martedì 9 marzo 2021

Tasse, ogni anno spariscono 245 miliardi delle multinazionali grazie alle regole fiscali decise dall’Ocse. Balzo degli Emirati Arabi. - Mauro Del Corno

 

Pubblicata la classifica aggiornata di Tax Justice Network sui primi dieci paradisi fiscali al mondo. Ci sono anche Olanda, Lussemburgo e Svizzera. In vetta le isole caraibiche britanniche. Ci sono anche le isole Cayman che l'Unione europea ha recentemente depennato dalla sua lista nera. Ogni anno l'Italia ci rimette circa 10 miliardi di euro. L'Ocse fissa le regole fiscali internazionali ma i paesi membri sono responsabili dei 2/3 dell'evasione ed elusione fiscale da parte delle multinazionali.

Ogni anno 245 miliardi di dollari (205 miliardi di euro) di tasse che dovrebbero essere pagate da aziende multinazionali spariscono. Accade grazie a giurisdizioni fiscali compiacenti, molte delle quali appartengono ai 36 paesi Ocse e/o all’Unione europea. Per avere qualche termine di paragone sulla portata di questo ammanco può essere utile tenere presente che ogni anno l‘intera Africa spende per la sanità 50 miliardi di dollari, un quinto del gettito mancante. O che gli stanziamenti europei contro la pandemia ammontano, per ora, a 20 miliardi di dollari.

Dubai balza nella top ten – L’organizzazione Tax Justice Network ha diffuso oggi la lista aggiornata dei 10 principali paradisi al mondo. Sul podio ci sono i rinomati centri caraibici: Isole vergini britanniche, le isole Cayman e Bermuda. Formalmente si tratta di giurisdizioni quasi indipendenti, nella sostanza sono una sorta di appendice della Gran Bretagna che conserva poteri di veto e diritto di nomine. Subito dopo c’è il terzetto europeo Olanda, Svizzera, Lussemburgo. L’Olanda in particolare conferma la sua funzione di “hub” a cui si appoggiano le multinazionali per dirottare i profitti verso paesi in cui l’imposizione fiscale è bassa o inesistente. Il Lussemburgo si caratterizza invece per essere un centro che offre servizi fiscali “à la carte”, ossia elaborando specifiche soluzioni su richiesta delle grandi aziende. Seguono poi Hong Kong, Jersey, Singapore, ossia altre giurisdizioni con legami più o meno stretti con la Gran Bretagna e infine una new entry: gli Emirati Arabi Uniti. Verso Abu Dhabi e Dubai sono stati dirottati dall’Olanda flussi di denaro per 200 miliardi di dollari per approfittare dal basso livello impositivo degli Emirati.

Priorità ai profitti delle più grandi multinazionali – I paesi che fanno parte dell’Ocse, a cominciare da Svizzera, Olanda e Lussemburgo, sono responsabili dei due terzi della sottrazione di gettito . L’Organizzazione ha però anche un ruolo chiave nel definire norme e pratiche fiscali internazionali. “Non c’è bisogno di essere un esperto per capire perché un sistema fiscale globale programmato da un club di ricchi paradisi fiscali stia causando un’emorragia di oltre 245 miliardi di dollari di tasse societarie all’anno”, ha commentato Alex Cobham, responsabile di Tax Justice Network. In sostanza l’Ocse fissa appositamente e consapevolmente regole che favoriscono l’elusione fiscale o attua contrasti per lo più di facciata.

“Negli ultimi 60 anni, l’Ocse ha modellato la politica fiscale globale in uno strumento per dare priorità ai profitti delle più grandi multinazionali rispetto ai bisogni di tutti gli altri, aggravando le disuguaglianze che le donne e altri gruppi sociali devono affrontare. È ora di rimodellare la politica fiscale globale in uno strumento per riparare la disuguaglianza di genere, non alimentarla. Il primo passo verso questo obiettivo è stabilire una convenzione fiscale delle Nazioni Unite “, ha spiegato Irene Ovonji-Odida, membro del panel delle Nazioni Unite sulla responsabilità finanziaria internazionale.

Per l’Italia una perdita di 10 miliardi di euro l’anno – Alla luce di queste indicazioni appare in tutta la sua evidenza anche l’inconsistenza della lista europea delle legislazioni fiscali opache. La “balck list” non include infatti Olanda e Lussemburgo in quanto membri dell’Unione e recentemente ha escluso anche le isole Cayman dopo alcune che sono state giudicate però dagli esperti puramente formali. Cayman ha infatti accettato di condividere informazioni sui depositi domiciliati nell’arcipelago. Il problema è però che poi è praticamente impossibile risalire ai veri titolari di questi depositi grazie all’uso di strutture giuridiche come il trust e all’assenza di registri. Tax Justice Network fornisce anche dati relativi alla perdita di gettito dei singoli paesi. L’Italia ci rimette ogni anno circa 10 miliardi di euro, 200 euro per ogni abitante. Le giurisdizioni di Olanda e Stati Uniti (di cui fa parte il Delaware, altro santuario dell’elusione internazionali) sono quelle che sottraggono più gettito al nostro paese.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/03/09/tasse-ogni-anno-spariscono-245-miliardi-delle-multinazionali-grazie-alle-regole-fiscali-decise-dallocse-balzo-degli-emirati-arabi/6127265/

L’insostenibile costo della carne. Per ogni kg di bovino o maiale 19 euro in più: il vero prezzo, inclusi i danni ambientali e sanitari | LO STUDIO. - Luisiana Gaita

 

Ogni anno oltre 36 miliardi: è il costo per la salute e per l'ecosistema, generato dal ciclo di vita dei prodotti alimentari derivanti da bovini, suini e polli: si va dall'acidificazione terrestre all'insorgere di malattie legate al consumo di prodotti animali. Un danno e una spesa collettiva quantificati per la prima volta nella ricerca scientifica indipendente realizzata da Demetra per Lav. Ilfattoquotidiano.it la presenta in esclusiva e promuove una campagna per diffonderne i contenuti. Mercoledì 10 marzo alle 17 appuntamento in diretta sulla nostra pagina Facebook. E GLI UTENTI SOSTENITORI RICEVERANNO OGGI IL DOCUMENTO IN ANTEPRIMA.

Un hamburger di manzo da 100 grammi riposto nel carrello della spesa non costa solo il prezzo visibile sullo scontrino. C’è un costo ‘nascosto’, aggiuntivo, di almeno 1,9 euro, che corrisponde al valore economico dei danni ambientali (1,35 euro) e sanitari (54 centesimi) prodotti durante il ciclo di vita di quell’etto di carne di bovino. Significa 19 euro al chilo. Stessa cifra anche per la carne di maiale lavorata: in questo caso, però, un chilo di prosciutto, mortadella, wurstel o salame costa in media 5 euro per i danni ambientali, ma 14 euro per quelli sanitari. Per un chilo di carne di maiale fresca il sovrapprezzo è di oltre 10 euro (4,9 di costi ambientali, 5,4 di sanitari), mentre è di circa 5 euro per ogni chilo di pollo. Sono le stime a cui giunge uno studio indipendente realizzato per LAV (Lega Anti Vivisezione) dalla onlus Demetra, società di consulenza in ambito di ricerca scientifica sulla sostenibilità. Un lavoro che Ilfattoquotidiano.it presenta in esclusiva e offre in anteprima ai suoi Sostenitori (se non sei ancora Sostenitore scopri come diventarlo). Si tratta di una ‘traduzione economica’ dei danni causati da produzione e consumo di carne e che ricadono su ogni cittadino, indipendentemente dal suo consumo di carne e non solo da quel 90% di italiani, onnivoro, che ne consuma in media 128 grammi al giorno.

LE PAROLE DEL MINISTRO – La ricerca viene pubblicata a pochi giorni dalle parole pronunciate dal ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, nel suo intervento alla conferenza preparatoria della ‘Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile’, che ha suscitato le reazioni delle associazioni di categoria. Secondo il ministro “si dovrebbe diminuire la quantità di proteine animali sostituendole con quelle vegetali” oltre che per una questione di salute, anche perché “la proteina animale richiede sei volte l’acqua della proteina vegetale, a parità di quantità” e “gli allevamenti intensivi producono il 20% della CO2 emessa a livello globale”. Per Lav non c’è altra strada, se non quella di “una transizione alimentare, che veda ridursi drasticamente e rapidamente il consumo di proteine animali in favore di quelle vegetali” spiega a ilfattoquotidiano.it il direttore generale Roberto Bennati. Un cambio di rotta in un momento in cui “il settore zootecnico – aggiunge – si regge grazie a flussi continui di sussidi nazionali e provenienti dall’Unione Europea, per non parlare delle campagne pubblicitarie nelle quali non si fa cenno alla vita da cloni a cui sono costretti milioni di animali”.

IL COSTO ‘NASCOSTO’ DELLA CARNE – Lo studio si concentra sulle carni più diffuse nel nostro Paese: da bovino fresca e lavorata (bresaola e carne in scatola), maiale, maiale lavorato e pollo. Ogni giorno un italiano onnivoro mangia in media 61 grammi di carne di maiale (44,9 sono di carne lavorata), 33 di pollo, 29 di carne di bovino (27 grammi di carne fresca), oltre a circa 4 grammi di altre carni meno diffuse (conigli, cavalli, ovi-caprini). Secondo la ricerca, il costo nascosto della carne che ricade sulla collettività ammonta in media a 36,6 miliardi di euro all’anno, ossia quanto servirebbe potenzialmente per rimediare ai danni generati. Si tratta di 605 euro per ogni cittadino, con un range che varia dai 316 ai 1.530 euro a testa. Dovuti per il 48% a costi ambientali e per il 52% a quelli sanitari. Come ordine di grandezza, la cifra equivale alla somma di tre imposte attive in Italia: quella sull’energia elettrica e gli oneri di sistema (14,4 miliardi di euro nel 2017), l’addizionale regionale Irpef (11,8 miliardi), l’imposta sui tabacchi (10,5 miliardi). “Equivale all’incirca all’ammontare delle risorse annuali che avremo dal Recovery Plan, ossia quei 200 miliardi in sei anni” aggiunge Bennati. E si tratta verosimilmente, spiegano gli autori, “di una sottostima dell’effettivo costo nascosto” dovuta all’esclusione di alcune categorie ambientali e malattie direttamente o indirettamente collegate al consumo di carne, “per mancanza di una robusta letteratura scientifica” riguardo ai potenziali impatti.

QUASI 20 MILIARDI ALL’ANNO IN PIÙ PER LA CARNE LAVORATA – Considerando il valore economico dei danni cha ogni anno ricadono sui cittadini, il contributo principale (54%) arriva dal consumo di carne di maiale lavorata che costa 19,7 miliardi di euro all’anno, dato l’elevato consumo (46 grammi al giorno in media) e gli elevati impatti sanitari (per 14,4 miliardi). Segue la carne di bovino (31% del costo, includendo quello della carne lavorata), per cui la collettività paga 11,5 miliardi, 8 a causa dell’impatto ambientale degli allevamenti. Due i principali fattori: minor resa di conversione alimentare ed emissioni di metano generate dalla fermentazione enterica. La carne di pollo grava per circa 3,2 miliardi, 53 euro a testa. Nello studio sono tutti addebitati all’impatto ambientale ma, va sottolineato, per calcolare quello sanitario è stata considerata solo la relazione tra il rischio di contrarre le quattro malattie analizzate (carcinoma del colon-retto, diabete di tipo 2, ictus e malattie cardiovascolari) e il consumo di carne rossa o lavorata, le uniche per cui è stato trovato un rapporto causale suffragato da dati solidi. Eppure, quei 5 euro di danni ambientali per ogni chilo di prodotto, sono un valore doppio rispetto al costo medio del pollo all’ingrosso. La carne di maiale fresca (circa il 17% della carne di maiale consumata), invece, costa circa 37,5 euro all’anno per abitante e 2,3 miliardi alla collettività (sia per l’impatto ambientale, sia per quello sanitario, di poco maggiore). “Queste cifre rendono la produzione di carne economicamente insostenibile” spiega a ilfattoquotidiano.it l’ingegnere ambientale Guido Scaccabarozzi, ricercatore di Demetra e tra gli autori del rapporto. “Se fossi un allevatore e lo Stato mi chiedesse di compensare i costi ambientali e sanitari che contribuirei a produrre – aggiunge – lo considererei un forte deterrente”.

IL CICLO DELLA CARNE IN ITALIA – La tipologia di carne oggi più prodotta in Italia è quella di maiale, anche se la maggior parte di quella consumata arriva da animali nati o allevati all’estero. Nel nostro Paese si macellano circa 595 milioni di animali all’anno e sono quasi tutti polli (534 milioni). E se negli allevamenti la popolazione di animali ammonta a circa 200 milioni,150 milioni sono ancora una volta polli (il 73% degli animali vivi al momento del censimento). Per ogni persona residente in Italia, ci sono circa 2,5 polli vivi ma, data la loro breve vita, ogni anno ne vengono macellati quasi 9 a testa. “Sicuramente le emissioni di metano legate ai bovini vanno a incidere in modo fondamentale sui cambiamenti climatici, soprattutto se consideriamo i numeri di cui stiamo parlando – spiega Guido Scaccabarozzi – ma, proprio in tema di numeri, fa riflettere che la popolazione di polli sia superiore a quella dei cittadini”.

LE ALTERNATIVE VEGETALI – L’indagine confronta anche l’impatto dei diversi tipi di carne con possibili alternative vegetali, come piselli e soia. “L’obiettivo principale – aggiunge Scaccabarozzi – è quello di scattare una fotografia degli impatti generati oggi e aiutare consumatori e decisori politici a essere più consapevoli dei potenziali costi per la società e non è quello di stimare la variazione degli impatti qualora gli italiani decidessero di cambiare dieta, verso un’alimentazione a base di legumi. Per capire gli effetti di una ipotetica conversione verso la produzione vegetale sarebbe opportuno, infatti, condurre ulteriori studi, in quando entrerebbero in gioco diverse dinamiche”. Di fatto, il costo ambientale e sanitario dovuto al consumo di 100 grammi di legumi è di 5 centesimi di euro, più basso rispetto a quello generato da tutti i tipi di carne considerati nello studio. Anche escludendo i benefici sanitari derivanti da una dieta a base di legumi, il costo nascosto della carne risulta tra le 8 e le 37 volte quello dei legumi. Ancora di più, se il confronto è su base proteica. Perché su 100 grammi di prodotto, la soia ne contiene 36, i piselli 21,5, la carne di bovino 20, il pollo 17,5 e il maiale 16. Facendo i conti, 100 grammi di proteine da legumi costano alla collettività 17 centesimi di euro, 100 grammi di proteine da carne costano tra i 2 e gli 11 euro. Ma se, per esempio, producessimo più soia, non rischieremmo di eccedere nelle monoculture? “Oltre il 90% delle monocolture è impiegato proprio nell’alimentazione degli animali – replica il direttore generale di Lav, Bennati – senza parlare della soia transgenica che arriva dal Brasile e con la quale si alimentano i nostri polli”. In termini di rapporto tra consumo di suolo e proteine, come spiega la Fao, su un ettaro di terra è possibile produrre soia con un contenuto proteico di 1848 chili, ma se quello stesso spazio lo destiniamo al foraggio per alimentare i bovini, alla fine ne ricaveremmo appena 66 chili di proteine animali. “Ecco perché credo che la transizione porterebbe con sé la possibilità di tornare alla differenziazione e, quindi, a un’agricoltura rigenerativa del terreno, non basata su monocolture e modelli intensivi” aggiunge Bennati.

AMBIENTE, DALLA CARNE DI BOVINO IL MAGGIOR IMPATTO – Ma come si è arrivati a quei 36,6 miliardi all’anno di costi complessivi? Il potenziale costo ambientale è stato stimato tramite un’analisi dell’intero ciclo di vita della carne (Life Cycle Assessment – LCA), convertendo in costi economici per la società le emissioni generate in tutte le fasi (allevamento, macellazione, lavorazione, imballaggio, distribuzione, consumo e trattamento reflui) ma anche quelle generate dalla produzione di energia necessaria nei vari passaggi. Undici le categorie di impatto prese in esame, suggerite dalla Commissione Ue per gli studi LCA: cambiamenti climatici, riduzione dello strato di ozono, acidificazione terrestre, eutrofizzazione (in acqua dolce e marina), tossicità umana, formazione di smog fotochimico, formazione di particolato, eco-tossicità (terrestre, in acqua dolce e marina), radiazione ionizzante, occupazione di suolo e consumo di acqua. Il costo monetario espresso in euro indica la perdita di benessere per la società dovuto all’emissione di un chilogrammo di inquinante in ambiente, calcolato dal centro di ricerca CE Delft nel manuale dei prezzi ambientali (Environmental Prices Handbook). Per ognuna delle 11 categorie di impatto c’è un indicatore. La carne di bovino genera il maggior costo sulla società: se per ogni 100 grammi la società subisce danni per 1,35 euro (con una forbice che va da 0,56 a 3,61 euro), per una bistecca da 3 etti siamo oltre i 4 euro. Un etto di carne di maiale nasconde un costo extra che va dai 49 centesimi (per quella fresca) ai 51 centesimi (per la lavorata), mentre 100 grammi di carne di pollo costano almeno 47 centesimi. E se un chilo di carne di pollo o maiale genera 8 volte più costi per la società rispetto ai legumi, la stessa quantità di carne di bovino li genera ben 23 volte. Per un etto di prodotto, la produzione di piselli è quella con meno costi ambientali per la società (4,2 centesimi), mentre in termini proteici è la soia il prodotto che genera un minor costo ambientale (15 centesimi per 100 grammi di proteine).

IMPATTO SANITARIO, I COSTI ARRIVANO AL 90% DALLA CARNE LAVORATA – Per calcolare l’impatto sanitario, invece, in linea con studi epidemiologici, si è partiti dalle curve di rischio in funzione del consumo giornaliero in Italia di carne rossa (43,8 grammi al giorno) e lavorata (46 grammi). Utilizzando le stime sul totale degli anni di vita persi per ciascuna malattia, definite in studi di riferimento, come unità di misura è stato scelto il Daly (Disability-Adjusted Life Year), che esprime il carico complessivo della malattia, il numero di anni in salute persi a causa di problemi di salutedisabilità o morte prematura. I Daly sono stati moltiplicati per un valore medio europeo di 55mila euro, ossia la somma minima attribuibile a un anno di vita in salute perso. Il consumo dei due tipi di carne è responsabile di 53mila Daly persi a causa del carcinoma del colon-retto in Italia, con un costo per la società di 2,9 miliardi, di oltre 177mila Daly persi per diabete di tipo 2 con un costo di 9,7 miliardi, di quasi 116mila Daly persi per ictus (costo 6,3 miliardi) e di 103mila Daly persi per malattie cardiovascolari (5,7 miliardi). Ma è la carne lavorata il responsabile principale, contribuendo per quasi il 90% dell’impatto sanitario. Ripartendo la spesa tra i quantitativi di carne consumata ogni anno in Italia (1.060 kt/a di carne lavorata e 782 kt/a di carne rossa), si può stimare il costo generato dal consumo di un chilo o un etto di carne.

UN CHILO DI PROSCIUTTO COSTA 14 EURO IN PIÙ (PER GLI ANNI DI SALUTE PERSI) – Mostrando i dati sulle malattie cardiopatiche maggiori margini di incertezza, sono stati esclusi dalla stima finale dei costi sanitari (ancora una volta conservativa). Il risultato è che un etto di manzo costa alla collettività, come impatto sanitario, 54 centesimi, mentre un etto di prosciutto ne costa 1,40, ossia ben 14 euro al chilo. A livello nazionale, il costo medio per la collettività è di 19,1 miliardi (315 euro a testa). “A causa del consumo di carne, ogni anno in Italia vengono persi circa 350mila anni di vita” spiega il direttore generale di Lav, secondo cui un’alternativa c’è, ed è già il presente. Secondo lo studio, il consumo di 50 o 100 grammi al giorno di legumi non aumenta il rischio di contrarre nessuna delle malattie analizzate. “Siamo consapevoli – aggiunge Bennati – che non si tratta di cambiamenti da attuare da un giorno all’altro, ma le stime della FAO secondo cui il consumo di carne attuale nel 2050 raddoppierà arrivando a 465 milioni, ci indicano la direzione”. Per Lav la strada giusta è quella, per esempio, di una “progressiva e rapida riduzione, fino all’azzeramento, dei Sussidi ambientalmente dannosi” che riguardano la zootecnia, ma anche “una revisione della Politica Agricola Comunitaria” e un quadro di finanziamenti “della coltivazione di proteine vegetali specificamente destinate all’alimentazione umana”.

Cari sostenitori, partecipate a questa campagna, arricchitela con noi! Dite la vostra nel Forum a voi dedicato, scriveteci quanto pesa nel conto della vostra spesa l’acquisto di prodotti e derivati animali. Oggi riceverete in anteprima esclusiva la ricerca di Demetra per Lav: leggetela e partecipate mercoledì pomeriggio alle ore 17, alla diretta #carissimacarne in partnership con Lav sulla nostra pagina facebook. Le domande o le idee che lancerete nel Forum avranno la priorità e verranno discusse in diretta da Giulia Innocenzi e dagli altri ospiti.

Se non sei ancora Sostenitore de Ilfattoquotidiano.it, scopri come diventarlo. Mettici alla prova e proponi la tua campagna: continueremo a occuparci di sostenibilità, ma anche di diritti, corruzione, lobby e poteri marci. Dando di volta in volta voce alle associazioni che hanno qualcosa da dire e qualcosa da denunciare. Gli utenti Sostenitori sono anima e motore di una community che vogliamo veder crescere sempre di più: sono quelli pronti a mettere la faccia, la firma o l’impegno sulle battaglie in cui credono.

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La carne è dannosa sia in termini economici che ambientali e salutari. Io ne ho ridotto il consumo al minimo, avendo un vegetariano in famiglia, e vi posso garantire che può essere sostituita con tanti alimenti tra cui la soia in granuli della quale faccio un uso esagerato, direi, specie quando voglio gustare un ragù, o delle polpettine, o le lasagne al forno, o cannelloni ripieni... provatela! Oltre che essere buonissima è un vero toccasana per l'organismo.

c.


ARCHIVIO Livorno, arrestato per corruzione il sindaco di San Vincenzo: “Da 2 imprenditori sostegno pari al 2/3% del valore degli appalti pubblici”.

 

Ventitré indagati in totale. Per l'ex segretario comunale, Salvatore De Priamo, è stata richiesta l’interdizione dai pubblici uffici (prima dovrà sostenere interrogatorio di garanzia davanti al gip). Sotto inchiesta anche il vicesindaco Delia Del Carlo e due assessori in carica, Elisa Malfatti e Massimiliano Roventini.

È accusato di aver ricevuto da due imprenditori un “sostegno politico finanziario” pari al 2/3% degli appalti pubblici. Il sindaco di San Vincenzo, Alessandro Bandini, è finito agli arresti. Insieme al primo cittadino del comune in provincia di Livorno sono finiti ai domiciliari anche due imprenditori. L’operazione della Guardia di Finanza, coordinata dalla procura labronica, contesta al sindaco – al secondo mandato, dopo la rielezione del 2019 con una lista di centrosinistra, la corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio nell’ambito di gare d’appalto. I due imprenditori edili, invece, vengono considerati “artefici di dazioni illegittime la cui uscita dalla contabilità aziendale è stata dissimulata tramite il pagamento di fatture per operazioni inesistenti”. Per l’ex segretario comunale di San Vincenzo, Salvatore De Priamo, è stata richiesta l’interdizione dai pubblici uffici (prima dovrà sostenere interrogatorio di garanzia davanti al gip). Complessivamente gli indagati sono 23 , tra i quali il vicesindaco Delia Del Carlo e due assessori in carica, Elisa Malfatti e Massimiliano Roventini.

Le indagini sono nate da un esposto di un privato cittadino, a seguito di un permesso a costruire, rilasciato dal comune, che andava a modificare lo sky line sul fronte mare, a causa della sopraelevazione e del cambio d’uso di un ex locale commerciale adibito a ristorante, provvedimento poi annullato per due volte dal Tar del Toscana perché in contrasto con le norme urbanistiche comunali. Le indagini, condotte dalla sezione di polizia giudiziaria presso la Procura e dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Livorno, hanno evidenziato “reiterate condotte di ritenuto abuso edilizio, agevolate da altri comportamenti delittuosi: dal falso in atto pubblico alla corruzione, alla turbata scelta del contraente negli appalti ad opera di imprenditori e funzionari”.

In particolare, in una serie di casi l’azione del comune di San Vincenzo sarebbe stata, secondo gli inquirenti, “diretta ad assecondare le richieste provenienti da imprenditori che hanno contribuito, con varie modalità, ad assicurare – per la rielezione del sindaco alle amministrative del maggio 2019 – un sostegno politico e finanziario nella misura del 2/3% delle somme incassate per effetto dell’aggiudicazione di lavori pubblici“. È emersa, spiegano gli investigatori delle Fiamme gialle, “una resilienza degli indagati alle decisioni della giustizia amministrativa, adita contro i provvedimenti contestati come illegittimi del Comune”. “Onde risolvere i vizi eccepiti, infatti, sarebbero state studiate strategie tendenti ad eludere la sostanza delle norme urbanistiche“, tanto che lo stesso giudice non ha escluso la compatibilità tra l’operazione urbanistica e una possibile condotta corruttiva. In altri casi, gli esponenti politici del Comune hanno tenuto condotte tali da far contestare loro di essere espressione di precisi interessi economici degli impresari assegnatari di lavori pubblici.

Tra gli episodi corruttivi contestati, è emersa la percezione del 2% dell’importo di due appalti del valore di 775.000 e 169.000 euro per la realizzazione di opere pubbliche funzionali a migliorare la viabilità di accesso a un camping; condotte che sono state ritenute connesse al finanziamento della campagna elettorale per la rielezione a sindaco. Contesto nel quale l’ente pubblico ha organizzato, per auto-promozione, lo spettacolo “Miss Livorno 2018 Miss Notte Rosa“, manifestazione pagata dalla società di costruzioni dei due imprenditori ora agli arresti domiciliari. In altri episodi è stato contestato il reato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente con riferimento all’affidamento in gestione di una spiaggia attrezzata accessibile agli animali domestici e di una baracchina di proprietà comunale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/03/09/livorno-arrestato-per-corruzione-il-sindaco-di-san-vincenzo-da-2-imprenditori-sostegno-pari-al-2-3-del-valore-degli-appalti-pubblici/6127176/#newsletter-box-article

Presto sarà ai domiciliari da dove potrà manovrare la sua linea di difesa basata sui ricatti.
Non c'è niente da fare: l'80% dei politici fa politica per scopi prettamente personali e di amministrare la res publica onestamente non ci pensa nemmeno. Nel gergo politico, chi si comporta onestamente è un fesso e viene messo alla gogna dalla stampa nazionale.
Chi ruba lo fa vantandosi e raccoglie l'ammirazione dei pecoroni che continuano a votarlo, conscio del fatto che, nelle maggior parte dei casi, non pagherà nulla sia in termini monetari che morali e legali.
Spesso viene anche osannato e premiato a dismisura, mi pare di aver potuto appurare.
c.

“Renzi con mbs? Così legittima i sauditi”. - Marco Lillo e Valeria Pacelli

 

La Relatrice delle Nazioni Unite.

Matteo Renzi avrebbe dovuto essere molto più consapevole del conflitto di interessi e di come il suo nome e il suo profilo stanno contribuendo a legittimare l’Arabia”. Agnès Callamard è la ricercatrice che per prima, in un rapporto pubblicato oltre un anno e mezzo fa, ha puntato il dito verso le responsabilità del principe Muhammed bin Salman (MbS) nell’omicidio di Jamal Khashoggi, il giornalista ucciso il 2 ottobre del 2018 nel consolato saudita di Istanbul. Esperta di diritti umani, Agnes Callamard è una delle relatrici speciali per le esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Dopo aver svolto le sue indagini, nel suo rapporto finale di giugno 2019 scrisse di “prove credibili che richiedono ulteriori indagini, sulle responsabilità individuali di funzionari sauditi di alto livello, compreso il principe ereditario”. Ossia MbS, lo stesso davanti al quale, nel gennaio scorso, l’ex premier Renzi elogiava l’Arabia come culla del “nuovo Rinascimento”.

Agnès Callamard, lei spesso dice che parla come “esperto indipendente”, non a nome delle Nazioni Unite. Può spiegare come svolge il suo ruolo e come è iniziato il suo lavoro sul caso Khashoggi?

Come Relatore Speciale posso decidere cosa fare, non rispondo a nessun governo. Non agisco su commissione. Alla fine di dicembre, quando ho capito che nessuno avrebbe indagato, ho deciso di farlo io stessa. Devo dire purtroppo che non ho avuto molto sostegno da parte dell’Onu. Penso fossero un po’ preoccupati per l’indagine e per questo mi hanno fornito un supporto molto limitato.

Il 25 febbraio è stato rilasciato il rapporto della Direzione Nazionale dell’Intelligence Usa. Sono solo 4 pagine, il suo rapporto è di 100. Ci si poteva aspettare qualcosa di più dagli Usa?

Assolutamente! Avremmo dovuto avere più informazioni. Per un certo verso, il rapporto è una buona cosa. Sono contenta che gli Stati Uniti abbiano fatto quel che hanno fatto, è un bene per la democrazia. Fino a questo momento la Casa Bianca aveva imposto un veto su quel rapporto. Ma sono anche delusa: il rapporto non fornisce prove materiali, nè fatti, fornisce solo una conclusione. La maggior parte delle informazioni raccolte dalla Cia sono rimaste segrete. Inoltre il governo ha detto: ‘Non prenderemo alcuna azione perché è un Paese con cui abbiamo relazioni diplomatiche’. Questo tipo di messaggio è pericoloso: dà l’impressione che se tu sei un capo di Stato o un quasi capo di Stato (come il principe MbS, Ndr) puoi fare quello che vuoi.

I Paesi occidentali, tra cui l’Italia, dovrebbero varare sanzioni?

Appoggio completamente i governi pronti a intraprendere sanzioni individuali. Io chiedo sanzioni contro gli individui implicati nell’uccisione di Khashoggi e ciò include MbS. Finora tutti quelli che lo circondano sono stati sanzionati, tranne lui. Mi torna in mente l’uccisione in Egitto di Giulio Regeni. In fondo si tratta dello stesso scenario: secondo l’indagine italiana, quello di Regeni è stato un omicidio di Stato. L’Italia ha condotto un’inchiesta approfondita, ma anche in questo caso c’è assenza d’impegno da parte della comunità internazionale.

L’ex premier italiano Matteo Renzi dal 2019 ha partecipato alla Davos nel deserto organizzata a Riyad dal Future Investment Initiative (Fii) e da più di un anno è diventato membro del board pagato 80 mila dollari l’anno da questo istituto creato con decreto del Re. Come giudica questo comportamento?

Respingo le attività di persone che dovrebbero avere un quadro ben chiaro della situazione. Proprio in virtù del passato e del presente politico di Renzi, egli ha una visibilità e una credibilità che viene utilizzata per legittimare ciò che sta accadendo in Arabia Saudita. Non è un uomo d’affari qualsiasi, non è un italiano qualsiasi, è un italiano che ha una grande storia alle spalle ed è per questo che è stato avvicinato dall’Arabia Saudita. Avrebbe dovuto essere molto più consapevole, secondo me, del conflitto di interessi e di come il suo nome e il suo profilo stiano contribuendo a legittimare l’Arabia. Fa parte di una campagna di pubbliche relazioni molto efficace lanciata dall’Arabia con il sostegno delle corporation occidentali. Renzi dovrebbe aver capito che la sua presenza viene strumentalizzata allo scopo di legittimare e creare un’immagine dell’Arabia Saudita.

Mentre svolgeva la sua indagine su Khashoggi non ha avuto paura? Non si è mai sentita sola?

Nel corso di questi cinque anni ho potuto spesso contare sull’impegno di singole persone, sempre gratuitamente. Quindi, non si è mai del tutto soli. E no, non ho paura, ma non sono un’ingenua. Sono consapevole delle minacce che mi sono state rivolte da parte dell’Arabia Saudita e da altri Stati. Ho preso alcune precauzioni anche per quanto riguarda il mio telefono, il mio computer. Ma non ho paura, non lascio che siano loro a dettare come io mi debba sentire.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/09/renzi-con-mbs-cosi-legittima-i-sauditi/6126985/

Recovery, stuolo di tecnici: ok al reclutamento-lampo. - Carlo Di Foggia

 

Centinaia di esperti nei ministeri (a tempo). Da Brunetta al Tesoro, chi comanderà.

Il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) sarà incardinato al Tesoro anche nella sua fase attuativa. A gestirlo arriverà uno stuolo di tecnici assunti con “procedure specifiche”, in sostanza senza concorso e per un tempo limitato (andranno poi stabilizzate). È la prima parte di un piano più ampio di riforma affidato al ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, che lo illustrerà oggi. Per quegli strani giri del destino, l’uomo che, dallo stesso ruolo, dieci anni fa avviò la stagione dei tagli nel comparto pubblico, oggi è chiamato a risolvere la grana.

L’audizione del ministro dell’Economia Daniele Franco ieri alle Camere era attesa visto che il tecnico a cui Mario Draghi ha affidato la revisione del Piano ereditato dal governo Conte – che deve usare 191 miliardi di fondi Ue – doveva spiegare anche perché il ministero è ricorso all’aiuto del colosso della consulenza McKinsey (e dei big del settore, da Kpmg, a E&Y e Accenture). A grandi linee, Franco ha anticipato quel che è ormai evidente: a gestire i fondi non bastano le strutture ordinarie della P.A., fiaccata da anni di tagli, ma verranno create strutture ad hoc in tutti i ministeri, a partire dal suo.

Nella versione di Conte, la task force che doveva gestire il piano era incardinata a Palazzo Chigi, coordinata da due dicasteri (Economia e Sviluppo) e affidata a una “struttura di missione” con centinaia di tecnici guidati da 6 figure apicali. Con l’arrivo di Draghi, Franco ha affidato la revisione del piano (da consegnare entro aprile a Bruxelles) alla Ragioneria dello Stato – che nell’idea del governo giallorosa doveva solo “monitorare” le spese – dislocando 50 tra dirigenti e funzionari. Un contingente “che crescerà ancora”.

La governance del Pnrr sarà affidata a una “struttura centrale” al Tesoro che “supervisionerà l’attuazione, gestirà i flussi finanziari, controllerà la spesa, valuterà i risultati e deciderà le eventuali correzioni”. Sarà affiancata da “una unità di audit indipendente, responsabile delle verifiche sistemiche”, che avrà il compito di fare da garante con Bruxelles. La struttura di missione conterà centinaia di figure, e il Tesoro – ha detto Franco – ha chiesto agli altri ministeri di creare strutture ad hoc simili, anche se più piccole.

In sostanza la task force che doveva essere a Palazzo Chigi viene spostata al Tesoro e in parte, in altri ministeri, il grosso dei quali (Transizione ecologica, Digitale, Infrastrutture) è guidato da tecnici che rispondono a Draghi (e al Quirinale). Tradotto: per i partiti che reclamavano più collegialità nelle decisioni, i margini di intervento non aumentano di certo. Ai parlamentari preoccupati, il ministro ha spiegato che le Camere verranno coinvolte nella stesura. Come? Tenendo conto “delle risoluzioni che esprimeranno” sulla bozza del vecchio piano. Ma i tempi sono stretti e di fatto deciderà il governo.

Oggi Brunetta illustrerà le linee guida della riforma, che prevederà procedure specifiche per reclutare migliaia di tecnici specializzati per gestire il Pnrr; rivedere e sbloccare le procedure concorsuali (lo stato dell’arte lo leggete a destra).

Nella sua audizione, Franco ha poi chiarito che il piano lasciato da Conte “presenta molti elementi di solidità”, e che si faranno delle modifiche selettive. Sul ricorso a McKinsey&C. la riposta ha toccato vette quasi surreali. Il ministro si è giustificato spiegando che “le strutture pubbliche hanno spesso bisogno di input specialistici su determinati lavori, come ad esempio la presentazione di slide”. Eppure solo sabato il ministero aveva chiarito che il colosso avrà ruoli di “supporto tecnico di project management e monitoraggio” nella stesura del Piano. Molti colossi già lavorano con i ministeri, ma coinvolgerli nella fase decisiva è una scelta precisa (peraltro all’epoca esplicitamente esclusa dal governo Conte).

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