Se un vecchio malvissuto come B. è ancora a piede libero, in politica e perfino nei sondaggi, è grazie all’orchestra mediatica di tv e giornali che da 26 anni suona quotidianamente il suo spartito. Ma anche grazie a tutti gli altri media che, l’uno dopo l’altro, si sono accomodati su posizioni “terziste”, come se l’imparzialità fosse l’equilibrio fra guardie e ladri: i soliti Mattia Feltri su La Stampa e Pigi Battista sul Corriere, ma anche la new entry di Repubblica modello Sambuca Molinari che, tradendo 44 anni di storia, l’altroieri ha taciuto in prima pagina l’ultimo scandalo della Banda B. (il giudice morto che parla) e ieri ha dato l’ultima parola sul caso indovinate a chi? A B., con un’intervista senza domande che imbarazzerebbe pure Sallusti. Intanto, mentre tutti disertano, il Premiato Bufalificio di Arcore seguita a sfornare balle a reti ed edicole unificate, come nell’ultimo quarto di secolo: non per prova l’onestà del padrone (non esageriamo), ma almeno per tentare di sputtanare i suoi giudici.
1994. B. è indagato per le mazzette Fininvest alla Guardia di Finanza. Il Giornale, appena finito in mano a Vittorio Feltri, parte all’assalto di Piercamillo Davigo, pm dei processi “Fiamme Sporche”: lo accusa di essere socio occulto del generale corrotto Giuseppe Cerciello; e di ricattare il giudice Romeo Simi de Burgis su vecchie accuse del pentito Epaminonda (poi archiviate). De Burgis sta giudicando alcuni stilisti per altre tangenti alla Gdf: se salta quel processo, B. si salva nel suo. Il secondo scoop viene ripreso da Paolo Liguori a Studio Aperto e rilanciato da Sgarbi quotidiani con una sigla-cartoon che mostra due maiali con la toga insanguinata e un coltello in mano danzanti sulle note di Ci vorrebbe un amico. Per la doppia bufala, Il Giornale&C. verranno condannati per diffamazione.
1995. Il Giornale insinua che il procuratore Francesco Saverio Borrelli cavalchi su un sauro di Giancarlo Gorrini, assicuratore condannato ed ex amico di Di Pietro. Balla sesquipedale: la sigla “G.G.” sulla sella è del proprietario Giuseppe Gennari. Ma B. teme pure l’entrata in politica di Antonio Di Pietro e chiama il comune amico costruttore Antonio D’Adamo: “Si prepari, siamo nelle sue mani!”. Promette aiuti finanziari in cambio di calunnie all’ex pm (5 miliardi dal banchiere-corruttore Pierfrancesco Pacini Battaglia tramite D’Adamo), che lui stesso registra e consegna ai pm di Brescia. Il Giornale dà una mano titolando a tutta prima: “Dal Messico gravi accuse a Di Pietro. Raggio dice che Pacini Battaglia ha dato una valigetta con 5 miliardi a Lucibello perché la consegnasse a Di Pietro”.
Il gup di Brescia accerta poi che sono tutte balle e proscioglie Di Pietro, che farà causa al Giornale e a Feltri. Il quale nel 1997, non avendo uno straccio di prova, si scusa in prima pagina col Di Pietro “immacolato” per quella che lui stesso definisce “bufala”, “ciofeca”, “smarronata”. Titolo: “Il tesoro di Di Pietro non c’è”. Svolgimento: “Tonino, ti stimavo e non ho mai cambiato idea”.
1996. Il Foglio di Giuliano Ferrara pubblica un’intercettazione raccolta dal Gico, in cui Pacini Battaglia dice che Di Pietro e l’avvocato Giuseppe Lucibello “mi hanno sbancato” e che “per uscire da Mani Pulite abbiamo pagato”. Segue una lunga campagna contro Di Pietro corrotto (“scespirianabaldracca”, “troia dagli occhiferrigni”, “trafficante”, “protettore di biscazzieri”, “golpista”, “fa vomitare”). Poi si scopre che “sbancato” era “sbiancato” e soprattutto che il Gico aveva tagliuzzato altre frasi di Pacini che scagionavano l’ex pm, tipo questa: “Io a Di Pietro (i soldi, ndr) non glieli ho dati”. Anche perché da Mani Pulite il banchiere non era mai uscito: era stato regolarmente arrestato e condannato. Seguono le solite condanne per diffamazione.
1997. Vittorio Sgarbi e gli house organ berlusconiani accusano Gherardo Colombo di aver falsificato il pass d’ingresso del deputato FI Massimo Maria Berruti a Palazzo Chigi, che prova il ruolo di B. nel depistaggio delle indagini sulle mazzette alla Gdf. Invece il pass è vero e Berruti sarà condannato, come pure i diffamatori di Colombo. Intanto B. denuncia il pool Mani Pulite a Brescia per “attentato a organo costituzionale” (cioè a lui) per l’invito a comparire per corruzione della Finanza recapitatogli il 21 novembre ’94 durante un convegno internazionale a Napoli. A sostenere il golpe corrono a testimoniare due marescialli dei carabinieri, Giovanni Strazzeri e Felice Corticchia: raccontano che il famoso invito a comparire fu una manovra orchestrata dal pool con Luciano Violante per rovesciare il governo B. con un avviso di garanzia “a mezzo stampa”. In allegato a Panorama, diretto da Ferrara, esce un pamphlet del giornalista Giancarlo Lehner: Articolo 289 Cp. Attentato a organo costituzionale. Strazzeri e Corticchia vengono poi arrestati e patteggiano per calunnia. Si scopre che Corticchia era amico intimo di Emilio Fede, non aveva mai una lira ed era inseguito dai pignoramenti: finché, dopo vari incontri col direttore del Tg4 e uno con B. ad Arcore per concordare la testimonianza fasulla, era diventato ricco sfondato (nuovo appartamento a Milano, villa a Santo Domingo e 250 milioni di lire versati in banca in contanti). Lehner verrà puntualmente condannato per diffamazione.
(1 – continua)
1996. Il Foglio di Giuliano Ferrara pubblica un’intercettazione raccolta dal Gico, in cui Pacini Battaglia dice che Di Pietro e l’avvocato Giuseppe Lucibello “mi hanno sbancato” e che “per uscire da Mani Pulite abbiamo pagato”. Segue una lunga campagna contro Di Pietro corrotto (“scespirianabaldracca”, “troia dagli occhiferrigni”, “trafficante”, “protettore di biscazzieri”, “golpista”, “fa vomitare”). Poi si scopre che “sbancato” era “sbiancato” e soprattutto che il Gico aveva tagliuzzato altre frasi di Pacini che scagionavano l’ex pm, tipo questa: “Io a Di Pietro (i soldi, ndr) non glieli ho dati”. Anche perché da Mani Pulite il banchiere non era mai uscito: era stato regolarmente arrestato e condannato. Seguono le solite condanne per diffamazione.
1997. Vittorio Sgarbi e gli house organ berlusconiani accusano Gherardo Colombo di aver falsificato il pass d’ingresso del deputato FI Massimo Maria Berruti a Palazzo Chigi, che prova il ruolo di B. nel depistaggio delle indagini sulle mazzette alla Gdf. Invece il pass è vero e Berruti sarà condannato, come pure i diffamatori di Colombo. Intanto B. denuncia il pool Mani Pulite a Brescia per “attentato a organo costituzionale” (cioè a lui) per l’invito a comparire per corruzione della Finanza recapitatogli il 21 novembre ’94 durante un convegno internazionale a Napoli. A sostenere il golpe corrono a testimoniare due marescialli dei carabinieri, Giovanni Strazzeri e Felice Corticchia: raccontano che il famoso invito a comparire fu una manovra orchestrata dal pool con Luciano Violante per rovesciare il governo B. con un avviso di garanzia “a mezzo stampa”. In allegato a Panorama, diretto da Ferrara, esce un pamphlet del giornalista Giancarlo Lehner: Articolo 289 Cp. Attentato a organo costituzionale. Strazzeri e Corticchia vengono poi arrestati e patteggiano per calunnia. Si scopre che Corticchia era amico intimo di Emilio Fede, non aveva mai una lira ed era inseguito dai pignoramenti: finché, dopo vari incontri col direttore del Tg4 e uno con B. ad Arcore per concordare la testimonianza fasulla, era diventato ricco sfondato (nuovo appartamento a Milano, villa a Santo Domingo e 250 milioni di lire versati in banca in contanti). Lehner verrà puntualmente condannato per diffamazione.
(1 – continua)