi chiede a gran voce che giustizia sia fatta. E curiosamente proprio quando a Reggio Calabria si sta celebrando un processo che potrebbe metterlo nuovamente nei guai.
Credevo di averle sentite tutte, direbbe Grillo, ma ecco là che spunta il nuovo tormentone dell'estate: riabilitiamo Berlusconi. Che farebbe anche ridere se non fosse che i parlamentari di Forza Italia abbiano bloccato i lavori in Aula e stiano chiedendo a gran voce l'istituzione di una Commissione che indaghi sulle “ingiustizie subite”.
Farebbe ridere, perché sarebbe come se Dante Alighieri avesse messo il conte Ugolino in Paradiso. O come se la DEA avesse dato una medaglia al merito a Pablo Escobar. Saremmo oltre i confini dell'assurdo. E invece, questa è l'Italia, Paese in cui un imprenditore che ha finanziato Cosa nostra può aspirare alla carica più alta dello Stato. Con il rischio di arrivarci sul serio.
Ma vediamolo il curriculum di questo perseguitato politico, braccato dalle sentenze, vittima di anni di soprusi da parte di giudici politicizzati che puntano ovunque come funghi.
Berlusconi è stato imputato per falsa testimonianza sulla loggia massonica P2 – tessera 1816 – salvo poi farla franca per “avvenuta amnistia”. Gli hanno cioè estinto il reato. Il complotto ha inizio.
Per le mazzette alla Guardia di Finanza è stato condannato in primo grado, poi assolto in Cassazione perché aveva corrotto il testimone chiave David Mills. Shhh.
Per i finanziamenti illeciti al PSI di Craxi (processo All Iberian), per le tangenti pagate a Mills per mentire ai processi in cui era imputato, per il Lodo Mondadori, per i reati di rivelazione di segreto d'ufficio e ricettazione relative all'inchiesta su Bnl-Unipol – per i quali era stato condannato a risarcire 80mila euro all'onorevole Fassino – e ancora per una serie di altri reati non è stato assolto, ma è riuscito ad evitare le condanne per “avvenuta prescrizione”. Salvo.
Per decine di illeciti di falso in bilancio si è fatto depenalizzare il reato, evitando così altre grane giudiziarie. Salvo ancora.
Nel processo SME-Ariosto, dove era imputato per corruzione ai fini della mancata vendita del comparto agricolo SME alla CIR di De Benedetti e per aver corrotto il giudice Renato Squillante, è stato assolto perché l'intervento del lodo Schifani, che ha sospeso i procedimenti per le alte cariche dello Stato (quindi Berlusconi), ha fatto sì che la posizione dell'imputato venisse stralciata in un processo parallelo a quello principale.
Per aver “comprato” il senatore Randazzo, la sua posizione venne incredibilmente archiviata con la motivazione che “non è questa (un'aula di tribunale) la sede per indagare le motivazioni” di tale atto. Salvo di nuovo.
Per aver portato su aerei di Stato – e quindi a spese degli Italiani – ballerine e menestrelli (abuso d'ufficio) la sua posizione è stata archiviata perché sui voli di Stato era sempre presente anche l'imputato. Ergo, le ballerine e i menestrelli erano agenti sotto copertura in missione per riservatissime questioni di sicurezza nazionale.
Per i reati di concussione e prostituzione minorile nel caso Ruby, Berlusconi è stato condannato in primo grado, poi assolto in Cassazione. La sentenza ha dimostrato provato il reato di prostituzione, ma non vi era l'assoluta certezza che Berlusconi fosse a conoscenza dell'età di Ruby. La famosa nipote di Mubarak. Per le pressioni sulla polizia, invece, la legge Severino è intervenuta a modificare il reato di concussione. Salvissimo.
Nel processo Mediaset, quello che si vorrebbe azzerare, Berlusconi era imputato per falso in bilancio, appropriazione indebita e frode fiscale. Malgrado le richieste della difesa per prendere tempo, malgrado il lodo Alfano, le raccomandazioni di Napolitano e gli scioperi in Parlamento – quando si sente braccato un animale come Berlusconi la butta sempre in caciara – il più grande perseguitato politico della storia è stato condannato in primo grado, in Appello e in Cassazione da un totale di 12 giudici diversi per aver frodato la bellezza di 368 milioni di dollari. Rileggere le sentenze per credere.
Uno dei giudici, Amedeo Franco – guarda caso deceduto – ha pensato bene di andare a casa dell'imputato e dirgli di non essere d'accordo con la sentenza e con “un verdetto guidato dall'alto” (più alto di Berlusconi e Napolitano?). Ma lo stesso giudice non si è mai opposto alla sentenza e ha firmato le 207 pagine motivazione. Che, per inciso, non parlano di aria fritta ma di fatti accertati e dimostrati.
Però Berlusconi è un perseguitato politico, va compreso.
Lui che, poverino, ha finanziato Cosa nostra, “assoldato” lo stalliere Vittorio Mangano e intrattenuto rapporti con la mafia per il tramite di Marcello Dell'Utri. Lui, che ha sentito tuonare il proprio nome dalle aule del tribunale di Reggio Calabria, dove è in corso il processo che vede imputati Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone.
Quello stesso Giuseppe Graviano che nel gennaio del 1994, prima del fallito attentato all'Olimpico, avrebbe fatto a Spatuzza il nome proprio di Berlusconi (“ci hanno messo il Paese in mano”). Lo stesso Graviano che, dopo anni di silenzio, ha deciso di mandare segnali inequivocabili ed inquietanti, parlando dell'ex premier come di un socio infedele che Cosa nostra ha supportato nella sua “discesa in campo” - che l'imputato conosceva dal 1992 – e che ha costruito il suo impero con i soldi delle mafie. Parole forti, che potrebbero aprire scenari sconvolgenti.
Sarà per questo che l'audio “incriminato” è venuto fuori proprio ora? Qualcuno dice che c'entri la sua nomina a senatore a vita, qualcun altro che il Cavaliere si stia proiettando verso il Quirinale.
Ma siamo davvero sicuri che non abbia niente a che fare con il processo che si sta celebrando a Reggio Calabria? Coincidenze, probabilmente. Dopotutto, Silvio Berlusconi è un perseguitato politico.
E per lui, Giustizia deve essere fatta.
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