venerdì 29 novembre 2013

«Fonsai: 451 mila euro a La Russa allora ministro» La replica: «Pagamenti di vecchie fatture»

Parcelle pagate dalla compagnia dei Ligresti tra 2009 e 2010.

Tra il 2009 e il 2010, quando era ministro della Difesa, Ignazio La Russa avrebbe percepito dal gruppo Fonsai 451 mila euro come «parcelle spese sinistri» e «altre prestazioni di servizi». È quanto emerge dagli atti dell’inchiesta di Milano - secondo quanto scrive la Repubblica - che vede indagati Salvatore Ligresti e Giancarlo Giannini per corruzione. Anche il figlio dell’ex ministro, Geronimo, avrebbe ricevuto parcelle professionali dal gruppo per un totale di 211mila euro. Analogo trattamento economico per il fratello del parlamentare di Fratelli d’Italia, Vincenzo, per un totale di 300mila euro.

LE PARCELLE - Le parcelle di La Russa, che non è indagato ed ha uno studio legale a Milano, emergono da un documento dell’Isvap in cui figurano i pagamenti fatti a parti correlate da Fonsai nel biennio 2009-2010. Dall’atto, frutto del lavoro ispettivo dell’authority, emerge che nel 2009 La Russa percepì dalla compagnia dei Ligresti e dalla sua controllata Milano Assicurazioni circa 297.400 euro, a cui si aggiunsero altri 153.600 euro nel 2010. La Russa è considerato parte correlata in quanto fratello di Vincenzo, allora consigliere di Fonsai, nonché padre di Geronimo, ex amministratore della controllante Premafin. L’Isvap rileva anche che nello stesso biennio Vincenzo La Russa percepì da Fonsai a titolo di «parcelle spese sinistri» circa 300 mila euro mentre l’allora quasi trentenne Geronimo La Russa, fatturò 211 mila euro tra «parcelle spese sinistri» e «altre prestazioni di servizi». Che i La Russa lavorassero molto con le società dei Ligresti è emerso con chiarezza a partire dal 2011, quando la Consob ha obbligato le società quotate a un maggior livello di trasparenza sui rapporti economici con parti correlate, quali sono gli amministratori, per neutralizzare i rischi di conflitti di interesse e di indebiti benefici. Dalle relazioni sulle remunerazioni per gli esercizi 2011 e 2012 delle società dei Ligresti emerge infatti che Vincenzo La Russa ha percepito complessivamente da Fonsai 1,094 milioni di euro (di cui 907 mila per prestazioni professionali e il resto come emolumento da consigliere). Una cifra vicina agli 1,1 milioni è stata versata da Premafin a Geronimo La Russa, anche in questo caso in gran parte (1,054 milioni) per «prestazioni professionali rese dallo Studio Legale La Russa» a Fonsai e a sue controllate. I servizi fatturati dalla famiglia La Russa alle compagnie dei Ligresti erano stati in passato oggetto di polemiche.
LA REPLICA DI LA RUSSA - Sentito telefonicamente, Ignazio La Russa replica così: 
«Mi meraviglia questo clamore - afferma - da avvocato ho intrattenuto rapporti con il gruppo Fonsai fin dal 1978». Ma tra il 2009 e il 2010 era ministro: «Da quando sono diventato ministro ho interrotto le mie attività professionali». E allora quei soldi? «Evidentemente si tratta di pagamenti per vecchie fatture incassati successivamente». Il ruolo di suo figlio e di suo fratello? «Si tratta di professionisti, che fanno il proprio lavoro, e che non vanno confusi o associati a me». Anche in passato ci sono state polemiche per le attività professionali della famiglia La Russa remunerate da società del gruppo Ligresti. Nel 2012, l’allora ministro, emanò un comunicato: «La collaborazione professionale degli studi legali La Russa con SAI S.p.A. è iniziata assai prima che in SAI S.p.A. entrasse il Gruppo Ligresti e che dura quindi continuativamente ormai da circa 40 anni». Per La Russa l’entità dei compensi percepiti dal fratello e dal figlio nel 2011 è «lecita» nonché, «modesta dedotte tasse, spese di studio e dei colleghi collaboratori». L’esponente di Fratelli d’Italia aveva anche assistito Salvatore Ligresti nel corso della trattativa con Unipol per l’integrazione dei due gruppi. «Io faccio l’avvocato - aveva affermato in occasione di un incontro in Mediobanca nel marzo del 2012 -. Da ministro mi sono astenuto dall’esercitare la professione e ora il mio studio può riprendere il mio apporto».

Monumento ai decaduti. - Marco Travaglio.



http://www.serviziopubblico.it/articolo/dettaglio/4013/page/3?cat_id=10

Sardegna: niente fondi, dai venditori di fumo. (#lettamente).

Attenzione: venditori di fumo all'orizzonte!
Dopo i disastri in Sardegna il Governo ha attivato la sua macchina del fumo, sbandierando su tutte le gazzette che il fondo per le calamità naturali sarà rimpinguato dai 68 milioni derivanti dal taglio al finanziamento pubblico ai partiti. Compiaciuta approvazione generale... peccato non sia vero nulla.
I 68 milioni per gli alluvionati, fiore all'occhiello del sottosegretario Legnini:

1) Non vanno alla Sardegna;
2) Non sono 68 ma 60
3) Il taglio al finanziamento ai partiti non è di questo Governo.
Proviamo a spiegare. Il famigerato taglio al finanziamento pubblico è stato fatto dal governo Monti nel 2012, mentre il governo Letta non ha ancora fatto un bel nulla in proposito: la sua #leggetruffa dorme in Senato e chissà quando si sveglierà.
La legge Monti, inoltre, già vincolava la destinazione dei fondi ai territori sconquassati dalle calamità naturali -o dall'urbanizzazione ad minchiam- a partire dal 2009. Quindi Marche, Lucca, Massa Carrara, Genova, La Spezia, Toscana, L'Aquila, Calabria e Basilicata. Di Sardegna non c'è menzione, dato che non avevano la palla di vetro (anche se quando si parla di dissesto idrogeologico il futuro è purtroppo certo...)
Ma la cosa più grave è che il governo Letta ha scippato quasi 8 milioni, 7.629.845 per la precisione, ai territori colpiti dalle calamità naturali: il comma 251 del maxiemendamento alla legge di stabilità dispone che dei 68 milioni previsti (e declamati da Legnini) 8 sono destinati a "interventi strutturali di politica economica". In due parole: fare cassa!
comma251.jpg
La notizia vera sarebbe quindi: "Abbiamo grattato 8 milioni agli alluvionati". Scommettiamo che non la sentirete in nessun TG?

ATTENZIONE !! Equitalia: se la multa arriva per raccomandata è nulla!

ZZZSSSS


Equitalia: se la multa arriva per raccomandata è nulla!

Migliaia di cartelle esattoriali di Equitalia sarebbero annullabili per effetto di alcune sentenze pronunciate dalle Commissioni Tributarie di varie province d’Italia.

A dare speranza ai tanti che in si trovano ad avere a che fare con la temutissima società di riscossione è un vizio di forma riscontrato dai tribunali: Equitalia, infatti,non sarebbe autorizzata a inviare direttamente notifiche di pagamento. Secondo l’articolo 26 del D.P.R. n. 602 del 1973, infatti, tali comunicazioni possono essere fatte soltanto dai soggetti legittimati e autorizzati, e l’articolo appena citato elenca, per filo e per segno, questi stessi soggetti: ufficiali di riscossione, messi comunali o agenti di polizia municipale (negli ultimi due casi per rendere valida la notifica è necessaria la stipula di una convenzione tra Comune e concessionario). Tutto ciò che non rientra in queste categorie non è autorizzato alla notifica diretta. Equitalia, sinora, era ricorsa alla notifica tramite raccomandata perché il primo comma dell’articolo 26 (che reca le disposizioni sulla “Notificazione della cartella di pagamento“) prevede la possibilità dell’invio postale con ricevuta di ritorno all’interessato: come hanno dimostrato diverse pronunce (CTP Lombardia n. 61/22/10, CTP Lecce n. 909/5/09, Tribunale di Rossano 08/01/2008), però, le comunicazioni postali sono concesse, anche in questo caso, solo ed unicamente agli agenti di riscossione: nessuna possibilità, quindi, che a farlo sia un altro soggetto.

I cittadini che hanno ricevuto, negli anni scorsi, le vituperate cartelle di Equitalia tramite raccomandata, si stanno facendo forti di queste sentenze e hanno cominciato a far arrivare alla società di riscossione una valanga di ricorsi da tutta Italia, con buone possibilità, visti i precedenti, di ottenere ragione da vari Tribunali d’Italia.

Sara Sapienza



E l'ho provato anche io sulla mia pelle. All'Università di Palermo tutti i test sono già truccati, si sa chi deve o non deve entrare. E per lavorare... Non ne parliamo nemmeno.

Sara Sapienza

Il Canto del Grillo o Coro di Angeli? Scopritelo.

suoni della natura non sono proprio come li sente il nostro orecchio umano, molti dei suoni che sentiamo gli animali li sentono in maniera differente. Per questo Jim Wilson ha pensato di ascoltarli in maniera differente.
Lui ha registrato il canto dei grilli e poi lo ha semplicemente rallentato… Il risultato è qualcosa di impressionante, quasi mistico…quello che si ascolta sembra un canto umano, un coro a dire il vero…
Mi piace pensare che ci sia un mondo parallelo, quello della natura, dove i suoni che noi sentiamo siano sentiti in una maniera diversa, forse i grilli sentono così, più lentamente, non lo so ma il suono è angelico e a confermarlo è il famoso creatore di colonne sonore come Fight Club, 12 scimmie, The Walking Dead, tra le altre, Tom Waits, che quando ha sentito per la prima volta questo “canto” ne è rimasto letteralmente affascinato.
Un’idea semplice ma dal risultato inaspettato, e Tom Waits parla così di Wilson e della sua idea:
«Wilson gioca sempre con il tempo. Di recente ho sentito un pezzo di registrazione del canto dei grilli rallentato fino a sembrare un coro, suona come un angelo, una musica frizzante, celeste piena di armonia e parti di basso… Roba da non crederci. E’ come un coro travolgente del cielo, ed è solo rallentato, il nastro non è stato manipolato. Quindi penso che quando Wilson rallenta la gente, ti dà la possibilità di vederla in movimento attraverso lo spazio. E c’è qualcosa che deve essere fatto per rallentare il mondo»
Di seguito potete ascoltare questo magnifico coro ancestrale. Nella registrazione ci sono due tracce la traccia dei grilli a velocità normale e la traccia dei grilli rallentata.

[Fonte soundcloud.com]

Il M5S incontra Julian Assange.

assange_m5s.jpg
Foto: i cittadini portavoce del M5S (da sinistra a destra) Carlo Sibilia, Maria Edera Spadoni, Mirella Liuzzi, Alessandro Di Battista, Angelo Tofalo e Paolo Bernini incontrano Julian Assange presso l'ambasciata dell'Ecuador a Londra.
"Abbiamo incontrato Julian Assange, giornalista, editore, esperto di sicurezza informatica e fondatore di WikiLeaks
Da 3 anni gli USA lo hanno messo sotto accusa per le pubblicazioni di WikiLeaks. 
Su Julian incombe un mandato di arresto internazionale da parte dell’Interpol su richiesta delle autorità svedesi. 
Da 528 giorni lui vive a Londra rinchiuso nell’Ambasciata ecuadoriana che gli ha concesso asilo politico. 
La Gran Bretagna impedisce al Governo ecuadoriano di fornirgli un “passaggio sicuro” che gli permetta di lasciare il paese. Lo abbiamo trovato in buona salute e motivato, forse un po’ pallido ma d’altro canto non vede il sole da molti mesi. 
Abbiamo deciso di incontrare Assange perché con lui condividiamo le battaglie per la trasparenza dell’informazione, per la libera circolazione delle notizie e per la libertà di stampa, diritti che aumentano il livello di consapevolezza dei cittadini. 
Nascondere le informazioni è uno dei tanti modi che i potenti hanno per accrescere il proprio potere personale. 
Julian è un combattente
Qualcuno lo ha definito “comandante ribelle sotto assedio”. Lui trova informazioni, le organizza e le condivide attraverso il sito WikiLeaks sul World Wide Web. Informazioni che imbarazzano lobbies e governi. 
Quando Assange fa partire un “leak” inizia la “british dance” come la definiscono in America Latina, l’informazione rimbalza in rete e non si ferma più. 
Con lui abbiamo parlato del futuro dell’informazione, della rete e delle minacce che provengono da gruppi di potere nazionali e internazionali. 
Abbiamo discusso sul tradimento dei grandi media che hanno sacrificato sull’altare del denaro il loro meraviglioso ruolo di controllori del potere. 
Oggi ne sono controllati. 
Se tagliamo il cordone ombelicale che collega i media al regime per i potentati è la fine. Con Assange si è discusso anche dei rischi che minacciano la libertà del web come il Datagate dimostra. 
I media di regime diluiscono, annacquano, edulcorarano le informazioni scomode. 
Ad Assange abbiamo presentato le nostre idee, la nostra visione dell’informazione, il mondo che costruiremo quando il M5S sarà al governo
Abbiamo un disperato bisogno di una informazione indipendente, i media tradizionali alterano la percezione della realtà. 
E’ drammatico constatare che le dieci “media companies” più importanti del pianeta detengano quasi la totalità del mercato delle informazioni e sono capaci di omologare ed appiattire ogni notizia. 
Il M5S è al lavoro per creare norme che non permettano a soggetti privati di possedere oltre il 10% di società di comunicazione, che diffondano la rete e che impediscano il controllo dei media da parte dei partiti. Il cambiamento è dietro l’angolo, vogliono farci credere che sia irrealizzabile. 
Ma così non è, basta guardarsi più intorno. Un uomo come Assange ha messo sotto scacco le intelligence di mezzo mondo e uno stato come l’Ecuador (non è un caso che Julian si sia rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana) ha dichiarato il debito pubblico immorale in quanto contratto da classi dirigente corrotte e non legittimate dal potere popolare. 
Siamo orgogliosi di aver incontrato Assange, lui sta cambiando il modo di vedere l’informazione e noi “cittadini nelle istituzioni” quello di vedere la politica. 
Assange continuerà la battaglia per liberare l’informazione da controlli verticistici. In molti lo detestano, lo attaccano, qualcuno vorrebbe vederlo morto ma il suo lavoro resterà nella storia del web. 
Le notizie messe in circolo da Julian, Snowden, dalla rete Wikileaks, non hanno causato danni, al contrario hanno dato acqua fresca a tutti i cittadini che hanno sete di conoscenza e che mettono in discussione il pensiero dominante. Uomini come Julian sono necessari per costruire un nuovo mondo, una nuova Europa una nuova Italia che abbia come fondamenta la libertà dell’informazione. 
Incontrare Assange significa andare OLTRE! Ci vediamo a Genova." M5S Camera

Un ringraziamento all’Ambasciata dell’Ecuador in Inghilterra e al Ministro degli Esteri Patiño per aver contribuito all’organizzazione dell’incontro con Assange.

Un giorno da veg: hamburger senza carne deliziosi. - Erika Facciolla

Chi l’ha detto che l’hamburger non può essere buono e succulento anche in versione vegetariana?
Ecco una ricetta da leccarsi i baffi per trasformare il classico burger di carne in un secondo bio salutare e gustoso, ideale per l’inverno ma ottimo anche nelle altre stagioni dell’anno.
Ecco cosa vi occorre:
  • patate medie rosse cotte a vapore
  • 1/4 di un piccolo cavolo cotto a vapore
  • 250 gr di ceci lessati
  • sale
  • erba cipollina
  • prezzemolo
  • olio extra-vergine di oliva
Preparazione. Dopo aver lessato e cotto a vapore ceci, patate e cavoli, passateli al passaverdure e metteteli in una capiente terrina. Aggiustate di sale, aggiungete il prezzemolo e l’erba cipollina sminuzzata. Impastate bene il tutto fino ad ottenere un composto omogeneo e morbido.
Lasciate raffreddare per qualche minuto e procedete con la creazione degli hamburger, che devono avere uno spessore di circa un centimetro e mezzo.
In un padellino antiaderente fate scaldare un paio di cucchiatate di olio e riponetevi gli hamburger vegetariani per 1-2 minuti, giusto il tempo che si rosolino per bene da entrambi i lati. Serviteli con una tenera insalatina di lattuga e pomodorini bio.

Il Presidente Giorgio Napolitano: Troppa libertà sul Web, ADESSO BASTA. Polizia intervenga.

Napolitano
É davvero conflittuale il rapporto tra il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed il web. Nell’Italia repubblicana esiste un reato che si chiama “Vilipendio”. L’articolo 278 del Codice penale lo riporta “Offese all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica. Chiunque offenda l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni”.
Illustre Presidente Giorgio Napolitano,
prima che lei approdasse sul Web, avrebbe dovuto chiedere al suo ufficio stampa, cosa sono i Forum, blog o Social Network.
I Forum, Blog o Social Network, non sono controllati o gestiti da “editori o giornalisti leccaculo”, i quali scrivono solo quello che più le piace o conviene. I Forum, blog o Social Network, sono gestiti dal POPOLO, non ESISTE alcuna censura, silenzio o dittatura. Questi strumenti sono LIBERI.
Illustre Presidente Giorgio Napolitano, credo che nel nostro Paese ci siano problemi ben più seri a cui pensare, non crede?
Anziché preoccuparsi OGGI del Web, perché in questi anni non si é mai preoccupato dei tanti corrotti, collusi e mafiosi, presenti in Parlamento?
  • Illustre Presidente, chi pagava e chi prendeva tangenti, non andava candidato, non andava giustificato, non andava elogiato; ma andava semplicemente isolato, punito e CONDANNATO.
  • Illustre Presidente, i corrotti, i collusi ed i mafiosi, non andavano candidati, non andavano giustificati, non andavano elogiati: ma andava semplicemente isolati, puniti e CONDANNATI.
  • Illustre Presidente, chi usava i nostri soldi per farsi rimborsare massaggi, escort, iPhone, iPad, iPod, profumi, matrimoni, pranzi, cene, nutella e carta igienica; non andava candidato, non andava giustificato, non andava elogiato: ma andava semplicemente isolato, punito e CONDANNATO.
Illustre Presidente, quando sbattete in faccia al popolo stremato e in recessione tutti i vostri privilegi e gli sprechi pubblici, quando chiedete tasse e sacrifici per finanziare le banche estere, quando spolpate fino all’osso il popolo mentre voi ve la godete tra auto blu, escort, benefits e pensioni milionarie… beh questo non è un vero e proprio insulto a tutti noi comuni cittadini?
Illustre Presidente, avrebbe dovuto tirare i pugni sulla scrivania, urlando ai suoi Parlamentari, Onorevoli e Senatori; chi DERUBA i soldi nelle casse dello Stato, non é un furbo da imitare o invidiare, ma un CRIMINALE da punire, condannare e detestare; perché deruba i soldi di tutti NOI comuni ed onesti cittadini. Cazzo!
Adesso può ordinare ai suoi “angeli custodi”, di farmi arrestare.
A cura di Andrea Mavilla
La Polizia intervenga ed arresti "loro" che hanno distrutto la florida economia del paese per incapacità a governare e corruzione dilagante. Ci hanno vessati e continuano a vessarci, ci hanno coartato privandoci di tutti i diritti, anche quello del voto, che come si è ben capito, non ha alcuna validità perchè pilotato da una legge elettorale esecrabile e riprovevole.
Ora vogliono privarci anche della libertà di parola!

SCANDALO MPS/ Tutti gli interessi di Caltagirone, suocero d’oro di Casini, e di Letta (Goldman Sachs). - Carmine Gazzanni

Forse pochi lo sanno, anche perché nessuno, in questo periodo di facili (e legittime) accuse a questo o quel partito, l’ha ricordato. Eppure fino al 26 gennaio 2012 (precisamente un anno fa, dunque) vicepresidente e azionista (per il 4 per cento) del Monte dei Paschi di Siena era nientepopodimenoche Francesco Gaetano Caltagirone, il suocero d’oro di Pierferdinando Casini, uno dei principali finanziatori dell’Udc e sostenitori dell’operazione Monti-bis.
IL LEGAME, GLI INTERESSI, LE LEGGI AD HOC – Sui legami del trio Caltagirone-Casini-Monti ci siamo già occupati: l’ex premier, nel corso dei suoi tredici mesi di mandato, ha lavorato (e tanto) per dare nuova linfa al campo dell’edilizia dove – lo sappiamo bene – gli interessi dell’imprenditore romano sono più che forti. Leggi ad aziendam? Sarebbe troppo affrettato dirlo. Certo è che la politica economica infrastrutturale messa in piedi dall’esecutivo tecnico potrebbe avvantaggiare appunto i grandi costruttori italiani: dall’importo massimo portato fino a 40 mila euro per l’affidamento fiduciario (senza gara dunque) dei servizi di progettazione, all’obbligo di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nelle gare di ingegneria e architettura solo oltre i 100 mila euro; dai 224 milioni di euro già stanziati (ma si parla di un totale di 2 miliardi) per le aree degradate di alcune grandi città, al rilancio delle grandi opere pubbliche senza alcun rischio per le imprese (a rimetterci potrebbero essere invece le casse pubbliche); fino alla defiscalizzazione per le opere infrastrutturali.
Ma anche se prescindessimo da quanto detto, il legame rimarrebbe intatto dato che Caltagirone è il maggior finanziatore dell’Udc, il partito del genero Pierferdinando Casini, uno dei promotori più decisi del Monti-bis. Ecco allora che sorge qualche dubbio: perché nessuno dall’Udc ha alzato la voce sul caso Mps? E perchè Mario Monti è stato così prodigo nell’attaccare il Pd, dimentico però del ruolo che fino all’altro ieri rivestiva chi oggi lo sostiene?
CALTAGIRONE: IL SOCIO-VICEPRESIDENTE. E CLIENTE DI RIGUARDO DI MPS – Una possibile risposta potremmo averla se guardassimo a quelli che sono stati gli affari di papà Caltagirone nel periodo della sua vicepresidenza a Siena. Va precisato immediatamente un particolare: il rapporto col dimissionario Giuseppe Mussari, ex presidente di Mps, è stato più che redditizio. E dove ha inciso soprattutto? In campo edile, ovviamente. Un caso su tutti. Nel 2009 il Monte dei Paschi, attraverso Antonveneta (successivamente incorporata in Mps Immobiliare) ha venduto alcuni immobili. Indovinate a chi? Alla Immo 2006 srl, società controllata indirettamente da Francesco Gaetano Caltagirone. Costo dell’operazione: 37,58 milioni di euro.
Finita qui? Certo che no. Per il socio-vicepresidente-imprenditore-cliente gli affari sono stati d’oro durante questo periodo. E allora ecco un altro finanziamento notevole: sempre nel 2009 alla Cementir Holding (direttamente controllata dalla Caltagirone spa) sono stati erogati dalla banca di Rocca Salimbeni 49,5 milioni. Ma, probabilmente, non sono bastati. E allora, dopo solo un anno, da Siena sono arrivati altri finanziamenti per Caltagirone per oltre 200 milioni di euro, concessi ovviamente in varia forma tecnica, più mutui fondiari per 30 milioni alla Immobiliare Caltagirone, altra società di punta dell’imprenditore romano. La Immobiliare, però, nel corso degli anni, ha goduto anche di altri corposi finanziamenti provenienti proprio dalla banca diretta da Mussari. Come quello del 2008: 120 milioni di euro.
C’è da dire, però, che Mussari non ha mai fatto nulla per nulla. E allora, se la banca è stata decisamente prodiga negli anni, Caltagirone imprenditore non è stato da meno nei confonti di Caltagirone socio e vicepresidente di banca: a fine 2010 erano circa 296 i milioni depositati presso Montepaschi, per lo più appartenenti alla controllata (e quotata) Caltagirone Editore.
Un rapporto proficuo per tutti, insomma. E allora perché non allargarlo ulteriormente? Ci si pensa a maggio 2010: il cda di Mps delibera un “incremento delle linee di credito ordinarie con utilizzo secondo varie forme tecniche per 175 milioni di euro a favore di Acea S.p.A”, poi seguite da altri 15 milioni. Anche la multiutility romana, leader – come si legge sul sito – “nel settore idrico e dell’energia”, è ovviamente una partecipata da Caltagirone (allora al 13 per cento, oggi al 15).
CALTAGIRONE SI DIMETTE: PUZZA DI BRUCIATO? – Il 26 gennaio dell’anno scorso però, come detto Caltagirone dà le sue dimissioni dal consiglio di amministrazione della banca e dal suo incarico di vicepresidente. Esce dalla banca, di cui peraltro era anche socio detenendo il 4 per cento delle azioni. L’imprenditore, d’altronde, si era già autosospeso dall’incarico il dieci novembre in seguito alla condanna a tre anni e sei mesi di reclusione nell’ambito del processo per la tentata scalata dell’Unipol alla Bnl. Una scelta morale, sembrerebbe. Di onestà intellettuale. In realtà le cose non stanno così. Per due motivi. Innanzitutto perché, da quanto sta emergendo in questo periodo, Caltagirone sapeva molto di più di quanto non si pensi, soprattutto sull’operazione Antonveneta, oggi tornata di così stretta attualità. E secondo perché, come vedremo nel prossimo paragrafo, gli affari con Mps continuano ancora oggi. Nonostante tutto.
Ma cominciamo dal primo dei due punti sollevati. Proprio ieri il CorSera è andato a spulciare i verbali del consiglio di amministrazione da settembre a dicembre 2011. In quel periodo la banca appariva decisamente in affanno. Già a settembre, infatti, i consiglieri di amministrazione prendono coscienza della necessità di intervenire. Ma prima bisogna farsi i conti in tasca: capire cosa realmente ci sia nei portafogli della banca. Sebbene, almeno formalmente, non ci sia traccia nei verbali dei derivati oggi sotto la lente di ingrandimento della Procura di Siena (Alexandria, Nota Italia e Santorini), la preoccupazione è alta. “Quanti Btp abbiamo in portafoglio?”, chiede proprio lui, il vicepresidente di allora Francesco Gaetano Caltagirone.
Il capo del risk management Giovanni Conti ammette la difficoltà e risponde a Caltagirone: 28 miliardi di titoli governativi, 21,6 dei quali dello Stato italiano, il 40% dei quali “si concentra su scadenza lunghe”. Caltagirone contesta: Il portafoglio è “marcatamente sbilanciato” sia per Paese sia per le scadenze “prolungate”. Sebbene il direttore finanza Giovanni Baldassari cerchi di difendersi, non riesce a convincere il vicepresidente: “la situazione non è ulteriormente sostenibile, sia come rischiosità che come conseguenze di conto economico, si devono prendere opportuni provvedimenti per alleggerire queste posizioni”.
Insomma, nella ricostruzione di Fabrizio Massaro sul Corriere appare chiaro che Caltagirone avesse avuto sentore del rischio di restare in banca, soprattutto come socio e come dirigente di punta. Dopo pochi mesi, infatti, rassegna le sue dimissioni e cede tutte le sue azioni. Ecco perché, dunque, non è credibile la tesi secondo cui ci sia dietro un gesto nobile dopo la condanna per la scalata Unipol. Caltagirone non avrebbe voluto dimettersi. Tanto che ben presto passa ad un’altra banca: acquista l’1 per cento delle azioni di Unicredit e riesce a inserire il figlio Alessandro nel cda. Pronto, dunque, per nuovi e proficui affari.
caltagirone_letta_scandalo_mpsGLI AFFARI CONTINUANO. OCCHIO AL “TRUCCO” – Affari che, tuttavia, non sono certo stati interrotti tra Caltagirone e Mps. Prova ne è la joint venture Fabrica Immobiliare sgr, che gestisce diversi fondi che, come si evince dal sito, sono tutti intestati a grandi filosofi dell’antichità: Aristotele, Seneca, Socrate, Pitagora, Cartesio. Dietro gli impegnativi richiami al pensiero del passato, però, ci sono interessi e giochi economici di prim’ordine. Stando al bilancio 2010 della banca senese, infatti, “tra nuovo credito, mutui e affidamenti ordinari alla sgr e alla galassia di fondi chiusi gestiti da quest’ultima, Fabrica Immobiliare lo scorso anno ha ricevuto da Banca Monte dei Paschi risorse per oltre 107 milioni”. Nel corso degli anni ognuno di questi fondi è stato finanziato. Giugno 2009: per il fondo Forma Urbis mutuo da 14 milioni. Luglio 2009: 39,4 milioni per i fondi Pitagora, Etrusca Distribuzione e Socrate. Novembre 2009: “affidamenti a carattere ordinario” per 35,1 milioni di euro per il fondo Socrate.
Ma, come detto, gli affari continuano ancora oggi. Basta andare a vedere chi sono gli azionisti della Fabrica Immobiliare: per il 49,9 per cento la Fincal spa (direttamente controllata da Caltagirone spa), per lo 0,02 per cento da Alessandro Caltagirone e per l’altro 49,9 per cento proprio dal Monte dei Paschi. Cosa vuol dire questo? Che, in teoria, la società non ha un socio di controllo. Un gioco sottile, dunque, quello di affidare lo 0,02 per cento delle azioni ad Alessandro che, nonostante sia figlio di Francesco Gaetano, non ha alcun ruolo in Fincal. Ergo: grazie a questo assetto proprietario, nessuno è tenuto a consolidare la sgr sui propri bilanci. In altre parole, i relativi e possibili debiti non vengono consolidati nei conti del gruppo, ma iscritte in bilancio per la quota parte di patrimonio netto. Dunque, anche su quelli del Mps. Gli affari continuano. Anche se sottotraccia.
TUTTI COINVOLTI – Caltagirone, però, non è l’unico ad aver avuto (e ad avere tuttora) rapporti con il Monte dei Paschi. Tutta la politica, nessuno escluso, pare legata agli interessi della banca senese. A giusta ragione – ma forse troppo semplicisticamente – si dice che il Monte dei Paschi sia la banca del Pd. Vero: Mussari è uomo in orbita democratici, tanti sono stati i finanziamenti della banca arrivati al partito e, di contro, tanti sono gli amici del Pd che occupano posti dirigenziali nella banca. Dire, però, che Mps sia solo legata al partito di Pier Luigi Bersani – come fatto da Grillo, Monti e Berlusconi – è fuorviante. Significa, in altre parole, nascondere una grossa fetta di verità. Per quanto riguarda Monti esemplificativo è il caso, appena illustrato, di Caltagirone,finanziatore numero uno del partito del genero Pierferdinando Casini e uno dei più fervidi promotori del Monti-bis. Non se la scampa, però, nemmeno Silvio Berlusconi. Tutt’altro. in questi giorni, infatti, sono spuntati tutti i rapporti che, nel corso degli anni, hanno tenuto in affari Mps da una parte e il Cav dall’altra. È lo stesso Berlusconi d’altronde ad aver ammesso che “grazie a Mps potei costruire Milano 2 e Milano 3, era l’unica banca che concedeva mutui premiando la puntualità dei pagamenti”. Come ricostruito da Marco Lillo su Il Fatto, l’atteggiamento di allora della banca fu del tutto particolare. Il 9 ottobre 1981 il sindacato ispettivo del Monte dei Paschi scrive: “La posizione di rischio verso il gruppo Berlusconi ha dimensioni e caratteristiche del tutto eccezionali e dimostrano l’esistenza di un comportamento preferenziale accentuato”. Da allora, dunque, un connubio ininterrotto quello tra B. e la banca senese, come testimoniato anche dai bonifici con causale prestito infruttifero alle Olgettine del ragionier Spinelli.
L’INTRECCIO MPS, GOLDMAN SACHS E GIANNI LETTA – Un nome che finora non è uscito, però, è quello di Gianni Letta. Anche il sodale da sempre di Silvio Berlusconi è legato a doppio filo col Monte dei Paschi. E il tramite è di tutto rispetto: la Goldman Sachs.
Cerchiamo di capire. La questione, ricostruita dalla giornalista Debora Billi sul suo blog, è decisamente interessante. Anche perché riguarda proprio quello su cui sta indagando in queste ore la magistratura: l’acquisizione di Antonveneta dagli spagnoli del Santander. Per gestire l’operazione Mussari decide di affidarsi proprio alla banca americana che, insieme, a Citigroup, Merrill Lynch, Credit Suisse, Mediobanca e Jp Morgan copre anche economicamente l’operazione. Si legge sul CorSera del 21 dicembre 2007: “Citigroup, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Credit Suisse e Mediobanca si sono impegnati a sottoscrivere fino a 2,5 miliardi di euro. Jp Morgan, Goldman Sachs e Mediobanca cureranno il convertibile. Merrill, Citigroup, Goldman Sachs e Credit Suisse garantiranno poi la sottoscrizione degli strumenti di debito subordinati. Per il finanziamento ponte, infine, che verrà utilizzato da Mps nel caso di ritardi e problemi sugli altri due fronti, Citigroup, Goldman Sachs, Merrill Lynch e anche Credit Suisse e Mediobanca per la loro parte ne assicureranno la sottoscrizione”. Insomma, l’acquisizione – proprio quella su cui si è soffermata la lente della magistratura – è stata seguita in tutte le sue parti dalle banche.
Ma ecco il punto. Soltanto pochi mesi prima – giugno 2007 – la Goldman Sachs aveva affidato all’ex sottosegretario alla presidenza Gianni Letta l’incarico di consulente per l’Italia e componente del proprio international advisory board. Ruolo decisivo dato che, a conti fatti, Letta ha seguito tutte le operazioni della banca in Italia in quel periodo. A cominciare proprio dall’acquisizione di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi.
Insomma, tutti sono legati alla banca senese. Il fango che in questi giorni ci si getta a vicenda non ha alcuna credibilità. È come quando un bambino, dopo aver commesso la marachella, getta le responsabilità sul compagno che gli sta affianco. In fondo, lo fa solo perchè teme di essere scoperto. 

Legge di Stabilità, le misure approvate dal Senato.

Nel 2014 le prime case pagheranno (oltre alla Tari) la Tasi con un’aliquota dall’1 al 2,5 per mille. Nel caso in cui l’aliquota Imu applicata nel 2013 fosse stata più bassa, questa diventerà il tetto insuperabile. Possibili detrazioni dei Comuni. Case di lusso, ville e castelli continueranno a pagare Imu e ora anche la Tasi e la Tari. Per quanto riguarda le seconde case continueranno a pagare l’Imu cui si aggiungerà la Tasi (oltre alla Tari per i rifiuti). La somma delle aliquote di Imu e Tasi non potrà superare lo 10,6 per mille, che è esattamente uguale all’aliquota massima della vecchia Imu attualmente in vigore sulle seconde abitazioni.
Tagli al cuneo fiscale fino a 32 mila euro - Le detrazioni sul lavoro saranno concentrate nella fascia di reddito tra i 15 e i 18 mila euro annui lordi con un beneficio massimo per le buste paga dei lavoratori pari a 225 euro netti annui. A scalare, le detrazioni riguarderanno tutti fino ad arrivare alla soglia di reddito di 32 mila euro annui lordi.
Il reddito minimo verrà recuperato dalle pensioni d’oro - Una forma sperimentale di reddito minimo destinato alle grandi aree metropolitane: sarà finanziato con un contributo di solidarietà sulle «pensioni d’oro»: 6% oltre i 90 mila euro, 12% oltre 128 mila euro e 18% sopra 193 mila euro. Il gettito previsto è di 40 milioni nei prossimi tre anni.
Cartelle esattoriali: azzerati gli interessi - Interessi azzerati per “rottamare” le vecchie cartelle esattoriali di Equitalia. Si dovrà invece pagare il 100% della sanzione e della tassa dovuta. Per aderire i debitori avranno tempo fino al 30 giugno 2014. La norma, secondo i relatori, dovrebbe consentire di sbloccare una parte significativa dell’attuale contenzioso tributario.
Per le calamità fondi dai partiti - Saranno le risorse risparmiate dalla riduzione del finanziamento pubblico ai partiti politici a finanziare il Fondo contro le calamità naturali. Questo fondo interviene per contrastare emergenze come quella che si è appena verificata per l’alluvione in Sardegna. Le risorse ammontano a 68 milioni di euro.
Risorse per gli stadi solo se già esistenti - Dopo le polemiche è stata modificata la norma sugli stadi. Si prevede l’aumento del Fondo di garanzia presso l’Istituto di credito sportivo solo per ammodernamento, sicurezza e sviluppo degli impianti sportivi già esistenti e non per la costruzione dei nuovi stadi. Salta la possibilità di edificare in aree non contigue agli stadi.
Cdp compra crediti con garanzia statale - Con la garanzia dello Stato, la Cassa Depositi e Prestiti potrà intervenire acquistando titoli cartolarizzati delle imprese di ogni dimensione. Inoltre nasce il Sistema nazionale di garanzia con due fondi: uno a favore delle Pmi e uno per i mutui delle famiglie e dei lavoratori co.co.pro.
Trasferire servizi di pagamento sarà gratuito - Il cliente può chiedere di trasferire a un altro istituto bancario i servizi di pagamento connessi al proprio conto corrente, senza pagare spese aggiuntive e in due settimane di tempo. Il trasferimento a costo zero per il risparmiatore non riguarda il semplice rapporto di conto in quanto tale.
Salta la sanatoria sulle spiagge - Saltano la sanatoria sulle pendenze delle concessioni marine e la sdemanializzazione delle aree attigue alle spiagge. L’emendamento che prevedeva la delega regolamentare per rivedere le concessioni demaniali e la sanatoria sulle pendenze giudiziarie sui canoni non sono state recepite nel maxiemendamento.
Risorse per gli stadi solo se già esistenti - Dopo le polemiche scoppiate negli ultimi giorni è stata rivista la norma sugli stadi. Si prevede l’aumento del Fondo di garanzia presso l’Istituto di credito sportivo solo per ammodernamento, sicurezza e sviluppo degli impianti sportivi già esistenti e non per la costruzione dei nuovi stadi. Salta la possibilità di edificare in aree non contigue agli stadi.
 

La mappa del tesoro di B. - Gianni Dragone




"Il tesoro offshore di 1 miliardo e 277 milioni di euro di Berlusconi sarebbe solo la punta emersa di una montagna di denaro, e potrebbe spiegare una certa simpatia o sintonia con chi porta soldi all’estero. Infatti Berlusconi e Tremonti, tra il 2001 e il 2010, hanno fatto tre scudi fiscali, un’amnistia di fatto, per chi aveva esportato soldi in nero"

http://www.serviziopubblico.it/dragoni/2013/11/28/news/la_mappa_del_tesoro_di_b.html

Strage di Viareggio, il treno di fuoco che sfigurò la Versilia: anche Moretti a giudizio. - Diego Petrini

Strage di Viareggio


A Lucca via al dibattimento con 33 imputati per la morte di 32 persone avvenuta il 29 giugno 2009: sarà uno scontro tra perizie a definire le cause dello squarcio nella cisterna. L'ad di Ferrovie il principale accusato dalle associazioni dei familiari delle vittime, ma amato dalla politica: la riconferma dopo il rinvio a giudizio e il cavalierato conferito dal Quirinale. Tra le parti civili Nicola Cosentino: il carico era destinato a un'azienda della sua famiglia.

Ana, 42 anni, stava per uscire per chiedere aiuto: la tempesta di fuoco la sorprese con la mano appoggiata alla maniglia del portone. Era una badante e cercava di salvare Mario, 90 anni, che non si poteva alzare dal letto. Hamza, 16 anni, era riuscito a emergere dalle macerie. Ma voleva tornare dentro casa per salvareIman, la sorella di 4 anni. Sono morti entrambi all’ospedale, come i genitori Mohammed e AzizaLuca, 5 anni, i genitori lo avevano portato in auto perché credevano che lì si sarebbe salvato: non ebbe scampo, come sua mamma, Stefania, e suo fratello Lorenzo, 2 anni. Emanuela, 21 anni, era andata a trovareSara, 24 nella sua casa di via Ponchielli: insieme gestivano un’agenzia immobiliare. Quella sera, dopo essere stata inghiottita e risputata da fiamme e fumo, Emanuela chiamò la mamma a notte fonda: “Mamma, c’è stato un incidente, ma non ti preoccupare, non mi sono fatta nulla”. Morirà il 3 luglio, quattro giorni dopo che il vagone-cisterna di un treno merci aveva vomitato gpl sui binari della stazione di Viareggio e poi sulle strade vicine, addosso alle porte, dentro le case. La città che tutti ricordavano per il Carnevale e per le spiagge, ora, da 4 anni e mezzo, trova il suo nome legato a un disastro ferroviario, il quinto più grave di tutti i tempi. Una tragedia che ha un’ora e un giorno precisi (le 23,48 del 29 giugno 2009), ma il cui dolore – sottoforma di agonia – si prolungò per giorni, per settimane, per mesi. Per il tempo, cioè, in cui continuarono a morire i feriti, mangiati dentro dal fuoco ora dopo ora. L’ultima vittima, la 32esima, si chiamava Elisabeth Silva Teran Guadalupe, 36 anni: si arrese tre giorni prima di Natale, sei mesi dopo il disastro.
Inizia il processo: 33 imputati per la morte di 32 persone
Trentadue morti, quanti quelli provocati dal naufragio della Costa Concordia. Ma qui non c’era una nave gigantesca da togliere dagli scogli di un’isola: si fa presto a togliere un treno dall’occhio delle telecamere. E qui non c’era nemmeno un comandante preso a male parole da un ufficiale, né c’erano presunte amanti in plancia di comando, né manovre spericolate compiute per fare un favore a questo o a quello. Qui ci vogliono le squadre di ingegneri per spiegare perché l’asse di un vagone carico di gas infiammabile che dal Piemonte deve arrivare in Campania si è spezzato. E poi il treno non è semplicemente il treno: le cisterne sono di una multinazionale americana ma con insegna di un’azienda austriaca, il locomotore è di Ferrovie dello Stato, il carro è stato costruito in Polonia, revisionato in Germania e montato in provincia di Mantova. Una storia troppo faticosa da capire e per questo sfuggita spesso dalle pagine dei giornali, perfino in momenti cruciali come l’incidente probatorio su motrice e vagoni. Ora però quella storia comincerà ad avere la verità di un processo.
Il dibattimento inizierà mercoledì 13, gli imputati sono 33 e tra questi c’è l’amministratore delegato di Ferrovie dello StatoMauro Moretti. Gli altri dirigenti del gruppo a processo sono l’amministratore delegato di Rfi Michele Mario Elia, l’amministratore delegato di Trenitalia Vincenzo Soprano, l’amministratore di Fs Logistica  Gilberto Galloni, il direttore della Divisione Cargo Fs Mario Castaldo. Poi dirigenti regionali, direttori tecnici, responsabili di settore e manager di Ferrovie, di Rfi e di Trenitalia. A giudizio sono finiti anche Giuseppe Pacchioni e Paolo Pizzadini, rispettivamente amministratore delegato e tecnico della Cima Riparazioni, l’azienda di Bozzolo (Mantova) che aveva montato il carro-cisterna. Poi gli stranieri, i dirigenti di Gatx in AustriaGermaniaPolonia e dell’Officina Jungenthal di Hannover che aveva revisionato il vagone. Fra i reati ipotizzati il disastro ferroviario colposo, l’incendio colposo, l’omicidio e le lesioni colpose plurime. Ad alcuni imputati sono state contestate anche violazioni delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Le parti civili sono un centinaio: fra loro ancora non c’è lo Stato, che ha tempo fino alla prima udienza del processo, domani, e che è in trattativa con le assicurazioni di Gatx e Fs per un accordo sull’eventuale risarcimento. Sono già state depositate le liste con le richieste di testimoni, che dovranno passare al vaglio dei giudici: in quella dei pm figurano, fra gli altri, Diego Della Valle e Luca Cordero di Montezemolo (per i loro ruoli in Italo), mentre, in quelle delle parti civili ci sono anche Nichi Vendola (per i rapporti Regione Puglia-Fs) e l’esponente del Pdl Nicola Cosentino (il carico era destinato a un’azienda della sua famiglia).
La sera del 29 giugno 2009
Il 29 giugno 2012 il treno 50325, partito da Trecate (Novara), deve raggiungere Gricignano (Caserta). Oltre alla motrice ci sono 14 cisterne cariche di gpl: all’interno di ognuna ci sono 35mila litri di gas liquido. Il convoglio va a 90 all’ora, dentro i limiti di 100: supera la stazione di Viareggio, ma dopo poche centinaia di metri il primo vagone deraglia, si sdraia sui binari, si trascina, mentre il treno continua a correre. La fontana di scintille non si vede più solo quando la cisterna viene perforata per mezzo metro. Il convoglio infuocato alla fine si ferma. Ma non le fiamme – secondo alcuni testimoni alte come gli stessi palazzi – e nemmeno il gas. Fuoco e gas corrono, saltano muri, spaccano finestre, abbattono porte, demoliscono stabili. Rastrellano, vanno a cercare le vittime una ad una. Mentre sono in scooter, mentre sono seduti a tavola o a letto. I macchinisti avevano già capito tutto. Erano corsi alla Croce Verde a dare l’allarme: finiranno incenerite anche le ambulanze. Viareggio, dopo un boato che fa morire d’infarto due anziani e devasta un intero quartiere, è illuminata a giorno, colpita al cuore, e chiede aiuto a tutti i pompieri della Toscana. Ce n’è uno di Livorno, per esempio, che è al suo ultimo turno prima della pensione: 18 anni prima era stato tra i primi a salire sul Moby Prince, carbonizzato e senza mai una spiegazione. 
La perizia sulle ragioni del deragliamento e le cause dello squarcio nella cisterna
Le prove del processo si sono già formate nell’incidente probatorio, dopo i sopralluoghi e le prime relazioni dei periti. Le conclusioni del consulente del gip sembrano aver dato ragione a Ferrovie dello Stato. Al centro del confronto non la ragione del deragliamento (l’asse del vagone che ha ceduto perché fratturato), ma la causa dello squarcio nella cisterna. Secondo la Procura fu l’effetto dell’impatto con un “picchetto”, cioè uno spezzone di rotaia piantato a terra per indicare le curve. Per i tecnici delle Ferrovie (e per il perito del gup che ha rinviato a giudizio i 33 imputati) fu un elemento dello scambio, la “piegata a zampa di lepre”. Un dettaglio nient’affatto banale. La “piegata” è indispensabile, i picchetti possono essere sostituiti con altri sistemi meno rischiosi, come ora ha ordinato – 4 anni dopo la strage – l’Agenzia per la sicurezza delle ferrovie. Nelle 150 pagine firmate dai consulenti del tribunale segnalano però che all’ultima manutenzione la “cricca” (così viene chiamata la rottura dell’asse) era già di 11 millimetri e poteva essere rilevata con gli ultrasuoni.
Le accuse all’ad Mauro Moretti
Altre questioni tecniche, secondo il gup Alessandro Del Torrione, dovranno essere chiarite nel dibattimento. ”Noi dubbi non ne abbiamo” disse il giorno del rinvio a giudizio il procuratore capo di Lucca Aldo Cicala. E secondo i magistrati lucchesi Mauro Moretti, l’amministratore delegato di Ferrovie – ad prima di Rfi e poi di Fs – non ha valutato i pericoli e i rischi del passaggio di treni carichi di sostanze pericolose da stazioni circondate da case. L’alto dirigente di Ferrovie è accusato di “inosservanza di leggi ordini, regolamenti e discipline” e di “omissioni progettuali, tecniche, valutative, propositive e dispositive”. Da una parte secondo la Procura lucchese Moretti non avrebbe valutato “il pericolo costituito dalla presenza” dei picchetti e non lo avrebbe fatto neanche quando venne emanata, a fine 2001, una specifica tecnica Rfi, “che prevedeva, sì, la sostituzione del tradizionale sistema di picchettazione” ma “per finalità solo commerciali, come quelle relative al miglioramento del comfort di viaggio ed alla riduzione dei costi e non per l’eliminazione di un elemento in sé pericoloso”. Non solo. Per i pm l’ad di Fs non avrebbe poi valutato la possibilità di ridurre la “velocità di transito lungo la tratta della stazione di Viareggio” o di adottare “meccanismi tali da garantire un’immediata frenatura del convoglio in caso di svio”. E infine non avrebbe assunto “alcuna determinazione in merito alla necessità o almeno all’opportunità, di tenere adeguatamente separata la sede ferroviaria della stazione di Viareggio” dalle abitazioni e non avrebbe proposto la “realizzazione di separazioni, di barriere”. I danni, secondo i pm, avrebbero potuto essere “potenzialmente sterminati”. Armando D’Apote, avvocato di Moretti, dopo il rinvio a giudizio assicurò: “Confido che il processo potrà diradare i dubbi, quelli che hanno fatto prevalere la scelta dibattimentale”.
Moretti, da “uno spiacevolissimo episodio” al cavalierato
E la faccia di Moretti è diventata inevitabilmente il bersaglio delle associazioni dei familiari delle vittime. Erano passati tre giorni dalla strage e le Ferrovie già escludevano qualsiasi responsabilità: “Non abbiamo attivato ancora la nostra assicurazione. Anzi, credo farebbero bene ad attivarla i proprietari del carro” disse lo stesso amministratore delegato in commissione al Senato. Il carro era vetusto, “omologato nel 2004 ma la componentistica di sicurezza risale al ’74 e risulta fabbricato in Germania Est. E’ il carro che determina l’immatricolazione ma è la componentistica a fare la sicurezza”. Ed è peraltro proprio in commissione, a Palazzo Madama, nel 2010, che Moretti – per i parenti delle vittime – passa il segno: “Vi prego di considerare – dice Moretti ai senatori – che quest’anno, per la sicurezza – a parte questo spiacevolissimo episodio di Viareggio – abbiamo ulteriormente migliorato: siamo i primi in Europa”.
Le associazioni hanno chiesto più volte le sue dimissioni. Lo seguirono perfino a Genova, per una festa democratica in cui Moretti era invitato: finì con tafferugli e denunce e con la fuga dell’ad. E la politica? Ha cambiato qualche norma per migliorare la manutenzione dei vagoni. E ha rinnovato il mandato di Moretti. Due volte. Prima con il governo di Silvio Berlusconi. Poi con l’esecutivo delle larghe intese guidato da Enrico Letta, nell’agosto scorso, pochi giorni dopo il rinvio a giudizio. E d’altra parte il 31 maggio 2010, un anno dopo il disastro, fu il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a intervenire: conferì a Moretti il titolo di cavaliere del lavoro.