domenica 26 gennaio 2020

Bonafede e malafede. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 26 Gennaio

L'immagine può contenere: 2 persone, persone che sorridono, testo

Anzitutto una rettifica importante col capo cosparso di cenere. Ieri ho scritto che chi non vuol regalare a Salvini anche l’Emilia Romagna e la Calabria, e prossimamente tutta l’Italia, può usare il voto disgiunto: votare la lista che preferisce e poi barrare il nome del candidato governatore che ha più chance di battere quello di centrodestra. Cioè Bonaccini in Emilia Romagna e Callipo in Calabria. Lo confermo per l’Emilia Romagna, ma non per la Calabria, la cui legge elettorale non consente il voto disgiunto: lì chi lo pratica annulla la scheda. In Calabria, chi vuol votare Callipo deve scegliere una lista a lui collegata e non, per esempio, quelle dei 5Stelle.

Ora, corretto il mio errore, vorrei occuparmi di quello commesso dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede l’altra sera a Otto e mezzo. Una giornalista di Repubblica, ignara di vent’anni di battaglie del suo giornale per bloccare la prescrizione, contestava la legge che blocca la prescrizione: “Lei non pensa agli innocenti che finiscono in carcere?”.


Argomento demenziale, visto che la blocca-prescrizione non cambia di una virgola la sorte degli eventuali innocenti in carcere. I quali non possono essere i detenuti che espiano la pena, cioè i condannati in via definitiva, per definizione colpevoli. Ma i detenuti in custodia cautelare (arrestati prima della sentenza in base a “gravi indizi di colpevolezza” per evitare che fuggano o inquinino le prove o reiterino il reato): che però, per la nostra Costituzione, sono già “presunti innocenti”.


Quindi non c’è nulla di scandaloso se un “presunto innocente” è in carcere: è la legge che lo prevede. Solo la sentenza definitiva dirà se era colpevole o innocente. Nel frattempo anche chi è stato colto in flagrante, o ha confessato, o è stato fotografato o filmato o intercettato mentre commetteva il reato, resta “presunto innocente”. Ma, se viene arrestato, la durata della custodia cautelare non dipende dal sistema di prescrizione, bensì dai termini fissati dalla legge per ogni fase e grado del processo. Se il processo dura troppo, l’imputato uscirà anche in futuro per decorrenza dei termini (che la legge Bonafede non sfiora neppure).


Certo, senza prescrizione in appello, chi prima poteva farla franca dopo la prima condanna, ora potrà tornare dentro fino a sentenza definitiva e, se condannato, restarci per espiare la pena. Ma è tutto fuorché innocente. Per la custodia occorrono “gravi indizi di colpevolezza”. E i giudici dichiarano prescritto il reato solo se ritengono che l’imputato non sia innocente: altrimenti, per legge, devono assolverlo, non avendo un bel nulla da prescrivere.


La prescrizione durante il processo è riservata ai colpevoli. Infatti chi si ritiene innocente può rinunciarvi per farsi assolvere oltre i termini e, se viene dichiarata dal giudice, può impugnarla per chiedere l’assoluzione. Quindi l’argomento “innocenti in carcere” non c’entra nulla con la blocca-prescrizione, che non manda in carcere nessun innocente. Serve solo a buttarla in caciara, come quando si parlava degli scandali di B. e i suoi servi strillavano: “E le foibe? E Cuba? E Stalin? E Pol Pot?”.


Stupefatto da un’obiezione così strampalata, Bonafede risponde: “Cosa c’entrano gli innocenti che finiscono in carcere? Gli innocenti non finiscono in carcere…”. Senza aggiungere ciò che la sua frase sottintende: “…con la blocca-prescrizione”. Quando poi la giornalista gli ricorda i detenuti risarciti, scioglie subito il quiproquo: “Ah ok, quella è un’altra questione e infatti sono il ministro che più di tutti ha inviato gli ispettori per verificare i casi di ingiusta detenzione”.


Se il dibattito fosse fra persone competenti e in buona fede, l’equivoco si chiuderebbe lì. Invece si scatena la solita canea politico-mediatica sulla presunta “gaffe” del ministro ignorante, manettaro e giustizialista, mentre le lobby avvocatesche chiedono la sua testa e i giuristi per caso lo sbeffeggiano sui giornaloni tirando in ballo Enzo Tortora, cioè fingendo di non capire o non capendo proprio.


A questo punto è forse il caso di chiarire una volta per tutte il concetto di innocente/colpevole. Che non equivale affatto a condannato/assolto. L’innocente è chi non ha commesso il reato, il colpevole colui che l’ha commesso. Ma, se uno è innocente o colpevole, lo sa soltanto lui, che però non può giudicarsi da solo. Così, da che mondo è mondo, si delegano dei giudici a valutare eventuali testimonianze e prove, regolate da limiti precisi.


La loro sentenza (assoluzione, o condanna, o prescrizione) è una pura convenzione: salvo rarissimi casi, non potrà mai fotografare l’intera “verità storica”, ma solo analizzare gli elementi utilizzabili raccolti, cioè la “verità giudiziaria”. In questa convenzione, da tutti accettata per evitare che le vittime si facciano giustizia da sole, è previsto che un probabilissimo colpevole venga assolto perché le prove non bastano al giudice per condannarlo. E, in Italia, che un sicuro colpevole non sia condannato perché è passato troppo tempo.


Per la Costituzione, anche chi sa di essere colpevole e di averla fatta franca per mancanza di prove (che è stato bravo a nascondere) o per prescrizione (che è stato bravo a far scattare, facendosi scoprire dopo anni o facendo durare il processo all’infinito), è “innocente”. Il che non vuol dire che abbia subito una “ingiusta detenzione”, o che il suo processo sia un “errore giudiziario”, o che chi l’ha visto delinquere abbia sbagliato persona. Il mondo e soprattutto l’Italia sono pieni di innocenti per legge ma colpevoli nei fatti, e nessuno lo sa meglio di loro. Gli errori giudiziari più diffusi non sono gli arresti e le condanne di innocenti (sempre possibili, nella fallibile giustizia umana): sono le scarcerazioni e le assoluzioni dei colpevoli.


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Il Conte2 rischia: la mina di Renzi arriverà martedì. - Luca De Carolis e Fabrizio d’Esposito

Il Conte2 rischia: la mina di Renzi arriverà martedì

A Palazzo Madama il “verdetto” sulla prescrizione e le linee guida di Bonafede: clima “pesante”.
La tentazione è lì, pronta a esplodere martedì quando Camera e Senato dovranno approvare le linee guida sulla giustizia del Guardasigilli Alfonso Bonafede. Ed è a Palazzo Madama che il manipolo di renziani italo-viventi proverà a far ballare la maggioranza, proprio nel giorno in cui alla Camera si voterà sulla pdl del forzista Costa sulla prescrizione. Ma come voteranno i renziani in Senato? In pratica, è la domanda e quindi il segnale che conferma l’agitazione del leader di Iv in questi giorni, con gli spin che arrivano numerosi alle redazioni sulle manovre per far sloggiare Giuseppe Conte da Palazzo Chigi. Anche nel caso di vittoria del centrosinistra in Emilia-Romagna, sia chiaro. L’allarme è arrivato soprattutto ai piani alti del governo dove ci si limita a dire che “c’è uno strano clima”.
Ed è per questo che a poche ora dal decisivo voto regionale di oggi c’è una crescente ansia nel Palazzo. Al punto che resuscita l’antica formula dell’unità nazionale. Ieri due esponenti molto diversi tra di loro, Maurizio Lupi da destra e l’ex grillino Lorenzo Fioramonti da sinistra, hanno rilasciato due interviste per invocare un nuovo governo qualora il Conte II dovesse cadere. Insomma lo spettro che s’aggira è quello delle elezioni anticipate, e che fa paura anche a Silvio Berlusconi, in teoria uno dei capi del centrodestra che domani dovrebbe andare a citofonare Mattarella per chiedere le urne in caso di sconfitta emiliana del Pd.
Ma davvero il quadro politico è così in fibrillazione? Sì e no allo stesso tempo. È vero che Renzi minaccia e provoca i giallorossi sul tema della giustizia e in particolare sulla prescrizione (la prossima settimana ci sarà pure l’ennesimo vertice di maggioranza in merito), con Dario Franceschini che sarebbe pronto a incunearsi come aspirante premier in un’eventuale crisi di governo. Epperò è impossibile prevedere cosa succederà se Matteo Salvini dovesse conquistare la più importante roccaforte rossa dal Dopoguerra in poi, l’Emilia-Romagna. Si possono tracciare scenari a iosa ma bisogna attenersi anche alle dichiarazioni rassicuranti del premier e del segretario dem sulla prosecuzione di questo esecutivo a prescindere dal risultato.
Senza dimenticare che il pessimismo di queste ultimissime ore appare irrazionale per un semplice motivo: nessun sondaggista può calcolare quanto sarà l’affluenza, la vera incognita elettorale. Al Nazareno confidano che un numero alto di elettori soprattutto a Bologna, Reggio Emilia e Modena (e in alcuni casi c’è stata la fila per ritirare il certificato elettorale a differenza di cinque anni fa quando l’astensionismo superò il 60 per cento) possa trainare al successo Bonaccini. Vedremo.
Nel frattempo, il post-voto emiliano-romagnolo (e calabrese, ma qui la vittoria del centrodestra appare scontata) partorirà la data chiave del referendum sul taglio dei parlamentari. Forse il consiglio dei ministri la fisserà già la prossima settimana. Si parla di una delle quattro domeniche tra l’ultima decade di marzo e la prima di aprile. Un modo ulteriore per blindare la legislatura. Con le urne referendarie fissate e in caso di crisi, Mattarella dovrebbe assumersi la responsabilità di sospendere il referendum e consentire il voto politico. Il quale potrebbe anche slittare in autunno, invece, per fare il referendum in primavera.
Scenari, appunto. Che devono tenere conto, poi, del fatto non secondario che nessuno, tranne Matteo Salvini, vuole andare al voto. Certo, Renzi potrebbe essere tentato dal voto anticipato per congelare il Parlamento attuale (945 componenti al posto di 600) e il Rosatellum, ma il suo sembra più un bluff che altro. Non c’è nulla da fare, bisogna aspettare le urne. In un’atmosfera di grande paura giallorossa.

Sardegna: condannato per peculato nel 2017, medico e consigliere regionale mantiene le cariche pubbliche anche se la legge lo vieta. - Pablo Sole

Sardegna: condannato per peculato nel 2017, medico e consigliere regionale mantiene le cariche pubbliche anche se la legge lo vieta

Raimondo Ibba, dei Socialisti Uniti, aveva utilizzato illecitamente 135mila euro prelevati dai fondi destinati ai gruppi politici. Ma, dopo tre anni, conserva ancora tre incarichi.
Da consigliere regionale dei Socialisti Uniti, nel febbraio del 2017 è stato condannato per peculato per aver utilizzato illecitamente 135mila euro prelevati dai fondi destinati ai gruppi politici. Pochi mesi dopo, stavolta in qualità di presidente dell’Ordine dei medici di Cagliari, la stessa Regione lo ha nominato presidente della commissione d’esame per l’accesso alla formazione specifica in Medicina dietro un gettone onnicomprensivo di 10mila euro. Quell’incarico però, Raimondo Ibba non avrebbe potuto ricoprirlo, visto che le norme precludono ai condannati per reati contro la pubblica amministrazione – a cominciare dal peculato – ogni incarico pubblico. E questo fin dal primo grado di giudizio, come specifica il decreto legislativo 39 del 2013, al comma 6 dell’articolo 3. Ecco perché fin dal 29 settembre 2017 l’assessorato regionale alla Sanità non avrebbe potuto assegnare, come invece ha fatto, la presidenza della commissione d’esame al neo-condannato Ibba. E invece negli ultimi tre anni il professionista ha guidato almeno sette commissioni e ancora oggi riveste ulteriori incarichi che, per legge, non potrebbe ricoprire.
Il fil rouge è stato reciso solo pochi giorni fa, quando gli uffici regionali dell’assessorato alla Sanità hanno per la prima volta richiesto a Ibba la ‘Dichiarazione di insussistenza cause di inconferibilità’. Un documento che nella pubblica amministrazione non è certo una novità, visto che per ottenere ogni incarico pubblico, dal 2013, andrebbe presentato. “E invece fino a pochi giorni fa, anche dopo la condanna, non mi hanno mai chiesto niente”, commenta oggi Ibba.
L’eminenza bianca dei camici cagliaritani risulta Raimondo solo all’anagrafe. Per tutti è Mondino, nato nel 1950 a Quartu Sant’Elena e di “religione cattolica”, specifica nel curriculum zeppo di specializzazioni e incarichi. Fa parte, giusto per fare un esempio, del comitato centrale della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. Nell’isola è il dominus indiscusso dei camici bianchi fin dal 1980, quando fresco di laurea viene eletto per la prima volta alla guida dell’organo di autogoverno dei medici di Cagliari. Un posto che occupa ancora oggi, senza soluzione di continuità: confermato dai colleghi per quarant’anni di fila. Un record che non hanno insidiato neppure le ultime elezioni dell’Ordine, nel novembre 2017: premiato dalle urne nonostante la condanna per peculato arrivata nove mesi prima.
E premiato anche dall’assessorato regionale alla Sanità, che dopo il primo incarico post-condanna – settembre 2017, come detto – fino a oggi ha assegnato la presidenza della commissione d’esame dei concorsi a Mondino Ibba almeno altre sei volte. Senza contare gli incarichi degli anni precedenti, quando il più delle volte il vice in commissione d’esame era il collega Luigi Arru, medico e assessore regionale alla Sanità nella giunta di centrosinistra di Francesco Pigliaru, dal 2014 al 2019. Retribuzione per ogni presidenza di commissione, come emerge da alcuni documenti riservati in possesso de ilfattoquotidiano.it: circa 10mila euro. Che si sommano ai 3.813 euro netti mensili che Ibba percepisce dal consiglio regionale – ‘parte lesa’ nel processo sui fondi ai gruppi – come vitalizio per i dieci anni trascorsi nel parlamento isolano, dal 1999 al 2009, graniticamente tra i banchi socialisti. A far da contraltare al profluvio di denaro partito dalla Regione verso il conto corrente di Ibba, i 135mila euro contestati dal pm Marco Cocco al processo sui fondi ai gruppi che il politico col Garofano all’occhiello ha restituito al consiglio regionale pochi mesi prima della condanna in primo grado.
Per il resto, tra presidenze di commissioni d’esame, ulteriori incarichi e vitalizio, il flusso di denaro è stato a senso unico: dalla Regione a Ibba. Almeno fino a pochi giorni fa, quando l’assessorato ha per la prima volta subordinato la nomina alla presentazione della dichiarazione di assenza di cause d’inconferibilità. “A quel punto ho consultato i miei avvocati. Hanno sollevato forti dubbi sulla legittimità giuridica della norma ma nonostante questo – dice Ibba – non avevo e non ho alcuna intenzione di entrare in conflitto con la Regione e con la pubblica amministrazione in genere. Quindi ho fatto un passo indietro e al mio posto ho designato il vicepresidente dell’Ordine”.
Rimangono in piedi altri tre incarichi: oltre alla presidenza dell’Ordine, che giuridicamente è un ente di diritto pubblico, su proposta dell’Associazione mutilati e invalidi il 18 marzo 2019 Ibba è stato nominato componente della commissione medica per il riconoscimento della invalidità civile, handicap e disabilità dell’Ats, l’azienda sanitaria unica della Sardegna. Pochi giorni dopo, il 26 marzo 2019, è arrivata la condanna in appello per peculato. Ciò nonostante, dopo due mesi, l’ennesimo incarico arriva ancora dall’assessorato alla Sanità, che il 13 maggio 2019 inserisce Ibba nel Comitato tecnico scientifico per la formazione specifica in medicina generale. Che deve essere composto, dice la legge, dal presidente dell’Ordine dei medici del capoluogo di regione o da un suo delegato. Stesso discorso vale per la presidenza delle commissioni d’esame. Si tratta di direttive che sembrerebbero scontrarsi con il principio della netta separazione tra ambito politico e amministrativo, tanto che pochi giorni fa gli uffici regionali si sono rivolti all’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione, per un parere sull’applicabilità della norma. Ciò non toglie che la condanna in primo grado del 2017 abbia modificato per tabulas le carte in tavola e sbarrato in automatico ogni incarico a favore di Mondino Ibba. Già tre anni fa.
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Di solito, chi entra a far parte della politica non lo fa per il bene comune, ma per un proprio tornaconto.
In pochi, una percentuale bassissima, lo fa per il bene comune e, solitamente, viene fatto fuori da chi non la pensa allo stesso modo e fa di tutto per salvaguardare e mantenere il proprio stato. 
Cetta.