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venerdì 14 aprile 2023

Vitalizi, li incassano tutti: pure condannati o eletti per 1 giorno - Lorenzo Giarelli e Ilaria Proietti

 I casi più assurdi.

Pivetti fa 60 anni ed entra tra i beneficiari: con lei, anche chi non ha mai messo piede in Aula
DI L. GIAR. E ILA. PRO.
Non vedeva l’ora e infine è giunto anche il suo momento.
Irene Pivetti a processo per evasione e autoriciclaggio nell’inchiesta sulla compravendita delle Ferrari,
può tirare un sospiro di sollievo. Non sarà finalmente più costretta a vivere con i mille euro che gli frutta lavorare per una mensa sociale: è scatta l’ora X meglio, l’età minima, per ricevere finalmente pure lei il vitalizio della Camera.
Minacciato dal taglio contro cui aveva anzitempo tuonato nel 2018: “Il taglio è una questione da morti di fame: il tema vero non sono i quattro spicci che si risparmiano, ma a cosa serve la politica.
Quanto a me,
sarei addirittura disponibile a rinunciare all’assegno della Camera. Ma a una condizione: che mi si restituiscano cash i contributi che ho versato”.
E invece non dovrà fare neppure il gesto perché l’assegno le spetta, basta che conservi la fedina penale pulita dato che a Montecitorio i condannati non hanno diritto all’assegno, mica come al Senato.
Che ha ridato tutto a tutti, compreso a Antonio D’Alì che continua a vedersi accreditare in banca ogni mese la bellezza di 9 mila euro con buona pace della sentenza per concorso esterno in associazione mafiosa che l’ha portato direttamente in carcere.
O il Celeste Roberto Formigoni che riceve 7 mila euro (sempre lordi) al comodo di casa sua dopo i servizi sociali e una breve “penitenza” in carcere per la condanna a 5 anni e 10 mesi per corruzione.
Ma anche alla Camera in altri tempi non si son fatti mancare nulla.
A volte è bestato un giorno di lavoro per guadagnarsi 2.000 euro al mese a vita. Se oggi infatti ci vogliono almeno 4 anni e 6 mesi per maturare il vitalizio, nella Prima Repubblica si poteva staccare il dividendo anche solo con un mezzo pomeriggio a Montecitorio o Palazzo Madama.
O senza esserci mai stato, come nel caso di Piero Craveri. Storico torinese, consigliere regionale
in Campania per volere di Marco Pannella, il 9 luglio 1987 entra in Senato coi Radicali e dopo poche ore consegna le dimissioni: “Non ho mai messo piede in Parlamento – il suo sfogo anni fa alla Zanzara – ma prendo il vitalizio e non mi vergogno.
Ho sempre fatto politica”.
Quell’assolata proclamazione estiva gli frutta 2.159 euro al mese (poi ridotti e poi nuovamente aumentati, a causa del continuo balletto di sentenze a Palazzo Madama). “Pannella mi chiese di dimettermi e mi dimisi – è ancora la versione di Craveri – Poi è arrivata una lettera a casa in cui mi chiedevano se volevo versare i contributi come i senatori in carica. Li versai e mi è arrivato il vitalizio”.
Un caso simile è quello di Angelo Pezzana, anch’egli Radicale. Deputato per una settimana a cavallo di San Valentino 1979, Pezzana si dimette “per motivi personali” che gli “impediscono di lasciare Torino” per Roma. Pazienza: la Camera apprezza e dal 2000 (al compimento dei 60 anni) assicura un assegno che – al valore attuale – sarebbe pari a 3.100 euro, poi ridotto a 1.200 col ricalcolo voluto da Roberto Fico cinque anni fa.
Nell’almanacco delle bizzarrie del vitalizio c’è poi un volto pop.
Si tratta di Gerry Scotti, popolare conduttore Mediaset: nel 1987 entra alla Camera col Partito Socialista e per un anno partecipa attivamente ai lavori parlamentari, prima di accorgersi che le sue proposte restano “tutte inascoltate, lettera morta”.
La vocazione svanisce, Scotti si eclissa e torna allo spettacolo, pur restando in carica fino al 1992.
In quell’anno la Camera fa i conti e si accorge che a Scotti spetta l’equivalente di 1.400 euro al mese, cifra a cui il conduttore prova a rinunciare scrivendo a Montecitorio e poi, negli anni, anche all’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Nulla da fare, il vitalizio è per sempre e l’unica cosa che può fare Scotti è promettere di devolvere il denaro in beneficenza.

giovedì 29 luglio 2021

Referendum: Salvini arruola Totò Cuffaro, Paolo B. e Alemanno. - Lorenzo Giarelli

 

Il variegato universo dei promotori del referendum della Giustizia si arricchisce ogni giorno di fantasiose sorprese. A fianco a Lega e Radicali – binomio già di per sé insolito – si stanno facendo avanti pregiudicati e impresentabili, innamorati come Matteo Salvini ed Emma Bonino della separazione delle carriere, della responsabilità civile dei pm, delle limitazioni alla custodia cautelare e della revisione della legge Severino, oltreché delle modifiche ad alcune norme relative al Csm.

Gli ultimi a firmare per i quesiti sono stati, ieri, Catello Maresca e Paolo Berlusconi. Il primo, candidato sindaco del centrodestra a Napoli, fa rumore soprattutto perché magistrato, evidentemente già calatosi alla perfezione nelle vesti del politico. Anche Paolo Berlusconi firma in virtù di una certa familiarità con le aule dei tribunali, lui che nel 2010 è stato condannato in Cassazione a 4 mesi di reclusione per alcune false fatturazioni dopo aver patteggiato 1 anno e 9 mesi per concorso in corruzione e reati societari nella gestione di una discarica del milanese.

Ma ai banchetti di raccolta-firme sarà possibile imbattersi pure in Totò Cuffaro, la cui nuova Dc sostiene i quesiti referendari. In questi giorni l’ex presidente della Regione Sicilia, condannato a 7 anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio, partecipa a una serie di incontri con l’associazione radicale Nessuno tocchi Caino, a sua volta impegnata sul tema delle carceri e della giustizia.

Fresco di firma è poi Gianni Alemanno, l’ex sindaco di Roma che si porta dietro una condanna definitiva a sei mesi per finanziamento illecito ed è in attesa che la Corte d’appello ridetermini la pena per traffico di influenze, dopo la pronuncia della Cassazione. Il tutto per colpa “di due sentenze basate su teoremi – assicura lui – che dimostrano che molto deve essere cambiato anche nel rapporto tra politica, magistratura e mondo giornalistico”.

Insieme ad Alemanno, al gazebo c’era Guido Bertolaso, factotum della Sanità che durante l’emergenza Covid si è spostato tra Lombardia, Umbria, Abruzzo e Sicilia, secondo il quale la riforma della Giustizia “è la madre di tutte le battaglie”. Una sensibilità che nei giorni scorsi ha smosso anche Matteo Renzi, ai gazebo con altri italovivi come Davide Faraone e Raffaella Paita e festeggiato anche dai social della Lega appena dopo la firma.

Non un gran portafortuna in materia di referendum, l’ex premier, ma una tessera in più in un mosaico partitico già pittoresco. Basti pensare che a mobilitarsi per le firme sarà anche CasaPound, che a inizio settembre organizzerà iniziative in favore dei referendum durante la propria festa nazionale.

E se poi nemmeno tutti questi illustri testimonial dovessero bastare, Salvini e compagnia potranno sempre affidarsi alle Regioni, secondo Costituzione titolate – se si coordinano almeno in cinque – a richiedere i referendum anche senza il raggiungimento delle 500 mila firme: ieri la Sicilia è stata la quinta Regione a far approvare alla propria assemblea di eletti i quesiti sulla giustizia, raggiungendo gli altri feudi di centrodestra in Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Umbria.

ILFQ

martedì 20 aprile 2021

Una firma contro il vitalizio ai corrotti. - Ilaria Proietti


Privilegi da condannati. Senato, cosa si può fare dopo che il tribunale interno ha restituito l’assegno a Formigoni e Del Turco? Le richieste avanzate dal “Fatto”.

Il Fatto Quotidiano lancia una petizione in modo che i cittadini possano farsi sentire da Maria Elisabetta Alberti Casellati. Fino a convincere il Senato a sollevare un conflitto di attribuzione di fronte alla Corte costituzionale ora che la Commissione contenziosa presieduta dal suo collega di Forza Italia Giacomo Caliendo ha ripristinato il vitalizio per Roberto Formigoni e per tutti gli ex senatori, anche se condannati per reati gravissimi come mafia e terrorismo. Anche a costo di cancellare le regole che lo stesso Senato si era dato dal 2015 e attraverso le quali era stato possibile sospendere l’erogazione dell’assegno agli ex di lusso, ma con la fedina penale sporca, come ad esempio Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.

Ora invece si rischia di tornare all’antico, grazie a una decisione che fa arrossire e a cui si vorrebbe mettere la sordina.

I partiti In silenzio.

L’appello dell’ex presidente del Senato Pietro Grasso, che ha indicato la strada del conflitto di attribuzione di fronte alla Consulta oltre che quello del ricorso all’organo di appello interno, finora ha avuto un’accoglienza tiepida. Chi ci sta? Quelli di Forza Italia sicuramente no: dicono che Caliendo è stato impeccabile e che la Commissione che presiede “è più di un tribunale. È come la Consulta. Quindi è impensabile il conflitto di attribuzione: il Senato è giudice di se stesso”.

Su Grasso fa melina Fratelli d’Italia. E la Lega? Non pervenuta: il vitalizio pure ai condannati non è un tabù.

È invece possibilista la neo capogruppo del Pd, Simona Malpezzi, ma c’è un ma: “Gli elementi per sollevare il conflitto di attribuzione ci sono ed è buona norma che il Senato tuteli le proprie decisioni”. Anche se poi lascia intravvedere anche un altro scenario: “Il Consiglio di presidenza ha la possibilità di riscrivere bene una delibera, inattaccabile dai ricorsi e coerente con la giurisprudenza di legittimità”.

Ma intanto la delibera sui condannati è diventata carta straccia dopo la sentenza di Caliendo, resa esecutiva con il sigillo di Sua Presidenza Casellati. Che si fa? “Attendiamo di leggere le carte, poi decideremo che fare. Anche se par di capire che i 5Stelle sono vittime di se stessi: se avessero approvato i paletti che avevamo proposto per il reddito di cittadinanza non sarebbe stato possibile ridare il vitalizio ai condannati”, dice il capogruppo di FdI Luca Ciriani facendo eco alle motivazioni adottate dalla Commissione Caliendo. Che intanto però fa festeggiare gli ex senatori con una condanna sul groppone.

L’ineffabile Caliendo.

Del resto Caliendo aveva già tanti fan pure tra quelli a posto con il casellario giudiziale. Già l’anno scorso gli aveva dato di piccone azzoppando il taglio dei vitalizi deciso nel 2018 per ragioni di equità sociale: ora che il vitalizio l’hanno ridato pure ai condannati, attendono più sereni il giudizio di appello affidato alla commissione presieduta dall’altro forzista Luigi Vitali.

Insomma, l’austerità durata una paio d’anni, per Lorsignori condannati e non, pare alle spalle. Ci crede l’avvocato e già deputato azzurro Maurizio Paniz, che dopo la nuova autostrada che si è aperta al Senato già si frega le mani in attesa dell’effetto domino: “Spero che l’annullamento della delibera Grasso venga recepito dagli organi giurisdizionali della Camera per eliminare l’omologa delibera Boldrini, impugnata dal alcuni ex parlamentari, tra cui l’ex ministro Francesco De Lorenzo che io assisto e che ha impugnato oltre quattro anni fa”.

Insomma, l’auspicio è che si torni ai fasti di un tempo e che venga restaurato anche quello che era davvero impensabile, ossia la riapertura dei rubinetti persino a mafiosi e corrotti, con Formigoni che, dimentico di essere ai domiciliari non certo per meriti, ora se la gode ad attaccare quei “manettari rosiconi” dei 5Stelle e pure a dileggiare l’ex “supermagistrato di tutte le Sicilie”, Pietro Grasso. Su cui è partita la controffensiva, dopo l’intervista sui vitalizi che ha rilasciato al Fatto Quotidiano: è stata tirata in ballo persino la sua famiglia e attacchi forsennati si sono registrati da parte di Forza Italia dopo che l’ex procuratore Antimafia ha denunciato l’operato della Commissione Caliendo.

La lega Volta faccia.

“La Contenziosa si è attribuita il potere di annullare erga omnes una delibera del Consiglio di Presidenza. Poteva farlo? A nostro avviso no”, dice il capogruppo del M5S, Ettore Licheri. Affonda la lama Paola Taverna: “La verità è che si vogliono riprendere i vitalizi, e questo è un problema politico prima che giuridico”, ha detto ieri la pentastellata al Fatto, che ha chiesto a Casellati di sollecitare il Segretario generale di Palazzo Madama perché presenti ricorso in Appello rispetto alla decisione della Commissione contenziosa che “ha un presidente di Forza Italia e altri due membri che appartengono alla Lega. Eppure il Carroccio aveva accompagnato e appoggiato i nostri provvedimenti sui vitalizi. Il problema lo abbiamo posto a tutti pubblicamente, ma rimaniamo gli unici a protestare. Evidentemente una certa classe politica vuole ridarsi i vitalizi”.

Già, la Lega. Matteo Salvini a luglio aveva lanciato una raccolta di firme contro i vitalizi dopo che a Palazzo Madama sempre la Commissione Caliendo aveva bocciato il taglio dei vitalizi: di quella raccolta di firme però non si è saputo più niente.

E ora sul ripristino degli assegni ai condannati, il leghista non ha proferito parola, anzi. Due dei suoi, Simone Pillon e Alessandra Riccardi , come ha ricordato Taverna, hanno vergato assieme a Caliendo e ai due laici, nominati a inizio legislatura dalla Casellati, la sentenza della Commissione contenziosa che fa brindare Formigoni, ma pure tutti gli ex inquilini di Palazzo con la fedina penale sporca. E Salvini muto.

IlFQ

mercoledì 23 ottobre 2019

Senato: la rivolta di intoccabili e indagati contro i tagli ai vitalizi. - Ilaria Proietti



IL 4 NOVEMBRE L’ORGANISMO DI GIUSTIZIA DI PALAZZO MADAMA DOVRÀ ESPRIMERSI SU 772 RICORSI CHE SI OPPONGONO ALLE DECURTAZIONI IN VIGORE DAL 1° GENNAIO 2019.

“Giaaacomo! Giacomino”. “Senatore bello, amico mio”. Giacomo (Giacomino) Caliendo è più omaggiato che mai a Palazzo Madama, manco le lancette dell’orologio fossero tornate indietro di un decennio quando era potentissimo sottosegretario alla Giustizia del governo Berlusconi. Lui gongola per i salamelecchi, per niente sorpreso: da quando la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati lo ha voluto come presidente dell’organismo di giustizia interna di Palazzo Madama, frotte di ex senatori che da gennaio si sono visti decurtare il vitalizio lo hanno elevato a nume tutelare. In vista della sua decisione sulla legittimità del ricalcolo con metodo contributivo degli assegni in vigore da gennaio cui gli ex onorevoli senatori si oppongono strenuamente.

La loro attesa, snervante, sta per finire: la camera di consiglio della Commissione contenziosa presieduta da Caliendo che deciderà sulla decurtazione degli assegni è stata fissata per il 4 novembre. Ne fanno parte oltre al forzista, anche Simone Pillon della Lega ed Elvira Evangelista dei Movimento 5 Stelle. Ma anche due membri “laici”, sempre indicati dalla presidente Casellati: l’avvocato Alessandro Mattoni e soprattutto una vecchia conoscenza dell’attuale capo di gabinetto della presidente Casellati Nitto Palma, ossia l’ex magistrato Cesare Martellino che è relatore dei 772 ricorsi sui vitalizi presentati a Palazzo Madama.

Ma cosa prevede questa delibera? Che dal 1° gennaio 2019 i vitalizi sono rideterminati moltiplicando il montante contributivo individuale di ciascun ex senatore per un coefficiente di trasformazione correlato all’età anagrafica. Ma ci sono meccanismi sia per scongiurare tagli troppo drastici sia per evitare che aumentino ancora assegni già assai alti. Proprio per questo sono sugli scudi anche i 78 ex senatori che dovranno accontentarsi di ricevere come prima. Non malaccio, comunque. Franco Bassanini, Alfredo Biondi, Emanuele Macaluso, Nicola Mancino, Beppe Pisanu, Clemente Mastella manterranno un vitalizio mensile lordo pari a 10.631,34 euro.

A quota 10 mila Anna Finocchiaro e Achille Occhetto seguiti da Franco Marini e Roberto Castelli (9.512,25). Mantengono lo stesso trattamento anche alcuni ex senatori che hanno ancora un conto aperto con la giustizia: a Luigi Grillo che in passato ha patteggiato una condanna per episodi corruttivi legati all’Expo di Milano tocca un vitalizio mensile di 10.382,6; Antonio D’Alì, a processo per concorso in associazione mafiosa continua a prendere 9.201,40 euro. Carlo Giovanardi su cui pende una richiesta di autorizzazione all’uso delle intercettazioni per l’inchiesta Aemilia continuerà a intascarne 9.387,91. Sempre meglio di Ottaviano Del Turco condannato in via definitiva a 3 anni e 11 mesi per induzione indebita nel processo sulla Sanitopoli abruzzese: il suo vitalizio scende a 5.507,72 euro contro i 6.590,19 precedenti. Antonio Azzollini, a processo per la presunta maxitruffa del porto di Molfetta, passa da poco più di 8 mila euro a 5.505.

L’elenco degli 830 vitalizi ricalcolati comprende anche l’ex sindaco di Catania Enzo Bianco (il suo assegno scende da circa 8 mila euro a 6.171 proprio come l’esponente storico dell’ultradestra Domenico Gramazio). Goffredo Bettini è dimagrito da 6.590 a 3.960 euro. Salasso pure per Mariapia Garavaglia da 9.200 a 4.150, mentre Luigi Compagna scende da 6.200 euro a 4.600. Stringe la cinghia il grande vecchio della finanza italiana Giuseppe Guzzetti: la sforbiciata ha toccato il suo assegno da 4.700 euro, ora ridotto a 2.395. Sacrifici per Pietro Ichino che per il ricalcolo contributivo passa da 4.352 a 2.668. A dieta anche Linda Lanzillotta (la moglie di Bassanini scende da 3.200 a 1.787), Nicola Latorre (6.200 oggi ricalcolati a 4.065), Luigi Manconi (4.725 oggi a 2.532). Alessandra Mussolini ha buoni motivi per essere nera: il suo assegno scende da 9mila euro a 5.200. Un altro arrabbiato è Francesco Rutelli che si è visto tagliare l’assegno da 9.500 euro e oggi ne percepisce solo 7.780. Nitto Palma, infine, è il più infuriato di tutti: nonostante il prestigioso incarico ottenuto al fianco di Casellati il suo vitalizio è sceso da 6.200 euro al mese a 5.400. Anche lui guarda con grande speranza alla decisione di Caliendo.

https://infosannio.wordpress.com/2019/10/23/senato-la-rivolta-di-intoccabili-e-indagati-contro-i-tagli-ai-vitalizi/

venerdì 7 giugno 2019

Giudice firma la sua assoluzione, Renzi la promozione a capo della Corte dei Conti. - Thomas Mackinson | 26 Febbraio 2015

Giudice firma la sua assoluzione, Renzi la promozione a capo della Corte dei Conti

Martino Colella, classe 1945, magistrato napoletano di lungo corso a un passo dalla pensione (che scatterà il 31 dicembre) giura: "Nessun collegamento tra le due vicende".

Il giudice firma la sua assoluzione in appello, Renzi la sua nomina a capo della Corte dei Conti. Sei giorni dopo la pubblicazione della sentenza che ha definitivamente assolto il Presidente del Consiglio per la vicenda dei portaborse assunti in Provincia il Governo, su proposta dello stesso Renzi e per decreto, ha ratificato la nomina del magistrato che presiedeva il collegio giudicante a Procuratore Generale della Corte dei Conti.

Si tratta di Martino Colella, classe 1945, magistrato napoletano di lungo corso a un passo dalla pensione. La sua promozione è arrivata neanche una settimana dopo il deposito della sentenza della I Sezione centrale d’appello di Roma, avvenuto il 4 febbraio, che sollevava il premier da ogni responsabilità sulla vicenda degli incarichi dirigenziali conferiti senza concorso né laurea al personale di staff della sua segreteria che era costata a Renzi due condanne per danno erariale. Non è un dettaglio. Proprio Colella ha firmato, insieme a quattro magistrati, l’assoluzione che il 7 febbraio ha provocato l’esultanza del diretto interessato (“La verità è ristabilita”) e non poche perplessità nel mondo del diritto, giacché le motivazioni sono ricondotte al fatto che era un “non addetto ai lavori” e quindi poteva non percepire l’illegittimità degli atti che autorizzava. Singolare non è solo la pronuncia che, come rilevato da più parti, rischia di spalancare le porte a un sistema diffuso di elusione della responsabilità erariale, mandando assolti i tanti politici “non addetti ai lavori”.

Il punto è che il giudice che presiedeva il collegio che a metà dicembre, in camera di consiglio, ha deciso il proscioglimento dell’imputato Renzi è lo stesso che un mese e mezzo dopo il presidente Renzi ha nominato PG della Corte, cioè capo di coloro che debbono indagare se sussistono ipotesi di danno erariale. La sentenza è stata depositata il 4 febbraio e la nomina è stata ratificata il 10, a margine del Cdm numero 49. “Su proposta del Presidente del Consiglio Matteo Renzi”, si legge nei documenti della riunione, vengono nominati un presidente aggiunto e il capo della Procura Generale della Corte dei Conti, con decorrenza a partire dal 25 marzo 2015. Il primo è Arturo Martucci di Scarfizzi. Il secondo è, appunto, Martino Colella. L’indicazione era stata avanzata il 13 gennaio dal Consiglio di presidenza della Corte dei Conti che ha deliberato all’unanimità e trasmesso i nominativi a Palazzo Chigi.

L’interessato, contattato dal Fatto, si dice certo che le due vicende siano distinte. “La Presidenza del Consiglio riceve la delibera e la formalizza”, spiega Colella che rivendica un cv di prima grandezza sugli altri sei presidenti di sezione in corsa: “Sono stato il più giovane vincitore del concorso per l’Avvocatura di Stato, ho vinto quello d’ingresso alla Corte a soli 26 anni. Dopo il terremoto dell’Aquila ho ricostruito e riorganizzato la sezione, sono presidente d’appello da oltre due anni e nel 2014 ho redatto e sottoscritto 115 sentenze (una è quella che ha assolto Renzi, ndr). Renzi non l’ho mai visto né sentito”. Di più, Colella giura di non aver ricevuto affatto regali dall’attuale Governo, anzi: “L’incarico che mi danno, grazie a questo governo, non comporta alcun guadagno aggiuntivo perché il mio stipendio è già al tetto dei 240mila euro lordi l’anno. Dovrò anzi restituirne 20mila. Sempre grazie a questo governo, poi, andrò in pensione il 31 dicembre prossimo rinunciando ai migliori anni della carriera”. Proprio così, l’altro aspetto curioso della vicenda è che il nuovo incarico durerà soltanto nove mesi e mezzo. Non è ancora partito, e già si parla del successore.

Sia come sia, le domande restano tutte: tra 600 magistrati contabili, possibile che sia stato scelto proprio quello che ha presieduto il collegio che un mese e mezzo prima ha mandato assolto il premier? Potevano ignorarlo i consiglieri della Corte? Proviamo dall’altra parte: poteva non sapere Renzi che stava ratificando la nomina del suo giudice a Berlino? Proprio alla luce delle motivazioni della sentenza vergate dal collegio di Colella si direbbe che sì, tutto è possibile. Così come non si era accorto di aver firmato delle nomine illegittime di portaborse, perché in fondo non era un addetto ai lavori, è possibile che non si sia accorto di aver promosso il giudice che lo ha assolto. Renzi, presidente di Provincia e del Consiglio. Ma sempre a sua insaputa.
Dal Fatto Quotidiano del 26 febbraio 2015.
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO. 
Nomina del Procuratore Generale, precisazione su articolo di stampa.
Relativamente a quanto riportato in un articolo di stampa nel quale sono contenute alcune illazioni particolarmente gravi e prive di ogni fondamento nei confronti della Corte dei conti, l’Ufficio stampa precisa quanto segue.La nomina del Procuratore Generale della Corte dei conti è disposta dal Consiglio di presidenza – a seguito di un’apposita procedura concorsuale – e formalizzata con un Decreto del Presidente della Repubblica, controfirmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Nello specifico, alla procedura concorsuale bandita dal Consiglio di presidenza il 17 dicembre 2014, hanno partecipato sette Presidenti di Sezione della Corte dei conti. All’esito delle audizioni personali degli interessati e valutati i fascicoli e i curricula dei singoli candidati, il Consiglio di presidenza, nell’adunanza del 13-14 gennaio 2015, ha nominato, all’unanimità, Procuratore Generale della Corte dei conti il Presidente di Sezione dott. Martino Colella, peraltro già primo nella graduatoria parziale elaborata sulla base dell’anzianità di servizio e della professionalità specifica, in considerazione dell’elevatissimo spessore professionale e dell’indiscusso prestigio dello stesso.
Corte dei conti – Ufficio stampa
LA REPLICA DELL’AUTORE. 
Riceviamo la nota e volentieri pubblichiamo. Rileviamo che la ricostruzione dell’articolo e della nota sono sostanzialmente identici nella definizione delle date e delle procedure che hanno portato il presidente Colella a capo della Procura Generale della Corte dal prossimo 25 di marzo. Proprio per fornire una ricostruzione esatta dei fatti e anche una spiegazione delle circostanze con cui è avvenuta la procedura abbiamo provveduto a contattare il presidente Collela dando ampio spazio alla sua posizione in merito. Aggiungiamo, per completezza, quello che la nota non dice. E cioé che a sei giorni dal deposito della sentenza, avvenuto il 4 febbraio, il Presidente del Consiglio ha formalizzato la delibera di nomina del magistrato che a metà dicembre ha presieduto il collegio che l’ha mandato assolto.
T.M.

domenica 24 marzo 2019

Venite già mangiati. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 24 Marzo.

L'immagine può contenere: 4 persone, persone che sorridono

Oggi si vota in Basilicata. E qualche ingenuo poteva forse immaginare un piccolo dibattito sul rapporto della commissione parlamentare Antimafia a proposito dei candidati impresentabili in lista: due condannati in primo grado e tre imputati, spudoratamente presentati dal centrodestra e dal Pd in barba al codice di autodisciplina che tutti i partiti approvano a ogni legislatura per poi violarlo allegramente. Roba da provocare un surplus di sdegno fra gli indignati speciali che in questi giorni bivaccano in Campidoglio vibranti di sacrosanta passione civile per l’arresto del pentastellato De Vito: se si scandalizzano, e giustamente, per un politico in manette, figurarsi che dovrebbero dire delle condanne e dei rinvii a giudizio, per giunta a carico di politici mai espulsi né sospesi né esclusi dai rispettivi partiti in attesa delle sentenze definitive, ma addirittura candidati. Invece tutti tacciono. E intanto continuano a tuonare contro i 5Stelle che hanno cacciato il loro presidente dell’Assemblea capitolina al solo clic delle manette, senza neppure attendere la richiesta di rinvio a giudizio. Strano, vero? Il centrosinistra, anzi il “nuovo centrosinistra” di Nicola Zingaretti, per distinguersi da quello vecchio che aveva visto cadere la sua giunta per l’arresto del governatore Marcello Pittella, ricandida Sergio Claudio Cantiani e Massimo Maria Molinari, alla sbarra dinanzi al Tribunale di Potenza. 
Cantiani è imputato per concussione, con l’accusa – risalente a quando era candidato a sindaco di Marsicotevere – di aver “costretto” la ditta aggiudicataria dell’appalto per la raccolta rifiuti ad assumere il fratello della sua segretaria e, una volta eletto, di aver “minacciato” di revocare l’appalto in caso di licenziamento dell’operaio, “malgrado le reiterate inadempienze” di quest’ultimo. 
Molinari invece risponde di corruzione in veste di ex vicesindaco di Potenza: l’accusa è aver facilitato l’iter di una gara per la gestione di parcheggi e premuto per l’acquisto di pubblicità sul settimanale edito da un parente.
Poi c’è il centrodestra, che almeno non si spaccia per nuovo, e infatti è orgogliosamente così vecchio che più vecchio non si può. Per non farsi mancare niente e tener fede alle tradizioni nazionali, schiera anche due condannati in primo grado: Paolo Galante (Psi) e Rocco Sarli (Fratelli d’Italia). Sono stati entrambi condannati in primo grado a 3 anni e 6 mesi di reclusione per peculato nello stesso processo. Galante, già consigliere e vicepresidente del Consiglio regionale, era vicepresidente del Consorzio per lo sviluppo di Potenza, mentre Sarli sedeva nel Cda.
Il primo, consigliere uscente, fu sospeso dalla carica per 18 mesi in base alla legge Severino. Il secondo invece, consigliere entrante, lo sarà se verrà condannato anche in appello, mentre l’altro starebbe fermo altri 12 mesi. 
Vincenzo Clemente, terzo impresentabile del centrodestra, è imputato di corruzione in cambio della rateizzazione dei canoni d’affitto di una casa di riposo gestita da una società a Corleto Perticara. 
Ora, com’è noto, da tempo immemorabile tutti i partiti si sono impegnati formalmente in commissione Antimafia a non candidare indagati (e, a maggior ragione, imputati e condannati) per reati contro la Pubblica amministrazione: in primis per concussione, corruzione e peculato, che implicano tutti e tre il latrocinio di denaro pubblico. L’hanno fatto soltanto per farsi belli dinanzi agli elettori, specialmente dopo le prime denunce di Beppe Grillo nel 2006 sul suo blog contro il Parlamento degli inquisiti, prim’ancora che nascessero i 5Stelle. Poi, naturalmente, hanno sempre tradito l’impegno, prendendosela pure col presidente di turno dell’Antimafia (ieri Rosy Bindi, ora Nicola Morra) che si permette addirittura di pubblicare i nomi degli impresentabili, come previsto dalla loro legge-spot. Ora questi impuniti hanno pure il coraggio di accusare chi caccia i propri inquisiti senza neppure lo straccio di una richiesta di rinvio a giudizio di “essere come gli altri” (cioè come loro, che gli inquisiti non li cacciano nemmeno dopo il rinvio a giudizio, la condanna provvisoria e quella definitiva, anzi li candidano, li premiano e li promuovono).
Siccome c’è un limite a tutto, anche alla faccia di culo, proponiamo al presidente Morra un emendamento esplicativo e chiarificatore al Codice di autodisciplina dell’Antimafia. Un norma elementare di due soli articoli: 
“1. Chiunque venga arrestato, rinviato e giudizio, condannato in primo o secondo o terzo grado, è da ritenersi innocente per definizione e matura il diritto acquisito a essere candidato ed eletto a una carica pubblica adeguata, cioè non inferiore a quella di consigliere comunale. 
2. La regola di cui sopra vale soltanto per i politici iscritti a partiti che non hanno mai promesso ‘onestà’, anzi statutariamente rifuggono da simili turpiloqui. Chi si fosse lasciato sfuggire anche una sola volta quel termine ignominioso o suoi sinonimi, deve vergognarsi a prescindere”. 
Così finalmente verrà codificato un principio che ora si sente echeggiare sui giornali e in bocca ai politici, ma un po’ alla rinfusa: se finisce dentro un 5Stelle, si può dire subito che rubano tutti i 5Stelle (arrestano De Vito e tutti chiedono la testa della Raggi e di Frongia, forse perché De Vito è stato subito cacciato); se invece finiscono dentro decine di forzisti, pidini, leghisti, non si può dire che sono impresentabili neanche se li rinviano a giudizio e/o li condannano. Ergo, è infinitamente più grave candidare un incensurato insospettabile e poi espellerlo se lo arrestano, che candidare indagati e poi ricandidarli se li rinviano a giudizio o li condannano. Il segreto per rubare indisturbati è venire già mangiati.

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venerdì 15 marzo 2019

Ai vertici dell'antimafia un condannato per la "macelleria messicana" alla scuola Diaz. - Marco Preve

Ai vertici dell'antimafia un condannato per la "macelleria messicana" alla scuola Diaz

Gilberto Caldarozzi, 3 anni e 8 mesi per i falsi del G8, è il numero 2 della Dia. Per i giudici ha "gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero".

Più che la rabbia della vittima c’è il senso di sconfitta del cittadino di fronte al Potere, negli occhi di uno degli ex ragazzi che nel luglio del 2001 attraversarono le notti della macelleria messicana della Diaz e del carcere cileno di Bolzaneto.

Gilberto Caldarozzi, condannato in via definitiva a tre anni e otto mesi per falso, ovvero per aver partecipato alla creazione di false prove finalizzate ad accusare ingiustamente chi venne pestato senza pietà da agenti rimasti impuniti, è oggi il numero 2 – Vice direttore tecnico operativo-  della Direzione Investigativa Antimafia, ovvero il fiore all’occhiello delle forze investigative italiane, la struttura alla quale è affidata la lotta al cancro criminale.
La nomina, decisa dal ministro dell’Interno Marco Minniti, passata quasi in sordina ed ignorata dalla politica, risale a poche settimane fa.
Se ne sono accorti, quasi casualmente nei giorni scorsi i reduci del Comitato Verità e Giustizia per Genova, un gruppo formato da ex arrestati della Diaz e di Bolzaneto e dai loro famigliari.
“Molti dei ragazzi tedeschi, vittime della polizia nel luglio 2001 – racconta un membro del Comitato – spiegano di avere provato paura quando, ritornati in Italia per i processi o per le vacanze hanno incontrato agenti in divisa. Mi chiedo come si possa dire a queste persone che l’Italia è cambiata se uno dei massimi dirigenti del nostro apparato di sicurezza è oggi proprio colui che ieri fece di tutto per accusarli ingiustamente e coprì gli autori materiali dei pestaggi e delle torture”.



Ai vertici dell'antimafia un condannato per la "macelleria messicana" alla scuola Diaz
Una ragazza pestata alla scuola Diaz nel 2001

Caldarozzi, ex capo dello Sco, la Sezione criminalità organizzata, considerato un “cacciatore di mafiosi”, per la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo è invece uno dei responsabili dei comportamenti di quella notte del 2001 e dei successivi comportamenti degli apparati di Stato, che sono valsi al nostro paese due condanne per violazione alle norme sulla tortura. Scrissero i giudici della Cassazione per Caldarozzi e gli altri condannati: “hanno gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero”. Non esattamente una medaglia da inserire nel proprio curriculum.
D’altra parte, a luglio di quest’anno sono scaduti i cinque anni di interdizione dai pubblici uffici e i dirigenti condannati per la Diaz che non erano andati in pensione sono rientrati in polizia.
In un intervento sulle sentenze della Cedu, pubblicato sul sito Questione Giustizia di Magistratura Democratica, il pm del processo Diaz Enrico Zucca affronta il caso Caldarozzi: “L’ultimo dei rientri, che si fa fatica a conciliare con quanto espresso nei confronti del condannato in sede di giudizio di Cassazione, è quello che riguarda l’attuale vice-capo della Dia, che vanta così nel suo curriculum il  “trascurabile”  episodio  della  scuola  Diaz”.
Il capo della polizia, il prefetto Franco Gabrielli, in un’intervista a Repubblica dell'estate ha voluto finalmente affrontare il tema G8 senza tabù, dichiarando che lui al posto di “Gianni De Gennaro (allora capo della polizia oggi presidente di Finmeccanica, ndr) si sarebbe dimesso”. A quanto si sa, i funzionari rientrati in polizia sarebbero stati destinati a ruoli non di primo piano. Ma Caldarozzi è sfuggito a questa logica. Essendo la Dia una struttura che dipende direttamente dal Ministero, per lui, che vanta con Minniti e con il gruppo De Gennaro un’antica amicizia, si sono spalancate le porte dei piani alti.
Il suo esilio, per altro non è stato quello di un appestato. Gli anni di interdizione li ha trascorsi lavorando come consulente della sicurezza per le banche e poi come consulente per la Finmeccanica dell’ex capo De Gennaro. Si parlò anche di  “collaborazioni” con il Sisde, i servizi segreti, proprio come, sempre a stare alle voci, si racconta intrattenga oggi il anche pensionato Franco Gratteri, ex capo della Direzione centrale anticrimine, il più alto in grado fra i condannati della Diaz.
Nonostante l’Italia, tra molte contestazioni e distinguo, si sia dotata da qualche mese di una legge sulla tortura, sembra essere completamente inevaso uno degli aspetti più volte ricordati dai giudici europei. Quello che riguarda non gli autori materiali delle torture bensì tutta la scala gerarchica e i regolamenti interni che non provvedono a isolare i torturatori e chi li ha coperti nelle fase preliminare delle indagini, e che poi non provvede, se non a radiarli, perlomeno a bloccare le progressioni di carriera, o in estremo subordine ad assegnarli ad incarichi non operativi. Diciassette anni dopo aver disonorato – lo dicono, per sempre, i giudici della Cassazione, anche se molti poliziotti e altrettanti politici non hanno mai accettato questa sentenza - la polizia italiana, Gilberto Caldarozzi viene premiato con una delle poltrone più importanti della lotta al crimine. La “macelleria messicana” è stata archiviata dallo Stato.


Questi sono i motivi che mi inducono a dissentire dal comportamento di chi ci governava e  prendere le distanze da chi ha permesso che fatti così esecrabili accadessero.
Cetta.

venerdì 8 maggio 2015

Vitalizi condannati, approvata l’abolizione (a metà): fuori M5S e Forza Italia. -

Vitalizi condannati, approvata l’abolizione (a metà): fuori M5S e Forza Italia

Via libera dall'ufficio di presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama. La delibera prevede lo stop per i condannati in via definitiva per mafia, terrorismo e reati contro la PA (ma non l'abuso d'ufficio), nonché quelli con condanne superiori a 6 anni. C'è la possibilità di riabilitazione. M5S non partecipano al voto prima, votano contro poi: "Compromesso al ribasso".

Abolizione (a metà) dei vitalizi ai condannati: dopo mesi di rinvii e ripensamenti con un ritardo forse solo secondo a quello sulla legge anticorruzione c’è il via libera dell’ufficio di presidenza della Camera e del Senato. Restano fuori prima e votano contro poi i 5 Stelle (“Compromesso al ribasso”), mentre Forza Italia ha abbandonato i lavori in entrambi i casi (“Ci voleva una legge ad hoc”). Non ha partecipato al voto Area popolare. Sì di Pd, Lega Nord, Sel e Fdi. La presidente Laura Boldrini: “E’ un forte segnale di moralizzazione”. Il questore M5S Laura Bottici: “Questa non è la delibera originale, né quella mia, né quella di Grasso dello scorso anno, sulle quali abbiamo fatto battaglia per undici lunghi mesi”.
L’abolizione a lungo agognata arriva dopo la campagna di Libera che ha raccolto 500mila firme, ma è comunque zoppa. La delibera approvata infatti, decide lo stop delle pensioni a vita per gli eletti in Parlamento condannati per reati di mafia, terrorismo e contro la Pubblica amministrazione con pene superiori a 2 anni di reclusione. Ma nella versione finale del testo, con il compromesso voluto dal Partito democratico, aumentano le possibilità di farla franca: si esclude l’abuso d’ufficio, si prevede la modifica in senso restrittivo per i delitti non colposi da 4 a 6 anni e si inserisce la riabilitazione.

A approvata la delibera per agli ex deputati condannati per reati gravi. E' segnale forte di moralizzazione.

I 5 Stelle protestano: “Questa delibera è solo una farsa, che salva la stragrande maggioranza dei politici condannati, tutti i loro amici di tangentopoli, e colpisce solo una piccola cerchia. Ancora una volta la casta si è auto assolta e continuerà a godere di vitalizi pagati dai cittadini italiani”. Queste le 4 modifiche che avevano chiesto per migliorare il provvedimento: “Includere nelle cause di abolizione del vitalizio anche chi è stato condannato per reati punibili con un massimo di pena di 4 anni (e non 6), oltre che per abuso d’ufficio; escludere la riabilitazione come causa di ripristino del vitalizio; escludere la reversibilità del vitalizio in caso di decesso”.
Già in mattinata erano iniziate le prime tensioni: “Non amo lisciare il pelo all’antipolitica”, ha detto il senatore Pd Ugo Sposetti parlando per primo a Palazzo Madama su di un tema non all’ordine del giorno. “Rivolgo una supplica al presidente del Senato: non ci si occupa del tema dell’abolizione dei vitalizi ai condannati durante la campagna elettorale”. Applausi da Lucio Malan dai banchi di Forza Italia: “Bravo!”. Critiche dai 5 Stelle: “Indecenti”. Imbarazzo invece dai colleghi Pd per la sconfessione pubblica di un atto che vogliono a tutti i costi portare a casa. “Ritengo”, ha concluso, “che i membri del consiglio di Presidenza si trovino di fronte ad un diritto inalienabile, un diritto acquisito, un diritto che matura con il versamento dei contributi del lavoratore e dell’azienda, un diritto alla sopravvivenza”. In realtà la situazione è diversa: solo con il governo Monti il sistema è diventato contributivo, mentre prima era retributivo e quindi non si può parlare di “diritto acquisito” in seguito ai contributi versati.
Tra i temi contestati nella bozza della delibera c’è quello dell’inserimento della riabilitazione: nel caso in cui questa venga richiesta dall’interessato (potrà farlo dopo 10 anni dalla fine della condanna per i reati più gravi e dopo 3 anni nei casi meno gravi) e questa venga concessa dal giudice, comportando la cancellazione della condanna dalla fedina penale, il vitalizio potrà essere riassegnato. Essendo la condanna di fatto un requisito negativo e non introducendo la delibera una pena accessoria, spiegano alcuni tecnici, quando la fedina penale torna pulita, “è giusto che il vitalizio venga ridato” perché le misure devono essere “ragionevoli e proporzionate” per non essere contestate. Stop alla pensione anche nel caso di patteggiamento, ma la misura varrà dall’entrata in vigore della legge in poi perché, si sottolinea nella maggioranza, “quando uno decide di patteggiare deve sapere prima a cosa va incontro”.
La delibera entrerà in vigore “il sessantesimo giorno successivo alla data della sua approvazione”, quindi non prima di due mesi a partire da oggi. Si legge nel testo approvato oggi. Le misure saranno applicate, si legge ancora, “ai deputati cessati dal mandato che, alla data di entrata in vigore” della delibera “siano già stati condannati in via definitiva, o che, successivamente a tale data, riportino condanna definitiva per i delitti” previsti dal provvedimento. Pertanto ai deputati non più in carica non verrà chiesto la restituzione del pregresso.

domenica 1 marzo 2015

Vitalizio ai condannati.



La vergogna di questo Paese. I condannati per Mafia ricevono il vitalizio dallo Stato: oltre 4000 euro al mese. I pensionati onesti muoiono di fame. CONDIVIDETE la foto, è uno schifo assoluto!

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