venerdì 31 luglio 2009

PARTITO SUD: DI PIETRO, E' MINACCIA A BERLUSCONI PER 'INADEMPIENZA'

(ASCA) - Roma, 30 lug - ''Il partito di Forza Italia e' nato su commissione di Cosa Nostra, e' scritto nella sentenza di condanna a nove anni di Marcello Dell'Utri, e la riprova inequivocabile di cio' furono quei 61 seggi su 61 assegnati dall'isola al partito di Arcore alle politiche del 2001. Oggi senza i voti della circoscrizione Sud, e della Sicilia in particolare, il Pdl non sarebbe mai andato al governo per ben quattro volte e l'Udc di Toto' Cuffaro avrebbe gli iscritti di un circolo Acli. La minaccia del Partito del Sud e' un chiaro monito rivolto a Silvio Berlusconi che non sta facendo, evidentemente, quanto promesso in quell'antico patto di cui Marcello Dell'Utri e' stato garante per quasi un ventennio''. A sostenerlo, sul suo blog, e' Antonio Di Pietro.''Il Partito del Sud - continua il presidente dell'Italia dei Valori - e' il segnale che gli accordi politici alla base di Forza Italia in Sicilia sono in discussione. A questo segnale se ne aggiungono altri che potrebbero comunque far parte dello stesso puzzle: la spazzatura di Palermo, l'agitazione della Giunta Lombardo, i messaggi di Riina su mandanti di Stato per le stragi di Capaci e via D'Amelio, le dichiarazioni di Ciancimino jr, la recente condanna a 10 anni e 8 mesi per associazione mafiosa di Mercadante, ex deputato di Fi. E cosi' il Premier promette nuovi soldi alla Sicilia e lo fa ancor prima di spiegare come verranno utilizzati e con quali coperture finanziarie. Evidentemente - osserva Di Pietro - l'importante e' porre l'accento sulla cifra, prima che sulla destinazione e sulla reale disponibilita'.Evidentemente le persone a cui e' rivolto il messaggio ne conoscono la destinazione''.

http://www.asca.it/news-PARTITO_SUD__DI_PIETRO__E__MINACCIA_A_BERLUSCONI_PER__INADEMPIENZA_-849832-ORA-.html

giovedì 30 luglio 2009

Le mie lettre al Pm Raimondi ed all'on, Pecorella.

Caso Alessandro Didoni ed il suo amico Dario.
Destinatario:
pecorella_g@camera.it

"Egregio,
leggo dell'episodio e mi rattrista pensare che voi, persone istituzionali, nostri rappresentanti al governo, non accettiate il dialogo ed il confronto.Ancor più mi rattrista leggere che lei, persona con una considerevole esperienza, data la sua veneranda età, citi per "violazione della privacy" un ragazzo che ha semplicemente esternato la sua curiosità e cercato risposte ai suoi dubbi.
Un uomo di esperienza come lei dovrebbe provocarlo un dialogo con i giovani, oltre che rappresentare un esempio di chiarezza.
Questo nostro povero paese è già devastato da tante disgrazie, tra le quali la disoccupazione, la più grande di tutte le disgrazie, aumentarne la portata con episodi di intolleranza, non credo sia costruttivo, bensì deleterio.
Spero che lei ci ripensi e mandi un messaggio a tutti gli italiani, quello che il suo stesso capo del governo lancia: ottimismo e buona volontà.
Al suo buon cuore.
In fede, XXXXXXXXXXXXXX"

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sandro.raimondi@giustizia.it

Egregio dr. Raimondi,
Leggo con dispiacere la notizia apparsa su alcuni quotidiani di oggi relativamente alla querela per "violazione della privacy" operata dall'on. Pecorella nei riguardi di due giovani, Alessandro Didoni e Dario Parazzoli, la cui unica colpa è quella di aver cercato di fugare alcuni dubbi che attanagliano un po' tutta la popolazione italiana.
Già è triste dover apprendere che un personaggio istituzionale, nostro rappresentante al governo, dimostri segni di intolleranza nei confronti di chi gli pone domande lecitissime, in quanto corrispondenti alla "realtà attuale" e non confutabile, scoprire, altresì, che chi dovrebbe rappresentare ognuno di noi, porga querela per il medesimo motivo, mi distrugge psicologicamente.
E' altrettanto inconcepibile ed incredibile, visti i tempi utilizzati di solito dalla magistratura, la immediatezza con la quale, lei, ha promosso l'indagine a tutela della querela.
Vorrei farle notare che chiedere non è un reato, è cosa naturale, e una domanda lecita, in quanto rispondente ad una realtà esistente, qualunque essa sia, richiede e pretende una risposta, specie se rivolta ad un personaggio istituzionale.
Io temo che si stiano sgretolando quelli che sono i doveri istituzionali ed il concetto di giustizia.
Dobbiamo incominciare a dubitarne?
Andando avanti di questo passo, credo che non si potrà credere più in nulla.
Con tristezza e rammarico, passo a salutarla, nella speranza che voglia riflettere su quanto accaduto e sul fatto che la legge, purtroppo, non è più uguale per tutti, ma tutela solo i più forti.
Con disillusione,
XXXXXXX

Gaetano Pecorella querela due cittadini informati.


30 luglio 2009
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di due cittadini "colpevoli" di "lesa maestà" nei confronti di un esponente politico.
A Dario Parazzoli e Alessandro Didoni la solidarietà della redazione di ANTIMAFIADuemila.

"Quando vuole, la giustizia è veloce. Siamo Dario e Alessandro, due cittadini che si interessano alla politica. Vorremmo raccontare quel che può accadere oggi in Italia a chi osi fare una domanda a un parlamentare.
Un nostro dipendente, come dice Beppe Grillo. In questo caso l'onorevole avvocato professore Gaetano Pecorella.L'abbiamo incontrato lunedì sera a Milano, a una trasmissione di Telelombardia. Lui era ospite di un dibattito su mafia e politica; noi eravamo tra il pubblico in qualità di co-organizzatori di una manifestazione per chiedere verità e giustizia sulla strage di via D'Amelio. Durante la diretta io (Dario) ho rivolto una domanda a Pecorella sul caso Dell'Utri. Non prova imbarazzo, ho chiesto, a sedere in parlamento a fianco a un condannato in primo grado per mafia, uno che per sua stessa ammissione ha frequentato fior di mafiosi? Non dovrebbero scattare, proprio come diceva Borsellino, più severi meccanismi di selezione al momentodelle candidature? Pecorella ha liquidato la faccenda dicendo che il fondatore di Forza Italia è stato eletto democraticamente, quindi lo vogliono gli italiani. Punto e basta. Non c'è stato tempo di replicare: il conduttore ha mandato in tutta fretta la pubblicità. Durante la pausa pubblicitaria, io (Alessandro) ho chiesto conto all'avvocato Pecorella di un episodio della sua carriera che mi aveva paritcolarmente colpito leggendo il romanzo di Roberto Saviano: il fatto che accettò di difendere, mentre era presidente della commissione Giustizia della Camera, Nunzio De Falco, boss di camorra imputato e poi condannato come mandante dell'omicidio di don Peppino Diana. Una figura istituzionale non dovrebbe forse astenersi, per non far perdere credibilità alle istituzioni, da simili esperienze professionali?Pecorella mi ha accusato di essere un ignorante: "lei con qualla faccia lì non sa niente!". Poi mi ha invitato a leggere gli atti del processo, dai quali a suo dire si apprenderebbe che don Peppino Diana era uno che teneva in casa le armi della mafia. A quindici anni dalla morte evidentemente la demolizione della reputazione di questo martire dell'antimafia non è ancora finita. Nando dalla Chiesa, presente al dibattito, gli ha risposto: "difendi pure Dell'utri, ma non infangare le vittime della camorra!". Al termine della diretta, fuori dagli studi, abbiamo garbatamente chiesto a Pecorella di chiarire meglio il suo pensiero. Pecorella e la signora che l'accompagnava hanno inveito contro di noi, la signora ci ha detto di "andare a chiedere queste cose a Saviano", ci ha dato dei "poveracci" e dei "cretini", ha detto che Gaetano "fa l'avvocato, mica il contabile, e difende chi vuole". Gaetano ha chiuso il discorso con una manata sulla telecamerina accesa. Il giorno dopo ci ha querelati per violazione della privacy! Tre giorni dopo alle 6,30 del mattino io (Dario) ho ricevuto la visita di tre poliziotti (la pattuglia era guidata dall'ispettore capo Vincenzo Calabrese) con un mandato di perquisizione (firmato a tempo di record dal pubblico ministero di Milano Sandro Raimondi). Avevano l'ordine di sequestrare la cassetta. Lo stesso giorno il comando dei carabinieri di Vimodrone ha convocato me (Alessandro) per notificarmi l'indagine in corso a mio carico per la medesima ipotesi di reato: concorso in violazione della privacy di Gateano Pecorella.Insomma, tira davvero una brutta aria per la libertà di espressione (e per la credibilità delle istituzioni). Certo è che noi non abbiamo fatto nulla di male e non ci lasceremo intimidire.

Un caro saluto, Dario Parazzoli, Alessandro Didoni."

Nando Dalla Chiesa, Piero Ricca e Beppe Grillo ne hanno parlato sui loro blog:
nandodallachiesa.it
pieroricca.org
beppegrillo.it

http://www.antimafiaduemila.com/content/view/18310/78/

mercoledì 29 luglio 2009

Massimo Ciancimino: ''Ho paura di essere ucciso''

di Giorgio Bongiovanni e Silvia Cordella - 28 luglio 2009

L’inaspettato intervento del capo dei capi Totò Riina su una trattativa che si concluse con la sua cattura. Il brulicare crescente di informazioni che i politici, non si sa bene perché, iniziano a dare solo oggi, dopo l’annuncio di Massimo Ciancimino (che parla invece ai magistrati da più di un anno) di consegnare ai pm di Palermo: il sostituto Nino Di Matteo e l’aggiunto Antonio Ingroia, i documenti del padre con il famoso “papello”. Il foglio scritto da Riina, o per sua interposta persona, con le sue richieste allo Stato in cambio della fine delle bombe del ‘92. Un susseguirsi di notizie, dichiarazioni, colpi di scena che stanno creando fermento intorno al coinvolgimento di apparati istituzionali nella trattativa avviata nel 1992 tra lo Stato e Cosa Nostra e il ruolo di questi nella strage di via Mariano d’Amelio. Un capitolo che vede al centro Massimo Ciancimino il quale continua a mantenere fede alla sua promessa di dire la verità. Una verità che - ci ha subito confessato durante il nostro recente incontro - lo sta esponendo a ritorsioni di ogni genere e tipo. Tanto che è stato costretto a traslocare in un albergo dove vive barricato in una stanza. Non molto tempo fa il comitato per l’ordine e la sicurezza gli aveva affidato una tutela richiesta dalla Procura della Repubblica di Bologna costituita da due uomini in borghese che lo accompagnano nei suoi spostamenti. Una protezione comunque superficiale, certamente non all’altezza della portata delle dichiarazioni del figlio dell’ex sindaco di Palermo che, “riconoscendo lo sforzo” dei suoi “protettori”, noleggerà una macchina blindata: “Devo proteggere mia moglie e mio figlio quando viaggio con loro”.E ancora, fortemente preoccupato, ci dice: “Temo di non arrivare al processo Dell’Utri”. Un processo in cui in tutta probabilità (i giudici si sono riservati di decidere) sarà chiamato a deporre il 17 settembre prossimo. Il timore di Massimo Ciancimino non è dovuto alla sua ansia, né al suo protagonismo, nasce invece da altre forme di minacce ricevute da soggetti neppure troppo anonimi. Ma di questo lui non vuole parlare. Ci sono in gioco interessi troppo alti che non devono essere toccati. Di recente rispondendo alle domande dei pm aveva detto “è un gioco più grande di me”. Ci sono equilibri che destabilizzerebbero l’attuale potere politico, nato proprio in quegli anni di stragi e contrattazioni, quando l’era di “Tangentopoli” aveva rastrellato i vecchi partiti storici collusi e corrotti. Fu lì che Cosa Nostra sferrò il suo attacco allo Stato per dare un segnale a quella certa classe politica che non era riuscita a garantire a dovere alcune promesse. Per questo venne ucciso Lima poi Falcone. Ma lo Stato invece di mostrare il suo pugno di ferro intavolò quella che per tutti è diventata la “Trattativa”. Quel dialogo tra mafia e istituzioni che in realtà, secondo la testimonianza di Ciancimino junior, ebbe tre fasi. La prima. Quella che - a differenza di quanto sostiene oggi l’on. Mancino – venne avviata dal Ros, quando a fine giugno ’92 il capitano De Donno contattò, durante un viaggio aereo Palermo – Roma, Massimo Ciancimino per chiedergli di convincere suo padre a incontrare il gen. Mario Mori e poter effettuare uno scambio con Riina. Lo svolgimento di questa prima fase lo si conosce dalle varie ricostruzioni processuali. Vito Ciancimino si rese disponibile sperando di poter ottenere qualche beneficio per la sua detenzione e lo stesso Riina accettò di buon grado quel primo passo. Da lì la sua frase “si sono fatti sotto” e la realizzazione di un “papello” pieno di richieste che lo stesso Sindaco di Palermo aveva ritenuto inaccettabili.Ed è proprio in questo momento che qualcuno, in alto, molto probabilmente all’interno dei servizi o per mandato dei cosiddetti poteri forti, convinse Riina ad accelerare i tempi e mettere a punto la strage di Via d’Amelio. Per sbloccare il dialogo e per eliminare un ostacolo scomodo e pericoloso: Paolo Borsellino.La seconda fase della trattativa è quella dell’autunno ’92 che vide subentrare Provenzano, finora rimasto spettatore. Binnu, riprendendo in segreto il dialogo con i carabinieri attraverso Vito Ciancimino, condusse questa parte di trattativa facendo di Riina il suo oggetto di scambio.Chi in effetti avrebbe potuto rivelare a Vito Ciancimino il nascondiglio del padrino che egli stesso indica nelle mappe di Palermo procurate dai Carabinieri?Il capo dei corleonesi venne così catturato, in cambio di nuovi accordi, nel gennaio del ’93 ma, nonostante il Ros avesse individuato il covo (nel quale avrebbe potuto trovare documentazione importantissima) i carabinieri guidati da Mori trascurarono la casa di via Bernini, rimasta priva di sorveglianza per 18 giorni. Il tempo sufficiente agli uomini di Cosa Nostra per ripulire la villa di ogni carteggio compromettente e per trasferire la famiglia del capomafia a Corleone.Di qui sarebbe poi partita anche una terza trattativa: quella che ha visto Provenzano scavalcare anche Vito Ciancimino nei rapporti con le istituzioni.Il Ragioniere di Cosa Nostra infatti era in cerca di referenti politici in grado di garantirgli impunità e agevolazioni legislative per quella che sarà la nuova mafia del dopo stragi. Interlocutori credibili che secondo i collaboratori di giustizia più accreditati, come Nino Giuffé, Provenzano trova nel nascente partito politico di Forza Italia cui sarebbe giunto, tramite Marcello Dell’Utri, già vecchio amico di Cosa Nostra sin dagli anni Settanta. (Infatti molti collaboratori di giustizia hanno dichiarato che Dell'Utri è amico di Cosa Nostra sin dai tempi di Stefano Bontade e Vittorio Mangano, il famoso stalliere di Berlusconi. Ma è soprattutto Salvatore Cancemi, ex membro della Cupola e ora collaboratore di giustizia, che ascolta, nel 1991 da Riina in persona, le seguenti parole: “Berlusconi e Dell'Utri sono nelle mie mani e questo è un bene per tutta Cosa Nostra).Per la Cosa Nuova il vecchio sindaco risultava infatti già troppo compromesso.Don Vito venne così arrestato a dicembre del ’92 ma non smetterà comunque di essere il consigliere di Provenzano che incontrerà nella sua casa di Roma fino al 2002, durante gli arresti domiciliari. Infatti il nuovo capo di Cosa Nostra è a lui che si rivolgerà per un suggerimento quando nel 1994 dovrà recapitare la lettera con le minacce al neo eletto Silvio Berlusconi tramite Dell’Utri. Intimidazioni preventive che Cosa Nostra invia al Presidente del Consiglio per ricordargli “chi comanda” e che “ci sono dei doveri da rispettare”. La lettera – così come ha raccontato Massimo Ciancimino ai giudici – era stata consegnata nelle sue mani nella casa di Pino Lipari a San Vito Lo Capo, in presenza dello stesso Lipari e Provenzano. Il compito di Ciancimino jr era dunque quello di farla arrivare a suo padre, all’epoca detenuto a Rebibbia affinché esprimesse il suo parere. Una missiva che era rimasta ai Ciancimino mentre un’altra uguale faceva il suo corso fino a giungere al destinatario finale. Una ricostruzione questa che completa le tesi espresse da diversi collaboratori di giustizia sentiti in tutti questi anni dalle varie Procure e le ipotesi investigative sulle stragi del ’92-’93 le quali più volte si sono fermate, per mancanza di riscontri o per scadenza dei tempi di indagine, al filone delle responsabilità politiche e istituzionali sulle stragi in un periodo che ha segnato il passaggio tra la prima e la seconda repubblica italiana. Restano da capire alcuni punti che il figlio più piccolo di don Vito ci auguriamo potrà chiarire in dibattimento, con un confronto aperto, se i giudici lo riterranno opportuno, con i signori Riina, Cinà o Provenzano. Il capo dei capi intanto, a sorpresa, ha espresso la sua opinione, a modo suo, negando la prima trattativa, quella portata avanti da lui stesso e chiarendo di essere stato venduto da un accordo segreto tra lo Stato e Vito Ciancimino. “Riina discolpandosi dalla strage di via d’Amelio – ha affermato Ciancimino - implicitamente sostiene per la prima volta il suo ruolo in Cosa Nostra e non citando la strage di Capaci non nega di avervi partecipato”. Dunque Riina non parla a caso, le sue accuse tuonano come messaggi: “io non c’entro con la morte di Borsellino” ha detto, “l’hanno ammazzato loro”. La domanda è: loro chi? A chi Riina sta mandando i suoi avvertimenti? E perché alcuni personaggi protagonisti della politica solo oggi rispondono e, molto parzialmente, a domande che avrebbero dovuto avere risposte esaustive subito dopo le stragi?

http://www.antimafiaduemila.com/content/view/18224/48/

martedì 28 luglio 2009

Un cono di pochi metri invece dei piloni: ecco l'eolico senza pale.



Una alternativa ai contestati aerogeneratori: test in Italia.

«Sarà anche più efficiente»
È un prototipo, ancora per pochissimo però, perché la fase sperimentale è quasi conclusa. Secondo gli esperti, «Tornado», primo esempio di «eolico senza pale», entro pochi mesi potrà essere installato, funzionare perfettamente anche in zone dove il vento è debole (anche 2 metri al secondo) e diventare un'alternativa ai contestati aerogeneratori, le grandi pale cattura energia dal vento che stanno provocando reazioni contrapposte tra ambientalisti, paesaggisti e imprenditori. Un comune toscano, Volterra, ha addirittura proibito la loro installazione per non deturpare il paesaggio del borgo.
Il disegno del «Tornado Like»TRE METRI DI ALTEZZA - «Tornado Like», progettato da un gruppo di ingegneri russi e ingegnerizzato dalla «Western co», società di San Benedetto del Tronto specializzata nelle tecnologie rinnovabili, è stato presentato a Firenze durante «Lavori verdi», summit sull'energia alternativa voluto dal leader dei Verdi toscani Fabio Roggiolani e al quale hanno partecipato esperti da tutta Europa. La macchina, che ricorda un cono, ha il vantaggio di non avere le pale e dunque di poter essere mimetizzata molto meglio nell’ambiente. Un aerogeneratore raggiunge in media i venti, trenta metri, «Tornado» non supera i due tre metri e in futuro sarà ancor più miniaturizzato. «Funziona ovunque anche dove non c'è troppo vento – spiega Roggiolani – perché è in grado di accelerare l’aria e di creare un effetto tornado ottimo per muovere le turbine e produrre energia». La resa energetica è superiore a quella di un normale aerogeneratore e il costo inferiore al 30%. Come funziona? «L'aria penetra dalla base del cono – risponde Giovanni Cimini, presidente della Western co – e dentro la macchina il flusso viene trasformato in un vortice fino a quando, potentissimo, raggiunge la sommità del dispositivo dove si trovano le turbine per generare l'energia elettrica».
PRIME MACCHINE DAL 2010 - I test saranno effettuati da un consorzio di aziende hi-tech toscane e marchigiane in collaborazione con l'Università delle Marche e il Cnr di Firenze. Un primo impianto sarà installato nel Parco dei Monti Sibillini. Poi si passerà alla produzione. «Contiamo di costruire le prime macchine dopo il primo semestre 2010», annuncia Cimini. Ma le meraviglie tecnologiche verdi non finiscono qui. Sempre al summit di Firenze sono stati presentati sistemi per catturare energia dall'ambiente senza inquinare. Come la piattaforma meccanica e chimica, messa a punto dall’ingegner Alessio Cianchi (Officine Berti), capace di sfruttare la cavitazione e la luminescenza dell'acquae trasformarla in energia. E ancora le «nuove molecole fotovoltaiche» presentate dal Laboratorio europeo di spettrofotometria non lineare dell’Università di Firenze in grado, in un futuro molto prossimo, di centuplicare la potenza di un pannello fotovoltaico. Quasi fantascientifica la ricerca del dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Pisa. I professori Paolo Fulignati e Alessandro Sbrana hanno presentato alcuni impianti «a ciclo binario» capaci di trasformare il calore del sottosuolo in energia elettrica senza estrarre alcun fluido dalla falda.


Inoltre:

lunedì 27 luglio 2009

Libertà di stampa: Italia in serie C.


di Giuseppe Giulietti

Sembrava un’impresa quasi impossibile: l’Italia berlusconiana ha finalmente conquistato un record, anche se negativo ed è quello relativo alla libertà d’informazione e alla libertà del mercato dei media. Oggi, infatti, è il 3 maggio e, come ogni anno, l’Onu dedica questa giornata a un bene prezioso e troppo spesso oltraggiato in giro per il pianeta: la libera circolazione delle idee e delle opinioni, la possibilità di accedere alla conoscenza e alla informazione.
Come ogni anno, di questi tempi, una grande e libera associazione americana la Freedom House ha pubblicato il suo rapporto annuale. Nell’ultimo rapporto l’Italia aveva conquistato il settantasettesimo posto, maglia nera in Europa: sembrava impossibile far peggio, invece no! Nel rapporto di quest’anno l’Italia è riuscita a «conquistare» la settantanovesima posizione. Basta leggere il rapporto per comprendere come Freedom House non faccia sconti a nessuno. Le situazioni di Cuba, della Cina, dell’Iran, della Russia, di tanti altri Paesi del sud del mondo, sono descritte in modo implacabile, a prescindere dai regimi. La stella polare di questa organizzazione, infatti, è rappresentata dalla cultura dei diritti civili e della libertà dei mercati. Il giudizio negativo sull’Italia non deriva da avversione ideologica, né da pregiudizio anti-berlusconiano, ma dalla fredda valutazione della anomalia italiana, parte della quale e persino preesistente al governo della destra. In particolare è il tema dell’irrisolto conflitto di interessi a destare l’attenzione preoccupata degli estensori di questo rapporto. La commissione tra politica, affari e media determina così l’inevitabile crollo dell’Italia nella classifica generale. L’ulteriore chiusura del mercato e della raccolta pubblicitaria, determinata anche dall’approvazione della legge Gasparri, ha consolidato una situazione che attualmente assegna all’Italia il poco invidiabile primato della nazione come il più alto tasso di concentrazione delle risorse pubblicitarie attorno a due aziende, Mediaset e Rai. L’anomalia italiana, in questo ultimo anno, è stata aggravata dal fatto che il governo presieduto dal medesimo berlusconi abbia persino nominato parte del Consiglio di amministrazione dell’azienda pubblica. Queste scelte non sembrano affatto normali al di fuori dei nostri confini. Come se non bastasse, almeno fino a qualche giorno fa, non erano ancora tornati in tv quanti erano stati cacciati in seguito a un pubblico comando impartito dall’ex presidente del Consiglio ed immediatamente eseguito dalla dirigenza della Rai di allora.Il rapporto, infine, fa anche riferimento al controllo politico della Rai (e qui la colpa non è certo del solo Berlusconi), al ruolo delle autorità di garanzia, al rapporto tra giustizia e informazione, al carcere per i cronisti, alla scarsa attenzione spesso prestata da tutti noi a quel vasto mondo di editori, di autori e di produttori che non è stato messo in condizioni di crescere dentro la palude del conflitto di interessi e del duopolio. Non limitiamoci, dunque, a leggere questo rapporto con le sole lenti dell’anti-berlusconismo, ma assumiamolo, insieme a tante altre sollecitazioni, come uno stimolo a fare meglio, come un pungolo a noi stessi, affinché, nei prossimi cinque anni, ogni anno si possa celebrare con dignità la festa del 3 maggio e attendere con crescente fiducia il rapporto di Freedom House.

*tratto da L'Unità di oggi.
http://www.articolo21.info/

domenica 26 luglio 2009

„Berlusconi crede lui stesso alle sue bugie“

Articolo di , pubblicato domenica 5 luglio 2009 in Germania.
[Der Tagesspiegel]

…e questo è un notevole strumento di potere, dice Alexander Stille a riguardo del premier. Perché gli italiani continuano ancora a votarlo nonostante tutti i suoi scandali (sessuali).
Alexander Stille, 52 anni, autore di una biografia molto apprezzata intitolata “Citizen Berlusconi”, è professore di giornalismo alla Columbia University. Negli ultimi mesi il giornalista americano ha vissuto a Roma. Tra le altre cose scrive per la rivista “New Yorker”; suo padre era caporedattore del “Corriere della Sera”, il più grande quotidiano italiano.
Signor Stille, la “Süddeutsche Zeitung” ha di recente descritto un capo di stato come un “dittatore disperato” che è “fuori di testa, eccentrico” e desta “voglie voyeuristiche”. Lo riconosce?
Silvio Berlusconi? Potrebbe essere lui. O mi sta forse prendendo in giro?
Si stava parlando del nordcoreano Kim Jong-Il.
Oh! L’aspetto voyeuristico calza perfettamente. Ma Berlusconi non è un dittatore disperato. È atipico come figura politica, perché propone la sua vita e il suo stile di vita invece di un programma politico. Donne, feste, ville sono il sogno di molti italiani e questo lo rende così interessante. È importante dire che lui ha cambiato la cultura del paese prima di cambiarne la politica. Ha portato in Italia la televisione privata, ha inondato il paese di serie televisive che hanno per protagonisti gente ricca e famosa e ha celebrato il successo materiale.
La trasmissione “Tutti Frutti” su RTL, questo è stato Berlusconi.
Sì, la trasmissione si chiamava nella versione originale “Colpo Grosso”. Questo è stato il grande contributo di Silvio Berlusconi alla cultura mondiale.
Altri paesi sono sopravvissuti abbastanza bene a trasmissioni come questa.
Fino agli anni ’80 l’Italia è stata caratterizzata da due culture molto intransigenti, la chiesa cattolica e il partito comunista. Si era puritani e si usava il denaro con parsimonia. Poi è venuta l’ideologia del successo, con Ronald Reagan negli USA, con Maggie Thatcher in Inghilterra: Berlusconi non ha fatto altro che importare questa ideologia in Italia.
Umberto Eco parla di un “colpo di stato strisciante”. Come vede Lei l’Italia da quando Berlusconi nel 1994 è diventato per la prima volta presidente del consiglio?
Lui ha creato un sistema del tutto nuovo, né democrazia né dittatura. È una specie di democrazia plebiscitaria: viene eletto un uomo forte che non si preoccupa per nulla né del parlamento né del capo dello stato. Ma quello che è sempre più sconvolgente è che lui governa a forza di decreti legislativi. La costituzione glielo permette. A cosa servono ancora i dibattiti in parlamento? Berlusconi dice che è inutile chiamare a raccolta 600 parlamentari per le votazioni, basterebbero i capi di partito. Di fatto egli ritiene di non aver bisogno del parlamento.
Per gli intellettuali non è un compito facile trovare un concetto che possa descrivere questa situazione. Massimo Giannini, giornalista de “la Repubblica”, ritiene che “l’obiettivo di Berlusconi non è una dittatura nel senso classico del termine, ma piuttosto una moderna forma di ‘totalitarismo’ post-ideologico”.
Questa opinione si avvicina molto alla mia. Berlusconi non ha un’idea di società, non ha una organica visione del mondo, questo lo distingue dai fascisti. A lui basta credere di essere la mente più brillante del paese, la persona più creativa e straordinaria che l’Italia abbia generato negli ultimi anni.
Un Leonardo da Vinci per il nuovo millennio.
Da Vinci non avrebbe mai potuto essere a capo del governo, perché era gay.
Berlusconi dice addirittura di essere il “Gesù Cristo della politica”. Pensa che quest’uomo sia matto?
È un megalomane. È affetto da una estrema forma di narcisismo. È interessante considerare che uomini con un simile difetto incorrono spesso in errori, perché sottovalutano i loro avversari. Pensano che il mondo giri intorno a loro, quando in realtà non è così. Anche Berlusconi crede che il mondo giri intorno a lui, ma la cosa strana è che questo accade veramente! Ha plasmato la realtà italiana a tal punto che essa ogni giorno gli offre un ulteriore conferma di questo. Ma non appena lascia questa realtà e va all’estero resta esterrefatto: quello che in patria viene applaudito, diventa improvvisamente motivo d’imbarazzo! Il narcisista non riesce a capirlo.
Come viene visto negli USA?
Non viene preso sul serio. Tiene un discorso a Wall Street e vuole attirare investitori in Italia. Lo fa con le seguenti parole: “Venite, noi abbiamo le segretarie più carine del mondo”. Negli Stati Uniti un’atteggiamento del genere è considerato discriminazione sessuale. Non funziona proprio per niente.
Con Berlusconi c’è stata un’amnistia generale per chi delinque, politici di rilievo godono ora dell’immunità, le leggi sui mezzi di comunicazione sono state smantellate… Qual è stato finora il suo colpo grosso?
Indiscutibilmente il primo, ovvero entrare in politica. Nell’estate del 1993 è a capo di un impero mediatico sommerso dai debiti. Il suo più influente alleato, il socialista Bettino Craxi, viene accusato di corruzione e perde la sua influenza. I comunisti possono vincere le successive elezioni. Il centro-sinistra vuole togliere a Berlusconi una delle sue tre emittenti. Tutto il suo impero minaccia di sgretolarsi. È a questo punto che Berlusconi ha la folle idea di batterli tutti. E ci riesce. Poco prima è quasi sul lastrico, poco dopo è il presidente del consiglio e l’uomo più ricco d’Italia.
Riteneva possibile che questo potesse succedere?
Conosco l’azione dei media e sapevo quanto era potente. Non l’ho mai sottovalutato. È veramente un peccato che allora si sia persa un’occasione storica. Fino ad allora il sistema politico italiano era condizionato dalla guerra fredda e caratterizzato dalla corruzione. C’era la speranza che potessero sorgere dei partiti conservatori e dei partiti di sinistra normali, che si alternassero al potere come in altri paesi. C’era il movimento di “mani pulite”…
…e “mani pulite” significa indagini per la lotta alla corruzione…
…quasi tutti i politici infatti, questo emerse, erano coinvolti nella corruzione. E un sano sconvolgimento dell’ordine politico avrebbe fatto bene all’Italia. L’Italia sarebbe potuta diventare una società più civile. Per me era evidente che i processi contro la corruzione e Berlusconi erano due treni che correvano in direzioni opposte e che ci sarebbe stata una spaventosa collisione. La vittoria di Berlusconi ha distrutto ogni speranza.
Lei ha incontrato Berlusconi personalmente nel corso del suo primo governo. Lui deve essere – così dicono in molti – incredibilmente carismatico.
Per me non ha nessun fascino. Non ho ancora incontrato nessuno che in un così breve lasso di tempo ha detto così tante bugie. Lui mi disse personalmente: “Io non farei mai nulla che possa favorire le mie aziende mediatiche”. Io adducevo i fatti che lo smentivano: lui negava semplicemente tutto. Tuttavia si irritò un po’. Non ama essere contraddetto. Non è in grado di condurre una conversazione, nel senso proprio del termine: non reagisce alle domande. Tiene volentieri dei discorsi che fanno sognare le persone. Ha il talento di raccontare favole.
Lo scrittore F. C. Delius, nato a Roma, crede che Berlusconi sia facile da interpretare: “Quasi sempre è vero esattamente il contrario di quello che sostiene”. È veramente così semplice?
I politici mentono continuamente. Ma ciò che colpisce delle sue bugie è la convinzione con cui le racconta: lui stesso ci crede. Questo è un notevole strumento di potere. Tutti noi tendiamo a riporre fiducia in chi guarda qualcuno negli occhi e dice: “Giuro sulla vita dei miei figli che non ho mai violato una legge”. Affermazioni del genere sconcertano anche degli addetti ai lavori, ti chiedi se alcuni dei tuoi dati possano essere sbagliati.
E cosa successe dopo?
Lo incalzai con la questione del conflitto di interessi: essere capo del governo e allo stesso tempo padrone di un impero commerciale è impossibile in stati con governi democratici. Lui mi disse di aver ottenuto tutto in questo paese e che avrebbe voluto ricambiarlo in qualche modo. Alla lettera disse: “So creare, so comandare, so farmi amare”. Io pensai solamente: “È pazzo!”.
È scaltro! Berlusconi è stato imputato in 17 procedimenti penali: corruzione di giudici, spergiuro, evasione fiscale, falso in bilancio, concorso in associazione mafiosa… È uscito indenne da tutto questo.
I potenti in Italia non vanno in carcere. Un esempio: i testimoni non sono tenuti a fare dichiarazioni davanti al giudice, anche se hanno fatto precedentemente delle dichiarazioni scritte. Devono solo arrivare per tempo i soldi per i testimoni e il capo d’accusa cade. Un altro esempio è la prescrizione. Supponiamo che il signor B. ha corrotto qualcuno nel 1995 e che per questo reato il termine di prescrizione sia fissato a dieci anni. In ogni paese la prescrizione non può essere applicata se il processo inizia nel 2000. In Italia è diverso. Berlusconi assume un esercito di avvocati per prolungare il processo di ulteriori cinque anni e così non può essere condannato. Il sistema giudiziario italiano è un relitto.
Uno studio della Banca Mondiale del 2009 sulle condizioni contrattuali attesta che la giustizia italiana offre agli investitori meno tutela che quella del Mozambico; impugnare un contratto in Italia è più difficile che in Colombia.
Purtroppo è vero e per l’economia è fatale. L’ho sperimentato in prima persone e non sono certo un caso isolato. Da un mio libro su una famiglia di ebrei vissuta durante il fascismo è stato tratto un film, per contratto mi spettavano 120.000 euro, una grossa somma per un autore. Ho ricevuto la prima di cinque rate, nient’altro. Hanno temporeggiato per anni, ora il caso verrà discusso in tribunale. Il tempo medio per un processo è in Italia di dieci anni. Dieci anni! È un invito a violare la legge. Ad oggi ci sono in Italia cinque milioni di procedimenti penali pendenti …
L’Italia era una tra le più importanti nazioni industrializzate, oggi è diventata il fanalino di coda dell’economia europea. Non verrà a dirmi che la colpa è tutta di Berlusconi.
No. Questo problema si è creato in un lungo lasso di tempo. Né la sinistra né i conservatori hanno avuto il coraggio di fare delle vere riforme. Comunque la sinistra ha alzato leggermente le tasse, per consolidare il bilancio; ha varato una legge contro le case edificate abusivamente, questione che in Italia costituisce un grande problema. La sinistra ha anche combattuto con maggior determinazione l’evasione fiscale. L’Italia ha il maggior numero di piccole imprese al mondo; in base alle stime sarebbero tra i tre e i cinque milioni le imprese con meno di cinque dipendenti. E cos’ha fatto Berlusconi, quando è arrivato al potere? È stata varata un’amnistia per tutti gli evasori fiscali. Il messaggio era chiaro: chi paga le tasse è proprio un imbecille. Che razza di segnale è questo per i cittadini?
Berlusconi, a quanto pare, ne capisce molto di economia. Dopo solo dodici anni in politica il suo capitale privato si è triplicato, secondo “Forbes” [famosa rivista economica staunitense, NdT] è cresciuto in un solo anno di quattro miliardi di dollari. Questo è sicuramente…
Un momento! Lui è un monopolista. Non si deve essere particolarmente intelligenti per far soldi con la televisione. Nelle sue tasche confluisce il 60% dell’intero mercato pubblicitario, così senza far nulla. Ogni azienda deve comparire in televisione con i suoi prodotti. E la sua più grande concorrente, la televisione di stato RAI, non è una vera concorrente per lui. Consideri la questione dei diritti di trasmissione relativi ai campionati del mondo di calcio. RAI fa una debole offerta, l’azienda di Berlusconi ne fa una leggermente migliore e se li aggiudica. Con la televisione Berlusconi è come se possedesse una sua personale tipografia per la stampa di banconote. Solo un idiota non riuscirebbe ad arricchirsi in questo modo.
La sua potenza mediatica non può essere così onnipotente. Quando la moglie di Berlusconi, Veronica Lario, ha richiesto il divorzio a causa delle sue avventure galanti, ha avuto abbondante risonanza sui giornali.
Sì, sul quotidiano “La Repubblica”. Questo è l’unico grosso giornale sul quale non ha influenza e lui può ignorarlo, perché i suoi lettori non lo voterebbero mai. Il “Corriere della Sera” invece…
… un giornale di Milano, che è il più grande quotidiano d’Italia …
… è conservatore: questi lettori sono molto importanti per lui. Si dice che il “Corriere” sia indipendente. Ma già dopo la sua elezione nel 1994 Berlusconi mandò in redazione una sua dipendente, che si occupava della sua immagine, e pretese che si cercassero in archivio foto per lui svantaggiose e che venissero portate via. Le è stato possibile farlo, con il permesso dei proprietari.
Perché è stata tollerata una tale sfrontatezza?
Per paura. Il “Corriere” è controllato da un consorzio di importanti aziende. Tutte fanno grossi affari con lo stato. Fiat può permettersi di avere un capo del governo che gli sia avverso? No. Anche il capo della Pirelli era coproprietario del quotidiano. Il più grande produttore di pneumatici italiano può inimicarsi lo stato? No. In RAI le cose funzionano in maniera analoga. I vecchi tempi non erano idillici, ma a posteriori sembrano essere tempi d’oro. Le tre reti televisive erano controllate dai partiti, per il telegiornale della sera i redattori sedevano davanti ad un cronometro e si accertavano che il tempo di trasmissione fosse suddiviso equamente tra le parti. È un sistema rozzo e di certo non è l’ideale per dei giornalisti. Ma garantiva un certo pluralismo.
Il presidente del consiglio non ha certo cambiato tutti i redattori. Perché questi dovrebbero scrivere su di lui senza spirito critico?
La cosa triste è che lo fanno volontariamente. Chi ha accettatto che la politica controlli la televisione, sa istintivamente chi deve servire. Berlusconi afferma volentieri che in RAI ci sono molti più giornalisti di sinistra che di destra e ha pienamente ragione. Stavo parlando proprio ora con un redattore RAI di quando Air France, l’anno scorso, voleva comprare la compagnia aerea Alitalia e Berlusconi pose il suo veto. Air France aveva offerto di accollarsi tutti i debiti. Ora sono i contribuenti italiani che devono farlo. Al redattore ho chiesto perché nessun giornale mette a confronto questi dati? Sarebbe così evidente che questo accordo è stato svantaggioso per l’Italia. Io dicevo: “Dopotutto Lei lavora per un importante telegiornale, perché non lo fa?”. Lui dice che la risposta è lampante, sarebbe confinato per i prossimi vent’anni nel reparto videoregistrazioni. Negli scantinati della RAI ci sono centinaia di giornalisti stipendiati a tempo pieno che si girano i pollici. Confrontare semplicemente i fatti, questa elementare forma di giornalismo non esiste più in Italia. Quasi l’80% degli Italiani si informano esclusivamente tramite la televisione e Berlusconi controlla le sei grandi reti televisive del paese. Questo è potere.
Nel suo bilancio di governo c’è comunque di positivo che l’immondizia da Napoli è sparita.
Che l’immondizia a Napoli non ci sia più, questo è vero. Che il problema sia stato risolto alla base, ne dubito. In questo periodo si ammassa immmondizia nella città di Palermo. La politica di Berlusconi è sensazionalismo da fotografia. Manda i militari a Napoli, lascia che si metta un po’ d’ordine, si mette in posa per un paio di minuti e si fa scattare delle fantastiche foto: Silvio, il salvatore. Perché il vertice del G-8 d’improvviso è stato spostato in Abruzzo? Immaginatevi le foto che gireranno per tutto il mondo: Berlusconi con Obama, Brown, Merkel … in una regione distrutta dal terremoto, così l’uomo dei miracoli aiuta la povera gente! Temo che anche nel prossimo inverno non avranno ancora delle case in cui abitare. È puro spettacolo!
Berlusconi si vanta della sua potenza sessuale, si definisce orgogliosamente come “ben dotato”, regala brillanti a giovani donne e si dà tono con la sua infedeltà coniugale. È questo machismo ad essere votato?
Purtroppo c’è qualcosa di vero in questo. Il movimento femminista attivo negli anni ’80 è scomparso. In Italia si accetta di buon grado che un deputato in una manifestazione politica dica di volersi sedere dove ci sono le ragazze più carine. Per questo il paese ha la più bassa percentuale di donne della popolazione lavorativa europea. Degli studi affermano che le economie funzionano peggio senza donne.
La diciottenne Noemi Letizia che Berlusconi ha portato già giovanissima al centro delle cronache ci mostra lo stato in cui versa la politica italiana. Ha dichiarato: “Voglio diventare showgirl. Ma mi interessa anche la politica. Sono flessibile. Ci penserà papi Silvio.”
Nel 2006 Berlusconi ha modificato la legge elettorale. Gli Italiani non votano più per dei candidati, ma soltanto per dei partiti. I loro dirigenti possono scegliere chi va in parlamento. E se il parlamento non viene preso più sul sero, perché non portarsi in parlamento l’amichetta, il cuoco di fiducia, il nipote del proprio medico? Questa è solo una naturale conseguenza.
Il quotidiano tedesco “FAZ” descrive così la situazione: “Mentre la sinistra si è politicamente suicidata e lui, da premier, domina il paese a suo piacimento, l’ultimo suo avversario ancora da prendere sul serio è l’ex-moglie Veronica Lario.” La messinscena che si è creata intorno al suo divorzio può diventare pericolosa per Berlusconi?
Passerà. Alla maggior parte degli Italiani non interessa questa faccenda. Lui ha fatto cose più gravi dal punto di vista morale – come far corrompere dei giudici – senza che la sua popolarità ne abbia sofferto. Ieri ho dovuto far la coda in una banca qui a Roma e davanti a me c’erano quattro italiane che aspettavano. Chiacchieravano sulle avventure galanti di Berlusconi e trovavano nauseante che quelli di sinistra tentassero di farne uno scandalo: si tratterebbe infatti soltanto di una sua faccenda privata. Mi sono intromesso nella conversazione e ho detto: “Perdonatemi, ma se un politico porta la sua amante in parlamento, questo è un atto politico.” Hanno solo fatto cenno di no con la mano.
La lettura dei giornali italiani è divertente in questo periodo. Troviamo foto piccanti di una festa nella villa in Sardegna di Berlusconi, la stampa internazionale scrive a riguardo e il premier grida ad una congiura di sinistra. Ma lui crede sul serio che testate come “El Pais”, il “FAZ” e il “Times” siano guidate da un orientamento comunista?
Una volta sono stato ad una manifestazione politica di Berlusconi durante la quale lui diceva: “Se si ripete una menzogna abbastanza spesso diventa prima o poi verità”. Questo è un credo abbastanza raccapricciante a cui lui fa seguire i fatti. Ripete ossessivamente “pubblici ministero di sinistra, mass-media comunisti, pubblici ministero di sinistra, mass-media comunisti…” Se poi in un giornale britannico viene pubblicato qualcosa di critico nei suoi confronti Berlusconi e i suoi seguaci gridano subito al complotto!
Non è tuttavia facilmente comprensibile perché gli Italiani continuino ancora a votarlo. Si nasconde dietro una colonna e quando Angela Merkel arriva, salta fuori ed esclama: “Cucù!”
Questo può sucitare reazioni di biasimo all’estero, ma non qui in Italia. Le posso spiegare perché. La formula del successo di Berlusconi è la seguente: io non sono un vero politico. Lui lo dice anche nei suoi discorsi: voi odiate i politici e anch’io li odio, io sono uno di voi! I politici seguono convenzioni, si attengono al protocollo diplomatico, si mettono in fila sull’attenti e si fanno fotografare. Berlusconi, invece, fa gesti stupidi dietro le loro spalle. Si comporta come una persona normale, non come un uomo di stato. Racconta barzellette sul sesso e usa la gestualità dell’italiano medio. Di cosa si parla in un bar in Italia? Di donne e calcio. Berlusconi parla di donne e calcio. In questo consiste il suo fascino: questo populismo che travalica le divisioni tra le classi sociali. Per l’uomo più ricco di una nazione dovrebbe essere difficile ottenere voti dalla classe dei lavoratori. Berlusconi ci riesce.
Il settimanale tedesco “Spiegel” ha azzardato un pronostico: “Nonostante tutti gli scandali il milionario dei mass-media ha tutte le carte per rimanere al potere ancora a lungo.”
Sì, scommetterei molti soldi su questo pronostico.
Gli scandali sono senza fine. Ora ci sono prostitute come Patrizia D’Addario che raccontano di storie intime con dettagli piccanti.
È sempre più fuori controllo, questo è vero e allo stesso tempo paradossale: lui possiede infatti il potere assoluto. Ha la maggioranza in entrambe le camere, può varare ogni tipo di legge. Sembra quasi essere affetto da un delirio d’onnipotenza. È sempre in forma perfetta, se si tratta di sbaragliare gli avversari: ma lui non ha più avversari.
Il partito di Berlusconi si chiama oggi “Popolo della libertà” ed è piuttosto il suo fanclub personale che non un partito politico con una sua tradizione. Tutto è concentrato su di lui, un uomo di 72 anni. Cosa può succedere dopo questa legislatura?
Uno scenario possibile è questo: modifica la costituzione in modo che al presidente siano conferiti maggiori poteri e poi si fa insediare per altri sette anni come capo dello stato. Ma questa carica richiede dignità e c’è da dubitare che gli si riconosca ancora della dignità dopo i recenti scandali sessuali. Il Berlusconi furbo che sa farsi valere è stato ammirato dagli italiani, non è detto che debba valere la stessa cosa per un vecchio buffone accompagnato da giovani sgualdrine.
Quali sono altri scenari possibili?
Gira voce che uno dei suoi figli possa prendere il suo posto. Ci sono tante voci. Per me c’è qualcosa di veramente tragico nella condizione attuale dell’Italia: né nella sinistra né tra i politici conservatori c’è qualcuno che possa sfidarlo. Alla sua ombra non è cresciuto nessuno, neppure tra i politici conservatori. E il sistema democratico del paese è tornato indietro a decenni fa. Mi dispiace per l’Italia.
Suo figlio passa spesso a guardare, mentre procediamo con l’intervista. Lui ha quattro anni, Le piacerebbe vederlo crescere in Italia, qui a Roma?
No. Non ci sarebbero prospettive per lui. Le università funzionano come la politica: in maniera feudale. Chi può scappare, scappa. Solo all’Università della Columbia, dove anch’io insegno, ci sono tra i 60 e i 70 professori provenienti dall’Italia, prima erano soltanto due. Mio figlio deve però imparare qui la lingua italiana. Questo paese mi piace veramente tanto.

[Articolo originale "„Berlusconi glaubt seine Lügen selbst“"]

http://italiadallestero.info/archives/6716

venerdì 24 luglio 2009

enrico w., novara pubblica sul blog di Grillo.

Voglio Vivere, fino in fondo.
Bene , Male, che Importa?
A qualcuno che s'ammanta di Nulla, vuote cifre chiamate Denaro?
Quando il Liquido che Vale, si Raggruma nelle nostre Menti?
Mentire è negare a sè la Mente Propria, i suoi Anfratti, recessi, forse Lutti?
Nel ventre del Deserto Interiore, trovi sempre l'Oasi delle Beatitudini.
A riconciliarti con l'Universo.Il Dolore, l'Amore, unici Universali.
Quì si Ama, la Notte è degli Amanti!

giovedì 23 luglio 2009

Indro Montanelli

“una allarmante confusione concettuale fra Stato e governo… Alla ‘gente’ la prospettiva di sei reti televisive... che, accantonati dibattiti e risse, intonino l’osanna al nuovo regime e al suo ‘timoniere’, probabilmente piace. Lo dimostra l’indifferenza con cui il cosiddetto uomo della strada ha accolto le dichiarazioni del timoniere... Io avevo i pantaloni corti quando Matteotti fu assassinato. Ma ricordo i discorsi che la gente intorno a me faceva. Dopo sei mesi di campagne giornalistiche al calor bianco... in cui nessuno era più in grado di distinguere la verità dalle menzogne, la gente accolse con sollievo il discorso del 3 gennaio 1925 con cui Mussolini imbavagliava la stampa e annunziava la dittatura... Berlusconi non è Mussolini... Ma è proprio questo clima di facilismo, di esenzione non dai problemi (di questi ce ne sono), ma da quelle angosce esistenziali che ci rendono ricettivi ai grandi princìpi, che può spianare a Berlusconi la strada verso una ‘democrazia del balcone’. Non quello di Palazzo Venezia, che gli andrebbe troppo largo. Ma quello della Casa Rosada, che consentiva a un Perón di arringare la folla... Ce la farà perché la gente è con lui, non con noi. E quando la gente si mette dietro qualcuno, gli uomini delle ‘comunicazioni di massa’ finiscono per mettersi dietro la gente. Queste cose le abbiamo già viste all’alba della nostra vita. Mai ci saremmo aspettati di rivederle al tramonto. Ma sembra che così debba essere”

Da: http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/

mercoledì 22 luglio 2009

Luigi Amicone, uno di noi. - Di Andrea Scanzi.


Durante questa settimana non è successo molto.
Dario Franceschini si è accorto che esiste il conflitto di interessi, Debora Serracchiani si è accorta di essere la Serracchiani e Antonio Socci si è frantumato l’ulna con un piccone (per sentirsi più vicino a Papa Ratzinger).
A parte questo, la mia vita è stata illuminata da Luigi Amicone.
Quanto tempo ho sprecato. Per anni - me tapino - ho creduto di dovermi ispirare a Indro Montanelli, a Enzo Biagi, a Pio Pompa. Che stupido. Adesso so dove conduce il mio cammino: alla redazione di Tempi.
Frequentando - mio malgrado - persone come voi, giustizialiste e manichee, sovversive e illiberali, null’altro che grumosi insufflatori di verità liberticide, non conoscevo Luigi Amicone. Per colmare tale assenza, decisamente imperdonabile, ho mandato una mia controfigura qualche giorno fa a La7. Sapevo che, in studio, ci sarebbe stato anche lui. Intendevo conoscerlo, toccarlo con mano. Luigi Amicone, la mia Madonna di Medjugorie; il mio Zeus del giornalismo; il mio Big Jim del Nuovo Testamento.
Ora tutto mi è chiaro: la Luce risiede in me. Ho il terzo occhio e pure la quarta gonade. Amicone è per me come la Forza per Luke Skywalker. Sarà il mio Vessillo contro il comunismo, il baluardo ultimo in difesa dei valori cristiani: la muraglia cinese eretta a salvezza delle anime.
Chi è Luigi Amicone, chiederanno alcuni di voi, colpevolmente saturi di criminosità. La vostra ignoranza mi offende, ma è giusto che perfino voi sappiate. Anzitutto andate qui:
Amicone si illumina di immenso, punendo come una locusta biblica gli afflati fastidiosamente manettari di Marco Lillo (un anonimo portaborse di Magistratura Democratica).Ve ne innamorerete.
Chi è Luigi Amicone, dicevamo. E’ molto semplice. Luigi Amicone è il nuovo volto del centrodestra. E’ garbato, misurato, accomodante. E’ bello. E’ buono, è bravo.
Luigi Amicone è un refuso di Gianni Baget Bozzo.
Furoreggia a Telelombardia, compare a La7. Nella vita di tutti i giorni, oltre a giocare all’Inquisitore Immaginario con Giuliano Ferrara, è direttore di Tempi. A questo punto potreste domandarmi cosa sia Tempi. Risposta: boh. Non lo ha mai letto nessuno. Credo sia un settimanale cattolico, involontariamente comico. Una sorta di manifesto dei cristianisti scritto sotto i fumi di Khomeini.Titolo-tipo: “God Save Silvio”. Una rivista sobria, ecco.Ogni tanto la vendono allegata al Giornale: due miserie in un corpo solo (cit).
Luigi Amicone è un opinion maker abbacinante. La sua biografia ammalia. A 14 anni si iscrisse ad Avanguardia Operaia. Lì toccò con mano “la violenza dell’utopia, fu per me il segnale che qualcosa non funzionava”.Il suo maestro è Pier Paolo Pasolini, a cui somiglia come Hugo Maradona al fratello.
A La7 mi ha rapito con tre asserzioni:
1 - Il Pd deve rimpiangere la Bicamerale2 - Grillo e Travaglio sono birichini3 - No ai “bastoni metaforici”.
Parole colme di saggezza. Ascoltandolo ho maledetto tutti questi anni. Li ho buttati via, pigramente criogenizzato in un loft di Nicola Latorre, cresciuto con la chimera massimalista secondo cui l’erede di Che Guevara fosse Cesare Salvi.
Quanto tempo ho perduto.
Ho analizzato, con approccio idolatrante, il Verbo di Luigi Amicone. L’ho fatto mio. E intendo condividerlo con voi (anche se non lo meritereste).Studiatelo a scuola, vestitevi come lui, pensate come lui.
Siate amiconi di voi stessi.

Sia fatta la sua volontà.

http://scanzi-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/07/20/luigi-amicone-uno-di-noi/

CHI E' TARAK BEN AMMAR, LA"FONTE" DI BERLUSCONI?

Chi è Tarak Ben Ammar, la "fonte" delle informazioni che Berlusconi ha dato alla magistratura sull'affare Unipol/BNL? E' un amico di Berlusconi, ha fatto affari con il Cavaliere, è stato anche nel Consiglio di amministrazione della Mediaset ed è stato definito dalla Presidenza del Consiglio il "personaggio del mese" nell'aprile del 2005 (vedi il documento). Quello che segue è un dossier minimo.

Notiziario speciale per la Presidenza del Consiglio IL PERSONAGGIO DEL MESE APRILE 2005
TARAK BEN AMMAR, IL GRANDE NEGOZIATORE CHE FA PARLARE IL MONDO DELLA FINANZA E DELL'IMPRESA .
Produttore cinematografico, imprenditore televisivo nel digitale terrestre, distributore di film d'autore, tra cui ''The Passion'' di Mel Gibson, consigliere d'amministrazione di istituti di assoluto prestigio quali Mediobanca. Tarak Ben Ammar, l'imprenditore franco-tunisino che divide il suo tempo tra Parigi, Roma e Milano e' diventato un punto di riferimento anche per l'industria che gravita sul Lazio da quando e' entrato a far parte della giunta della Confindustria regionale come personaggio rappresentantivo della realta' economica legata alla comunicazione. Ed e' appena tornato alla ribalta mediatica in ragione della sua antica amicizia con Silvio Berlusconi, che lo ha portato per un periodo anche nel cda di Mediaset: E' intervenuto infatti nella ricerca di investitori stranieri interessati alla recente offerta del 16,68% delle azioni del gruppo televisivo privato messe sul mercato da Fininvest. ''Si' ho avuto un ruolo nell'operazione'', ha detto spiegando di avere individuato ''un paio di investitori nei paesi dove opero'' e cioe' Francia e America. ''Non ho fatto altro -racconta- che proseguire lungo una strada nella quale ho creduto dal 1995'' quando cioe' l'azienda televisiva sbarco' in Borsa. ''Chi ha investito in Mediaset ha fatto un buon affare: 1 euro investito nel 1995, oggi ne vale 5''.
Del resto intessere rapporti con imprenditori e finanzieri e il farli parlare tra loro e' nel dna di un uomo che per alcuni, al di la' della sua esperienza nel cinema, e' la sintesi perfetta del 'negoziatore'. Porto' in Italia e in Mediaset il principe saudita Bin Talal Al Waalid, il magnate tedesco Leo Kirch e anche il tycoon australiano Rupert Murdoch, di cui e' stato a lungo consigliere per l'Europa e che ha aiutato a chiudere la partita di Sky Italia, la pay tv nata sotto le insegne di News Corporation dalla fusione di Stream e Telepiu'. E, ancora, due anni fa ha condotto in porto l'ingresso del finanziere bretone Vincent Bollore' in Mediobanca chiudendo di fatto quella che e' stata chiamata senza mezzi termini la 'guerra' di Piazzetta Cuccia. Il tutto creando ''valore per gli azionisti'', come ama ripetere...


Continua......

http://www.uonna.it/tarak-ben-ammar-scheda.htm

martedì 21 luglio 2009

A qualcuno fa ancora paura.



Paolo Borsellino, a qualcuno, fa ancora paura.

Il messaggio lanciato da quell’agenda rossa che in tanti terranno in pugno il 18 e 19 Luglio, sfilando nel cuore di Palermo nel nome del magistrato assassinato 17 anni fa con i cinque agenti di scorta, è insieme un simbolo e una richiesta di verità. Quell’agenda rossa, sulla quale Paolo Borsellino annotava giorno per giorno appuntamenti, riflessioni, nomi, nella sua spasmodica corsa contro il tempo e la morte, che sentiva vicina, per riuscire a scoprire gli autori del massacro di Capaci, ma soprattutto se e chi a ogni livello, anche esterno a Cosa Nostra, aveva voluto distruggere il genio investigativo, l’esperienza del suo amico Giovanni, insieme con l’eredità pur “normalizzata” del pool antimafia di Palermo. Quell’agenda da cui non si separava mai, che aveva con sé in una borsa rimasta intatta nella devastante esplosione in Via D’Amelio, fotografata nelle mani di un ufficiale dei carabinieri e poi misteriosamente svanita, senza che la Giustizia abbia fatto luce sul dove e perché sia scomparsa, in quale cassaforte sia finita.Ora le procure di Caltanissetta e di Palermo hanno riaperto ufficialmente le indagini su quelle stragi, ipotizzando ciò che in ben tre processi si era intravisto, cioè il coinvolgimento diretto negli attentati di uomini degli apparati di sicurezza dello Stato, con moventi ancora non definiti, ma risalenti ad ambienti esterni e con motivazioni diverse da quelle che mossero Riina e i capi di Cosa Nostra. La condanna definitiva all’ergastolo di organizzatori ed esecutori non ha messo dunque la parola “fine” alle inchieste giudiziarie, che si saldano invece con le inchieste in corso sulla trattativa che apparati dello Stato aprirono con i capi di Cosa Nostra, confermata ora da Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo che di quella trattativa fu tramite e testimone.Chi ha in mano quell’agenda, come gli appunti informatici di Giovanni Falcone mai venuti interamente alla luce, ora ha un motivo in più per preoccuparsi, ben oltre l’instancabile impegno di denuncia e di richiesta della verità da parte della famiglia Borsellino, delle associazioni antimafia, di magistrati in prima linea che condivisero la battaglia di Falcone e Borsellino.Nonostante l’indifferenza dei media, stampati e televisivi, che per anni, come peraltro sta di nuovo avvenendo, hanno distrattamente acceso la luce sui sanguinosi eventi siciliani, che hanno segnato la storia della Repubblica e determinato almeno in parte l’attuale quadro politico e civile, solo in occasione delle commemorazioni , senza scavare sui tanti punti oscuri delle indagini. Che giornali e TG abbiano lasciato nel silenzio e nell’indifferenza l’opinione pubblica, preferendo la facile alternativa dei delitti di cronaca nera, su una scia emozionale e consumistica che ha riempito i televisori e l’immaginario degli italiani da Cogne a Erba, a Garlasco, a Perugia, fino agli stupri di modello “etnico” che tanto hanno pesato nel dibattito sulla sicurezza e sull’opinione pubblica, è una vergogna che peserà a lungo sul Paese, ma anche sulla dignità professionale e sulla formazione etica del giornalismo italiano…Ora è arrivato il momento di andare fino in fondo, di riprendere i tanti fili finora mai seguiti, le contraddizioni e le coperture nelle indagini sulle stragi e sul patto scellerato che, almeno nella interpretazione dei “corleonesi”, doveva essere realizzato con lo Stato o chi diceva di rappresentarlo. Vicende in cui compare l’ombra, ma anche la fisica presenza dei Servizi. A nome di chi agivano quegli uomini, che interessi coprivano, quali erano i loro obiettivi? Quale il loro vero ruolo nelle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, come in quelle successive che insanguinarono Roma, Firenze e Milano? Rai News 24, che dirigevo, cercò nel 2000 di fare il proprio dovere e quello del Servizio Pubblico, trasmettendo in splendida (e aziendalmente forzata) solitudine l’ultima intervista televisiva di Paolo Borsellino. Due giorni dopo di quella intervista Giovanni Falcone, la moglie e la sua scorta saltarono in aria a Capaci e due mesi dopo, con una incredibile e tuttora inspiegabile accelerazione, fu la volta di Paolo Borsellino. Quella cassetta, che ci era stata data da Fiammetta, figlia di Paolo Borsellino, è stata vista e discussa nei processi sulle stragi. Il suo contenuto è dunque di straordinario interesse giudiziario, giornalistico e umano, oggi anzi ancora più attuale, ma la Rai non l’ha più trasmessa.

Non è l’ora che il Servizio Pubblico ci ripensi?


MAFIA: STRAGI DEL '92-'93, COMMISSIONE ANTIMAFIA DECIDE UN'INCHIESTA

- Dopo più di due ore di discussione, l'ufficio di presidenza della commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia ha deciso di avviare un'inchiesta sulle stragi del '92-'93 alla luce dei nuovi fatti e delle acquisizioni recentemente emerse con particolare riferimento al possibile "patto" tra Stato e mafia. Relatore dell'inchiesta - secondo quanto si è appreso - dovrebbe essere lo stesso presidente della commissione, Beppe Pisanu (Pdl). Nei giorni scorsi erano stati il vicepresidente dell' Antimafia Fabio Granata (Pdl) e il capogruppo del Pd Laura Garavini a formalizzare la richiesta di avviare un'inchiesta e di attivare i poteri previsti nella legge istitutiva. La riunione per definire un primo calendario delle audizioni dovrebbe tenersi prima della pausa estiva. Orientativamente i primi ad essere ascoltati dovrebbero essere i magistrati che seguono le inchieste e cioé il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e il procuratore capo della Repubblica di Caltanissetta Sergio Lari.
MARTELLI, RIINA? PARADOSSALE, MA CI SONO ELEMENTI VERI - E' "paradossale" che Totò Riina scarichi su pezzi dello Stato responsabilità che sono sue, ma la strategia dell'ex capomafia è "insidiosa" poiché contiene elementi di verità. Claudio Martelli, ministro della della Giustizia al tempo delle stragi di Capaci e di via d'Amelio, ripercorre quel periodo in una intervista al periodico 'Liberal'. "C'é un aspetto paradossale - dice Martelli - nel fatto che il capo dei capi di Cosa nostra" accusi lo Stato di "eccidi che vengono imputati a lui". Qualcosa "che dovrebbe indurre a pensare che la fonte di questi sospetti è più che sospetta". Fatta questa premessa, sottolinea l'ex esponente socialista, "riconosco che la strategia di Riina è insidiosa, perché ricostruisce un insieme utilizzando elementi parziali, collocandoli in modo da indurre ragionevoli sospetti". Nel '92, all'indomani della strage di Capaci, ricorda Martelli, "il governo e in particolare il ministro della Giustizia, ossia il sottoscritto e il ministro degli Interni, Enzo Scotti sono impegnati in uno scontro frontale con la mafia". Ma, aggiunge, "c'erano altre parti di Stato che viceversa pensavano che le cose si potevano aggiustare se per un verso la mafia rinunciava alla strategia terroristica e dall'altro parte lo Stato si toglieva dalla testa di portare il colpo decisivo a Cosa nostra". A dimostrazione di ciò, prosegue Martelli, c'é il fatto che "Ciancimino, un pezzo di mafia, si muove in questa direzione. Parla con il colonnello Mori e col capitano De Donno. Elaborano degli scenari per ottenere l'arresto di Totò Riina". La "sfumatura scivolosa", per l'ex ministro, sta nel fatto che "c'é un elemento politico" che fa "drizzare le orecchie" e cioé il fatto che "in quel clima qualcuno pensa di togliere Scotti dagli Interni" riuscendovi visto che "va alla Farnesina", ma anche di "togliere Martelli dalla Giustizia, ma Martelli dice di no". Insomma, in quelle settimane "movimenti ce ne sono, ma - sostiene l'ex Guardasigilli - Riina usa in modo infame e strumentale questi fatti perché si dimentica che Martelli, Scotti e dopo di lui Mancino e i carabinieri, Ros compreso, avevano un piccolo particolare in comune: la sua cattura. Che ottengono dopo vent'anni di latitanza". In questo contesto, aggiunge, "che carabinieri e servizi segreti abbiano fatto sventolare le ipotesi di trattativa con la mafia fingendo di patteggiare ci può stare, fa parte della strategia". Ecco perché, sottolinea, parlare di una "contrapposizione frontale del partito della trattativa e di quello della durezza mi sembra un andare fuori strada". Martelli, infine, scarta l'ipotesi di un complotto internazionale dietro la strategia degli attentati; tesi sostenuta da Paolo Cirino Pomicino. "La mafia - sostiene l'ex ministro socialista - è stata attrice di quella stagione politica" che arriva fino alla scomparsa della Prima Repubblica. "Non c'é stato un indistinto complotto internazionale: chi crede a queste ipotesi sono persone come Cirino Pomicino, che non si dà pace di quello che è accaduto e sente il bisogno di evocare un'entità sempre più strana internazionale".

http://www.ansa.it/opencms/export/site/visualizza_fdg.html_1619551344.html

lunedì 20 luglio 2009

Mancò poco che spezzassi il polso a Papi .

Sul Sunday Times è stato pubblicato un paragrafo (rilanciato da Dagospia) del nuovo pamphlet di Gomez, Lillo e Travaglio, l'instant book "Papi" (ed. Chiarelettere). A parlare è una di quelle decine di ragazze che la confraternita di papponi che accerchia il premier Berlusconi procurava per il diletto del Capo, in questo caso in occasione del Capodanno 2008. Il suo nome fittizio è Sandra, ma anche lei è campana, come Noemi e tante altre ragazze del "giro". Se questa è la premessa, sia che si sia amanti del "gossip" estivo, sia che si ritenga che Papi Silvio in qualità di ricattato politico debba dimettersi, il libro sembra davvero imperdibile.
«MANCÒ POCO CHE GLI SPEZZASSI IL POLSO...»
Una delle ragazze presenti ai party di Papi ce li ha raccontati, visti dall'interno. La chiameremo Sandra, perché ci ha chiesto l'anonimato. Sandra lo ricorda bene il Capodanno del 2008 a Villa Certosa.
L'anno vecchio se ne andava via senza lasciare in lei grandi ricordi. Liscio e incolore come una tavola di plexiglass, senza picchi né increspature. A ventiquattro anni, questa bella ragazza campana ansiosa di sfondare nel mondo dello spettacolo restava ancora a metà del guado. La solita palude di concorsi di bellezza e piccoli lavoretti come hostess.
E l'anno nuovo non prometteva granché: altri mesi di umilianti anticamere sull'uscio dello show business. Sandra rimaneva e sarebbe rimasta una delle tante «ragazze immagine» che accendono di luce effimera le notti dei potenti italiani. Forse per sempre. In televisione aveva strappato qualche comparsata, ma non era certo con i compensi simbolici di una piccola emittente locale che poteva mantenersi.
Nel suo bilancio la voce più sostanziosa restava quella delle serate. La chiamavano per ballare nei templi del divertimento, dal «Billionaire» di Briatore, in Costa Smeralda, al «Pascià» di Rimini: 1500 euro a serata per essere «carina» con i ragazzi che le offrivano da bere o la invitavano a ballare. Niente di più e niente di meno. Tutto previsto nella sua paga. Qualche extra arrivava dalle feste private, dove magari capitava di conoscere qualche tipo utile o interessante, che poi in fondo è la stessa cosa per quelle come lei.
Così, quando le propongono di trascorrere il Capodanno del 2008 in Sardegna, Sandra accetta subito entusiasta, annullando un precedente impegno. L'offerta è allettante: «Una serata al Billionaire, una festa privata per 1500 euro, viaggio aereo incluso. Non ti capiterà più un'occasione simile». Parole sante. Vorrebbe saperne di più, ma in questi casi è meglio non fare troppe domande. E poi non c'è molto tempo per fare la schizzinosa. Prendere o lasciare.
Tutto è stato organizzato in fretta e furia. Le hanno pure chiesto di portare un paio di «colleghe» per fare numero: «Perché lì più ragazze porti e meglio è». E così fa. Nessuna selezione, un po' come un appuntamento al buio. Ma se la sente di coinvolgere le amiche, perché l'offerta viene da una del giro alto: sempre lei l'Ape Regina, la Began.
Quando ha chiesto a Sandra di seguirla in Sardegna, Sabina non le ha rivelato il nome del padrone di casa. Ma le modalità della trasferta fanno pensare a qualcuno di molto, ma davvero molto importante: a occhio e croce, un sultano o almeno un oligarca russo. Sandra comincia a intuire qualcosa quando arriva a Ciampino.
All'aeroporto la indirizzano verso un aereo con impresse le insegne del Biscione. A bordo ci sono decine di ragazze, molte arruolate come lei con un compenso giornaliero. Altre, invece, sembrano habituées e si muovono a proprio agio: «L'unica che mi rivolse la parola fu la vincitrice del reality Uno, due, tre... stalla! Imma Di Ninni: "È la prima volta che vieni?". Le risposi di sì, ma pensavo ancora al Billionaire...».
All'arrivo a Olbia, la mattina del 31 dicembre 2007, le auto del servizio di sicurezza prelevano le decine di ragazze per accompagnarle direttamente nei loro alloggi. Intorno alla Villa Certosa, il Cavaliere dispone di una serie di villette. Qui vengono dislocate le ragazze, in gruppi di cinque o sei. Le più coccolate finiscono nella residenza di Paolo Berlusconi, che trascorre altrove il Capodanno.
Ma tutto questo Sandra ancora non lo sa. Le uniche presenze maschili, oltre agli uomini dello staff del presidente, sono Mariano Apicella e Guido De Angelis, l'ex cantante degli Oliver Onions (famosi per la sigla del Sandokan televisivo) divenuto produttore cinematografico.
La dépendance di Sandra è davvero elegante: la ragazza ammira i soffitti in legno, l'argenteria disseminata per tutta la casa, l'arredamento fresco e raffinato, la piscina riscaldata, il parco tutt'intorno, e pensa di essere finita nella villa di un uomo davvero molto ricco.
La notte precedente ha fatto le ore piccole in discoteca e si butta sul letto per un pisolino. Ma, quando sta per addormentarsi, viene ridestata da una voce molto nota. Dalla porta si affaccia: è Silvio Berlusconi. Lei non crede ai suoi occhi, sulle prime pensa a un bravo imitatore. L'uomo ha i lineamenti, i modi e la voce del leader di Forza Italia, ma tutto più marcato rispetto al personaggio che ha conosciuto e talvolta apprezzato guardandolo in televisione:
"Aveva il volto colorato da una crema che sembrava autoabbronzante e gli tingeva anche le mani, facendole sembrare unte. I tacchi erano alti davvero come dicono quelli che lo prendono in giro. E aveva in mano una busta piena di gioielli".
Sorridente come una befana generosa con le bambine all'Epifania, Papi Silvio dona subito a ciascuna ragazza un anello d'argento forato con incastonata una grossa pietra di onice, e due bracciali con la tartarughina: «È il simbolo di Villa Certosa», ci disse allargando il suo sorriso e togliendosi gli occhiali da sole: aveva gli occhi molto piccoli rispetto aquello che avevo visto in tv, ma era proprio lui".
Le cronache di quei giorni, in effetti, raccontano di una fastidiosa congiuntivite che ha colpito il Cavaliere. Più tardi, ancora regali: un anello e un bracciale d'oro sottile e una collana con una farfalla di pietre come pendaglio. A quelle che si dimostrano «più carine» con lui, il futuro premier dona altri gioielli più consistenti.
A tutte le ospiti, subito dopo i convenevoli di rito, dice: «Preparatevi presto: si va a mangiare e ballare in pizzeria». In un'ala del parco di Villa Certosa è già tutto pronto. Il cuoco Michele sforna prelibatezze à gogo e Silvio canta accompagnato dal fido Apicella. A un tratto, come morse da una tarantola collettiva, tutte le ragazze si alzano e cominciano a ballare intorno al Cavaliere. Lui, al settimo cielo, canta, balla e familiarizza.
Sandra, dapprincipio, deve stargli proprio simpatica, tant'è che lui la fa accomodare accanto a sé sulla sua macchinetta elettrica, tipica dei golfisti. Dietro al corteo surreale delle minicar, il grande capo Papi mostra alle ragazze i segreti del parco: l'anfiteatro, la collezione di cactus, le migliaia di hibiscus, il lago delle palme, le 85 diverse erbe officinali dell'«orto della salute».
Le ragazze tra di loro non parlano. Non c'era molto tempo e poi «gli uomini della sicurezza, che giravano sempre con le armi in mano, ti si avvicinavano appena facevi capannello». Ma Sandra ricorda bene alcuni volti: "Oltre a Imma Di Ninni, c'erano molte delle partecipanti al reality che lei ha vinto, come le gemelline Ferrera. C'era anche Siria del GrandeFratello, allora non era famosa, e mi ricordo che si alzò a tavola per fare un ringraziamento a Silvio Berlusconi per la sua generosità. C'era pure Camilla Ferranti, quella che lui raccomandava a Saccà per farla lavorare in Rai".
Sono trascorse poche settimane dallo scandalo sollevato dall'inchiesta di Napoli sulle telefonate Berlusconi-Saccà: «A Villa Certosa si rideva di questa cosa. Lui ci disse: "Visto che mi tocca fare per farvi lavorare?". E giù tutte a ridere». Qualcuna addirittura applaude.
Tra le ospiti, ovviamente, c'è l'Ape Regina. Ma Villa Certosa non è soltanto luogo di bagordi e baldorie, donne in topless e premier nudi immortalati dal fotografo Zappadu. C'è il momento del piacere, ma anche quello del dovere. Così, quel 31 dicembre 2007, dalle ore 15 alle 17, ecco la lezione di politica, tenuta dal Cavalier Papi in persona.
Le ragazze vengono accompagnate con le auto elettriche dalle loro casette fino al salone centrale della villa. Due ore scarse zeppe di battutine e barzellette: «Tutte ridevamo per farlo contento», ricorda Sandra. Di veramente politico, la ragazza rammenta soltanto le immancabili critiche del Cavaliere al Pd, le parole sulle «prossime elezioni» perché «ora faremo cadere Prodi» e il disprezzo per l'alleato Gianfranco Fini, «un fascistone incapace di mediare». E poi lunghi intermezzi con Berlusconi che si trastulla con uno strano temperamatite parlante e gemente:
"Era un omino di gomma colorata con i pantaloni abbassati sul di dietro. La matita si infilava proprio lì: quando lui ruotava il lapis, il pupazzetto si lamentava e lui rideva come un pazzo. Sembrava di essere in una puntata di Csi con il classico schizofrenico...".
Subito dopo la «politica secondo Berlusconi», per le ragazze arriva il momento tanto atteso dello shopping, in vista del cenone e dei fuochi d'artificio. Gli uomini della sicurezza le accompagnano tutte a Olbia in un centro commerciale, dove le aspiranti Pretty Woman si scatenano: una corsa all'acquisto del capo esclusivo fino a 2000 euro, succhiando direttamente dalla carta di credito di Papi Silvio.
Lo chiamano quasi tutte così, come racconterà Barbara Montereale, la «ragazza immagine» barese che sbarcherà in Sardegna nel gennaio del 2009 e se ne tornerà a Bari tutta soddisfatta, con la sua busta imbottita di banconote: 10mila euro in contanti, gentile omaggio di Papi.
Invece Sandra, un anno prima, ci rimane proprio male. Le avevano promesso 1500 euro al giorno, ma gliene danno solo 1000, perché ha chiesto di andarsene via subito: "La Began mi disse che lui si era lamentato perché ero stata «scortese,poco carina nei suoi confronti». Penso si riferisse al fatto che, appena ha tentato di allungare le mani, come aveva appena fatto con le altre, io l'ho respinto bruscamente. Stavo quasi per fratturargli il polso...".
Perché lui è fatto così, affettuoso con le sue ospiti che ballano intorno a lui, felice di respirare, sfiorare e talvolta anche toccare la loro giovinezza. Come durante la cena di fine anno, quando tutti gli ospiti, cinquanta donne più Apicella e il cantante-produttore De Angelis, siedono tutti attorno allo stesso tavolo. A turno le ragazze in abiti mozzafiato si esibiscono - direbbe Veronica - per il «divertimento dell'Imperatore». Prima prendono il microfono per una dedica a Papi, poi ciascuna si scatena con la propria performance:
"Mi sono rimaste impresse tutte quante: c'erano quelle che ballavano e si strusciavano, quelle che lo baciavano, quelle che si spogliavano, quelle che si buttavano in piscina quasi nude".
Difficile dimenticare quelle scene. Non che durante le ospitate in discoteca e le serate nei privé quegli atteggiamenti fossero una rarità, anzi: "Ma quello che è successo a Villa Certosa non mi era mai capitato prima: ne ho viste di tutti i colori. Ogni tanto lui ne prendeva per mano una e si allontanava. A me è venuta l'ansia, perché nessuno sapeva chestavo là. Al cellulare non ti facevano parlare. La sicurezza era dappertutto con quei bazooka puntati sempre addosso mentre passeggiavi, mentre ballavi, mentre cenavi. È un ricordo bruttissimo. Il più brutto della mia vita".
Dopo cena, dunque, tutte a ballare in attesa dei venticinque minuti di fuochi pirotecnici che illuminano a giorno il golfo di Portorotondo nelle primissime ore del 2008. Tutte col naso all'insù a scattare foto con macchinette e telefonini. Nessuno le ha requisite. Ma poi le immagini, come per incanto, sono sparite dalla memoria digitale il giorno dopo. Qualcuno dev'essersi intrufolato nottetempo nelle stanze delle ragazze per cancellare ogni prova della notte con l'Imperatore, o, più probabilmente, a garantire la privacy del premier ci pensa qualche contromisura elettronica.
L'eccezione però c'è sempre. Così, sul telefono di una delle ospiti, è rimasta impressa la foto di un trenino al ritmo di samba: al centro il presidente del Consiglio, con cappellino e trombetta, stretto in mezzo a due eccitanti modelle in abiti succinti. Ma sono le scene lesbo a disgustare Sandra: ragazze che si baciano, si toccano, si spogliano. Sedici mesi prima di Veronica, è lei a indignarsi per tutte quelle «vergini che si offrono al drago»:
"Più che scandalizzata, mi son sentita proprio male: prima di andare a letto ho anche vomitato. Sapevo che il giorno dopo sarebbe partito un volo per riportare a Roma Guido De Angelis, me lo aveva confidato uno della sicurezza, un ragazzo genovese, durante gli spostamenti nel parco. Così ho detto: «O mi riportate a casa o faccio un macello»...".
E così Sandra riesce a salire su quell'aereo con le amiche che aveva portato con sé e con De Angelis, che le dà anche il suo numero di telefono. Ma quella sua fuga da Villa Certosa non passerà inosservata: segnerà la fine delle sue ambizioni nel mondo dello spettacolo. «Ho capito - dice oggi con un velo di tristezza - che la televisione è roba Sua. Da quel giorno, per me, mi sono rassegnata. Per me sarebbe stato inutile fare qualsiasi casting, perché avevo osato dirgli di no».Poco importa che sia alta e bella, che sappia ballare e parli correttamente tre lingue. Non ha esaudito i desideri del Sultano, ha gettato al vento la grande occasione, peggio per lei.
Le altre ragazze invece rimangono in villa un altro giorno ancora: stesso programma, stesso cachet. Le più care a Papi, come Sabina Began, si vantano di avere il raro privilegio di seguirlo ad Antigua, dove lui ha un'altra villa, lontano da occhi e teleobiettivi indiscreti.
Due mesi dopo, il cellulare di Sandra suona ancora. È la prova d'appello, l'ultima. Stavolta la invitano a una festa a Cortina, proprio dove uno degli altri fornitori di ragazze, Giampaolo Tarantini (lo conosceremo tra breve), è di casa. Ma lei di quel mondo non vuole più saperne. E risponde «no grazie». Addio sogni di gloria.

http://www.sconfini.eu/Politica/manco-poco-che-spezzassi-il-polso-a-papi.html

La ricostruzione in Abruzzo.

giovedì 16 Luglio 2009 (22h47) : L’Aquila - La ricostruzione parte con un dirigente indagato in Lombardia dAlessandra Lotti.

http://bellaciao.org/it/spip.php?article24533

Speculazioni e incuria dietro i crolli sospetti dell’Aquila?
LA SCHEDA: IL CURRICULUM DELL’IMPREGILO.

Manuela Rosa 09/04/2009

da:

http://www.primadanoi.it/modules/bdnews/article.php?storyid=21699

Per non dimenticare.

sabato 18 luglio 2009

Uòlter Veltroni, in arte Hammamet.


di Marco Travaglio - 17 luglio 2009

Notizie buone e meno buone dal fronte della legalità. Cominciamo da quella brutta: Paolo Cirino Pomicino non ce l’ha fatta a entrare nel Cda del Policlinico San Matteo di Pavia. Il decreto di nomina da parte del sottosegretario alla Salute Ferruccio Fazio pareva pronto, anche per risarcire il pover’uomo dall’inopinata esclusione dalle liste europee del Pdl in quanto sprovvisto di tette. Invece all’ultimo momento, forse per le proteste dei grillini e financo della Lega Nord, gli hanno preferito un incensurato.
Veniamo ora alle buone notizie.
La prima riguarda il vicepresidente dell’Autorità Garante per la Privacy, Giuseppe Chiaravalloti, ex procuratore generale in Calabria di cui poi divenne governatore col centrodestra, quello che in una telefonata intercettata tre anni fa con la sua segretaria diceva del pm Luigi de Magistris che indagava su di lui: “Questa gliela facciamo pagare… Lo dobbiamo ammazzare. No, gli facciamo cause civili per danni e ne affidiamo la gestione alla camorra napoletana...Saprà con chi ha a che fare... C’è quella sorta di principio di Archimede: a ogni azione corrisponde una reazione... Siamo così tanti ad avere subìto l’azione che, quando esploderà, la reazione sarà adeguata!… Vedrai, passerà gli anni suoi a difendersi”. Bene, ora Chiaravalloti è di nuovo indagato (insieme all’ex ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, all’onorevole Pdl Giuseppe Galati e a vari politici locali) per associazione per delinquere finalizzata alla concussione, falso, riciclaggio e abuso d’ufficio per una storia di presunte tangenti e ruberie di fondi pubblici destinati a due centrali elettriche. Ma nessuno ha chiesto le sue dimissioni dalla cosiddetta Authority guidata dal professor Pizzetti, quello che ogni giorno difende il povero Berlusconi dagli attentati a mezzo flash del criminoso fotoreporter Antonello Zappadu. La Privacy resta in buone mani.Le altre buone notizie riguardano il Pd, sempre all’avanguardia quando si tratta di legalità. Massimo D’Alema, che si accinge a riprendersi il partito travestito da Bersani, gli ha allestito una bella tavolata alla Fondazione Italianieuropei con campioni di trasparenza come il presidente di Mediobanca Cesare Geronzi, imputato sia per il crac Parmalat sia per il crac Cirio; e, secondo Repubblica, sta tentando di convincere l’amico banchiere Vincenzo De Bustis - condannato a 6 mesi in primo grado nel 2006 a Teramo per la truffa della Banca 121 – per comprare la Roma Calcio. Intanto il Pd ha concesso l’iscrizione al partito a Tommaso Conte, medico napoletano residente a Stoccarda, condannato in primo e secondo grado in Germania per abusi sessuali su una giovane paziente, che poi s’è suicidata. Una cosina da niente, mica come gli ostacoli insormontabili che impediscono di dare la tessera a Beppe Grillo. In perfetta coerenza, anche Walter Veltroni ha voluto sottolineare il grande impegno del partito per la legalità: riabilitando Bottino Craxi in un convegno organizzato dalla figlia d’arte, Stefania, che ne ha subito approfittato per insolentire Veltroni (così impara). Secondo Uòlter, Craxi fu “un grande innovatore” perchè “interpretò meglio di ogni altro uomo politico come la società italiana stava cambiando. La sua politica estera fu grande. Ci fu l’episodio di Sigonella, ma anche la scelta di tenere l’Italia nella sfera occidentale, senza intaccare l’autonomia e la dignità del Paese”. Invece Enrico Berlinguer fece “sforzi insufficienti al processo di innovazione che bisognava mettere in campo”. Ad applaudire Veltroni c’era fra gli altri l’ex ministro della Malasanità Francesco de Lorenzo, ovviamente pregiudicato. Ora, è singolare che Uòlter preferisca Craxi a Berlinguer, visto che il primo distrusse il Partito socialista (il più antico partito italiano, a cent’anni dalla nascita), mentre se il secondo è ancora in piedi, pur ridotto ai minimi termini e col nome cambiato, lo si deve a Berlinguer e non certo ai suoi indegni successori. Ed è altrettanto singolare che non abbia trovato il tempo di ricordare, così, en passant, che Berlinguer morì durante un comizio davanti a migliaia di militanti, mentre Craxi morì in Tunisia, latitante, con due mandati di cattura pendenti sul capo e due condanne definitive a 10 anni complessivi per corruzione e finanziamento illecito, più varie provvisorie. Insomma, che Berlinguer non rubava, mentre Craxi sì. Ma, anche a volersi limitare alla figura politica di Craxi, la lettura veltroniana fa acqua da tutte le parti. “Grande innovatore”? Sotto il governo Craxi (1983-‘87) il debito pubblico balzò da 400 mila a 1 milione di miliardi di lire e il rapporto debito-pil dal 70 al 92 per cento. L’industria di Stato delle Partecipazioni Statali seguitò a succhiare ettolitri di denaro pubblico, accumulando passivi da migliaia di miliardi. Anche perché Craxi bloccò la privatizzazione della Sme avviata dal presidente dell’Iri Romano Prodi, difendendo a spada tratta i “panettoni di Stato”. E impedì poi a Prodi di cedere l’Alfa Romeo alla Ford (che l’avrebbe pagata), regalandola alla Fiat. Nel 1978, durante il sequestro Moro, Craxi caldeggiò - fortunatamente invano - la trattativa tra lo Stato e le Brigate rosse, mentre Berlinguer giustamente si guidò il fronte della fermezza. “La sua politica estera fu grande”? Nel 1985 Craxi sottrasse al blitz americano di Sigonella i terroristi palestinesi che avevano appena sequestrato la nave Achille Lauro e assassinato un ebreo paralitico, Leon Klinghoffer, gettandone il cadavere in mare; si impegnò a farli processare in Italia; poi fece caricare il loro capo Abu Abbas su un aereo dei servizi e lo lasciò fuggire prima nella Jugoslavia del maresciallo Tito e di lì in Irak, gradito omaggio a Saddam Hussein. “La scelta di tenere l’Italia nella sfera occidentale, senza intaccare l’autonomia e la dignità del Paese”? Ancor più filoarabo e levantino dei democristiani, Craxi appoggiò acriticamente l’Olp, ancora ben lontana dalla svolta moderata, paragonando Arafat a Giuseppe Mazzini; spalleggiò e foraggiò il dittatore sanguinario somalo Siad Barre; e nel 1982, durante la crisi delle Falkland, si schierò addirittura con i generali argentini contro la Gran Bretagna appoggiata da tutto il resto dell’Occidente. “Interpretò meglio di ogni altro uomo politico come la società italiana stava cambiando”? Craxi fu il primo a picconare la Costituzione in vista della “grande riforma” presidenzialista e ad attaccare la magistratura, proponendo di assoggettarla al governo. Prima con i decreti Berlusconi e poi con la legge Mammì consacrò il monopolio televisivo incostituzionale dell’amico Cavaliere, che fra l’altro pagava bene, cash. Insofferente al dissenso interno, insultò Norberto Bobbio (“ha perso il senno”) ed espulse dal Psi galantuomini come Bassanini, Codignola, Enriquez Agnoletti, Leon e Veltri, per circondarsi di faccendieri come Larini, Troielli, Giallombardo, Mach di Palmstein, Parretti, Fiorini, Chiesa e Cardella, e trafficare con Licio Gelli e Roberto Calvi, amorevolmente assistito dal suo consulente giuridico Renato Squillante. Oltre a decine di “nani e ballerine”, Craxi riuscì a candidare al Parlamento Gerry Scotti e Massimo Boldi, anticipando di vent’anni il velinismo berlusconiano. E’ questa l’innovazione che Veltroni attribuisce a Craxi, anziché a Berlinguer?Nell’attesa di saperne di più, abbiamo finalmente capito in quale Africa voleva traslocare Uòlter qualche anno fa, prima di cambiare idea: ad Hammamet, in pellegrinaggio

http://antefatto.ilcannocchiale.it/

venerdì 17 luglio 2009

Il mistero dei bond americani sequestrati in Svizzera


di Elia Banelli.

Potrebbe diventare il nuovo scandalo mondiale, o una clamorosa bolla di sapone. Senza dubbio la più grande retata della storia finanziaria. Tutto dipenderà dallo sviluppo delle indagini nelle prossime settimane. Riepiloghiamo i fatti: la mattina del 3 giugno i funzionari della Sezione Operativa Territoriale di Chiasso dell’Ufficio delle Dogane, insieme ai militari della Guardia di Finanza, fermano due uomini sulla cinquantina, di passaporto giapponese, provenienti dalla stazione di Milano e diretti in Svizzera. Gli sequestrano una valigetta e scoprono l’incredibile: nascosti nel doppiofondo titoli Usa per l’ammontare complessivo di 134,5 miliardi di dollari, pari all’1% del Pil americano. Un record. L’enorme “tesoretto” viene posto sotto sequestro dai militari ed i due uomini sono ora denunciati a piede libero per contraffazione di titoli di stato esteri. Intanto il magistrato di Como, il sostituto procuratore Daniela Meliota, ha avviato un’indagine per accertare prima di tutto l’autenticità di quei bond. Si tratta di 249 titoli della “Federal Reserve” americana, del valore nominale di 500 milioni di dollari ciascuno e 10 “Bond Kennedy” da un miliardo di dollari a testa. Una cifra spropositata, non “negoziabile”, impossibile da distribuire nel mercato finanziario ed utilizzabile esclusivamente nelle trattative tra Stati. Insieme ai bond miliardari, sotto la biancheria intima è stata rinvenuta anche una copiosa documentazione bancaria, sulla quale è calato il totale riserbo. Gli scenari che ora si aprono sono molteplici, alcuni più o meno credibili di altri. Prima di tutto come è possibile che un traffico di queste proporzioni, probabilmente partito dall’Estremo Oriente, transiti sul territorio italiano? Inoltre se i titoli risultassero autentici, in base alla vigente normativa, la sanzione amministrativa applicabile ai possessori potrebbe raggiungere i 38 miliardi di euro, pari al 40% della somma eccedente la franchigia ammessa di 10mila euro. Una somma cospicua (pari a circa due leggi finanziarie) che finirebbe nelle casse del governo italiano? Il giallo diventa più inquietante in base alle ipotesi avanzate dalla stampa americana vicina al Partito Repubblicano, che collega il maxi-sequestro di Chiasso con la news pubblicata il 30 marzo scorso da alcuni quotidiani Usa, secondo la quale il Ministero del Tesoro americano avrebbe a disposizione esattamente 134,5 miliardi di dollari provenienti dal fondo speciale per i titoli finanziari “problematici”.La coincidenza perfetta delle due cifre alimenta più di qualche dubbio: un tesoretto da spendere per affrontare la crisi? Sul web circola di tutto: dai fondi “per finanziare un traffico internazionale di armi” ad un presunto attacco valutario contro gli Usa.Si saprà di più con il prosieguo delle indagini. Nel frattempo si stanno analizzando i profili professionali dei due uomini fermati a Chiasso. Uno di loro, A.Y., stando alle indiscrezioni del web, potrebbe essere un alto dirigente del ministero delle finanze giapponese, già condannato a 20 anni per frode, su un’emissione non autorizzata di 57 bond giapponesi del valore di 500 miliardi di yen per titolo di stato.L’altra persona denunciata, M.W., sarebbe stato complice di Yamaguch sempre nell’affare “Series 57”, anche se la notizia non è confermata. E’ probabile che ci sia un terzo uomo, un imprenditore italiano, al centro di un intrigo internazionale dai contorni sempre più opachi.

Per approfondimenti:
http://www.gdf.it/GdF__Informa/Notizie_Stampa/AdnKronos/Adnkronos_2009/Adnkronos_Giugno_2009/info-1518911049.html
http://www.tio.ch/aa_pagine_comuni/articolo_interna.asp?idarticolo=464556&idsezione=1&idsito=1&idtipo=3
http://www.asianews.it/index.php?l=en&art=15505

http://www.articolo21.info/8742/notizia/il-mistero-dei-bond-americani-sequestrati-in.html

Rai: stravolte le più elementari regole aziendali.

di Giuseppe Giulietti.

Da giorni e giorni, legittimamente, perché così è sempre accaduto, l'attenzione dei media è puntata sui futuri organigrammi Rai. Il toto nomine impazza. Nel frattempo rischia di impazzire l'azienda. Dei futuri organigrammi ci interessa molto poco perché in Rai sta accadendo qualcosa di molto più grave che non la tradizionale spartizione dei lotti. Si sta infatti assistendo ad uno stravolgimento delle più elementari regole aziendali e ad un affossamento di qualsiasi piano strategico. In una indifferenza quasi generale, salvo le importanti prese di posizione di Carlo Verna, segretario dell’Usigrai, dell’Adrai, di alcune organizzazioni sindacali e di qualche consigliere di amministrazione, si è arrivati alla nomina di un direttore generale ombra come ha efficacemente detto il consigliere Rizzo Nervo, ad una bizzarra distribuzione delle regole tra i vicedirettore generali, ad un tentativo di moltiplicazione delle cariche attraverso un finto piano della radiofonia. Come se non bastasse si sta tentando di creare una forzata alleanza tra Rai e Mediaset contro il resto del mondo, non viene affrontato il grande tema della pubblicità istituzionale e che sempre più si allontana dalla Rai, non si sfiora neanche più il tema dei new media e del loro futuro. Non si parla della confusione e della mancanza di strategie sulle offerte dei nuovi canali permessi dal digitale terrestre e sul rapporto fra questi e la tradizionale offerta generalista (per non parlare dello sconcertante silenzio su Rainews24 ridotta a oggetto di scambio), si assiste ad una umiliazione delle professionalità interne e ad un tentativo di ulteriore riduzione del pluralismo editoriale attraverso un’aggressione mirata e continua nei confronti di Raitre e del Tg3 e di chiunque non accetti questo stato di cose. A questo punto Non è più possibile far finta di non vedere e così come esiste un trasversalismo deteriore di piccoli gruppi che tentano di costruire una sorta di polo unico Raiset, con Rai in funzione subalterna, è giunto il momento in modo pubblico, palese e trasparente di promuovere in sede istituzionale e politica, ma soprattutto in sede professionale e aziendale uno schieramento trasversale formato da quanti, comunque collocati (e ce ne sono non pochi anche nella destra politica e aziendale) non intendono accettare la progressiva liquidazione di una grande impresa pubblica e soprattutto la liquidazione di quel poco che resta della sua autonomia.

http://www.articolo21.info/8748/notizia/rai-stravolte-le-piu-elementari-regole.html