lunedì 27 luglio 2009

Libertà di stampa: Italia in serie C.


di Giuseppe Giulietti

Sembrava un’impresa quasi impossibile: l’Italia berlusconiana ha finalmente conquistato un record, anche se negativo ed è quello relativo alla libertà d’informazione e alla libertà del mercato dei media. Oggi, infatti, è il 3 maggio e, come ogni anno, l’Onu dedica questa giornata a un bene prezioso e troppo spesso oltraggiato in giro per il pianeta: la libera circolazione delle idee e delle opinioni, la possibilità di accedere alla conoscenza e alla informazione.
Come ogni anno, di questi tempi, una grande e libera associazione americana la Freedom House ha pubblicato il suo rapporto annuale. Nell’ultimo rapporto l’Italia aveva conquistato il settantasettesimo posto, maglia nera in Europa: sembrava impossibile far peggio, invece no! Nel rapporto di quest’anno l’Italia è riuscita a «conquistare» la settantanovesima posizione. Basta leggere il rapporto per comprendere come Freedom House non faccia sconti a nessuno. Le situazioni di Cuba, della Cina, dell’Iran, della Russia, di tanti altri Paesi del sud del mondo, sono descritte in modo implacabile, a prescindere dai regimi. La stella polare di questa organizzazione, infatti, è rappresentata dalla cultura dei diritti civili e della libertà dei mercati. Il giudizio negativo sull’Italia non deriva da avversione ideologica, né da pregiudizio anti-berlusconiano, ma dalla fredda valutazione della anomalia italiana, parte della quale e persino preesistente al governo della destra. In particolare è il tema dell’irrisolto conflitto di interessi a destare l’attenzione preoccupata degli estensori di questo rapporto. La commissione tra politica, affari e media determina così l’inevitabile crollo dell’Italia nella classifica generale. L’ulteriore chiusura del mercato e della raccolta pubblicitaria, determinata anche dall’approvazione della legge Gasparri, ha consolidato una situazione che attualmente assegna all’Italia il poco invidiabile primato della nazione come il più alto tasso di concentrazione delle risorse pubblicitarie attorno a due aziende, Mediaset e Rai. L’anomalia italiana, in questo ultimo anno, è stata aggravata dal fatto che il governo presieduto dal medesimo berlusconi abbia persino nominato parte del Consiglio di amministrazione dell’azienda pubblica. Queste scelte non sembrano affatto normali al di fuori dei nostri confini. Come se non bastasse, almeno fino a qualche giorno fa, non erano ancora tornati in tv quanti erano stati cacciati in seguito a un pubblico comando impartito dall’ex presidente del Consiglio ed immediatamente eseguito dalla dirigenza della Rai di allora.Il rapporto, infine, fa anche riferimento al controllo politico della Rai (e qui la colpa non è certo del solo Berlusconi), al ruolo delle autorità di garanzia, al rapporto tra giustizia e informazione, al carcere per i cronisti, alla scarsa attenzione spesso prestata da tutti noi a quel vasto mondo di editori, di autori e di produttori che non è stato messo in condizioni di crescere dentro la palude del conflitto di interessi e del duopolio. Non limitiamoci, dunque, a leggere questo rapporto con le sole lenti dell’anti-berlusconismo, ma assumiamolo, insieme a tante altre sollecitazioni, come uno stimolo a fare meglio, come un pungolo a noi stessi, affinché, nei prossimi cinque anni, ogni anno si possa celebrare con dignità la festa del 3 maggio e attendere con crescente fiducia il rapporto di Freedom House.

*tratto da L'Unità di oggi.
http://www.articolo21.info/