A Lucca via al dibattimento con 33 imputati per la morte di 32 persone avvenuta il 29 giugno 2009: sarà uno scontro tra perizie a definire le cause dello squarcio nella cisterna. L'ad di Ferrovie il principale accusato dalle associazioni dei familiari delle vittime, ma amato dalla politica: la riconferma dopo il rinvio a giudizio e il cavalierato conferito dal Quirinale. Tra le parti civili Nicola Cosentino: il carico era destinato a un'azienda della sua famiglia.
Ana, 42 anni, stava per uscire per chiedere aiuto: la tempesta di fuoco la sorprese con la mano appoggiata alla maniglia del portone. Era una badante e cercava di salvare Mario, 90 anni, che non si poteva alzare dal letto. Hamza, 16 anni, era riuscito a emergere dalle macerie. Ma voleva tornare dentro casa per salvareIman, la sorella di 4 anni. Sono morti entrambi all’ospedale, come i genitori Mohammed e Aziza. Luca, 5 anni, i genitori lo avevano portato in auto perché credevano che lì si sarebbe salvato: non ebbe scampo, come sua mamma, Stefania, e suo fratello Lorenzo, 2 anni. Emanuela, 21 anni, era andata a trovareSara, 24 nella sua casa di via Ponchielli: insieme gestivano un’agenzia immobiliare. Quella sera, dopo essere stata inghiottita e risputata da fiamme e fumo, Emanuela chiamò la mamma a notte fonda: “Mamma, c’è stato un incidente, ma non ti preoccupare, non mi sono fatta nulla”. Morirà il 3 luglio, quattro giorni dopo che il vagone-cisterna di un treno merci aveva vomitato gpl sui binari della stazione di Viareggio e poi sulle strade vicine, addosso alle porte, dentro le case. La città che tutti ricordavano per il Carnevale e per le spiagge, ora, da 4 anni e mezzo, trova il suo nome legato a un disastro ferroviario, il quinto più grave di tutti i tempi. Una tragedia che ha un’ora e un giorno precisi (le 23,48 del 29 giugno 2009), ma il cui dolore – sottoforma di agonia – si prolungò per giorni, per settimane, per mesi. Per il tempo, cioè, in cui continuarono a morire i feriti, mangiati dentro dal fuoco ora dopo ora. L’ultima vittima, la 32esima, si chiamava Elisabeth Silva Teran Guadalupe, 36 anni: si arrese tre giorni prima di Natale, sei mesi dopo il disastro.
Inizia il processo: 33 imputati per la morte di 32 persone
Trentadue morti, quanti quelli provocati dal naufragio della Costa Concordia. Ma qui non c’era una nave gigantesca da togliere dagli scogli di un’isola: si fa presto a togliere un treno dall’occhio delle telecamere. E qui non c’era nemmeno un comandante preso a male parole da un ufficiale, né c’erano presunte amanti in plancia di comando, né manovre spericolate compiute per fare un favore a questo o a quello. Qui ci vogliono le squadre di ingegneri per spiegare perché l’asse di un vagone carico di gas infiammabile che dal Piemonte deve arrivare in Campania si è spezzato. E poi il treno non è semplicemente il treno: le cisterne sono di una multinazionale americana ma con insegna di un’azienda austriaca, il locomotore è di Ferrovie dello Stato, il carro è stato costruito in Polonia, revisionato in Germania e montato in provincia di Mantova. Una storia troppo faticosa da capire e per questo sfuggita spesso dalle pagine dei giornali, perfino in momenti cruciali come l’incidente probatorio su motrice e vagoni. Ora però quella storia comincerà ad avere la verità di un processo.
Trentadue morti, quanti quelli provocati dal naufragio della Costa Concordia. Ma qui non c’era una nave gigantesca da togliere dagli scogli di un’isola: si fa presto a togliere un treno dall’occhio delle telecamere. E qui non c’era nemmeno un comandante preso a male parole da un ufficiale, né c’erano presunte amanti in plancia di comando, né manovre spericolate compiute per fare un favore a questo o a quello. Qui ci vogliono le squadre di ingegneri per spiegare perché l’asse di un vagone carico di gas infiammabile che dal Piemonte deve arrivare in Campania si è spezzato. E poi il treno non è semplicemente il treno: le cisterne sono di una multinazionale americana ma con insegna di un’azienda austriaca, il locomotore è di Ferrovie dello Stato, il carro è stato costruito in Polonia, revisionato in Germania e montato in provincia di Mantova. Una storia troppo faticosa da capire e per questo sfuggita spesso dalle pagine dei giornali, perfino in momenti cruciali come l’incidente probatorio su motrice e vagoni. Ora però quella storia comincerà ad avere la verità di un processo.
Il dibattimento inizierà mercoledì 13, gli imputati sono 33 e tra questi c’è l’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti. Gli altri dirigenti del gruppo a processo sono l’amministratore delegato di Rfi Michele Mario Elia, l’amministratore delegato di Trenitalia Vincenzo Soprano, l’amministratore di Fs Logistica Gilberto Galloni, il direttore della Divisione Cargo Fs Mario Castaldo. Poi dirigenti regionali, direttori tecnici, responsabili di settore e manager di Ferrovie, di Rfi e di Trenitalia. A giudizio sono finiti anche Giuseppe Pacchioni e Paolo Pizzadini, rispettivamente amministratore delegato e tecnico della Cima Riparazioni, l’azienda di Bozzolo (Mantova) che aveva montato il carro-cisterna. Poi gli stranieri, i dirigenti di Gatx in Austria, Germania, Polonia e dell’Officina Jungenthal di Hannover che aveva revisionato il vagone. Fra i reati ipotizzati il disastro ferroviario colposo, l’incendio colposo, l’omicidio e le lesioni colpose plurime. Ad alcuni imputati sono state contestate anche violazioni delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Le parti civili sono un centinaio: fra loro ancora non c’è lo Stato, che ha tempo fino alla prima udienza del processo, domani, e che è in trattativa con le assicurazioni di Gatx e Fs per un accordo sull’eventuale risarcimento. Sono già state depositate le liste con le richieste di testimoni, che dovranno passare al vaglio dei giudici: in quella dei pm figurano, fra gli altri, Diego Della Valle e Luca Cordero di Montezemolo (per i loro ruoli in Italo), mentre, in quelle delle parti civili ci sono anche Nichi Vendola (per i rapporti Regione Puglia-Fs) e l’esponente del Pdl Nicola Cosentino (il carico era destinato a un’azienda della sua famiglia).
La sera del 29 giugno 2009
Il 29 giugno 2012 il treno 50325, partito da Trecate (Novara), deve raggiungere Gricignano (Caserta). Oltre alla motrice ci sono 14 cisterne cariche di gpl: all’interno di ognuna ci sono 35mila litri di gas liquido. Il convoglio va a 90 all’ora, dentro i limiti di 100: supera la stazione di Viareggio, ma dopo poche centinaia di metri il primo vagone deraglia, si sdraia sui binari, si trascina, mentre il treno continua a correre. La fontana di scintille non si vede più solo quando la cisterna viene perforata per mezzo metro. Il convoglio infuocato alla fine si ferma. Ma non le fiamme – secondo alcuni testimoni alte come gli stessi palazzi – e nemmeno il gas. Fuoco e gas corrono, saltano muri, spaccano finestre, abbattono porte, demoliscono stabili. Rastrellano, vanno a cercare le vittime una ad una. Mentre sono in scooter, mentre sono seduti a tavola o a letto. I macchinisti avevano già capito tutto. Erano corsi alla Croce Verde a dare l’allarme: finiranno incenerite anche le ambulanze. Viareggio, dopo un boato che fa morire d’infarto due anziani e devasta un intero quartiere, è illuminata a giorno, colpita al cuore, e chiede aiuto a tutti i pompieri della Toscana. Ce n’è uno di Livorno, per esempio, che è al suo ultimo turno prima della pensione: 18 anni prima era stato tra i primi a salire sul Moby Prince, carbonizzato e senza mai una spiegazione.
Il 29 giugno 2012 il treno 50325, partito da Trecate (Novara), deve raggiungere Gricignano (Caserta). Oltre alla motrice ci sono 14 cisterne cariche di gpl: all’interno di ognuna ci sono 35mila litri di gas liquido. Il convoglio va a 90 all’ora, dentro i limiti di 100: supera la stazione di Viareggio, ma dopo poche centinaia di metri il primo vagone deraglia, si sdraia sui binari, si trascina, mentre il treno continua a correre. La fontana di scintille non si vede più solo quando la cisterna viene perforata per mezzo metro. Il convoglio infuocato alla fine si ferma. Ma non le fiamme – secondo alcuni testimoni alte come gli stessi palazzi – e nemmeno il gas. Fuoco e gas corrono, saltano muri, spaccano finestre, abbattono porte, demoliscono stabili. Rastrellano, vanno a cercare le vittime una ad una. Mentre sono in scooter, mentre sono seduti a tavola o a letto. I macchinisti avevano già capito tutto. Erano corsi alla Croce Verde a dare l’allarme: finiranno incenerite anche le ambulanze. Viareggio, dopo un boato che fa morire d’infarto due anziani e devasta un intero quartiere, è illuminata a giorno, colpita al cuore, e chiede aiuto a tutti i pompieri della Toscana. Ce n’è uno di Livorno, per esempio, che è al suo ultimo turno prima della pensione: 18 anni prima era stato tra i primi a salire sul Moby Prince, carbonizzato e senza mai una spiegazione.
La perizia sulle ragioni del deragliamento e le cause dello squarcio nella cisterna
Le prove del processo si sono già formate nell’incidente probatorio, dopo i sopralluoghi e le prime relazioni dei periti. Le conclusioni del consulente del gip sembrano aver dato ragione a Ferrovie dello Stato. Al centro del confronto non la ragione del deragliamento (l’asse del vagone che ha ceduto perché fratturato), ma la causa dello squarcio nella cisterna. Secondo la Procura fu l’effetto dell’impatto con un “picchetto”, cioè uno spezzone di rotaia piantato a terra per indicare le curve. Per i tecnici delle Ferrovie (e per il perito del gup che ha rinviato a giudizio i 33 imputati) fu un elemento dello scambio, la “piegata a zampa di lepre”. Un dettaglio nient’affatto banale. La “piegata” è indispensabile, i picchetti possono essere sostituiti con altri sistemi meno rischiosi, come ora ha ordinato – 4 anni dopo la strage – l’Agenzia per la sicurezza delle ferrovie. Nelle 150 pagine firmate dai consulenti del tribunale segnalano però che all’ultima manutenzione la “cricca” (così viene chiamata la rottura dell’asse) era già di 11 millimetri e poteva essere rilevata con gli ultrasuoni.
Le prove del processo si sono già formate nell’incidente probatorio, dopo i sopralluoghi e le prime relazioni dei periti. Le conclusioni del consulente del gip sembrano aver dato ragione a Ferrovie dello Stato. Al centro del confronto non la ragione del deragliamento (l’asse del vagone che ha ceduto perché fratturato), ma la causa dello squarcio nella cisterna. Secondo la Procura fu l’effetto dell’impatto con un “picchetto”, cioè uno spezzone di rotaia piantato a terra per indicare le curve. Per i tecnici delle Ferrovie (e per il perito del gup che ha rinviato a giudizio i 33 imputati) fu un elemento dello scambio, la “piegata a zampa di lepre”. Un dettaglio nient’affatto banale. La “piegata” è indispensabile, i picchetti possono essere sostituiti con altri sistemi meno rischiosi, come ora ha ordinato – 4 anni dopo la strage – l’Agenzia per la sicurezza delle ferrovie. Nelle 150 pagine firmate dai consulenti del tribunale segnalano però che all’ultima manutenzione la “cricca” (così viene chiamata la rottura dell’asse) era già di 11 millimetri e poteva essere rilevata con gli ultrasuoni.
Le accuse all’ad Mauro Moretti
Altre questioni tecniche, secondo il gup Alessandro Del Torrione, dovranno essere chiarite nel dibattimento. ”Noi dubbi non ne abbiamo” disse il giorno del rinvio a giudizio il procuratore capo di Lucca Aldo Cicala. E secondo i magistrati lucchesi Mauro Moretti, l’amministratore delegato di Ferrovie – ad prima di Rfi e poi di Fs – non ha valutato i pericoli e i rischi del passaggio di treni carichi di sostanze pericolose da stazioni circondate da case. L’alto dirigente di Ferrovie è accusato di “inosservanza di leggi ordini, regolamenti e discipline” e di “omissioni progettuali, tecniche, valutative, propositive e dispositive”. Da una parte secondo la Procura lucchese Moretti non avrebbe valutato “il pericolo costituito dalla presenza” dei picchetti e non lo avrebbe fatto neanche quando venne emanata, a fine 2001, una specifica tecnica Rfi, “che prevedeva, sì, la sostituzione del tradizionale sistema di picchettazione” ma “per finalità solo commerciali, come quelle relative al miglioramento del comfort di viaggio ed alla riduzione dei costi e non per l’eliminazione di un elemento in sé pericoloso”. Non solo. Per i pm l’ad di Fs non avrebbe poi valutato la possibilità di ridurre la “velocità di transito lungo la tratta della stazione di Viareggio” o di adottare “meccanismi tali da garantire un’immediata frenatura del convoglio in caso di svio”. E infine non avrebbe assunto “alcuna determinazione in merito alla necessità o almeno all’opportunità, di tenere adeguatamente separata la sede ferroviaria della stazione di Viareggio” dalle abitazioni e non avrebbe proposto la “realizzazione di separazioni, di barriere”. I danni, secondo i pm, avrebbero potuto essere “potenzialmente sterminati”. Armando D’Apote, avvocato di Moretti, dopo il rinvio a giudizio assicurò: “Confido che il processo potrà diradare i dubbi, quelli che hanno fatto prevalere la scelta dibattimentale”.
Altre questioni tecniche, secondo il gup Alessandro Del Torrione, dovranno essere chiarite nel dibattimento. ”Noi dubbi non ne abbiamo” disse il giorno del rinvio a giudizio il procuratore capo di Lucca Aldo Cicala. E secondo i magistrati lucchesi Mauro Moretti, l’amministratore delegato di Ferrovie – ad prima di Rfi e poi di Fs – non ha valutato i pericoli e i rischi del passaggio di treni carichi di sostanze pericolose da stazioni circondate da case. L’alto dirigente di Ferrovie è accusato di “inosservanza di leggi ordini, regolamenti e discipline” e di “omissioni progettuali, tecniche, valutative, propositive e dispositive”. Da una parte secondo la Procura lucchese Moretti non avrebbe valutato “il pericolo costituito dalla presenza” dei picchetti e non lo avrebbe fatto neanche quando venne emanata, a fine 2001, una specifica tecnica Rfi, “che prevedeva, sì, la sostituzione del tradizionale sistema di picchettazione” ma “per finalità solo commerciali, come quelle relative al miglioramento del comfort di viaggio ed alla riduzione dei costi e non per l’eliminazione di un elemento in sé pericoloso”. Non solo. Per i pm l’ad di Fs non avrebbe poi valutato la possibilità di ridurre la “velocità di transito lungo la tratta della stazione di Viareggio” o di adottare “meccanismi tali da garantire un’immediata frenatura del convoglio in caso di svio”. E infine non avrebbe assunto “alcuna determinazione in merito alla necessità o almeno all’opportunità, di tenere adeguatamente separata la sede ferroviaria della stazione di Viareggio” dalle abitazioni e non avrebbe proposto la “realizzazione di separazioni, di barriere”. I danni, secondo i pm, avrebbero potuto essere “potenzialmente sterminati”. Armando D’Apote, avvocato di Moretti, dopo il rinvio a giudizio assicurò: “Confido che il processo potrà diradare i dubbi, quelli che hanno fatto prevalere la scelta dibattimentale”.
Moretti, da “uno spiacevolissimo episodio” al cavalierato
E la faccia di Moretti è diventata inevitabilmente il bersaglio delle associazioni dei familiari delle vittime. Erano passati tre giorni dalla strage e le Ferrovie già escludevano qualsiasi responsabilità: “Non abbiamo attivato ancora la nostra assicurazione. Anzi, credo farebbero bene ad attivarla i proprietari del carro” disse lo stesso amministratore delegato in commissione al Senato. Il carro era vetusto, “omologato nel 2004 ma la componentistica di sicurezza risale al ’74 e risulta fabbricato in Germania Est. E’ il carro che determina l’immatricolazione ma è la componentistica a fare la sicurezza”. Ed è peraltro proprio in commissione, a Palazzo Madama, nel 2010, che Moretti – per i parenti delle vittime – passa il segno: “Vi prego di considerare – dice Moretti ai senatori – che quest’anno, per la sicurezza – a parte questo spiacevolissimo episodio di Viareggio – abbiamo ulteriormente migliorato: siamo i primi in Europa”.
E la faccia di Moretti è diventata inevitabilmente il bersaglio delle associazioni dei familiari delle vittime. Erano passati tre giorni dalla strage e le Ferrovie già escludevano qualsiasi responsabilità: “Non abbiamo attivato ancora la nostra assicurazione. Anzi, credo farebbero bene ad attivarla i proprietari del carro” disse lo stesso amministratore delegato in commissione al Senato. Il carro era vetusto, “omologato nel 2004 ma la componentistica di sicurezza risale al ’74 e risulta fabbricato in Germania Est. E’ il carro che determina l’immatricolazione ma è la componentistica a fare la sicurezza”. Ed è peraltro proprio in commissione, a Palazzo Madama, nel 2010, che Moretti – per i parenti delle vittime – passa il segno: “Vi prego di considerare – dice Moretti ai senatori – che quest’anno, per la sicurezza – a parte questo spiacevolissimo episodio di Viareggio – abbiamo ulteriormente migliorato: siamo i primi in Europa”.
Le associazioni hanno chiesto più volte le sue dimissioni. Lo seguirono perfino a Genova, per una festa democratica in cui Moretti era invitato: finì con tafferugli e denunce e con la fuga dell’ad. E la politica? Ha cambiato qualche norma per migliorare la manutenzione dei vagoni. E ha rinnovato il mandato di Moretti. Due volte. Prima con il governo di Silvio Berlusconi. Poi con l’esecutivo delle larghe intese guidato da Enrico Letta, nell’agosto scorso, pochi giorni dopo il rinvio a giudizio. E d’altra parte il 31 maggio 2010, un anno dopo il disastro, fu il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a intervenire: conferì a Moretti il titolo di cavaliere del lavoro.
Nessun commento:
Posta un commento