venerdì 14 aprile 2023

Isola delle femmine tra storia e leggende. - Mariafrancesca

Foto: 1 Immagini gratis di Sicilia Isola Delle Femmine - pixabay

La fondazione del Comune di Isola delle Femmine risale al 1854. In quell’anno la borgata di pescatori che viveva nei pressi della Tonnara appartenente al Comune di Capaci divenne un Comune indipendente.

La città prende il nome dall'omonimo isolotto. Riguardo al toponimo (cioè al nome del luogo), ed in particolare all'espressione delle Femmine, vi sono diverse ipotesi e leggende. Secondo una nota ipotesi sull’ isolotto vi era un carcere femminile. Tale ipotesi era giustificata dalla presenza di un edificio che si erge sull’isolotto. Dai reperti storico-archeologici è emerso the tale edificio non è mai stato né una prigione, né un castello, bensì una torre difensiva. In epoca romana Plinio il Giovane in una lettera a Traiano racconta che sull'isolotto risiedevano bellissime fanciulle che si offrivano in premio al vincitore della battaglia.

Secondo un’altra leggenda vicino all’'isolotto dimorano alcune sirene, poiché il rumore di una fortissima corrente marina proveniente da Nord–Ovest ricorda i sibili di queste mitologiche creature. Infine, la leggenda più famosa racconta di 13 donne ottomane, che dopo aver commesso gravi colpe, furono abbandonate dai propri mariti su una barca (senza marinaio) e lasciate alla deriva. La corrente marina le trasportò sull'isolotto dove vissero felici per poco meno di un decennio. Tuttavia i mariti, pentiti del loro gesto, le cercarono e le ritrovarono dopo 7 anni. Fecero pace e inizialmente rimasero sull’isolotto. Successivamente si spostarono sulla terraferma dove in onore della pace fatta fondarono il Comune di Capaci (per la pace).

Secondo un’altra ipotesi toponomastica l’espressione delle Femmine è la storpiatura, l’italianizzazione del nome del governatore bizantino Eufemio, che cercò di rendere autonomi i siciliani dal governo di Costantinopoli. Infine un'altra ipotesi è che il toponimo abbia avuto origine dalla parola araba fim, che significa imboccatura, alludendo all’imboccatura esistente tra la costa e l'isolotto. Gli archeologi hanno rilevato la presenza umana fin dal Neolitico. Tuttavia i reperti archeologici (sia terreni che subacquei) più rilevanti riguardano l'età punico-romana. Fin dai tempi più antica la principale attività di sussistenza della popolazione locale è sempre stata la pesca. Infatti negli anni ‘80 è stata attestata sull'isolotto la presenza di vasche, appartenenti ad un stabilimento per la lavorazione del pesce e dove gli antichi romani preparavano il garum, una gustosa salsina di pesce.

Nel XII secolo i pescatori fondarono un borgo marinaro avente una tonnara, vicino alla quale sorse una chiesa, destinata al culto di questi ultimi. Il Re Guglielmo II donò tale tonnara al vescovo di Monreale, e successivamente divenne proprietà e sede della famiglia Bologna. Oggi è la sede municipale. Ad Isola vi sono due torri di avvistamento: la Torre di dentro, e la Torre di fuori. La torre di dentro, situata sulla terraferma, ha una pianta circolare e risale al 1388. Essa probabilmente è stata edificata preesistente. Infatti da alcuni documenti storici è emerso che nel 1176 vi era una torre, chiamata Tonnarella monta a leva, destinata alla difesa della tonnara situata nel golfo di Capaci. Tale torre venne donata dal re Guglielmo II alla chiesa di Monreale. L’odierna torre in terra avente una pianta circolare è stata edificata in tufo ed è dotata di due piani, raggiungibili attraverso una scala. Al piano di sotto vi trovava una cisterna che raccoglieva l'acqua piovana, il piano superiore venivano utilizzato come deposito per le armi. La torre sull'isolotto, detta torre di fuori, è stata i edificata nel ‘600 dall'architetto Camillani, che divenne famoso per aver realizzato la fontana di piazza Pretoria a Palermo. Cosi come la terra di dentro, anche la terra di fuori fu realizzata in tufo e su 2 piani, ma essa ha una pianta quadrata.

Di tale torre oggi rimane solo un rudere. Infatti dai raccanti e dalle fotografie degli abitanti locali è emerso che nel ’43 tale torre fu utilizzata come bersaglio durante gli allentamenti militari dagli alleati. La torre fu bombardata sia dai cannoni, che i soldati azionavano sulla terra, sia dagli aerei militari. Quando venne fondato il comune di Isola, la popolazione nativa era di circa 1000 abitanti. Dopo la sua fondazione ci fu un incremento demografico. Tuttavia, agli inizi del Novecento molti isolani emigrarono in America a bordo di alcune barche dette Capaciote, e fondarono un nuovo borgo nei pressi di San Francisco. La popolazione riprese a crescere dal 1965, quando i palermitani presero l'abitudine di trasferirsi ad Isola per le vacanze estive.

Agli inizi negli anni Sessanta i palermitani presero l'abitudine di trasferirsi ad Isola per le vacanze estive. Inoltre, ancor prima della seconda guerra mondiale le famiglie avevano l'abitudine di fare dei pic-nic domenicali sull'isolotto e di saliere sul terrazzo nella torre di fuori per danzare. Tale isolotto si trova a circa 800 metri di distanza dalla terra ferma. Esso è un’attrazione presenta un’elegante forma più o meno ovale a causa delle attività erosive dell’acqua e del vento. Su tale isolotto i pastori in età moderna portavano le loro pecore a pascolare. Secondo la popolazione locale esse producevano dell’ottimo latte da cui si produceva una squisita ricotta. Per tutelare, proteggere e valorizzare il patrimonio paesaggistico di tale città.

Nel 1997 fu istituita dalla Regione Siciliana la riserva naturale orientata di Isola delle Femmine gestita dalla LIPU; nel 2003 il ministero dell’ambiente istituisce l'area marina protetta di Capo Gallo-Isola delle Femmine. Oltre alla valorizzazione ed alla tutela del patrimonio paesaggistico e delle specie di animali presenti sul territorio, lo scopo di tali istituti è anche promuovere il territorio dal punto di vista economico e le attività di ricerca scientifica.  

https://www.palermotoday.it/social/segnalazioni/isola-delle-femmine-storia-leggende.html?fbclid=IwAR1iHd-wD41je6GYnVg77Tf2mDYPYARiETxlsmVoA9GCRkzxGO-zDWjxjLw

Vitalizi, li incassano tutti: pure condannati o eletti per 1 giorno - Lorenzo Giarelli e Ilaria Proietti

 I casi più assurdi.

Pivetti fa 60 anni ed entra tra i beneficiari: con lei, anche chi non ha mai messo piede in Aula
DI L. GIAR. E ILA. PRO.
Non vedeva l’ora e infine è giunto anche il suo momento.
Irene Pivetti a processo per evasione e autoriciclaggio nell’inchiesta sulla compravendita delle Ferrari,
può tirare un sospiro di sollievo. Non sarà finalmente più costretta a vivere con i mille euro che gli frutta lavorare per una mensa sociale: è scatta l’ora X meglio, l’età minima, per ricevere finalmente pure lei il vitalizio della Camera.
Minacciato dal taglio contro cui aveva anzitempo tuonato nel 2018: “Il taglio è una questione da morti di fame: il tema vero non sono i quattro spicci che si risparmiano, ma a cosa serve la politica.
Quanto a me,
sarei addirittura disponibile a rinunciare all’assegno della Camera. Ma a una condizione: che mi si restituiscano cash i contributi che ho versato”.
E invece non dovrà fare neppure il gesto perché l’assegno le spetta, basta che conservi la fedina penale pulita dato che a Montecitorio i condannati non hanno diritto all’assegno, mica come al Senato.
Che ha ridato tutto a tutti, compreso a Antonio D’Alì che continua a vedersi accreditare in banca ogni mese la bellezza di 9 mila euro con buona pace della sentenza per concorso esterno in associazione mafiosa che l’ha portato direttamente in carcere.
O il Celeste Roberto Formigoni che riceve 7 mila euro (sempre lordi) al comodo di casa sua dopo i servizi sociali e una breve “penitenza” in carcere per la condanna a 5 anni e 10 mesi per corruzione.
Ma anche alla Camera in altri tempi non si son fatti mancare nulla.
A volte è bestato un giorno di lavoro per guadagnarsi 2.000 euro al mese a vita. Se oggi infatti ci vogliono almeno 4 anni e 6 mesi per maturare il vitalizio, nella Prima Repubblica si poteva staccare il dividendo anche solo con un mezzo pomeriggio a Montecitorio o Palazzo Madama.
O senza esserci mai stato, come nel caso di Piero Craveri. Storico torinese, consigliere regionale
in Campania per volere di Marco Pannella, il 9 luglio 1987 entra in Senato coi Radicali e dopo poche ore consegna le dimissioni: “Non ho mai messo piede in Parlamento – il suo sfogo anni fa alla Zanzara – ma prendo il vitalizio e non mi vergogno.
Ho sempre fatto politica”.
Quell’assolata proclamazione estiva gli frutta 2.159 euro al mese (poi ridotti e poi nuovamente aumentati, a causa del continuo balletto di sentenze a Palazzo Madama). “Pannella mi chiese di dimettermi e mi dimisi – è ancora la versione di Craveri – Poi è arrivata una lettera a casa in cui mi chiedevano se volevo versare i contributi come i senatori in carica. Li versai e mi è arrivato il vitalizio”.
Un caso simile è quello di Angelo Pezzana, anch’egli Radicale. Deputato per una settimana a cavallo di San Valentino 1979, Pezzana si dimette “per motivi personali” che gli “impediscono di lasciare Torino” per Roma. Pazienza: la Camera apprezza e dal 2000 (al compimento dei 60 anni) assicura un assegno che – al valore attuale – sarebbe pari a 3.100 euro, poi ridotto a 1.200 col ricalcolo voluto da Roberto Fico cinque anni fa.
Nell’almanacco delle bizzarrie del vitalizio c’è poi un volto pop.
Si tratta di Gerry Scotti, popolare conduttore Mediaset: nel 1987 entra alla Camera col Partito Socialista e per un anno partecipa attivamente ai lavori parlamentari, prima di accorgersi che le sue proposte restano “tutte inascoltate, lettera morta”.
La vocazione svanisce, Scotti si eclissa e torna allo spettacolo, pur restando in carica fino al 1992.
In quell’anno la Camera fa i conti e si accorge che a Scotti spetta l’equivalente di 1.400 euro al mese, cifra a cui il conduttore prova a rinunciare scrivendo a Montecitorio e poi, negli anni, anche all’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Nulla da fare, il vitalizio è per sempre e l’unica cosa che può fare Scotti è promettere di devolvere il denaro in beneficenza.

Aridateci Aigor. - Marco Travaglio

 

Allegria! Nasce una Commissione parlamentare per indagare sulla gestione del Covid da parte dei governi Conte e Draghi (e non delle Regioni, competenti in sanità): cioè sul lockdown, le zone rosse, arancioni e gialle, gli acquisti di mascherine, i vaccini, perfino i banchi “a rotelle”.
Insomma su tutte le benemerite iniziative, poi copiate dai migliori governi d’Europa, che hanno arginato la pandemia e salvato decine di migliaia di vite.
Nelle vere democrazie le commissioni d’inchiesta le crea l’opposizione per controllare chi detiene il potere, non chi detiene il potere per ricattare l’opposizione. Perciò M5S e Pd protestano. Ma al loro posto ci limiteremmo a disertare le sedute e a goderci lo spettacolo dei segugi destronzi che indagano da soli. Uno spettacolo che, visti i precedenti, si annuncia imperdibile.
In Italia le commissioni parlamentari non scoprono mai nulla più dell’acqua calda, riuscendo semmai a incasinare il poco che ha accertato la magistratura. E colpiscono pure come boomerang chi le architetta.
La più recente è quella sulle banche, voluta da Renzi nel 2017 contro i 5Stelle, Lega e FdI che osavano denunciare i conflitti d’interessi del suo Pd nei crac bancari. Partito per suonarle agli oppositori, il poveretto finì suonato dallo scandalo della sua soffiata sul dl Banche Popolari a De Benedetti, che ci speculò in Borsa. Si scoprì pure che la Boschi aveva fatto il giro delle sette banche, più Consob e Bankitalia, per raccomandare l’Etruria tanto cara al babbo.
Il meglio però lo diedero i berluscones con due capolavori della commedia all’italiana: le commissioni Telekom Serbia e Mitrokhin. La prima, presieduta dall’avvocato di Dell’Utri, Enzo Trantino, nasce nel 2003 per indagare sull’acquisto nel 1997 del 29% della compagnia telefonica serba da Stet-Telecom Italia: 900 miliardi di lire al governo di Milosevic, già sotto embargo e poi catturato e condannato all’Aja. Per nascondere le tangenti (vere) pagate da Previti ai giudici romani per comprare le sentenze Mondadori e Imi-Sir, salta fuori un “supertestimone” delle tangenti (false) intascate da Prodi, Fassino e Dini sui conti cifrati “Mortadella”, “Cicogna” e “Ranocchio”. Il portentoso teste, tal Igor Marini, si presenta come “conte polacco”, giura di aver trattato personalmente l’acquisto di Telekom, ma afferma di aver dimenticato le carte in Svizzera. La commissione gli crede sulla parola e parte con lui per Lugano. Ma si scorda di avvertire gli svizzeri, che arrestano i nostri eroi. I parlamentari vengono poi rilasciati. Marini lo trattengono in galera, essendo ricercato per aver truffato alcuni alberghi: mangiava, beveva e dormiva, ma non pagava il conto come un altro conte, il Mascetti di Amici miei.
Appena sentono il suo nome, i giudici di Torino chiedono la sua estradizione: lo cercavano da mesi per una truffa su titoli indonesiani. I pm, diversamente dalla Commissione, indagano su di lui e scoprono che vive in un tugurio nel Bresciano e fa il facchino al mercato ortofrutticolo: l’attività tipica degli intermediari da Stato a Stato. La seconda moglie racconta in lacrime che Igor ha truffato anche lei: non era conte né polacco, si spacciava per numero 2 dello Ior e amico del Papa. La prima moglie, la soubrette Isabel Russinova, dichiara ai pm: “Igor ha preso in giro anche me. Mi sono vergognata per anni, ma ora che ha truffato l’intero Parlamento mi sento meno sola”. Dei conti Cicogna, Mortadella e Ranocchio e della maxi-tangente da 450 miliardi non si troverà traccia. Marini sarà condannato a dieci anni per calunnia. E si scoprirà che l’unico a prendere soldi provenienti dall’affare Telekom Serbia è stato un membro della Commissione Telekom Serbia: Italo Bocchino di An.
Il degno pendant del conte Aigor è Mario Scaramella da Napoli, “superconsulente” della commissione Mitrokhin, che indaga sugli infiltrati del fu Kgb in Italia sotto la presidenza di Paolo Guzzanti, padre d’arte. Una vita di espedienti, trascorsa a millantare credito e fondare inesistenti centri studi e organizzazioni internazionali antiatomiche formate da lui e dalla fidanzata, nonché a spacciarsi per “giudice antimafia”: un cazzaro legato al Sismi e alla Cia. La Commissione gli crede ciecamente e lo manda in giro per l’Europa a torchiare vecchie spie russe in andropausa. Quelle gli raccontano le porcate di Putin, ma lui è più interessato a Prodi, di cui purtroppo nessuno sa nulla, a parte una spia che ha sentito dire da un’altra (morta) che un’altra (morta) aveva saputo da un’altra che Prodi piaciucchiava al Kgb. Quindi Prodi agente sovietico, forse coinvolto nel caso Moro. “Una bomba termonucleare!”, esclama Guzzanti al telefono con Scaramella, “lo dico subito al Capo”. Cioè a B.. Ma neanche lui lo prende sul serio. Scaramella continua a molestare gente nei bar di Londra, mostrando foto di Prodi e persino di Diliberto e Pecoraro Scanio (anche loro del Kgb, malgrado l’età). Nei suoi rapporti cifrati, Pecoraro è ‘Pecorosky’ e ‘Culattosky’. Una delle spie molestate prega Guzzanti di riprendersi lo stalker: “Your friend is a mental case”. Mario sostiene di essere stato avvelenato a Londra col polonio insieme all’ex agente Litvinenko: “Mi han dato una dose dieci volte superiore a quella mortale”. Solo che Litvinenko muore, mentre Scaramella resuscita e torna in Italia. Lo arrestano appena scende dall’aereo e lo condannano per armi e calunnie. Ora sia lui sia Marini sono fuori. Pronti per la Commissione Covid.