Molti anni fa, nel 1924, nel deserto d'Egitto, il rinomato archeologo britannico James Quibell ebbe l'incredibile fortuna di fare una scoperta che scosse il mondo dell'archeologia. Una scala che conduce alla tomba sud del Faraone Djoser, situata a Saqqara, si è rivelata un pezzo chiave per comprendere la storia di questa antica civiltà.
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 17 luglio 2024
Tomba sud del Faraone Djoser, situata a Saqqara. - Linda Rosada
lunedì 3 giugno 2024
Il faraone Akhenaton.
Una delle figure più controverse della storia è il faraone Akhenaton, raffigurato con la testa allungata e gli arti sottili, era considerato un eretico dagli antichi sacerdoti per aver fondato una religione monoteista che venerava un misterioso disco solare.
martedì 8 marzo 2022
Faraone navigator: vuole più poltrone per sindaci ed eletti. - Giacomo Salvini
Che sia un sostegno non ci piove. Che lo sia soprattutto per quei politici locali che, a fine mandato, sognano uno strapuntino ben remunerato, anche. Ed è per questo che i renziani a Palazzo Madama stanno provando a far entrare nel decreto “Sostegni Ter” un regalo per sindaci, governatori e consiglieri regionali. Un emendamento, a prima firma Davide Faraone e sostenuto anche dalla ex M5S Elvira Lucia Evangelista, che se approvato permetterebbe agli amministratori locali di passare da una poltrona all’altra: restare nelle partecipate di Comune o Regione o con incarichi dirigenziali nell’amministrazione. Il tripudio delle porte girevoli, insomma.
Oggi, infatti, la norma in vigore dal 2013 prevede che una volta terminato l’incarico di governatore, consigliere regionale, sindaco o consigliere comunale (ma solo per le città sopra i 15 mila abitanti), per due anni l’amministratore non possa ricoprire incarichi nelle partecipate o nella stessa amministrazione. Un vincolo minimo per evitare potenziali conflitti d’interessi. Ma per Faraone e i renziani è un cappio troppo stretto e quindi va eliminato. L’emendamento del capogruppo di Italia Viva in Senato, infatti, con un tratto di penna cancella i 24 mesi di “cuscinetto” per evitare di passare da una poltrona all’altra e permette di poter assumere l’incarico il giorno dopo la fine del mandato. E quindi, per fare solo qualche esempio, alla fine del suo mandato il sindaco di Roma Roberto Gualtieri potrebbe ricoprire un incarico in Acea (acqua pubblica) o il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana in Aria (la centrale degli acquisti lombarda) oppure rimanere con un incarico dirigenziale al Campidoglio o al Pirellone. Una norma, specificano i firmatari dell’emendamento, che serve “per non disperdere le competenze e le professionalità acquisite nel corso del mandato”.
Ma dietro alla nobile motivazione, in Senato l’emendamento è balzato all’occhio ai colleghi per la sua tempistica sospetta: Faraone non è solo il capogruppo di Italia Viva a Palazzo Madama, ma da poche settimane è anche il candidato renziano a sindaco di Palermo. Non ha possibilità di essere eletto ma un seggio in consiglio comunale non glielo leva nessuno. E poi, visti i tempi di magra dopo il taglio dei parlamentari, è sempre meglio guardare al futuro. Faraone non è il solo parlamentare renziano candidato in pectore alle prossime amministrative: anche il magistrato e deputato Cosimo Maria Ferri, sotto procedimento disciplinare al Csm per lo scandalo delle nomine, potrebbe essere candidato sindaco nella sua Carrara. L’emendamento in materia di “inconferibilità di incarichi a componenti di organo politico di livello regionale e locale” è stato presentato da Italia Viva al Sostegni Ter e ieri il gruppo al Senato si è riunito per fare una scrematura e per “segnalare” quelli considerati più importanti. La proposta renziana potrebbe trovare una sponda favorevole anche nelle altre forze politiche di maggioranza. Le porte girevoli, si sa, fanno comodo a tutti.
lunedì 24 gennaio 2022
Alla Leopolda Renzi candida Faraone sindaco di Palermo. La mossa per lanciare l’asse con Forza Italia in Sicilia. - Manuele Modica
21 NOVEMBRE 2021
"Questa candidatura non sarà figlia di un accordicchio con qualche forza politica. Noi stiamo con Davide, non con Micciché. Poi Micciché faccia lui", ha detto l'ex premier chiudendo la kermesse di Firenze. Nonostante non ci sia ancora ufficialmente l’appoggio di Forza Italia, l’annuncio di fatto si muove, secondo i ben informati, sul solco di un rafforzamento del patto coi berlusconiani.
Davide Faraone candidato sindaco a Palermo: è questa la mossa di Matteo Renzi per rinsaldare il patto con Forza Italia. A lanciare la corsa verso lo scranno più alto della quinta città d’Italia che andrà ad elezioni la prossima primavera è l’ex premier in persona nel discorso di chiusura dell’undicesima edizione della Leopolda. “Caro Davide, Palermo ha bisogno di te, noi siamo convinti che la tua candidatura a sindaco di Palermo non sarà figlia di un accordicchio con qualche forza politica, ma sarà una candidatura che parla alla città di Palermo”, ha detto Renzi, mettendo subito le mani avanti. “A Palermo non stiamo con Miccichè, stiamo con Davide Faraone che è una cosa diversa; poi Micciché faccia lui, Provenzano faccia lui, ma noi a Palermo ci candidiamo per guidare una città che negli ultimi anni non è riuscita neanche a seppellire i propri morti”.
Insomma: non è un caso se l’alleanza tra renziani e berlusconiani parta da Palermo. D’altronde alla conferenza stampa di presentazione del neonato gruppo in Sicilia, il percorso tracciato nell’accordo era già chiaro: “Oggi inizia il laboratorio Sicilia, un accordo che porterà Forza Italia e Sicilia Futura-Italia Viva a un grande risultato alle prossime elezioni, amministrative e regionali” aveva detto il capogruppo di Fi all’Ars, Tommaso Calderone. Così, mentre gli altri leader nazionali lanciano scadenze in cui si annuncerà il candidato sindaco di Palermo (Matteo Salvini ha detto entro Natale), l’ex premier lancia il suo luotenente, capogruppo d’Italia viva al Senato. Già nel 2012 Faraone si era candidato alle primarie del centrosinistra per scegliere il candidato sindaco di Palermo, ma era arrivato terzo dietro Fabrizio Ferrandelli e Rita Borsellino. Ora sembra volerci tentare di nuovo. La sua candidatura arriva presto, forse troppo presto: tanto che i ben informati in Sicilia sono pronti a sostenere si tratti di un annuncio strategico, finalizzato a spianare la strada a un altro candidato gradito a Forza Italia: si parla di Francesco Cascio, già presidente dell’Ars.
Di sicuro sono aperti i giochi elettorali sul grande laboratorio politico che la Sicilia si appresta a diventare, per l’ennesima volta, in vista delle Politiche del 2023. Le amministrative ad aprile 2020 nel capoluogo e le Regionali l’autunno successivo sono il terreno sul quale gli schieramenti stanno preparando la corsa alle prossime elezioni. Ad aprire le danze degli annuncia è stato Nello Musumeci, un attimo prima di Renzi. Sabato sera il presidente della Regione in carica ha annunciato la sua ricandidatura sul palco della kermesse del suo movimento politico, Diventerà Bellissima, alle Ciminiere di Catania: “Stasera abbiamo sciolto l’incantesimo, il presidente della regione sta lavorando a preparare le liste delle prossime regionali, vorrò vincere per me e per i partiti della mia coalizione”. Partiti che erano però i grandi assenti alla convention del presidente, i vertici – “tutti invitati”, ha sottolineato la consigliera regionale Giusi Savarino – non erano presenti nella folta platea catanese. La stessa Giorgia Meloni, il giorno prima a Palermo per la presentazione del suo libro, aveva mostrato una certa freddezza nei confronti del presidente: “Non intendo su questo fare fughe in avanti – ha detto venerdì Meloni -. Penso che la coalizione si debba muovere compatta e non voglio dare, in un momento nel quale invece ho come priorità di dimostrare la compattezza del centrodestra, alibi per eventuali discussioni ed eventuali divisioni”.
Come Renzi, anche Musumeci, pare dunque abbia voluto giocare d’anticipo, annunciando la sua candidatura in solitaria. Eppure alla kermesse del presidente mancavano i vertici dei partiti ma la giunta era quasi al completo. A mancare solo l’assessore leghista, Alberto Samonà, e i due vicini a Micciché, Marco Zambuto e Tony Scilla. E non si è fatta attendere, infatti, la reazione del forzista che ha gelato il presidente in carica subito dopo l’annuncio: “Quattro anni fa la sua fuga in avanti fu accettata da un centrodestra che non fu facile rimettere insieme – ha detto a caldo Miccichè -. Oggi insisto nel dire che il candidato sarà scelto dalla coalizione così come affermato anche dai leader nazionale”. Un laboratorio rovente quello siciliano, dove, nonostante le prese di distanza, le voci nel centrodestra danno per certa la ricandidatura di Musumeci, l’unico a potere garantire la compattezza della coalizione del centrodestra. A questo puntano i partiti da Roma, disposti pare anche a perdere la guida della Regione pur di non perdere l’unità alle Politiche. Nonostante le volate in avanti, e gli sconfinamenti nel capoluogo toscano, le candidature nel grande laboratorio siculo saranno decise nella capitale.
Io non lo voterei mai!
domenica 13 giugno 2021
Pronto Amerega me senti? - Marco Travaglio
Uno dei fenomeni più comici del momento è il ritorno di Nando Mericoni. Solo che al posto di Sordi ci sono gli atlantisti fuori tempo massimo de noantri (“Pronto Amerega me senti?”), tutti eccitati perché Draghi incontra Biden al G7, anzi gli dà la linea nella sua nuova veste di Capo del Mondo. Repubblica: “Draghi guida il G7” (anzi, G1+6). Stampa: “Draghi indica la strada al G7” (“Maestro, ìndicaci la retta via!”, Brian di Nazareth), “Merkel si allinea alle posizioni italiane” (buona questa). Messaggero: “L’asse tra Draghi e Biden: ‘Meno sussidi, ora investire’” (infatti Biden ha appena stanziato 1.900 miliardi di sussidi e Draghi 40, più i 32 ereditati da Conte). Altri invece sono affranti perché, mentre Super Mario assume le redini del pianeta, in attesa di impadronirsi della galassia, Grillo vede l’ambasciatore cinese. Ora, basta leggere i dati dell’economia per capire che l’Italia può fare a meno più degli Usa che della Cina: le esportazioni da Roma a Pechino sono balzate in sei mesi del 75% e gli scambi commerciali del 50. Gli Usa hanno tutto da perdere dalla Cina. Noi tutto da guadagnare. La guerra fredda è finita da un pezzo, la “guerra al terrorismo” modello Usa ha moltiplicato il terrorismo e sterminato centinaia di migliaia di innocenti in Afghanistan e in Iraq, oltre ad aver causato la nascita dello Stato Islamico e gli attacchi dell’Isis in tutto il mondo, trascinando alleati e camerieri (fra cui l’Italia berlusconiana e ulivista) in una debacle senza fine, culminata nell’ingloriosa ritirata dall’Afghanistan più che mai in mano ai Talebani.
Per fortuna dal 2018 i “populisti” 5Stelle hanno imposto una visione un po’ più multilaterale del mondo, rifiutando di riconoscere – unico governo in Europa insieme al Vaticano – il golpista venezuelano Guaidó (ora disperso). L’unica cosa che dovremmo importare dagli Usa sono le politiche sociali e fiscali di Biden: invece Draghi è filoamericano in tutto tranne che in quelle (niente salario minimo e neppure la tassina di successione modello Letta). In vista dell’auspicato remake di Un americano a Roma, segnaliamo un possibile protagonista e una eventuale comparsa. Il protagonista è Maurizio Sambuca Molinari, che a Ottoemezzo esalta tra lo sconcerto generale “la convergenza tra le politiche economiche di Biden e Draghi” (ciao core). La comparsa è l’italomorente Faraone, che al Tg3 dirama la fake news di “Conte, che abbiamo mandato a casa, all’ambasciata cinese col comico Grillo, mentre Draghi sta rappresentando i valori dell’atlantismo e dell’europeismo al fianco di Biden”. Senza dimenticare il Rinascimento saudita, che lo vedrà impegnato nel remake di Totò d’Arabia nei panni dello sceicco Alì el Buzur.
IlFQ
mercoledì 9 dicembre 2020
Anonima Rignano. - Marco Travaglio
Da che mondo è mondo, quando l’Anonima Sequestri prende qualcuno in ostaggio, chiama i famigliari per chiedere il riscatto. Invece l’Innominabile e gli altri italomorenti sequestrano Conte, ma non dicono cosa vogliono in cambio del suo rilascio. È una nuova fattispecie di banditismo politico: il sequestro di governo a scopo di estorsione imprecisata. Basta leggere le loro interviste (lo facciamo anche noi, ma ce la pagheranno): non una sillaba che faccia capire che diavolo vogliono. Lunedì l’Innominabile su Repubblica, ieri i pappagalli Boschi, Faraone e Rosato su Corriere, Stampa e Messaggero: tutte supercazzole che riescono persino a nobilitare i frondisti M5S sul Mes (almeno quelli parlano di idee). Sentite lo Statista di Rignano: “Conte si fermi”. Oh bella, ma non è lui ad accusarlo di immobilismo? “Del merito del (Recovery Plan) non sappiamo niente. Sul metodo siamo contrari”. Oh bella, ma nei Consigli dei ministri i suoi (anzi, le sue) che fanno? Le piante grasse? Giocano alla Playstation o al solitario sull’iPhone? “Il futuro dell’Italia non lo scrivono Conte e Casalino nottetempo in uno stanzino”. Oh bella, ma l’accusa non è di circondarsi di troppe task force e tecnici esterni? “Abbiamo fatto nascere un governo per togliere i pieni poteri a Salvini, non per darli a Conte”. Oh bella, ma Conte non è un indecisionista? “Dire che ha i ministri migliori del mondo è una barzelletta”. Oh bella, ma se pensa di aver scelto i ministri peggiori – tesi peraltro apprezzabile – perché non dà il buon esempio e non li cambia, tirando fuori i suoi Churchill ingiustamente esclusi, oltre a Boschi, Rosato e Faraone?
Ed ecco la Boschi: “Progetto scritto nottetempo” (già sentita), “senza consultare la società né le categorie” (ma gli Stati generali con la società e le categorie non erano una passerella?), “stiamo difendendo le istituzioni di questo Paese” (non di un altro). Dunque vogliono il rimpasto? “Non più”. Un posto a tavola con Conte, Gualtieri e Patuanelli sopra la task force sul Recovery? La Bellanova, nota intellettuale della Magna Grecia, “non è interessata”. La difesa della democrazia? Improbabile: il “Piano choc” di R. per “opere pubbliche da 120 miliardi” prevede “100 commissari” sottratti alla democrazia con pieni poteri di: scelta delle opere, progettazione, attuazione e controllo. Invece i piani del Recovery li progetta il governo, li approva il Parlamento, li attuano ministeri, Regioni, Province e Comuni; e la famigerata cabina di regia monitora le realizzazioni per non perdere i fondi dell’Ue (che ha chiesto espressamente la task force di controllo). E allora a quanto ammonta il riscatto? Trattandosi di Soliti Ignoti, un piatto di pasta e ceci può bastare.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/09/anonima-rignano/6030440/