venerdì 26 aprile 2013

Garante privacy: "Grave intrusione in mail M5S" Polizia postale: "Presto novità su indagini".


Garante privacy: "Grave intrusione in mail M5S" Polizia postale: "Presto novità su indagini"  Giulia Sarti, una delle parlamentari M5S vittima del furto di corrispondenza 


Per il presidente dell'Autority l'episodio potrebbe avere conseguenze anche dal punto di vista penale. Proseguono a ritmo serrato le verifiche da parte degli investigatori, grazie anche all'aiuto degli Anonymous italiani.

"L'intrusione nella corrispondenza privata dei parlamentari M5S e la minaccia della pubblicazione del contenuto delle email costituiscono fatti gravissimi, suscettibili di essere valutati, oltre che dal punto di vista della violazione del Codice privacy, anche da quello penale". Sono state queste le parole del Garante della privacy, Antonello Soro, dopo la minaccia da parte di un gruppo di pirati informatici di pubblicare la corrispondenza elettronica dei parlamentari del Movimento di Beppe Grillo. "Sicuramente - ha proseguito il Garante per la protezione dei dati personali - costituisce una lesione della privacy il comportamento degli hacker che avrebbero copiato i contenuti delle email, ma potrebbero verificarsi delle violazioni anche da parte dei mezzi di informazione che si prestassero a ripubblicare i contenuti eventualmente resi noti dagli stessi hacker".

"Occorre infatti considerare - ha spiegato il presidente - che nelle e-mail è molto probabile vi siano anche informazioni legate unicamente alla vita privata dei parlamentari, magari sotto forma di fotografie e filmati. E il codice deontologico dei giornalisti in materia di privacy esclude che possano essere indiscriminatamente pubblicate notizie relative ad una persona per il solo fato che si tratti di un personaggio noto o che eserciti funzioni pubbliche, richiedendo invece il pieno rispetto della loro vita privata quando le notizie o i dati non hanno rilievo sul loro ruolo e sulla loro vita pubblica. Inoltre, considerata nel caso di specie la palese illiceità della raccolta, dovrebbe essere verificato se la pubblicazione da parte dei media anche di notizie relative alla attività politica e pubblica dei parlamentari coinvolti integri comunque una violazione".

Per i casi più gravi di violazione, il Garante può anche disporre il blocco dei trattamenti o vietare la pubblicazione dei dati da parte degli organi di informazione, ma l'eventuale adozione di provvedimenti tanto penetranti potrà essere valutata solo in seguito: per ora il Garante ha solo cominciato a raccogliere preliminarmente informazioni sul caso ed ogni decisione potrà essere assunta solo quando si avrà un quadro più chiaro sulla base degli elementi acquisiti.
 
Ritmo serrato nelle indagini. Intanto proseguono le indagini da parte della polizia postale: "Stiamo lavorando sul caso con la Procura di Roma. A breve potrebbero essere delle novità", ha dichiarato Antonio Apruzzese, direttore del Servizio polizia postale e delle comunicazioni del Dipartimento Pubblica Sicurezza. Sugli sviluppi la polizia postale mantiene il più stretto riserbo, ma gli accertamenti proseguono a ritmo intenso.
 
La mano di Anonymous. Le novità di cui parla la polizia postale potrebbero essere legate in qualche modo a quanto affermano gli Anonymous italiani che, subito dopo l'intrusione, avevano fatto sapere di voler intervenire per rintracciare subito dati, nomi e mail del gruppo che si è reso responsabile dell'attacco mail dei parlamentari 5 Stelle, e consegnarli alla polizia postale. E così hanno già fatto, secondo quanto si legge sul sito Fanpage.it: "Ci siamo riusciti". E ancora: "Anonymous si distacca COMPLETAMENTE da tutte le Crew che si stanno formando in Internet in questi tempi… Detto questo. Ogni attacco ai Pubblici ministeri, enti locali e privati che verrà fatto da ora in poi, e non verrà rivendicato da Anonymous, sapete di chi è… We Are Anonymous…"

Letta, Grillo, Berlusconi e le dieci bugie oggi di moda. - Andrea Scanzi



“E’ tutta colpa di Grillo”. E’ sempre colpa di Grillo. Se cade il governo, se piove, se c’è il sole. La tesi autossolutoria del Pd – il cui elettorato tende incredibilmente a ingoiare di tutto, passando dalla fregola per l’iper-democrazia al giubilo per l’abbraccio mortale con Berlusconi – è ora quella di ripetere che “il governissimo c’è perché Grillo ci ha portato a farlo”. Sarebbe vero se non ci fosse stata l’apertura Rodotà. Ma quell’apertura c’è stata. Il M5S ha sbagliato a non fare un nome al secondo giro di consultazioni (non sarebbe cambiato nulla, ma avrebbe tolto alibi al Partito Disastro), ma da Rodotà in poi è stato impeccabile: appoggiate questo nome (più vostro che nostro) e faremo un percorso insieme. A dire no è stato il Pd. Perché? Perché ha sempre voluto – nella maggioranza dei suoi parlamentari – l’inciucio. Infatti è stato scelto Enrico Letta, lo zio di suo zio. Quello che “è meglio votare Berlusconi che Grillo”.
“Su Rodotà non c’era maggioranza”. Bugia a metà. C’era la maggioranza degli elettori del Pd, ma non della maggioranza dei parlamentari piddini. Ciò significa, inequivocabilmente, che tra elettorato e rappresentanti c’è una scollatura drammatica. I Boccia non rappresentano nessuno, se non se stessi. Però decidono.
“Rodotà non è stato votato perché votato solo da 4mila persone”. Macché. Le Quirinarie sono state fantozziane, ma se i modi risultano discutibili non lo sono (stati) i contenuti. Per quanto raffazzonate, hanno portato alla scelta di un nome condiviso da milioni di italiani: la piazza reale, non virtuale (quella piazza che tanto terrorizza i giovani vecchi del Pd, tipo Speranza, uno che non merita quel cognome. Un po’ come se Ghedini si chiamasse Figo). Rodotà è stato il treno del cambiamento perso. Perso dal Pd e solo dal Pd: non da altri. Di questa colpa risponderà alla storia e, per il momento, agli elettori (infatti è un partito morto, che può vincere solo se si affida a ribelli come Serracchiani). Rodotà non è stato votato perché: 1) è stato proposto da Grillo (motivazione-asilo Mariuccia); 2) è troppo di sinistra; 3) è troppo laico (cioè “mangiapreti”); 4) è troppo intelligente, quindi libero e non irreggimentabile; 5) è troppo antiberlusconiano (e questo, per il Pd, è davvero inaccettabile).
“Sì, ma 4mila persone sono proprio poche”. Certo che lo sono. Ma sono comunque molto più delle persone (una) che avevano scelto Marini e poi (seicento) Napolitano.
“Non faremo mai il governissimo”. Per due mesi, o poco meno, Bersani e la sua ghenga tragicomica hanno ripetuto che il governissimo non l’avrebbero mai fatto. Qualche esempio (antologizzato stamani da Civati nel suo blog). «Pensare che dopo 20 anni di guerra civile in Italia, nasca un governo Bersani-Berlusconi non ha senso. Il governissimo come è stato fatto in Germania qui non è attuabile» (Enrico Letta, 8 aprile 2013). «Il Pd è unito su una proposta chiara. Noi diciamo no a ipotesi di governissimi con la destra» (Anna Finocchiaro, 5 marzo 2013). «I nostri elettori non capirebbero un accordo con Berlusconi» (Ivan Scalfarotto, 28 febbraio). «Un governo Pd-Pdl è inimmaginabile» (Matteo Orfini, 27 marzo 2013). Eccetera. Adesso avviene il contrario (e chi osa ricordarlo è un disfattista). Perché? Perché il Pd è bravissimo a sbagliare. E perché senza Berlusconi il Pd non esiste: ne è la più grande polizza assicurativa. Così facendo, il Pd imploderà (e questo tutto sommato è un bene) e regalerà a Berlusconi una nuova vittoria (e questo decisamente è un disastro).
“Letta ha vinto lo streaming”. Questa non è una bugia. E’ la verità. Che non stupisce. Letta fa politica da quando ha sei mesi. E’ nato vecchio, un Benjamin Button che mai diventerà Brad Pitt. Nella supercazzola democristiana (parlare e parlare senza dire nulla) nessuno lo batte. Con Crimi e Lombardi, che continuano a sbagliare tutto, ha usato la Tecnica-Asciugo: li ha intortati con una grandinata di nulla politichese. E li ha storditi. Quando si è trovato in difficoltà (Rodotà), ha detto al Duo Harakiri che “dovevate Prodi”. Sarebbe bastato rispondere: “Prodi non l’avete votato neanche voi, forse neanche lei. Con quale faccia incolpate noi?”. Ma non l’hanno detto. Come nulla o quasi hanno detto su conflitto di interessi, leggi ad personam, franchi tiratori, incoerenza sul no-inciucio. E via così. Letta ha vinto per mancanza di avversari. Esaurita tale erezione triste per la vittoriuccia di Pirro di Benjamin Letta, vorrei però che i giubilanti di adesso tenessero bene a mente che il loro hero sta lavorando per un governo con i D’Alema, gli Amato e i Brunetta. Un’apocalisse farebbe meno male.
“Non ci sono alternative”. No. C’erano: bastava votare Rodotà. Ma non è stato fatto. Ora il governissimo – il vero obiettivo di Pd e Pdl, sin dall’inizio – viene spacciato come “governo di salvezza nazionale”. Ma de che? Cosa può fare un governo che contempli contemporaneamente Civati e Mussolini? Al massimo una legge elettorale anti-M5S, atta anzitutto a disinnescarli. Berlusconi sta al senso dello Stato come Robinho alle quadriplette. Opera per salvare se stesso e in questo è un fenomeno. Il governo Letta sarà un tirare a campare. Un ulteriore arroccarsi dei politicanti nel Parlamento-bunker. Mi si dirà: “L’alternativa è andare al voto, ovvero un’oscenità”. No: persino andare subito al voto sarebbe più onesto. Anche con la stessa legge elettorale. Un pareggio non ci sarebbe, non stavolta. Vincerebbe Berlusconi, si ridimensionerebbe Grillo, crollerebbe il Pd. Brutta prospettiva? Sì. Ma è l’Italia, baby. E quantomeno avremmo un governo Berlusconi evidente e dichiarato, senza questa ipocrisia nauseabonda delle “larghe intese”.
“Il Movimento ha abbassato i toni”. Ma figuriamoci. Dopo lo schiaffo in faccia ricevuto su Rodotà, il M5S farà solo e soltanto opposizione. I toni sono stati abbassati unicamente da Pisolo Crimi e Simpatia Lombardi, che ieri dormivano (e un po’ li capisco) mentre parlava Benjamin Letta. Dopo il caso Rodotà, la rottura tra M5S e Pd è definitiva. Insanabile. Eterna.
“Il Movimento 5 Stelle è in calo”. Bugia a metà. In Friuli la tramvata è stata evidente, pur con tutte le attenuanti, ma agli occhi di molti elettori 5 Stelle la trama degli ultimi giorni ha confermato che Pd e Pdl pari sono o giù di lì. I sondaggi (Swg) li danno al 27 percento. Se questo è un calo, il Pd è già allo stadio di decomposizione. E’ però vero che il M5S è percepito da molti come una forza che sa dire solo di no. E questo, per loro, è un male. Aggiungo poi che esiste nel Movimento un problema di rappresentanza. L’anomalia non è che Mastrangeli sia stato (giustamente) espulso, ma che sia stato (clamorosamente) prima scelto e poi eletto. E a proposito di espulsioni, che – secondo quasi tutta la stampa – sono giuste se le decide il Pd e sinonimo di fascismo se le appluica il M5S: caro Civati, prendi atto che nel Pd sei un corpo estraneo e vola altrove. Magari nel “cantiere della sinistra” a cui sta lavorando Vendola, ampolloso e barocco come sempre ma tra i pochi ad essere risultato coerente e coraggioso negli ultimi giorni. Questa “critica dall’interno” è sterile, pleonastica e alla lunga pure noiosa.
“La stampa deve cooperare”. E’ l’ultima trovata di Re Giorgio e dei suoi prodi discepoli (quasi tutti), Scalfari e derivati in testa. L’intoccabilità di Napolitano ha ormai del leggendario. Ho rispetto della persona, e della sua età, come lo ho per la memoria storica. Il migliorista Napolitano è sempre stato un “comunista di destra”. Gaber, quelli come lui, li chiamava “grigi compagni del Pci”. Napolitano è quello che appoggiò i cingolati sovietici contro la rivolta ungherese (salvo poi dire decenni dopo che “Mi sono sbagliato, aveva ragione Nenni”), quello che attaccò Berlinguer (Enrico) sulla questione morale, quello che a fine 2011 ci ha imposto Monti allungando la vita politica di Berlusconi (e rafforzando involontariamente Grillo); è quello del “non ho sentito il boom”, delle telefonate a Mancino, delle firme alle leggi vergogna. Capisco la stima, ma Pertini era un’altra cosa. Come lo è il giornalismo. Che non deve “cooperare”, ma raccontare e talvolta denunciare. L’invito a cooperare di Napolitano, dopo l’orrore dello scorso weekend (tra i più neri nella storia della Repubblica italiana), mi ricorda l’adagio del “ci pisciano in testa e poi dicono che piove”. Si ha la sensazione che qualcuno ci abbia conficcato ben bene l’ombrello di Altan. E che quel qualcuno, adesso, ci dica “Ehi, non lamentarti, altrimenti sei un irresponsabile”. Un po’ troppo, come masochismo.

Il Pd avverte i dissidenti «Chi vota contro è fuori».


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Il partito teme la fronda di chi non vuole fare nascere un governo con Berlusconi.

L’esperienza insegna. Dopo Franco Marini e Romano Prodi, il Pd corre ai ripari per evitare che anche Enrico Letta cada sotto il fuoco amico dei franchi tiratori. Ufficialmente sono 21 i membri della Direzione del partito che martedì hanno votato contro o hanno preferito non esprimersi sulla scelta di far nascere un esecutivo insieme a Silvio Berlusconi. Ma tra i parlamentari democratici (non tutti fanno parte della Direzione ndr ) i contrari al cambio di linea sono sicuramente di più.
Alcuni, probabilmente, si lasceranno convincere dall’aut aut posto da Giorgio Napolitano («non c’è alternativa»), altri invece continuano da giorni a ribadire la propria posizione. Minacciando di non votare la fiducia quando l’esecutivo guidato da Letta e composto da ministri provenienti dalle file del centrodestra si presenterà davanti alle Camere.
Lo dice chiaramente il deputato Pippo Civati intervistato dal Fatto Quotidiano : «L’ipotesi di governissimo è quella che abbiamo sempre escluso e ora si fa un super governissimo. Al massimo potevo accettare un esecutivo di scopo. Se le cose restano come in questo momento non voterò la fiducia».
Sulla stessa linea la senatrice Laura Puppato che, intervistata da Repubblica , rilancia: «Se ci sono Alfano e Schifani, allora non posso dare la fiducia. Diventa un problema di coscienza. I nomi che arrivano dal Pdl sembrano una provocazione, soprattutto perché a Berlusconi interessano il dicastero della Giustizia e tutti quei ministeri utili alle sue attività per le leggi ad pesonam. Berlusconi non ha senso dello Stato e del Paese. E non è una posizione preconcetta o una faziosità, ma ne abbiamo una lunga esperienza».
«Letta dovrebbe sfidarli su un governo di scopo e basta - insiste -. Il rischio resta quello che abbiamo paventato in più persone nella Direzione del partito: il centrodestra a questo punto chiederà il via libera per altrettante figure politiche. E del resto se il Pdl avesse subito offerto personalità di innovazione non staremmo qui a parlare e non avremmo perso tutto questo tempo».
Insomma i distinguo non mancano. E lo stesso Capo dello Stato ne era ben consapevole quando, per evitare di radere al suolo ciò che restava del Pd, ha deciso di rinunciare a Giuliano Amato per puntare sul vicesegretario. Un modo per vincolare anche i più scettici al principio di lealtà nei confronti di chi guida il partito.
Ma al momento lo scetticismo rimane. Al punto che c’è chi avverte i dissidenti sui rischi della loro posizione. «Nessuna minaccia ai colleghi - spiega il lettiano Francesco Boccia intervenendo telefonicamente a SkyTg24 -, ma ci sono delle regole che vanno rispettate ed è chiaro che chi non dovesse votare la fiducia al governo sarebbe fuori dal partito». Parole che scatenano l’immediata reazione di Civati: «Chi non è d’accordo va ascoltato, non espulso. A cominciare dai 101 che non hanno votato Prodi, che sarei felice di conoscere».
Ma Boccia non è l’unico sostenitore della linea dura. Con lui anche Dario Franceschini, Debora Serracchiani e il capogruppo alla Camera Roberto Speranza. Tutti sottolineano la necessità di evitare altri colpi di testa. Anche perché il voto di fiducia al governo è palese e i Democratici, dopo i richiami di Napolitano, non possono permettersi altri passi falsi. «Io vorrei davvero che questi franchi tiratori si palesassero - sottolinea Serracchiani -, si presentassero e naturalmente uscissero dal mio partito perché non credo che ci siano le condizioni per andare avanti insieme».
Mentre Boccia ribadisce: «La richiesta del rispetto delle regole, almeno di quelle che ci siamo dati tutti insieme, avanzata da me e da molti altri esponenti del nostro Partito, non può e non deve essere mai considerata come una minaccia». Meglio chiamarlo un «avviso». E come insegna la saggezza popolare: uomo avvisato...

Berlusconi, Boccia (Pd): M5s fa propaganda su ineleggibilità.


Boccia PD, Di Girolamo Pdl.

ROMA (Reuters) - Chiedere di rendere ineleggibile Silvio Berlusconi "non è una priorità per il paese ma un modo per continuare a fare propaganda".

Lo dice il deputato del Pd Francesco Boccia intervenendo su Sky tg24.

"Capisco che il tema possa appassionare. Intanto la norma è una bufala e quando [Beppe] Grillo porterà questa proposta, che a mio avviso non sarà nemmeno all'ordine del giorno, quando arriverà in aula ci confronteremo e vedremo", ha detto Boccia.

Il Movimento 5 stelle vuole proporre, all'esame della Giunta per le elezioni, un'interpretazione di una legge del 1957 che renda Berlusconi ineleggibile per il conflitto di interessi legato alla proprietà di Mediaset.

Silvio a Dallas.



SILVIO VA A DALLAS ED I SUOI ESULTANO PERCHE' PARE SIA STATO L'UNICO ITALIANO AD ESSERE INVITATO...PER FARSI UNA DORMITA ALL'ARIA APERTA.

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Dalla Fondazione Craxi a quella di Brunetta: tutti i regali di Monte Paschi. - Davide Vecchi


Dalla Fondazione Craxi a quella di Brunetta: tutti i regali di Monte Paschi


Dalle casse della fondazione dell'istituto di credito senese sono usciti un mare di soldi nell'era Mussari-Mancini. 'Doni' milionari a esponenti di destra e di sinistra, contributi ai sindacati, alle organizzazioni religiose e alle associazioni degli amici.

Dalla fondazione Ravello, oggi presieduta dall’attuale capogruppo del Pdl, Renato Brunetta, alla Giuseppe Di Vittorio della Cgil. Dai circoli Arci alla fondazione Craxi, fondata e presieduta da Stefania. Dai bonifici per l’ex senatore del Pdl, ora candidato sindaco a Pisa e storico braccio destro dell’ex ministro Altero Matteoli, Franco Mugnai (legale nel caso Ampugnano). Poi fondi a tutte le amministrazioni a guida Pd della Toscana. A partire dalla Regione fino a numerosi Comuni. Tranne uno: Gagliole, l’unico con un’amministrazione di centrodestra.
A scorrere le 400 pagine di estratto conto della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, degli anni compresi tra il 2007 e il 2009, si ricostruisce la fitta rete di sovvenzioni ed erogazioni distribuite ad amici e non. Per lo più si tratta di fondazioni, enti, amministrazioni targate centrosinistra. Ma Giuseppe Mussari, già passato alla guida di Rocca Salimbeni, guardava a Roma. All’Abi, dove approda nel 2010, ma anche al Palazzo nel quale sa di poter confidare in rapporti trasversali, da Giuliano Amato a Giulio Tremonti. Siena doveva essere solo un trampolino di lancio, come spiegano negli atti i pm titolari dell’inchiesta sull’acquisto Antonveneta, Aldo Natalini, Antonino Nastasi e Giuseppe Grosso. Banca e fondazione un utile portafoglio. Si sponsorizza tutto. Dai circoli ricreativi alle associazioni politiche, come la Karl Popper che, di matrice socialista, appoggia, negli anni, i due sindaci Maurizio Cenni e Franco Ceccuzzi. Quest’ultimo costretto a rinunciare a ricandidarsi perché avrebbe raggiunto un accordo di spartizione con Denis Verdini. L’indagine è ancora in corso.
Da Siena i soldi vanno anche a Lecce: arcidiocesi (120 mila euro), varie onlus e 50 mila euro alla provincia. Guidata da Antonio Maria Gabellone, ex Dc oggi Pdl, legato a Vincenzo De Bustis e, in particolare a Lorenzo Gorgoni, membro del Cda di Mps. Ma è anche terra politica di Massimo D’Alema e della Banca 121 acquistata da Rocca Salimbeni. I versamenti sono compresi tra i diecimila euro e i due milioni, che vanno alla fondazione Ravello, per un importo complessivo che sfiora il miliardo e che si perde nel totale delle uscite della Fondazione: 17.983.686.939 euro complessivi di movimentazione in 36 mesi. Per lo più dovuta alle operazioni di compravendita sui mercati in vista dell’aumento di capitale per l’acquisto di Antonveneta.
Alimentata dai fondi versati all’Università cittadina, alle società del Comune e di sviluppo, alla diocesi, alle contrade del Palio. Fino ad assottigliarsi e perdersi in mille rivoli con bonifici da 50 mila euro anche a singoli preti. Meglio assicurarsi la buona parola di tutti. Tra i 3 miliardi versati per l’aumento di capitale per l’acquisto di Antonveneta ai piccoli bonifici ci sono, ad esempio, uscite per dieci milioni alla Cressidra Sgr Spa, un gestore di fondi chiusi riservati nonché azionista di Anima Sgr insieme a Banca Popolare di Milano, Credito Valtellinese e la stessa Banca Monte dei Paschi. Rocca Salimbeni condivide con Anima il presidente dei sindaci: Tommaso Di Tanno, oggi indagato. Tra i più noti tributaristi italiani, legato ai Ds, in particolar modo a D’Alema e Vincenzo Visco, di cui è stato consigliere economico in via XX Settembre, Di Tanno non si è accorto della voragine che Mussari, Gianluca Baldassarri e Antonio Vigni, hanno creato in Mps. E’ stato anche revisore dei bilanci dei partiti per Montecitorio.
L’elenco delle uscite è infinito. L’estratto conto è negli atti del processo per l’aeroporto Ampugnano che vede Mussari rinviato a giudizio per falso ideologico in concorso e turbativa d’asta. Parte della documentazione raccolta durante le indagini, in particolare quella relativa alla Fondazione e a Mps, è confluita nell’inchiesta sull’acquisto di Antonveneta. Nulla, al momento, sarebbe stato rilevato di anomalo nelle operazioni partite dal conto corrente della Fondazione. A subire il contraccolpo maggiore è stata la città, dal Comune all’Università, dall’azienda ospedaliera alle contrade del Palio, che si sono ritrovate private, da un anno all’altro, delle laute erogazioni. Se ne sarà fatta ormai una ragione, invece, la fondazione oggi presieduta da Brunetta. La fondazione Ravello, che stava a cuore a Mussari anche per la presenza di Filippo Patroni Griffi nel consiglio generale di indirizzo, non riceve più nulla. Così come la fondazione Craxi: ultimo bonifico ricevuto 15 mila euro nel marzo 2009. L’anno successivo le erogazioni concesse si sono fermate a complessivi 109 milioni e su un totale di 2657 domande presentate solamente 779 sono state soddisfatte. Nel 2012 sono state ulteriormente ridotte a 21 milioni e per il 2013 è previsto lo stanziamento di appena cinque milioni di euro. Da Mps, del resto, non arrivano più i dividendi frutto del “maquillage bilancistico” di Mussari e la banda del 5 per cento.