sabato 8 gennaio 2011

Consulta, sul legittimo impedimento il verdetto slitta ancora: giovedì 13.


Timori tra i giudici: "Dobbiamo guardarci da tutte le parti, ma decideremo in piena autonomia"

Dovrebbe essere giovedì 13 gennaio, il giorno in cui Berlusconi saprà se tornerà ad essere un imputato contumace o se continuerà ad essere un imputato congelato, oltre che presidente del Consiglio. Alla Corte costituzionale, dove martedì mattina ci sarà l’udienza pubblica sul legittimo impedimento “ad premier e ministri”, sono state fissate camere di consiglio fino a giovedì quando la Corte dovrebbe emettere la sentenza sulla legge che ha consentito finora al Cavaliere di bloccare i suoi processi a Milano. “Una bocciatura della legge sarebbe indecente”, ha detto Berlusconi nei giorni scorsi.

Ricordiamo la considerazione del presidente del Consiglio a uno degli alti giudici, lui sospira e ammette le pressioni a cui sono stati sottoposti: “Dobbiamo guardarci da tutte le parti. Ciascuno può commentare come vuole, ma noi decideremo con l’indipendenza che la Corte ha saputo dimostrare”. Il toto sentenza è ai massimi livelli e anche se al Palazzo della Consulta non si vuole sentir parlare di “compromesso”, sembra proprio che dal confronto dei 15 giudici sul legittimo impedimento ad hoc, finora la posizione dominante sia proprio quella di emettere un verdetto che rappresenti una mediazione tra “le giuste esigenze della politica” e il “doveroso corso della giustizia”. Dunque non avrebbero la meglio né i giudici che si sono schierati per l’accoglimento della legge (Luigi Mazzella ha caldeggiato la norma con una lettera ai colleghi) né quelli che pensano sia incostituzionale perché “viola il principio di uguaglianza” e perché già il codice di procedura penale prevede che un imputato (e quindi anche Berlusconi) possa ottenere il rinvio dell’udienza se il giudice riconosce che l’impedimento sia legittimo.

La terza via, quella che dovrebbe venir fuori la settimana prossima, si chiama sentenza interpretativa di rigetto. Se dovesse esserci questo pronunciamento, la Corte respingerebbe i ricorsi dei giudici dei processi Mediaset, Mills e Mediatrade, ma contemporaneamente fisserebbe dei paletti: nessun automatismo del legittimo impedimento dietro un certificato del segretario generale di Palazzo Chigi, fino a 6 mesi consecutivi, come prevede la legge approvata nell’aprile scorso. Deve invece esserci la discrezionalità del giudice, tenendo presente anche quanto già stabilito dalla Consulta nel 2001, ai tempi dei processi a carico di Cesare Previti. Nel “sindacare” sul legittimo impedimento di un esponente politico, il giudice deve conciliare l’agenda degli impegni istituzionali con le esigenze del processo.

Non è escluso, però, che possa essere proclamata una illegittimità parziale della legge nella parte in cui riconosce come legittimo impedimento le “attività preparatorie e conseguenti nonché le attività comunque coessenziali alle funzioni di governo”. La Consulta la prossima settimana non dovrà pronunciarsi soltanto sull’ennesima norma ad personam, ma anche sull’ammissibilità di sei referendum tra cui quello sull’abolizione del legittimo impedimento speciale, promosso dall’Idv. Un referendum che non si terrebbe certamente soltanto nel caso in cui la Corte dovesse bocciare la legge, come ha fatto con i “lodi” Schifani e Alfano. Ma se i giudici dovessero bocciare la legge parzialmente, allora dovrà essere l’ufficio centrale della Cassazione a decidere sul voto previsto, eventualmente per la primavera prossima.

Se, invece, dovesse esserci la sentenza che a oggi viene data per favorita, ovvero quella interpretativa di rigetto, allora il referendum per abrogare il legittimo impedimento ci sarà. E potrebbe svolgersi mentre sono comunque ripresi i processi milanesi, con la difesa Ghedini-Longo impegnata ogni volta a presentare l’agenda di Palazzo Chigi per bloccare l’udienza. Ma se la legge ridarà una certa discrezionalità ai giudici, potranno anche respingere alcuni impedimenti. Insomma o per via della Consulta, o per via referendaria, l’attuale premier potrebbe tornare ad essere un imputato come gli altri. O quasi.

da Il Fatto Quotidiano dell’8 gennaio 2010



Futuro zero.


Pd e Pdl uniti da elettori sempre più vecchi, Bersani precipita tra lavoratori e disoccupati

Il segretario del Pd Bersani insieme ai militanti

Due partiti per vecchi. Un sondaggio riservato, commissionato dal segretario del Pd Pier LuigiBersani a una multinazionale del settore, conferma che il suo partito (stimato attorno al 25% del voto totale) vale il 30-32% tra gli ultracinquantacinquenni e poco più del 20% nelle fasce più giovani. Il Pdl, quotato al 29%, raccoglierebbe il 35,5% tra gli ultrasessantacinquenni. Anche la Lega va mediocremente tra i giovani, che sembrano attratti dalla sinistra-sinistra di Vendola e dagli altri leader corsari: Di Pietro, Fini, Casini. Tutti vanno meglio tra gli under 35.
Dal punto di vista di Bersani, lo scenario politico deve risultare vagamente schizofrenico. Da una parte c’è l’ex segretario Walter Veltroni che chiede il congresso anticipato del Pd e discetta di “fallimento della linea tutti contro Berlusconi”, in un tripudio di liti su politica delle alleanze e primarie sì/primarie no. Dall’altra parte c’è lo stato maggiore del Pdl che va a caccia di parlamentari all’asta per puntellare la maggioranza, mentre alcune teste d’uovo progettano “nuovi predellini”.

Questa abbagliante sagra del politichese natalizio ostacola la visuale su un dato strutturale della politica. I due maggiori partiti, Pdl e Pd, hanno fatto finalmente il vero “inciucio”, hanno trovato il grande accordo: insieme si stanno allontanando da interi pezzi della società italiana, ai quali risultano (ciascuno a suo modo) incomprensibili.

Se infatti Silvio Berlusconi è il leader più amato dalle casalinghe (il 40% delle quali scelgono Pdl), i pensionati sono attratti in egual misura da Pd e Pdl, che li attraggono per il 32 e rotti per cento ciascuno. Se in Italia votassero solo i pensionati, Pdl e Pd metterebbero insieme il 65% dei voti, anziché il 53,6% generale rilevato dallo stesso sondaggio.
Ciò significa che il consenso dei due partiti maggiori crolla in altre categorie. Innanzitutto il massiccio appoggio raccolto dai due partiti maggiori tra anziani e pensionati significa che Pdl e Pd vanno male tra chi lavora. Il partito di Bersani, se votasse solo chi ha un lavoro, prenderebbe il 22%. Il Pdl non andrebbe oltre il 26%. La Lega salirebbe al 14% (contro un dato generale dell’11,5%).

In particolare, il Pdl non riesce a catturare l’attenzione degli impiegati e degli insegnanti (24%) e degli studenti (20%). Il Pd è in crisi verticale tra i lavoratori autonomi, l’unico gruppo sociale in cui Pdl e Lega Nord raccolgono la maggioranza assoluta dei consensi: il partito di Bersani qui non va oltre il 14%. Ma soffre anche tra gli operai, i disoccupati e le casalinghe, tre categorie nelle quali il consenso del Pd è sotto il 20%. Gli operai ormai sembrano persi. Votano a sinistra (Pd, Idv, Pdci, Prc, Vendola) per il 35%, a destra (Pdl+Lega) per il 46%. I dati consegnati a Bersani confermano che il Pd è un partito che piace al pubblico impiego, cioè ai cosiddetti garantiti. E poco a chi se la passa male e tra essi, come abbiamo visto, ai disoccupati.
Quest’ultimo dato va letto insieme a quello sui livelli culturali. Infatti il Pd è anche il partito dei laureati. Se in Italia votassero solo i cittadini dotati di laurea, paradossalmente verrebbero esclusi dal voto alcuni influenti boss del Pd (a cominciare da Veltroni e D’Alema che risultano sprovvisti), ma Bersani, con la sua laurea in Filosofia, stravincerebbe le elezioni con il 28% dei voti e un’eventuale alleanza Pd-Di Pietro-Vendola-Prc-Pdci andrebbe trionfalmente al governo con quasi il 52% dei voti (35% tra gli operai, ricordiamo).

Lo scenario rimane teorico, visto che in Italia vige per ora il suffragio universale. Ma illumina un tema drammatico per entrambi i maggiori partiti. Per il Pdl, l’incapacità di risultare convincente per chiunque abbia qualche buona lettura alle spalle (tra i laureati, il partito di Berlusconi e la Lega non vanno oltre il 27%, contro un consenso generale che supera il 40%).
Per il Pd c’è un aspetto ancora più grave: i laureati sono pochi, come relativamente pochi sono gli studenti. Il dato forse più allarmante per Bersani è proprio questo. Il consenso del 26% tra gli studenti e del 22% tra gli under 25 indica una forbice pericolosa. Basta confrontare il dato con quello raccolto dai tre partiti di sinistra-sinistra, che tra gli under 25 vedono aumentare il loro voto del 50%, dall’8 al 12%.

Dunque, il Pd non sa parlare ai giovani che non possono studiare, agli operai, ai disoccupati, alle partite Iva, ai precari, alle casalinghe. Insomma, non sa più parlare a quella che una volta si chiamava la povera gente, quella che affidava alla sinistra un sogno di riscatto.

da Il Fatto Quotidiano del 7 gennaio 2011



Wikileaks e la guerra Usa all’informazione.




Il dipartimento della giustizia americana ha ordinato a Twitter di fornirgli tutti i dati e le informazioni in suo possesso in relazione ad una serie di accounts facenti capo a Julian Assange,Brigitta Jònsdottir (la parlamentare islandese promotrice della Icelandic Modern Media Initiative), Bradley Manning (il soldato accusato di aver comunicato a Wikileaks le informazioni trafugate dagli archivi del Pentagono) ed altri attivisti di Wikileaks.

L’ordine, stando a quanto si apprende, sarebbe stato trasmesso a Twitter il 14 dicembre scorso con esplicita richiesta di non informare neppure i titolari degli account oggetto di investigazione dell’ordine stesso. Successivamente, tuttavia, il 5 gennaio, la consegna del segreto verso i titolari degli account sarebbe stata revocata e questi ultimi sarebbero stati, quindi, informati dell’indagine in corso. Stando a quanto si legge nell’ordine di acquisizione delle informazioni presso Twitter, i dati e le informazioni richieste risulterebbero necessari nell’ambito di un procedimento penale attualmente pendente.

Il Dipartimento della Giustizia statunitense, dopo settimane di attesa e minacce indirette, sembrerebbe, dunque, aver rotto ogni indugio ed essere ora intenzionato a trascinare Julian Assange e quanti lo hanno sin qui supportato, sul banco degli imputati, anche se non è dato sapere quale sia esattamente il reato contestatogli. Si tratta, tuttavia, presumibilmente di cospirazione in danno degli Stati Uniti d’America. Siamo ad un passo da un’autenticadichiarazione di guerra all’informazione del XXI secolo.

Il dipartimento della Giustizia Usa, quello del presidente Barack Obama che aveva manifestato l’intenzione di dar vita alla più trasparente amministrazione nella storia degli Stati Uniti d’America, chiede ad un fornitore di servizi di comunicazione elettroniche di fornirgli dati ed informazioni relativi all’attività online svolta da una parlamentare di un paese straniero.
Si tratta, come ha già annotato il ministro dell’Interno islandese di un fatto gravissimo, soprattutto se si considera che il crimine per il quale si procede consiste, nella sostanza – in attesa di conoscere la contestazione formale – nell’aver contribuito alla diffusione di informazioni di indubbia rilevanza per l’opinione pubblica, ma classificate come segrete dalla stessa amministrazione procedente.

E’ difficile – peraltro senza conoscere regole e riti del diritto statunitense – prevedere come andrà a finire e, soprattutto, capire se l’amministrazione Usa sta “solo” mostrando i muscoli e cercando goffamente di fare terra bruciata attorno a Julian Assange o, piuttosto, crede davvero di poterportare alla sbarra Wikileaks ed addirittura la parlamentare islandese, rea, per quanto sin qui noto, di aver proposto un disegno di legge volto a trasformare l’Islanda in un “paradiso dell’informazione”.

E’, però, fuor di dubbio che soffia vento di guerra dagli Usa e che la guerra in questione, quella che potrebbe scoppiare nelle prossime ore, sarebbe uno dei conflitti più “immateriali” della storia dell’uomo ma, ad un tempo più devastanti: si tratterebbe, infatti, di una guerra a colpi di informazioni contro l’informazione. Troppo difficile, stando seduti da questa parte dell’oceano, capire chi ha ragione e chi ha torto a norma di legge e, persino, se ed in che misura sia il diritto americano a dover essere utilizzato per dirimere il conflitto ma, è egualmente difficile non trovare miope e donchisciottesca la reazione statunitense.

Julian Assange e Wikileaks non sono che la punta dell’iceberg di un universo dell’informazione che, ormai, si è fatto largo nell’oceano della Rete. Metterli a tacere – ammesso che ciò sia possibile – non varrà a tornare indietro nel tempo ed a restituire al segreto di stato l’impenetrabilità di ieri. E’ facile prevedere che il posto di Wikileaks e dei suoi verrà presto preso da altri che, magari, questa volta, agiranno con il volto coperto sotto un passamontagna digitale e sfrutteranno le leggi, non lontane a venire, di un paese che, come l’Islanda, scelga di ergersi a paradiso della libertà di informazione e di sfidare, così, le leggi americane, proprio come, sino a ieri, molti paesi costituiti da pugni di sabbia nell’oceano, hanno sfidato i regimi tributari delle nazioni più ricche e potenti.

E’ un peccato che tanta miopia politica – sfortunatamente diffusa nella gerontocrazia di Palazzo – abbia colpito anche l’amministrazione di Barack Obama, quella che si era candidata ad essere la più trasparente della storia e la protettrice degli informatori ed oggi, per uno strano scherzo del destino, si trova a combattere una guerra contro un “eccesso di trasparenza” o, piuttosto, contro un “abuso dei media e della libertà di espressione”.




Houston, abbiamo un problema: l’agenzia spaziale.


La sede era prevista per il 1999. Sarà pronta (forse) tra un anno. Niente appalto pubblico: i lavori furono secretati dall'ingegnere Angelo Balducci della "cricca". Il costo stimato era di 24 miliardi di lire, ora con le ultime modifiche sarà di 90 milioni di euro

Il progetto della nuova sede dell'Agenzia spaziale italiana nel quartiere romano di Tor Vergata

Doveva costare poco più di 24 miliardi di lire, secondo le previsioni della fine del ’99, e invece gli ultimi calcoli parlano di circa 90 milioni di euro. Doveva sorgere al quartiere Flaminio, riusando le strutture dell’ex Caserma Montello, e invece è stata costruita ex novo a Tor Vergata. Doveva servire per 250 dipendenti, e invece è stata faraonicamente dimensionata su 450, un valore che mai il ministero dell’Economia ha riconosciuto accettabile. Ma in cantiere ti confidano che a conti fatti ce ne staranno 100 in più. Poteva e doveva essere costruita con un pubblico appalto, e invece i lavori sono stati secretati da Angelo Balducci, l’ingegnere a capo della “cricca” delle opere pubbliche. È un altro duro colpo alle coronarie già così provate del cittadino-contribuente la storia della nuova sede dell’Asi, l’Agenzia Spaziale Italiana, l’ente pubblico (e feudo riconosciuto e conclamato degli ex An) incaricato di promuovere e sviluppare progetti nazionali e internazionali in campo aerospaziale.

Il palazzo non è ancora pronto, i lavori sono in ritardo di oltre un anno e bisognerà attendere almeno la fine del 2011, per l’ultimazione, ma già spicca maestoso, con la sua grande facciata a vetro semicircolare, davanti al cubo anonimo che ospita la facoltà di Ingegneria di Tor Vergata. A realizzare l’opera è la Sac, Società appalti e costruzioni di Claudio (padre) ed Emiliano Cerasi, quest’ultimo vicepresidente dei costruttori romani, grande collettore di opere pubbliche della capitale (dal Parco della Musica al Maxxi), considerato vicino al Pd. La Sac, poco dopo, avrebbe poi vinto anche la gara per la costruzione del nuovo teatro di Firenze, su cui si è sviluppata la ben nota indagine della magistratura fiorentina.

Invece di una normale procedura di affidamento, per la sede Asi venne imposta la segretezza (art. 33 della legge 104 del 1999) come se si stesse costruendo un’opera militare necessaria alla difesa della nazione, e non la sede di un ente di ricerca. Vero che dentro debbono essere anche custoditi alcuni documenti vincolati a segreto militare: quelli, ad esempio, del sistema civile-militareCosmo-Skymed, con quattro satelliti in orbita polare che controllano il globo 24 ore su 24. Ma le necessità logistiche non investono certo la sede intera: si limitano a pochi locali, meno di dieci, quelli allo scopo destinati nella sistemazione attuale dell’Asi, che si articola su due distinti palazzi, a via di Villa Grazioli e a viale Liegi. È bastato però questo espediente per secretare la gara su una costruzione che sviluppa in tutto ben 130 mila metri cubi. Vennero riservatamente invitate dieci aziende, con la formula del massimo ribasso. Vittoria della Sac con un punto di vantaggio sullaTodini, nell’agosto del 2005. A siglare una convenzione con il Provveditorato del Lazio per la realizzazione della nuova sede (dalla progettazione alla stazione appaltante al collaudo) era stato l’allora presidente dell’Asi, Sergio Vetrella, oggi senatore del Pdl e assessore della nuova Giunta della Regione Campania, sempre per lo stesso partito.

Il progetto precedente e poi abbandonato, quello della Caserma Montello, era invece diMassimiliano Fuksas, vincitore di una gara europea, poi liquidato con una parcella di circa 4 miliardi di lire e con un successivo indennizzo di 550 mila euro, pur di chiudere il contenzioso. I lavori della nuova sede, invece, sarebbero dovuti costare inizialmente 43 milioni di euro, ma sono poi saliti, a forza di modifiche e integrazioni, a 89 milioni e mezzo di euro, secondo l’ultima ricognizione che comprende le opere infrastrutturali. Sembra prevista una sala convegni da 600 posti, un asilo nido con scuola materna per i dipendenti, mensa da 300 posti, una sala fitness, parcheggi interrati, un sovrappasso. Nel 2007 Vetrella se n’è andato, e al suo posto, prima come commissario poi come presidente, è subentrato Enrico Saggese, compagno di scuola diGasparri e missino doc.

Intanto, nell’attesa che i 240 attuali dipendenti romani vadano a disperdersi in un palazzo che ne conterrebbe due volte e mezzo, sta esplodendo anche all’Asi il bubbone delle consulenze facili, dei favori agli “amici e sodali di partito” con un ispettore di finanza che da più di un mese scartabella documenti e analizza posizioni. Fra le più critiche, quella di Antonio Menè, funzionario della Camera distaccato all’Asi, come la legge prevede, per fare il segretario del Consiglio di amministrazione. Non previsto è invece che al suo lauto stipendio di 18 mila euro lordi al mese, si aggiunga un cadeau Asi di circa 65 mila euro. Una robusta indennità anche per l’avvocato dello Stato Pierluigi Di Palma, che ha pure fatto distaccare sua moglie, dal ministero delle Infrastrutture. Se i risultati dell’inchiesta non saranno secretati, come la gara per la nuova sede, ne vedremo delle belle.

da Il Fatto Quotidiano dell’ 8 gennaio 2011

Allegati

    Lavori in corso. Cubi di cemento e tubi davanti al cantiere romano dell’Asi


Povera Patria


Sprechi e ritardi per il 150° dell'Unità d'Italia. Bossi: "Niente da festeggiare"

Data di consegna lavori: 16 marzo 2011. Il cartello affisso sul ponteggio che imprigiona il monumento equestre ad Anita Garibaldi sul colle Gianicolo è l’ennesima offesa del governo Berlusconi alla memoria di chi nel 1861 fece l’Italia e purtroppo oggi si trova ad essere celebrato da quel che resta degli italiani.

L’altro ieri Umberto Bossi ha chiarito cosa pensa delle celebrazioni del 150esimo: “Non c’è niente da festeggiare”, ha detto il ministro delle riforme, “l’Italia è divisa in due. Chi sente che è una cosa positiva la festeggia, gli altri no”. Per vedere l’altra metà bisogna salire sul colle che vide nascere e morire la Repubblica romana. Il 150esimo è arrivato all’improvviso sul Gianicolo e l’Italia di Bossi e Berlusconi si è presentata all’appuntamento con la storia con ritardo e sciatteria . Il 9 febbraio il parco del Gianicolo, secondo il programma delle celebrazioni tuttora pubblicato sul sito di Palazzo Chigi, doveva essere inaugurato in pompa magna. Quel giorno fu proclamata nel 1849 la Repubblica romana.

E invece dopo avere sperperato mezzo miliardo di euro in opere che poco o nulla hanno a che fare con il Risorgimento sotto la guida di funzionari integerrimi come Angelo Balducci, Fabio De Santis e Mauro della Giovampaola, il governo Berlusconi si è ricordato all’ultimo momento che c’era un signore di nome Giuseppe Garibaldi, affiancato da una compagna di nome Anita, e da un gruppo di commilitoni, detti i mille, che più di 150 anni fa da queste parti avevano lottato e talvolta erano morti per la Patria. Incredibile a dirsi i cantieri dei restauri dei monumenti equestri dedicati all’eroe dei due mondi e ad Anita e gli 83 busti dei garibaldini, sono stati aperti il 3 dicembre scorso. Ovviamente l’inaugurazione del 9 febbraio salterà e la data della consegna lavori, come dice il cartello scritto a penna, è slittata al 16 marzo, 24 ore prima della festa che vedrà al suo centro proprio il parco del Gianicolo.

Il capo della Struttura di missione per le celebrazioni di Italia 150, Giancarlo Bravi, ne fa una questione filosofica: “Non è un ritardo ma una scelta. Volevamo far coincidere la consegna dei lavori con l’inaugurazione”. I restauratori all’opera sono meno entusiasti dell’appalto espresso: “se avessimo avuto la possibilità di lavorare con più calma sarebbe stato meglio”, spiega il titolare di una delle imprese che preferisce restare anonimo, “purtroppo l’incarico è arrivato all’ultimo momento. Per far prima la Presidenza del Consiglio ha creato tre appalti per tre società diverse. Consegneremo nell’ultimo giorno utile”.

I fondi per il programma di restaurazione dei “luoghi della memoria” come statue, ossari e luoghi di eventi chiave del Risorgimento, sono arrivati solo alla fine del 2010. Molto dopo la realizzazione delle grandi opere che nulla hanno a che fare con i garibaldini ma che interessavano ai politici di destra e sinistra.

Se oggi un turista arrivasse in Italia per veder come il nostro Paese celebra gli eroi che lo crearono resterebbe basito. Mentre le tombe dei garibaldini sono abbandonate nell’incuria e il monumento al condottiero in piazza Garibaldi a Napoli è ricoperto dalle scritte e circondato dall’immondizia, è stata realizzata ad Imperia con i soldi delle celebrazioni la pista ciclabile da 12 milioni di euro cara a Claudio Scajola. Per dare una patina di patriottismo alle pedalate dell’ex ministro nel suo feudo gli uomini della presidenza hanno rintracciato un passaggio da queste parti del genovese Mazzini. Mentre per giustificare la spesa di 31 milioni di euro per l’auditorium da 700 posti a Isernia (22 mila abitanti) sono tornati utili i fantasmi di sette garibaldini, uccisi in Molise.

Molte opere non saranno terminate in tempo. Il capo della struttura di missione Giancarlo Bravi sta lavorando bene ma deve scontrarsi con la programmazione insensata del Governo Prodi e con l’attuazione sprecona e – secondo i pm – corrotta dei funzionari nell’era Berlusconi. Il bilancio è desolante: il progetto faraonico del palazzo del cinema di Venezia, caro a Massimo Cacciari, non sarà realizzato e l’amianto trovato nell’area imporrà una bonifica aggiuntiva di 10 milioni di euro. Forse l’auditorium di Firenze da 236 milioni, dal quale parte l’inchiesta sulla cricca, dovrebbe essere inaugurato a dicembre con un concerto. Ma il maestro Zubin Metha si esibirà in uno “stralcio” dell’opera (da 156 milioni) senza la mirabolante macchina scenica che arriverà dopo il 150esimo. Anche l’auditorium di Isernia, caro all’ex ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro, non sarà terminato. Per far contento il sindaco la struttura guidata da Bravi consegnerà uno stralcio e forse si potrà tenere la messa in scena del Nabucco a dicembre. Poi il cantiere riaprirà, se arriveranno altri dieci milioni di euro dopo i 31 milioni già spesi.

Stavolta i soldi e il tempo non sono scuse valide. La struttura di missione della presidenza del Consiglio è stata creata nel 2007. Per accelerare le procedure e saltare i controlli il governo Prodi concesse la corsia preferenziale dei grandi eventi, usata dai funzionari amici di Diego Anemoneper fare i propri affari personali. Il gruppo Anemone ha vinto l’appalto dell’allargamento dell’aeroporto di Perugia. Una delle ragioni per le quali il primo capo della struttura di missione di Italia 150 Angelo Balducci è stato arrestato è proprio la messa a disposizione da parte del consorzio dell’aeroporto (composto anche dalla società Redim 2002 della moglie di Diego Anemone) di un’automobile Bmw.

Anche gli avvocati Edgardo Azzopardi e Camillo Toro, rispettivamente amico e figlio del procuratore Achille Toro, coinvolto con loro nella fuga di notizie che indusse la Procura di Firenze ad accelerare gli arresti, hanno ricevuto consulenze dalle imprese esecutrici dei cantieri di Italia 150. Mauro della Giovampaola, che prese il posto di Angelo Balducci al vertice della struttura di missione, quando arrivò a Venezia per la posa della prima pietra del palazzo del cinema, si vide recapitare in stanza al Gritti una escort dal solito Anemone. E lo stesso destino toccò in sorte a Fabio De Santis, commissario per la realizzazione dell’auditorium di Firenze. Non ci vuole molto a capire perché le opere faraoniche sono state privilegiate. Il povero Garibaldi e le restauratrici che stanno lavorando al freddo di gennaio per chiudere i lavori in tempo, non avevano escort da offrire. Così l’eroe dei due mondi si ritrova allo scoccare del 150esimo ingabbiato e persino imbustato come una merendina. Mentre i Garibaldini sono stati incappucciati con buste dell’immondizia. Se fosse ancora in carne e ossa e non inchiodato alla sua sella di bronzo, l’eroe dei due mondi scenderebbe dal cavallo e correrebbe dalla sua Anita per inveire contro il secondo tradimento dei suoi connazionali. Ancora una volta sul Gianicolo. Nel 1849 proprio per la delusione patita dai romani che lo lasciarono solo a combattere scrisse alla bella creola che aveva lasciato il marito nel Rio Grande per seguirlo scusandosi del carattere dei connazionali. A vedere le zampe del cavallo di Anita corrose dall’incuria e sostenute dai tubi Innocenti , Garibaldi scriverebbe di nuovo “tu donna forte e generosa con che disprezzo guarderai questa ermafrodita generazione di italiani: questi miei paesani ch’io ho cercato di nobilitare tante volte e che sì poco lo meritavano”.

(ha collaborato Damiano Zito)

Nella foto la prima bandiera italiana, così come è esposta al museo del Risorgimento di Torino.