mercoledì 31 luglio 2019

Facebook rischia di chiudere, ha contro i giovani (e Soros). - Massimo Bordin



Ci sono almeno 3 indizi che portano verso un’inaspettata chiusura del più grande social media del mondo. Il primo è quello di cui tutti parlano oggi: un ipermegamultone che si aggiunge alle rogne pregresse di Zuckerberg; ben presto la politica dovrà mettere mano alla faccenda con una manovra antitrust, anche e soprattutto in vista delle elezioni americane del 3 novembre. C’è chi, come business insider, scommette sulla chiusura di Facebook e parla di una operazione in grande stile che il governo post-Trump dovrà attuare. La vicenda di Cambridge Analytica è a tutti nota, e ora si è aggiunta solo l’indiscrezione per la cifra da pagare a seguito di violazione della privacy: cinque miliardi di dollari. La più elevata mai imposta dalla Federal Trade Commission contro un’azienda di tecnologia. Attenzione, non sarebbe certo la prima volta che accade qualcosa del genere ad un’azienda di grandi dimensioni. E penso alla compagnia petrolifera Standard Oil, fondata da Rockefeller nel 1870 e smembrata per decreto nel 1911 dall’antitrust americana.
A detta degli espertoni, questo è il più grande rischio che oggi corre Facebook, perché uno smembramento comporterebbe cambiamenti epocali, tali da snaturare l’idea stessa del “faccialibro” per come esso nacque nell’ormai preistorico 2004. Il secondo indizio allieterà senza dubbio i gusti dei complottisti – di gran lunga la categoria umana che preferisco e della quale mi vanto di far parte, nonostante il neologismo sia demenziale e colpisca scorrettamente tutti quelli che propongono dei dubbi. Si tratta di Soros, amici. Eh già, il vecchio volpone dell’economia globalista da qualche tempo attacca Facebook senza remore. «Affermano che distribuiscono solamente informazioni – ha affermato il capitalista ungherese – ma in realtà sono quasi distributori monopolisti, e questo li rende servizi pubblici. Dovrebbero pertanto essere soggetti a regolamentazioni più stringenti mirate a preservare la competizione, l’innovazione e un accesso universale, leale ed aperto». Soros ha poi paragonato Facebook e Google ai casinò, che «progettano deliberatamente la dipendenza ai servizi che forniscono».
Ma qual è la ragione di questo attacco? Non lo sappiamo, ma da buon complottista ipotizzo che Facebook abbia dato voce a tutti, minando così le cristalline certezze provenienti dai media tradizionali. Insomma, Soros finanzia i liberal sparsi per il mondo, ma chi contesta i liberal è “fuori controllo” grazie a internet. A mio avviso è evidente che lui odi la Rete. Ad esempio, il vegliardo spende una vagonata di soldi per far salire al potere la Hillary Clinton, eppoi la Rete aiuta la visibilità di Donald Trump. Inaccettabile per un lobbysta che si rispetti! Ma è il terzo indizio quello che mi induce a ritenere Facebook avviata al tramonto o ad un profondo rimescolamenteo delle (sue) carte. Il social, infatti, ha dei picchi di utenza che ben presto saranno ridimensionati dal fatto che i millennials non si iscrivono più a questo tipo di social. In altre parole, la disaffezione dei giovani costringerà Zuckerberg alla chiusura in modo molto più determinante delle decisioni dell’Antitrust.
Ve lo ricordate Myspace? E SecondLife? Tutta bella roba caduta in disuso per assenza di grano, altro che antitrust! Com’è noto, infatti, le nuove generazioni preferiscono Instagram (sempre di proprietà di Zuckerberg) dove praticamente non si parla di politica (e Soros qui non sbrocca, guardacaso), o Tinder, la nuova Bibbia per i segaioli impenitenti. Insomma, immagini taroccate e app per rimorchiare potranno continuare, Facebook rischia invece grosso. Se non cambia pelle. Dovesse accadere, comunque, non tutto il male viene per nuocere. Chi è noiosamente e ampollosamente affezionato ai “discorsi lunghi” potrà infatti tornare ai vecchi cari blog (ehehehe), ai forum, oppure alle nuove app come Telegram, società di messaggistica e canali in stile blog informativi che ha sede nel Regno Unito, ma che è stata fondata dall’imprenditore russo Pavel Durov. Con un cognome così direi che il rischio smembramento è quanto mai remoto.
(Massimo Bordin, “Facebook verrà chiuso”, dal blog “Micidial” del 29 luglio 2019)

Preferisco di No. - di Marco Travaglio - l Fatto Quotidiano del 31 Luglio 2019

L'immagine può contenere: una o più persone

Soltanto in un Paese smemorato come il nostro poteva avere successo lo slogan di Salvini, che l’ha copiato da Renzi, che l’ha copiato da Berlusconi, sull’ “Italia dei Sì” (bella) contro l’ “Italia dei No” (brutta).
Chi scrive si è sempre identificato nel motto di Longanesi “Sono un conservatore in un Paese in cui non c’è nulla da conservare”. E da almeno trent’anni constata che - salvo rare eccezioni, da contare sulla dita delle mani di un monco - le cosiddette “riforme” di una classe politica perlopiù indecente hanno regolarmente peggiorato le cose. Eppure tutti quelli che, a ogni “riforma” strillavano come ossessi il loro “sì”, dovrebbero chiedere scusa e possibilmente pagare i danni a chi, inascoltato, diceva “no”.
Anche nella forma più educata e un po’ surreale di Bartleby lo scrivano del famoso racconto di Herman Melville: “Preferirei di no”.
L’ultima volta che un bel No ci salvò da guai incalcolabili fu al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, quando respingemmo la schiforma Renzi-Boschi-Verdini e preservammo la nostra Carta fondamentale. 

Ma lo stesso era accaduto nel 2006, con la vittoria del No referendario alla deforma di B. E tutte le volte in cui, non potendo farlo noi cittadini, presidenti della Repubblica degni di questo nome (Scalfaro e Ciampi) e la Consulta respinsero a suon di No un bel po’ di leggi incostituzionali del centrosinistra (il decreto salvaladri Amato-Conso) e di B. (la Gasparri, l’ordinamento giudiziario Castelli, la Pecorella che aboliva l’appello solo per i pm, la Cirami, il lodo Schifani, il lodo Alfano ecc.). 
Se Napolitano avesse proseguito quella meravigliosa tendenza al No, ci avrebbe risparmiato le ultime vergogne del berlusconismo e tutte quelle del renzismo.
Anche perché ogni No (al peggio) sottintende sempre un Sì (al meglio).
Pensiamo al valore morale del No al Tav, cioè alla devastazione di una valle, quella di Susa, già martoriata da scempi di ogni genere, e delle casse dello Stato, già grassate e spolpate da decenni di bande e scorribande del partito trasversale degli affari. Dire No al Tav significa dire Sì all'ambiente e alla ricerca tecnologica su nuovi modelli di mobilità che tutto il mondo studia e realizza, tranne noi. Quando i 5Stelle, in questa strana stagione giallo-verde, hanno detto No alla Lega sul mega-condono fiscale, sulle trivelle, sugli inceneritori, sull'emendamento per l’eolico pro Arata&Nicastri, sulla nomina di Arata a capo dell’Autorità per l’Energia, sulla secessione della scuola spacciata per autonomia, sulla legge Pillon contro il diritto di famiglia, i loro elettori e non solo gliene sono stati grati.

Così come per i No alle depenalizzazioni del peculato per salvare quelli di Rimborsopoli e dell’abuso d’ufficio per salvare Fontana&C.. Il guaio è che ne avrebbero dovuti dire di più, di No. Per esempio: sul salvataggio di Salvini dal processo per sequestro di persona sulla nave Diciotti, hanno pronunciato un Sì che tradiva dieci anni di battaglie per la legge uguale per tutti. E i tradimenti si pagano, mentre le sconfitte politiche anche cocenti – come quella, ormai probabile, sul Tav Torino-Lione e quelle certe sul Tap e sull’Ilva - si possono alla lunga perdonare. Intendiamoci: non tutti i No sono popolari solo perché sacrosanti, anzi molti No sacrosanti fanno perdere un sacco di voti.

Soprattutto in un Paese senza memoria che non pensa mai a come starebbe meglio se qualcuno, a suo tempo, avesse detto No alla privatizzazione delle autostrade, al Mose, ai mondiali di calcio di Italia 90, alle Olimpiadi invernali di Torino 2006, ai Mondiali di Nuoto di Roma 2009, all’Expo di Milano 2015 e a decine di grandi opere e grandi eventi inutili e costosi che hanno svuotato l’erario e indebitato le metropoli senza produrre un euro di valore aggiunto. 

Infatti, se si facesse un sondaggio sugli illuminati No di Monti e della Raggi alle Olimpiadi di Roma 2020 e 2024, la maggioranza sarebbe contraria: la maggioranza, non da oggi, vuole panem et circenses, salvo poi strillare quando arriva il conto delle tasse per ripagarli.

Ora Salvini, forte dei voti incassati il 26 maggio, continua a menarla col Partito dei Sì (la Lega) contro il Partito dei No (il M5S). E molti si bevono questa favoletta per gonzi secondo cui dire Sì beatamente e beotamente a tutto sarebbe un vantaggio per i cittadini. Senza mai domandarsi a che cosa si debba dire Sì. Sì all’autonomia differenziata in versione secessione? Per carità. Sì a una flat tax che taglia le tasse ai ricchi, da sempre mantenuti dai lavoratori dipendenti e pensionati del fu ceto medio? Dio ce ne scampi.

A ben vedere, qualche Sì conveniente per la collettività ci sarebbe: 

- il Sì definitivo alla legge costituzionale che riduce di un terzo i parlamentari (si spera accompagnata da un ritocco dei collegi del Rosatellum, per evitare gli effetti ipermaggioritari del combinato disposto), 
- il Sì alla norma che taglia gli stipendi degli eletti più pagati d’Europa, 
- il Sì alla legge contro la privatizzazione dei servizi idrici e degli altri beni comuni, 
- il Sì al salario minimo (su cui ci scavalca persino da frau Von der Leyen), 
- il Sì a una riforma della Rai che elimini non il canone ma i partiti, 
- il Sì a una riforma che cacci la politica dalle Asl e dagli ospedali. E – aggiungiamo noi - 
- il Sì al carcere per gli evasori con l’aumento delle pene e la sparizione delle vergognose soglie di non punibilità per chi deruba il fisco.

Sono tutte norme previste dal Contratto di governo, a cui il sedicente Partito del Sì ha finora detto No o Ni. Ma sono anche norme di puro buonsenso ed equità che dovrebbero campeggiare nei programmi di un centrosinistra degno di questo nome. Che, se nei suoi 11 anni di governo sugli ultimi 20, avesse pronunciato i Sì e i No giusti, non sarebbe scomparso dai radar.


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Figlio di Salvini sulla moto d'acqua della Polizia: "Da Salvini ancora nessuna scusa per l'intimidazione al giornalista". - Carmine Saviano

Il figlio di Salvini al mare sulla moto d'acqua della polizia. E gli agenti vietano le riprese.

ROMA - Non basta ammettere "l'errore da padre" per giustificare il giro sulla moto della Polizia compiuto dal figlio. Perché quella vicenda coinvolge anche il diritto di cronaca. E Salvini dovrebbe chiedere scusa soprattutto al giornalista minacciato mentre svolgeva il proprio lavoro. E' questa la posizione dell'Ordine dei Giornalisti sulla vicenda che ha coinvolto il videomaker di Repubblica Valerio Lo Muzio. "Anziché difendere la polizia da un suo errore di padre Salvini avrebbe dovuto stigmatizzare il comportamento di chi ha provato ad impedire il legittimo esercizio del diritto di cronaca. Su questo dal giornalista professionista e ministro dell'Interno ci aspettiamo delle scuse", dice il presidente Carlo Verna.
"Inaccettabile". Questa la definizione della Fnsi. Il presidente Beppe Giulietti dice a Repubblica: "Non possiamo far passare questi comportamenti. Nessuno può dire a un cronista che sta svolgendo il suo lavoro, che sta documentando un fatto di interesse pubblico, di abbassare la videocamera. Le videocamere non vanno abbassate. E non solo: chiedo formalmente che sia identificata la persona che ha intimidito e minacciato il videomaker di Repubblica".

E su Twitter l'Associazione Italiana Giornalisti Videomaker lancia l'hashtag #ministrosalvinisiscusi
Poi la politica. A margine della giornata di formazione dei navigator, rispondendo alle domande dei giornalisti sul giro del figlio di Salvini su una moto d'acqua della Polizia, il vicepremier M5S Luigi Di Maio ha espresso "piena solidarietà al giornalista". Il caso continua ad alimentare le proteste del mondo politico. Per Nicola Fratoianni, Sinistra Italiana, è da sottolineare "l'atteggiamento inaccettabile degli operatori di Polizia nei confronti del giornalista che ha filmato la scena". E ancora: "Ci auguriamo che gli accertamenti della questura di Ravenna siano celeri ed efficaci e che i provvedimenti non guardino in faccia a nessuno neanche se saranno coinvolti uomini della scorta del ministro dell'Interno".

https://www.repubblica.it/politica/2019/07/31/news/moto_acqua_giornalista_minacce_salvini-232435434/?ref=RHPPLF-BH-I232396209-C8-P3-S1.8-T1

Quella missione in Marocco di Salvini e Savoini e il mistero dei 150mila euro.

Quella missione in Marocco di Salvini e Savoini e il mistero dei 150mila euro
Foto tratta dal profilo Facebook dell'associazione Lombardia Russia.

Nel 2015 l'allora segretario della Lega viaggia nel paese nordafricano con Savoini. Che sei mesi dopo, secondo quanto riporta Il Fatto Quotidiano, avrebbe ricevuto denaro per aver segnalato aziende italiane cui concedere appalti in Marocco.

ROMA - Prima della Russia, c'è stato il Marocco. Gianluca Savoini, l'ex portavoce di Matteo Salvini e presidente dell'associazione Lombardia-Russia, potrebbe essere al centro di un altro caso di corruzione internazionale. A riportare la storia è Il Fatto Quotidiano: 150mila euro consegnati a Savoini da Mohamed Khabbachi, ex direttore generale dell'agenzia di stampa Mep e uomo del re Mohammed IV per le attività di lobbiyng in Europa. 

Siamo a Parigi, nella primavera del 2016. Savoini avrebbe ricevuto la somma di denaro da Khabacci nella sala dell'hotel Le Meridien Etoile, a poche centinai di metri dall'ambasciata del Marocco. Una sorta di premio per aver fornito alle autorità marocchine una lista di aziende italiane da segnalare per futuri appalti nel Paese nordafricano. Sia Savoini che Khabacci non confermano la vicenda. L'incontro di Parigi sarebbe stato il "seguito" di un viaggio di Savoini e Salvini in Marocco nel 2015, quando l'allora segretario della Lega incontra una delegazione di ministri marocchini per poi dirsi "entusiasta del Marocco, una terra in cui investire".

E la consegna di denaro a Savoini ha anche un risvolto cinematografico, con la somma di denaro avvolta in fogli di giornale che cade - e poi viene raccolta - in un bagno turco.  


https://www.repubblica.it/politica/2019/07/31/news/savoini_marocco_moscopoli_salvini_soldi-232420675/

Vitalizi: dal Senato stop alla pensione di Formigoni.

Roberto Formigoni (archivio) © ANSA

Il consiglio di presidenza di palazzo Madama ha preso atto della sentenza della Cassazione che ha confermato la condanna per corruzione dell'ex governatore della Lombardia.


Stop a partire da agosto al vitalizio e ai trattamenti pensionistici per Roberto Formigoni. Il consiglio di presidenza di palazzo Madama oggi ha infatti preso atto della sentenza della Cassazione che ha confermato la condanna per corruzione nei confronti dell'ex governatore della Regione Lombardia e ha dato atto alla delibera del 2015 che prevede la sospensione delle erogazione di pensioni e vitalizi per i parlamentari condannati in via definitiva. Lo comunica ai cronisti la senatrice M5s Laura Bottici, questore del Senato.

Lavoro: disoccupazione al 9,7%. Mai così tanti italiani occupati dal 1977.

Lavoro: disoccupazione al 9,7%. Mai così tanti italiani occupati dal 1977



A giugno il tasso di occupazione per i 15-64enni è salito al 59,2% (+0,1 punti percentuali), segnando così un nuovo massimo storico: il livello più alto da quando sono iniziate le serie statistiche, ovvero dal 1977. A rilevarlo è l’Istat che registra per lo stesso mese come la stima degli occupati totali risulti «sostanzialmente stabile» rispetto a maggio, dopo la crescita registrata nei primi mesi dell’anno.

Nel dettaglio, il numero degli occupati a giugno scende di 6 mila unità. Istat spiega che il risultato è frutto di una crescita tra le donne (+15 mila) e una diminuzione tra gli uomini (-21 mila). Così, la disoccupazione segna la quarta flessione consecutiva, scendendo al 9,7%, in calo di 0,1 punti percentuali su maggio. Si tratta del tasso più basso da gennaio del 2012, ovvero da sette anni e mezzo.

Il mercato del lavoro italiano a giugno ringiovanisce, almeno un po’. Stavolta, infatti, dietro un’occupazione che nel complesso è sostanzialmente stabile si registra una crescita mensile di 10 mila unità tra i giovanissimi under25 (+10 mila, +0,9 punti), anche se nella fascia più alta, tra i 25 e i 34 anni si contano 4 mila unità in meno (-0,1 punti). Questo è il tasso più basso dall’aprile del 2011.Dopo mesi invece, come si rileva dai dati dell’Istat, c’è un calo nella classe degli ultracinquantenni, dove gli occupati diminuiscono di 18 mila unità (-0,2 punti).

Intanto, le domande per accedere a Quota 100, la possibilità di andare in pensione anticipata con almeno 62 anni di età e 38 di contributi, presentate all’Inps fino al 30 luglio sono state 164.907. è quanto comunica l’istituto di previdenza spiegando che 121.888 sono arrivate da uomini e 43.019 da donne. Del totale, 61.335 hanno fino a 63 anni d’età, 72.059 tra i 63 e i 65 anni e 31.513 oltre i 65 anni. Inoltre, 60.479 domande riguardano lavoratori dipendenti e 52.607 dipendenti che fanno capo alla gestione pubblica. Sul fronte della distribuzione geografica, in testa alle città metropolitane c’è sempre Roma con 13.152 domande, seguita da Milano con 7.642 e Napoli con 7.068 domande.