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mercoledì 15 giugno 2022

Brindano gli impresentabili: due consiglieri, uno assessore. - Saul Caia

 

PREFERENZE - Voti pure ai due arrestati. La Dc di Cuffaro prende il 5,6%.

Sono stati marchiati come “impresentabili” dalla commissione nazionale antimafia, perché a processo per concussione, corruzione e riciclaggio. Eppure gli elettori palermitani li hanno premiati consegnandogli uno scranno nell’aula consiliare di Palazzo delle Aquile, nelle stesse elezioni in cui la Dc del pregiudicato Totò Cuffaro ha messo insieme il 5,6 per cento, superando la soglia di sbarramento.

Tra i più votati c’è Giuseppe Milazzo, che ha ottenuto 1822 preferenze con Fratelli d’Italia, mentre è imputato per concussione. “Non ho nulla di cui vergognarmi e non ritengo assolutamente di essere impresentabile – ha detto Milazzo –, anche perché sono stato rinviato a giudizio per un reato non grave, e senza mai essere stato condannato in primo grado”. Siederà in consiglio anche Giuseppe Lupo, per tre volte deputato regionale e già componente della Commissione antimafia siciliana, che in questa tornata ha raccolto 1406 preferenze con il Pd. Lui invece è sotto processo per corruzione.

Nella squadra di governo del neo sindaco Roberto Lagalla dovrebbe trovare un posto Totò Lentini, già tre volte deputato regionale e legato politicamente all’ex governatore autonomista Raffaele Lombardo. Lentini è capolista di Alleanza per Palermo con la quale ha racimolato 764 voti. Su di lui pende un’imputazione per concussione in una vicenda iniziata nel 2015. “Confido con la massima serenità di poter dimostrare la mia totale innocenza”, auspica Lentini. Non troverà spazio invece Francesco La Mantia, l’ultimo “impresentabile” inserito nell’elenco stilato dalla commissione presieduta da Nicola Morra. Non sono bastati i 242 voti con Noi con l’Italia. “È un errore clamoroso – ha detto La Mantia –, per me un impresentabile è una persona che ha avuto delle condanne per mafia o per reati contro la Pubblica amministrazione”. Il candidato centrista è stato condannato in primo e secondo grado per riciclaggio, ma la Cassazione ha annullato la sentenza di appello rinviando gli atti. Bisognerà rifare il processo bis, con l’udienza fissata il prossimo 17 novembre.

Non ha invece battuto ciglio Lagalla, che nel giorno del trionfo ha sminuito la presenza degli “impresentabili” nella sua coalizione. “Non hanno commesso reati gravi – ha detto il neo sindaco – Avrei chiesto ai partiti le dimissioni di quanti, eventualmente eletti, risultino avere legami con la mafia. Non mi sembra che nella mia coalizione ci sia qualcuno che abbia commesso reati riconducibili a rapporti con la criminalità organizzata”.

Chi avrebbe intrattenuto rapporti con la mafia è stato arrestato a pochi giorni dalle elezioni dalla Dda di Palermo coordinata da Paolo Guido. Eppure, anche dal carcere, i candidati hanno raccolto oltre 200 preferenze. Appena 57 voti sono andati a Pietro Polizzi di Forza Italia, accusato di voto di scambio politico-mafioso con il boss Agostino Sansone di Passo di Rigano. Proprio in quel quartiere, alcuni presidenti di seggio hanno rinunciato all’incarico. “Se sono potente io… siete potenti voi altri!”, aveva detto Polizzi nell’incontro del 10 maggio scorso al boss Sansone, per poi fare un passo indietro durante l’interrogatorio di garanzia: “Mi ritiro dalla competizione elettorale, non sono più in corsa, nell’ipotesi remota di una elezione non accetterei”. Altre 147 preferenze invece sono andate ad Adelaide Mazzarino, non coinvolta nell’inchiesta ma travolta dalla polemica perché correva alle urne in tandem con Polizzi. Anche lei ha deciso di ritirarsi prima del voto, pur essendo ormai impossibile cancellare formalmente la candidatura.

Qualche preferenza in più è stata raccolta dal geometra Francesco Lombardo di Fratelli d’Italia, nonostante sia detenuto per essere andato il 28 maggio a Brancaccio dal boss Vincenzo Vella a chiedergli “una ventina di voti”. Dopo l’arresto, le figlie Giulia e Federica hanno pubblicato un messaggio sui social difendendo il padre e chiedendo comunque di votarlo, “per dimostrare realmente che persona è”. L’appello però non è bastato a farlo entrare in Consiglio, dato che Lombardo si è fermato a 161 voti.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/06/15/brindano-gli-impresentabili-due-consiglieri-uno-assessore/6627398/

giovedì 29 luglio 2021

Referendum: Salvini arruola Totò Cuffaro, Paolo B. e Alemanno. - Lorenzo Giarelli

 

Il variegato universo dei promotori del referendum della Giustizia si arricchisce ogni giorno di fantasiose sorprese. A fianco a Lega e Radicali – binomio già di per sé insolito – si stanno facendo avanti pregiudicati e impresentabili, innamorati come Matteo Salvini ed Emma Bonino della separazione delle carriere, della responsabilità civile dei pm, delle limitazioni alla custodia cautelare e della revisione della legge Severino, oltreché delle modifiche ad alcune norme relative al Csm.

Gli ultimi a firmare per i quesiti sono stati, ieri, Catello Maresca e Paolo Berlusconi. Il primo, candidato sindaco del centrodestra a Napoli, fa rumore soprattutto perché magistrato, evidentemente già calatosi alla perfezione nelle vesti del politico. Anche Paolo Berlusconi firma in virtù di una certa familiarità con le aule dei tribunali, lui che nel 2010 è stato condannato in Cassazione a 4 mesi di reclusione per alcune false fatturazioni dopo aver patteggiato 1 anno e 9 mesi per concorso in corruzione e reati societari nella gestione di una discarica del milanese.

Ma ai banchetti di raccolta-firme sarà possibile imbattersi pure in Totò Cuffaro, la cui nuova Dc sostiene i quesiti referendari. In questi giorni l’ex presidente della Regione Sicilia, condannato a 7 anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio, partecipa a una serie di incontri con l’associazione radicale Nessuno tocchi Caino, a sua volta impegnata sul tema delle carceri e della giustizia.

Fresco di firma è poi Gianni Alemanno, l’ex sindaco di Roma che si porta dietro una condanna definitiva a sei mesi per finanziamento illecito ed è in attesa che la Corte d’appello ridetermini la pena per traffico di influenze, dopo la pronuncia della Cassazione. Il tutto per colpa “di due sentenze basate su teoremi – assicura lui – che dimostrano che molto deve essere cambiato anche nel rapporto tra politica, magistratura e mondo giornalistico”.

Insieme ad Alemanno, al gazebo c’era Guido Bertolaso, factotum della Sanità che durante l’emergenza Covid si è spostato tra Lombardia, Umbria, Abruzzo e Sicilia, secondo il quale la riforma della Giustizia “è la madre di tutte le battaglie”. Una sensibilità che nei giorni scorsi ha smosso anche Matteo Renzi, ai gazebo con altri italovivi come Davide Faraone e Raffaella Paita e festeggiato anche dai social della Lega appena dopo la firma.

Non un gran portafortuna in materia di referendum, l’ex premier, ma una tessera in più in un mosaico partitico già pittoresco. Basti pensare che a mobilitarsi per le firme sarà anche CasaPound, che a inizio settembre organizzerà iniziative in favore dei referendum durante la propria festa nazionale.

E se poi nemmeno tutti questi illustri testimonial dovessero bastare, Salvini e compagnia potranno sempre affidarsi alle Regioni, secondo Costituzione titolate – se si coordinano almeno in cinque – a richiedere i referendum anche senza il raggiungimento delle 500 mila firme: ieri la Sicilia è stata la quinta Regione a far approvare alla propria assemblea di eletti i quesiti sulla giustizia, raggiungendo gli altri feudi di centrodestra in Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Umbria.

ILFQ

mercoledì 12 settembre 2018

CUFFARO ALL’ARS: IL SOVVERTIMENTO DELLA LOGICA E DELLA VERITÀ - Angelo Niceta

L'immagine può contenere: 2 persone, persone in piedi e vestito elegante


CAMBIANO LE STRATEGIE MA NON LA FINALITÀ: CREARE UN CLIMA CHE RENDA POSSIBILE CAMBIARE LE LEGGI PIÙ EFFICACI IN TEMA DI LOTTA ALLA MAFIA, A PARTIRE DALLA ROGNONI-LA TORRE...

Quanto avvenuto sulla vicenda dell’ospitata di Totò Cuffaro all’Ars ci indigna. Ma ci indigna ancor di più la collaudata “strategia del caos” che è stata sperimentata anche in questo caso, nonché la mancata informazione su alcuni fatti fondamentali.


Anzitutto ricordiamo che l’attivismo di Totò Cuffaro non è iniziato qualche giorno fa: appena nel mese di agosto, applauditissimo, l’ex governatore ha partecipato ad alcune “assemblee” per la raccolta delle firme a sostegno delle 8 proposte di legge di iniziativa popolare radicali, a fianco di Massimo Niceta e Pietro Cavallotti, aventi le finalità, tra l’altro, di abolire il 41 bis, abolire l’ergastolo, svuotare la Rognoni-La Torre e la legge sui comuni sciolti per mafia. 


PERCHÉ QUESTA NOTIZIA È PASSATA SOSTANZIALMENTE "INOSSERVATA" AI "BENPENSANTI"? PERCHÉ, A NOSTRO AVVISO, NON SI DOVEVA PARLARE DELL’INIZIATIVA IN ATTO CONTRO LE PRINCIPALI NORMATIVE ANTIMAFIA…

Ma veniamo a quanto accaduto in questi giorni. Il problema non è che Cuffaro venga ospitato in una sala piuttosto che in un’altra: il problema è che un CONDANNATO PER FAVOREGGIAMENTO ALLA MAFIA, interdetto in perpetuo dai pubblici uffici (non può neppure esercitare come medico in Italia), mai pentitosi, non deve più avere alcuno spazio nella vita pubblica. È risibile fingere che in una terra come la Sicilia questi segnali non contino, e che l’ospitata di Cuffaro, difesa dai vertici del governo regionale nella figura di Gianfranco Micciché, non assuma un significato che non può essere ridotto al mero fatto, già grave. È giusto che si parli delle esperienze dei carcerati, non capiamo perché debba essere Cuffaro e non un detenuto qualunque a farlo, oltretutto in una sede istituzionale. 


Gianfranco Micciché, rispondendo a Cancelleri, ha così difeso l’iniziativa: “In vita mia non ho mai impedito a chicchessia di dire la sua, men che meno lo farei con chi ha sofferto in carcere. E non lo farò nemmeno stavolta, nemmeno se IL TUO PROBLEMA si chiama Totò Cuffaro. NON STARÒ QUI A SPIEGARTI CHE COSTUI RAPPRESENTA UN PEZZO IMPORTANTE DI RECENTE STORIA SICILIANA. E una cosa sia chiara: censurare non fa parte del mio dna”.


Quindi, per stessa ammissione del vicepresidente e uomo forte della Giunta Regionale siciliana Micciché non parla solo come detenuto X ma in quanto “RAPPRESENTA UN PEZZO IMPORTANTE DI RECENTE STORIA SICILIANA”. 


Un pezzo recente di storia siciliana: un pezzo di vergognose collusioni tra istituzioni e mafia, ma anche di spoliazione della cosa pubblica (si pensi, pars pro toto, il fiume di soldi riversato sulla sanità privata) e del peggior clientelismo.


Ma di fronte ad una simile assunzione di responsabilità da parte di Micciché, invece di esserci una rivolta della Commissione Antimafia, delle forze politiche e delle associazioni che si proclamano a gran voce “antimafia”, abbiamo assistito ad una ridda di commenti giustificazionisti e confusi per difendere l’indifendibile.


“Siamo in una democrazia”. Naturalmente, ma anche una democrazia vive di regole e di principi etici. È giusto far parlare, per di più in una sede istituzionale, per esempio, un soggetto condannato per stupro? O magari, la prossima volta, SARO CATTAFI, perché racconti anche lui l’esperienza del carcere?


“Cuffaro ha pagato per tutti”. Argomento ancora più assurdo. Anzitutto perché riteniamo che verso Cuffaro non ci sia stato alcun particolare accanimento, viste anche le visite che riceveva in carcere, a quanto ha riferito la stampa, per continuare a gestire il suo potere e i suoi affari. In secondo luogo perché se anche fosse vero, lo scandalo sono i “colletti bianchi” impuniti, i concorrenti esterni a piede libero – e la mancanza di leggi aggiornate per perseguire il nuovo metodo mafioso – non già l’asserito “sacrificio” (che tale non è) di Cuffaro. Il fatto che per una volta sia stato condannato un “eccellente” non lo fa diventare un capro espiatorio!


Concludiamo con una considerazione. Questi segnali di “resa” alla necessità di fare i conti anche dal punto di vista politico ed etico con la mafia, di cui parlò Paolo Borsellino e di cui parlano tutt’oggi i magistrati che fanno davvero la lotta alla mafia, ci sembrano inquietanti, e fanno da contraltare al clima che si cerca di creare partendo dal basso, dall’umore della gente, contro “l’antimafia”, CON LA PRECISA FINALITÀ NON DI COMBATTERE LA FALSA ANTIMAFIA MA DI DELEGITTIMARE TUTTO E ARRIVARE A CAMBIARE LE LEGGI CHE ANCORA SI PERMETTONO DI “DISTURBARE” IL SISTEMA MAFIA-POLITICA-AFFARI. E ovviamente, creando un clima di delegittimazione e isolamento intorno ai magistrati scomodi e di indebita interferenza sulle inchieste e sui processi in corso.


La “minaccia” rappresentata dalle 8 proposte di legge radicali rimane, e il tentativo continuerà perché queste leggi, dai tempi della “trattativa” Stato-mafia ad oggi, sono uno dei punti fissi nei desiderata del potere. E se adesso la strategia comunicativa cambierà, non più “tutti uniti appassionatamente”, ma ciascun soggetto (un condannato, un indagato con l’aggravante mafiosa, un soggetto con misure di prevenzione in corso) che racconta vittimisticamente e con menzogne la sua storia, la finalità è sempre la stessa.
Proprio per questo, in un momento cruciale di cambiamento politico, invitiamo tutti i cittadini a vigilare. Il volano dell’indignazione dell’opinione pubblica deve rivolgersi contro un sistema di potere e di collusioni, contro mafiosi e corrotti, con la richiesta di nuove ed efficaci leggi all’altezza della realtà, e non dev’essere distolto dai soliti professionisti goebbelsiani della manipolazione dell’opinione pubblica verso soggetti che tutto sono fuorché “vittime”!
Da Noi sosteniamo 
Angelo Niceta


https://www.facebook.com/Collusi/posts/1978312892467464?__xts__%5B0%5D=68.ARDGvw2PpdxSEd1JpZ3NFgLfdpMpcvNvJ98zSx3uUVbQ10sZlq0xqmVM-UxfmFs0YsAEGVma5ZhzTooPClXepeI6JJtnZRCyUg4Ozht2FUjOKpYY9bcRQrBn_rFpEk7ac0h5uBeShPu8Lbo9_Y8u0n5E-3DYRbEyrD4iRaWoXBvbG-Yzd-pXvg&__tn__=K-R

Cuffaro e Miccichè sono la prova del fatto che la mafia si è impossessata delle istituzioni con il bene placito dei politici corrotti che, pur di mantenere il loro potere all'infinito, accettano di prostrarsi alla mafia. Chi entra a far parte delle organizzazioni malavitose ha l'obbligo di difenderne i componenti. E in quella frase: "Cuffaro ha pagato per tutti" è racchiuso il motivo del sostegno morale che Miccichè presta all'amico.

lunedì 11 dicembre 2017

Un debito figlio di tanti governi Come nasce il “buco” della Regione. - Accursio Sabella


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Tra mutui e anticipazioni l’indebitamento della Sicilia supera gli 8 miliardi. Di chi è la responsabilità?

PALERMO - Un botta e risposta sui conti. Sull’eredità ricevuta e sulla zavorra ai piedi della Sicilia. Nei giorni scorsi ecco tornare lo spettro del default o quantomeno la concreta presenza di un mega indebitamento della Regione. Di chi è la responsabilità di questo peso? "Non voglio polemizzare - ha detto il neo governatore Musumeci - con il governo precedente. Lo dico con la sobrietà che un presidente deve avere. Ma va detto che la condizione delle finanze della Regione, con le partecipate quasi tutte in deficit, si presenta drammatica. Perciò urge un confronto sereno con il governo centrale”. Secondo il neo governatore il deficit di Palazzo d'Orleans "ammonta a cinque miliardi" ed "è fuor di dubbio che la crisi finanziaria condizionerà l'operato del governo almeno per i primi anni”. Da lì, le prime azioni, come la “missione” romana dell’assessore all’Economia Gaetano Armao.

Ma a stretto giro, ecco arrivare le precisazioni del predecessore, cioè Alessandro Baccei: “Mi aspetterei, conoscendo la serietà del presidente, informazioni più precise e puntuali e una maggiore competenza. Cinque miliardi di deficit, o 8 miliardi se consideriamo le anticipazioni di liquidità, comunque ereditati dai governi Lombardo e Cuffaro - afferma Baccei -. Sono tanti? Il numero in assoluto non è rappresentativo di nulla, come ben chiariscono le agenzie di rating”.

Insomma, Musumeci fa riferimento al governo precedente, Baccei ai governi di Cuffaro e Lombardo. Dove sta la verità? Come accade spesso, nel mezzo. E per trovare una rappresentazione imparziale del reale andamento del deficit della Sicilia, si può far riferimento all’atto più “ufficiale” che esista sui conti regionali: il giudizio di parifica, sul rendiconto dell’ultimo esercizio finanziario.

Da quelle pagine, al di là delle parole di Baccei, non viene fuori un bel quadro. Anzi. “Al 31 dicembre 2016 – si legge nella relazione delle Sezioni riunite presiedute da Maurizio Graffeo – il debito di finanziamento residuo della Regione ammonta complessivamente a 8.035 milioni di euro”. Più di otto miliardi, quindi, e un trend preoccupante, visto che la Corte parla di “un incremento rispetto all’inizio del quinquennio del 41,4 per cento”. Con Crocetta, quindi, il debito è cresciuto di quasi la metà rispetto al debito lasciato dai suoi predecessori. “Una notevole anticipazione di liquidità tra il 2014 e 2015 (2 miliardi e 667 milioni di euro, per un residuo al 2016 di 2 miliardi e 567 milioni di euro) – ha ammonito nel corso della sua requisitoria il Procuratore generale d’appello Pino Zingale – influisce pesantemente sul servizio di debito e, quindi, sulla capacità di spesa futura della Regione: tale liquidità – prosegue il Procuratore – pur non essendo tecnicamente considerata come indebitamento, composta comunque l’assunzione di obblighi da parte della Regione”. Gli effetti sulle future generazioni, insomma, di cui parlava anche Graffeo: “La restituzione, - prosegue Zingale – gravata naturalmente da interessi, peserà sulle già esangui casse della Regione Siciliana per un trentennio e cioè sino al 2044-2045”. Le anticipazioni di cassa, insomma, che si aggiungono ai mutui già esistenti, hanno appesantito l’indebitamento della Regione.

Che però, come detto, non nasce certamente con Rosario Crocetta. Ma è il figlio anche dei governi precedenti, in particolare quelli di Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo. Affrontando il tema dei mutui e dei finanziamenti della Regione, i giudici contabili annotano che “la loro consistenza finale era di 5.816 milioni di euro nel 2011 e, poi, di 5.934 milioni nel 2012”. Eccolo il debito lasciato nelle mani di Crocetta: poco meno di sei miliardi di euro. E gli assessori all’Economia di quei governi che contribuirono, ognuno per la propria 'quota' a creare quel debito, non possono certamente essere considerati, in molti casi, estranei ai partiti su cui poggia il governo Musumeci: dal ‘neoleghista’ Alessandro Pagano che fu assessore al Bilancio di Cuffaro a Roberto Di Mauro, nel listino dello stesso Musumeci alle ultime elezioni, che ebbe quella delega da Raffaele Lombardo, prima che questa passasse proprio a Gaetano Armao, che oggi torna sempre nelle vesti di assessore all’Economia nel governo di centrodestra.

E il “peso” di quei governi va cercato anche altrove. Nella vicenda, cioè, relativa ai cosiddetti “derivati” accesi dalla Regione nel 2005, quando a governare era Totò Cuffaro. Contratti che diedero dei risultati positivi per un paio di anni, ma che dal 2008 in poi hanno solo creato dei passivi per le casse pubbliche, quantificati in quasi 160 milioni di euro. Il “debito” miliardario della Regione, insomma, ha tanti padri.

venerdì 31 marzo 2017

Cuffaro è interdetto dai pubblici uffici ma detta la linea: “Sicilia dia l’esempio: Pd e Forza Italia insieme per battere il M5s”. - Giuseppe Pipitone

Cuffaro è interdetto dai pubblici uffici ma detta la linea: “Sicilia dia l’esempio: Pd e Forza Italia insieme per battere il M5s”

Intervista all'ex governatore condannato per favoreggiamento a Cosa nostra, regista dell'appoggio di Forza Italia a Fabrizio Ferrandelli, candidato sindaco a Palermo. "Se Renzi vince le primarie - dice - i dem a trazione centrista attireranno anche il partito di Berlusconi: dopo le elezioni andranno insieme". Una grande coalizione che verrebbe inaugurata a pochi mesi dalle elezioni politiche, e cioè alle regionali siciliane dove fino a questo momento i grillini sono dati al 37%. "Per questo motivo - dice il governatore - io do il mio contributo".

“Ormai sono una specie di buttana: mi mettete con tutti solo perché così la gente si interessa a cose che in caso contrario neanche leggerebbe”. Salvatore Cuffaro torna a parlare di politica. Cinque anni trascorsi a Rebibbia dopo la condanna definitiva per favoreggiamento a Cosa nostra, la libertà riacquistata da 15 mesi, tre settimane in Burundi a fare il medico volontario e un’interdizione dai pubblici uffici che non gli consente né di votare e neanche di candidarsi. Ma Salvatore Cuffaro non solo parla di politica: a modo suo la fa. Anzi detta la linea: saranno gli altri poi a farla. L’ex governatore della Sicilia ha appena raccontato a Repubblica di essere il vero regista del sostegno di Forza Italia a Fabrizio Ferrandelli, il candidato sindaco di Palermo approdato a Gianfranco Micciché dopo essere stato coi Verdi, con l’Italia dei Valori e con il Pd.
“Io rivendico il mio diritto a portare le mie idee, le mie riflessioni”, spiega Cuffaro, che per la verità all’inizio non è felicissimo della telefonata del fattoquotidiano.it. “Io non ho una grande stima di lei”, è la prima frase pronunciata dall’ex governatore. Il motivo? Non ha gradito un articolo del maggio 2015 su un sequestro all’ex deputato Giuseppe Acanto. “Mi avete attribuito rapporti che io non ho mai avuto in vita mia. Potevate chiamarmi e vi avrei spiegato: ma non fa niente, ero in carcere, non mi potevate chiamare”. Come dire: Totò Cuffaro non ha evidentemente perso neanche una riga di quello che i giornali hanno scritto di lui. E di lui, di Totò Vasa Vasa (bacia bacia, perché – come scrisse Gian Antonio Stella -baciava qualsiasi cosa fosse a portata di smack), i giornali hanno scritto tanto. Anzi tantissimo.”Io, però, sono sempre gentile con tutti: sarò gentile anche con voi”, concede l’ex presidente, prima di cominciare a disegnare uno scenario politico che da Palermo a Roma punta alla costruzione di un nuovo grande partito della Nazione. “È un termine abusato quello di partito della Nazione ma se Matteo Renzi vince le primarie, il Pd acquisirà una trazione moderata“.
Cuffaro, è tornato sulla scena politica da kingmaker occulto?
Io ho il diritto di avere delle mie idee, di fare le mie riflessioni. E ho il diritto di portarle in dote a quell’area dei moderati alla quale ho sempre appartenuto. Non mi candido, non voto (non può farlo, visto che  è interdetto dai pubblici uffici ndr), non faccio il dirigente di partito anche se me l’hanno chiesto in molti. Io non dico che sono stato condannato giustamente: sono stato condannato e stop. Le sentenze si rispettano. Ho pagato e adesso rivendico il diritto di occuparmi di quello che amo: e cioè la Sicilia.
E Renzi che vince le primarie con la Sicilia che c’entra? 
Segua il mio ragionamento. Stiamo andando verso una legge elettorale proporzionale pura: alle elezioni il Pd, Forza Italia e gli altri partiti principali andranno da soli. Casini, Fitto, Alfano, invece, proveranno ad unirsi visto che ci sarà comunque una soglia di sbarramento da superare. Il Pd di Renzi a trazione centrista può attirare – come in alcuni casi già fa –  quest’area di moderati. Ma attirerà anche Forza Italia: dopo le elezioni potrebbero immaginare di governare tranquillamente insieme.
Insomma una grossa coalizione contro i 5 Stelle?
Non è proprio una grossa coalizione, diciamo mezza grossa. Se vince Renzi darà una trazione centrista al suo partito e attirerà questa galassia di moderati che vanno appunto da Alfano a Fitto. A quel punto arriveranno anche gli altri.
Chi?
Berlusconi che lascerebbe isolate le destre e la Lega.
Sì, ma la Sicilia che c’entra? 
La Sicilia potrebbe essere un laboratorio perfetto per questo mio ragionamento perché qui alle regionali  si vota pochi mesi prima delle politiche e i sondaggi danno i grillini al 37%. Per questo motivo porto il mio contributo. Perché queste anime centriste di cui ho parlato trovino un candidato che faccia sintesi.
Nel Pd, per la verità, di centristi suoi ex sostenitori ce ne sono già parecchi.
Certo, l’ho detto io stesso: ci sono tanti miei amici che sono entrati nel Pd renziano. E infatti il mio ragionamento funziona solo se Renzi vince.
E se invece Renzi non vince?
Se vince Andrea Orlando – perché onestamente Michele Emiliano lo vedo più defilato – semplicemente il Pd rimarrà connotato a sinistra e quelli che sono usciti – Bersani e gli altri – torneranno dentro.
A Palermo, però, il Pd appoggia Leoluca Orlando e lo fa senza il suo simbolo.Sulla situazione di Palermo io condivido in toto l’intervista di Repubblica a Emanuele Macaluso. È sorprendente che il più grande partito italiano rinunci alla sua identità e al suo simbolo per allearsi con Leoluca Orlando. Che senso ha? Stanno andando a sinistra, con la sinistra estrema. La chiamo estrema per farmi capire, non voglio offendere nessuno, sono persone perbene anche loro, per carità.
Stanno andando a sinistra, ma si sono fusi con Angelino Alfano.
Io capisco il ragionamento che il Pd fa con il Nuovo Centrodestra o Alternativa Popolare, come si chiama adesso: l’alleanza l’hanno fatta a Roma e la fanno anche a Palermo. Alfano io l’ho visto crescere. Ma Renzi non è di sinistra, è nato democristiano. Era il segretario dei giovani democristiani quando c’ero io: che Alfano e Renzi abbiano stretto un’alleanza da giovani nati con la Dc lo capisco. Non capisco cosa c’entrino con Rifondazione e Sel. Secondo me non lo capiscono neanche loro, quelli della sinistra, che ci fanno con Alfano.
Grazie alla sua mediazione a Palermo Forza Italia appoggerà Ferrandelli ufficialmente, con il suo simbolo: perché lo ha fatto? Perché si è mosso per Ferrandelli?
Perché secondo me Ferrandelli è in condizioni di riorganizzare le speranze in una città sfiduciata come Palermo. Io giro per Palermo e dovunque vada mi parlano di Fabrizio. Fabrizio di qua, Fabrizio di là. Porta entusiasmo, mi ricorda me vent’anni fa.
Quando lei era al potere Ferrandelli era un anti cuffariano di ferro, però.
È giusto che lo sia stato, perché il suo partito era alla mia opposizione. Ma la politica è un movimento che cambia e si aggiorna continuamente. Basta vedere le dichiarazioni del leader del Pd palermitano, Antonello Cracolici, che fino a tre mesi fa era il più accanito oppositore di Orlando. L’ultima volta che il Pd è stato con Orlando è sparito dalla scena politica palermitana: era il ’90 e prese il 2 o il 3%, andate a controllare i dati.
Ha parlato di destra, sinistra, centro: la grande novità rispetto a quando lei era al potere, però, sono i 5 Stelle.Io credo che nel Movimento 5 Stelle ci siano tantissime persone perbene, motivati e forse incazzati per come è andata la politica degli ultimi anni. Vanno guardati con attenzione: quando un voto di protesta prende il 10 % è accettabile. Ma un voto di protesta che arriva al 37 % deve confrontarsi e diventare qualcosa di più. Io aspetto di vedere cosa succederà con questo grande consenso che hanno in Sicilia. È chiaro che se la mala politica fosse stata invece una politica un po’ meno mala e un po’ più buona, il voto di protesta sarebbe stato ridotto.
Lei ha fatto il governatore della Sicilia per 8 anni, l’unico rieletto da quando si vota direttamente per il presidente. Di quella mala politica che poteva essere un po’ più buona avrà qualche responsabilità anche lei o no?
Assolutamente sì, ho sbagliato tante cose. Anzi tantissime cose. Io ho fatto tanti errori ma ho fatto anche tante cose buone che voi magari non avete voglia di raccontare. In politica solo chi non fa non sbaglia. Questa è una frase che Alfieri mette in bocca a Saul nella sua tragedia.
Né Saul e né Alfieri, però, erano governatori della Sicilia.
Io preferisco aver fatto tante cose e quindi tanti errori invece di essere come Crocetta che forse ha fatto meno errori ma non ha fatto niente.
Che fine ha fatto Cosa nostra?
È  la cosa più schifosa che c’è in Sicilia. La mafia fa schifo, e si ricordi che il copyright su questa frase è mio. Ecco tra gli errori che ho fatto c’è sicuramente quello di non aver creato abbastanza occupazione. Se avessi creato più posti di lavoro tanti poveri cristi non si sarebbero fatti coinvolgere dall’illegalità pur di poter mangiare.
Lei, però, è condannato per favoreggiamento a Cosa nostra.
Io ammetto di avere fatto degli sbagli: c’era anche chi non dovevo incontrare tra le migliaia e migliaia di persone che ho incrociato, ho salutato e forse ho baciato. Anzi sicuramente baciato. Ma siamo in Sicilia e queste persone non ce l’avevano scritto sul collo chi erano. Io contro la mafia sono andato a sbattere: è come quando si guida una macchina. Uno fa una curva più veloce di un’altra, si distrae un attimo e va a sbattere.
Ha sbattuto con Michele Aiello, uno dei prestanome di Bernardo Provenzano. Lo incontrerebbe ancora nel retrobottega di un negozio di scarpe?
Non è che lo incontravo solo io Aiello: lo incontravano in tanti, magistrati, paladini dell’antimafia. Però se lo incontravo io era reato mentre se lo incontravano i paladini dell’antimafia non era reato. Ancora oggi mi domando: perché? Io comunque ho pagato. E adesso voglio dare il mio contributo.

mercoledì 3 febbraio 2016

Pd Sicilia, tesseramento targato Cuffaro. In Sicilia il Pd cambia pelle. Gli uomini dell'ex governatore si iscrivono in massa con la regia di Faraone.

SICILIA

L’ultimo sfregio è accaduto ieri, giorno in cui si è chiuso il tesseramento del Pd in Sicilia. Dalla piccola sezione di Realmonte, in provincia di Agrigento, è arrivata alla federazione di Palermo l’amara telefonata di un vecchio compagno: “Quelli che stavano con Cuffaro ci stanno sfrattando, si sono tesserati in massa col Pd. Si iscrivono come fanno loro, pacchetti di tessere e moduli fotocopiati. Fate qualcosa: compagni come me hanno paura per questo andazzo, se ne vanno”.
Agrigento e la sua provincia sono la culla del cuffarismo, dal nome dell’ex governatore della Sicilia che ha appena finito di scontare una condanna per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. I cuffariani sono stati berlusconiani, centristi, si sono contaminati e riciclati per lustri pur di stare al governo dell’Isola. Ora aderiscono in massa al Pd di Matteo Renzi, con la regia di Davide Faraone, il potente sottosegretario che prepara così la sua candidatura al dopo Crocetta. Fu proprio Faraone ad annunciare trionfante l’adesione di Michele Catanzaro, delfino agrigentino di Cuffaro, all’associazione renziana Big Bang: “È con immenso piacere – dichiarò Faraone - che comunichiamo l’adesione al movimento Big Bang del giovane Michele Catanzaro, del suo gruppo politico e di quei rappresentanti delle istituzioni locali che a loro si ispirano”.
Il “gruppo politico” è quello che si precipitò sotto Palazzo D’Orleans quando Totò vasa vasa fu condannato, per un caloroso abbraccio di solidarietà: “Abbiamo voluto testimoniare la nostra vicinanza al Presidente” disse l’allora segretario del gruppo universitario Udc, Michele Catanzaro. Oggi il giovane delfino è un politico consumato. Ha orchestrato l’operazione tesseramento ad Agrigento, ha coinvolto mondi estranei alla sinistra diventando incontrastato dominus renziano della Valle dei Templi, soprattutto dopo l’incidente in cui è incappato Marco Zambuto, costretto alle dimissioni da presidente (in quota Pd) dell’Assemblea regionale dopo che andò a trovare Berlusconi ad Arcore. Zambuto, altro enfant prodige del cuffarismo fu eletto sindaco di Agrigento nel 2007 col centrosinistra. Dopo un anno entrò nel Pdl di Berlusconi per poi tornare nel Pd renziano come colonnello di Faraone, una volta capito che nell’Isola era sinonimo di restaurazione più che di rottamazione.
Il vecchio compagno di Realmonte, dietro garanzia di anonimato, spiega: “A me questi fanno paura, li abbiamo combattuti una vita. Ora vengono come padroni a casa nostra e dicono: noi non siamo cambiati, è il Pd che con Renzi è cambiato”. Il tesseramento è appena concluso ma al “regionale” sono state già segnalate parecchie anomalie. Cerchiate in rosso pure le zone del catanese, come Bronte e Paternò, dove l’assalto dei personaggi del precedente sistema è vissuto con preoccupazione anche nel mondo renziano. In più di una riunione il sindaco di Catania Enzo Bianco si è detto allarmato per quella che vede come una mutazione genetica del Pd. E ha trovato alleati, nell’opera di contrasto a Faraone, nell’assessore regionale Baldo Gucciardi e nel parlamentare Giovanni Burtone, un cattolico di sinistra stimato nel mondo renziano.
Proprio nella provincia di Catania sono stati molto attivi nel tesseramento i nuovi ras locali, transitati dal centrodestra al Pd già da mesi. Sono i parlamentari regionali del movimento politico Articolo 4, cui dedicò una trasmissione lo scorso autunno Riccardo Iacona, ricostruendo i loro legami col sistema di potere cuffariano. A partire da Valeria Sudano, eletta nel centrodestra e nipote del famoso macinapreferenze Mimmo Sudano. Presa diretta si soffermò proprio sui coi rapporti tra i Sudano e i Proto, il gruppo titolare dell’azienda Oikos che gestisce la discarica di Motta Sant’Anastasia, oggi commissariata dopo che Mimmo Proto è stato arrestato a seguito di un’indagine per corruzione. Alle telecamere di Iacona il patriarca della famiglia Proto, padre di Mimmo, disse candidamente: “Qui tutti vengono a chiedere soldi e posti di lavoro. Che ne sa lei?”. Il sistema di potere di Sudano e Proto per diversi lustri è stato il bersaglio della sinistra pre-Renzi. A benedire il loro ingresso nel Partito della Nazione c’erano invece da un lato Faraone dall’altro Lorenzo Guerini. Assieme alla Sudano sono entrati altri deputati regionali di quel territorio. Tra loro Luca Sammartino, eletto nell’Udc, che Faraone avrebbe voluto capogruppo del Pd all’assemblea regionale siciliana. E c’è Pippo Nicotra, sindaco democristiano di un comune, Aci Catena, poi sciolto per mafia, poi Nuovo Psi, Udc (con Cuffaro), Movimento delle autonomie nel 2006, poi Pdl, indagato per falso e tentata truffa: “Il nuovo si costruisce con l’esperienza” era il suo slogan ai tempi del cuffarismo trionfante, quando il suo faccione era sui manifesti dell’Udc.
A Trapani invece il tesseramento dirà che il Pd è stato conquistato dal gruppo di Paolo Ruggirello, il deputato regionale ex Udc che, dal suo feudo, negli anni ha stretto accordi prima con Raffaele Lombardo poi con Nello Musumeci. Mister 6.639 preferenze” ha avuto la benedizione di Faraone e Guerini. Rugirello non è indagato, ma il suo nome compare in diverso procedimenti giudiziari dai quali emerge il profilo del classico dominus meridionale del territorio, che governa ampi settori della società trapanese, dall’informazione alle imprese al volontariato. C’è dunque un intero mondo che si sta spostando e che ha colto l’occasione del tesseramento come un biglietto autostradale in direzione Pd. Al Nazareno, chi monitora, fa finta di non sapere perché in verità l’operazione è costruita a tavolino: “Più volte – sussurra una fonte del Nazareno – Renzi ha detto che vuole rivedere i regolamenti e che le primarie si fanno solo con gli iscritti. Lotti e Guerini in quest’ottica stanno facendo entrare tutti. Così Renzi ha una maggioranza schiacciante anche tra gli iscritti”.
Per favorire questa operazione a Palermo Faraone gioca in prima persona, con un asse di ferro con Totò Cardinale, già ministro dei governi di centrosinistra poi transitato in vari partiti. Di fatto messa ai margini la sinistra del parlamentare regionale Cracolici, fuori dagli incarichi di partito, in ingresso i mondi che avevano un punto di riferimento nell’ex deputato regionale Gaspare Vistrano, condannato a sette anni di reclusione in un processo per tangenti sul fotovoltaico. Dice una fonte del Pd palermitano: “I dati diranno che il Pd ha cambiato pelle, soprattutto nel Sud. Le polemiche che scatteranno poi sono un altro discorso. Ci raccontano episodi di gente che si va a iscrivere senza sapere il perché o di pacchetti di tessere acquisitati da un’unica carta di credito”. Fuori dall’elenco ci sono pure quelli che sono ancora formalmente di destra, ma in infinite dichiarazioni pubbliche lodano il “nuovo corso del Pd renziano”.