mercoledì 20 novembre 2019

I Beccafichi. - Anna Lombroso



Il saòr è un tipo di marinatura da sempre usata a Venezia, che somiglia al condimento delle sarde a beccafico, con lo scopo di conservare gli alimenti durante le lunghe traversate. È talmente efficace che, narra una leggenda cara a Hemingway, quando morì un alto prelato di Torcello considerato alla stregua di un santo, si volle seppellirlo in Basilica. Ma imperversava da giorni una tremenda tempesta con trombe marine che impedivano il trasporto, così per mantenere l’augusta salma si pensò di coprirla con l’antico bagnetto di cipolle, aromi e aceto e il feretro giunse in perfette condizioni in San Marco pronto per le celebrazioni e l’adorazione di fedeli.

E cosa c’è di meglio per le sardine del saòr, come vuole la ricetta tradizionale, che aggiunge sapore ma soprattutto raggiunge lo scopo di conservare le pietanze, le carni e i pesci, compresi quelli in barile. Si moltiplicano in questi giorni i paragoni tra gli intrepidi banchi marini e altre espressioni movimentiste del recente passato: il popolo viola, gli schizzinosi girotondi, le madamine Si-Tav, eredità approssimative di quel situazionismo che concepiva la politica come costruzione di eventi e momenti di vita collettiva destinati a creare una qualche forma di comunicazione effimera tra la gente, egemonizzata dalla spettacolarità e unita dalla musica, da slogan, da parole d’ordine, da performance creative senza sceneggiatura e copione.

E infatti senza perdere troppo tempo a definire questo “agire” e i suoi attori – e chi li vuole sinistra sommersa, e chi li vuole riscatto di popolo purché non populista, e chi li vuole  intrinsecamente rivoluzionari, e chi li vuole post qualunquisti – viene bene il paragone con un’altra “situazione”, il plebiscito su scala nazionale del Se non ora quando, contro il Berlusconi puttaniere, fedifrago nei confronti della paziente consorte che ebbe l’onore non delle lettere alla posta del cuore, ma delle prime pagine, volgare e spudorato nelle sue esternazioni maschiliste proprio come un cumenda incarnazione della maggioranza silenziosa.

Scesero in piazza allora insieme a centinaia di migliaia di signore inviperite, al seguito di alcune penne intinte in quota rosa,  numerose perfino per la questura, anche tanti uomini della società civile e della politica, che non avevano mai manifestato  e non lo fecero nemmeno dopo, contro il golpista, contro il deus ex machina delle leggi ad personam che avevano trasformato l’interesse generale in occupazione privata della società imponendo la corruzione in forma di legge, contro l’amico dei mafiosi, contro l’utilizzatore finale di ragazze ma pure di deputati e senatori, oltre che di intellettuali pronti a mettersi in vendita nel mercato delle vacche dell’editoria e delle tv.

È facile da spiegare, vien meglio una manifestazione di dissenso che preveda l’incendio in piazza di un simulacro riconoscibile, che potrà risorgere dalle ceneri, se, una volta dato alle fiamme il gattopardo, tutto può andare avanti come prima, permettendo in quel caso la più mesta e iniqua austerità, la rinuncia definitiva alla sovranità statale, il sopravvento delle lobby delle privatizzazioni, lo smantellamento dell’edificio costituzionale e democratico perfino per via di referendum.

E allora si capisce l’entusiasmo per questi vispi ragazzotti, ben attrezzati di buone conoscenze e di un certo istinto per lo spettacolo che va ben oltre la recita della poesia sullo sgabello a Natale davanti a nonno Romano e prima che arrivino in tavola i tortellini fumanti.

Il fantoccio da bruciare per esorcizzarne l’oscuro potere era pronto, preceduto da una fama a lungo confezionata a tavolino per farne un Hannibal Cannibal, come incarnazione dell’eversione fascista.

Se  fascista lo è di sicuro, è meno certo che si tratti di un sovvertitore dell’ordine costituito e dell’establishment: appena ha fatto irruzione sulla scena governativa, ha dimostrato nelle parole e nei fatti la sua adesione alla irriducibilità e incontrastabilità dell’Ue, ha testimoniato la sua fidelizzazione al modello di sviluppo rappresentato emblematicamente dai suoi monumenti e altari: Tav, Mose, trivelle, Muos, ponti e piramidi, ha  riconfermato la volontà di essere ammesso alla cerchia padronale multinazionale. E diciamo la verità, sulla questione immigrazione non ha spostato di un centimetro il già pensato e fatto dai predecessori in qualità di ministri e legislatori, da Bossi e Fini, a Turco e Napolitano, a Alfano e Minniti, seguito dagli attuali esecutori come dimostra il rinnovo degli accordi con la Libia e il prolungamento delle serrate dimostrative dei porti.

A essere maligni, non può che venir bene un po’ di saòr, che copra lo squalo fritto e conservi tutto com’è e dov’è. Non a caso le sardine piacciono al movimento 5Stelle costretto a una riservatezza coatta e prona alla tracotanza degli alleati di governo di oggi ancora più subordinata che a quello del passato, che hanno nostalgia dei rave party dell’opposizione opposizione, che sognano di riprendere consenso facendo casino, sì, ma anche stando sulle poltrone irrinunciabili dei trascurabili dicasteri concessi loro.

E perché dovremmo aspettarci che le sardine dettino una linea se sono come i pesci pilota che precedono l’arrivo degli squali, e se la linea politica c’è ed è quella del progressismo perbenista che accoglie e integra purché in crestina e grembiulino, in tuta sull’impalcatura incerta, con le forbici da giardiniere o la cesta per le olive i pomodori, quella del politicamente coretto che cede su lavoro, sulla scuola, sulle delocalizzazioni, sulle svendite,  sulla privatizzazione dello stato sociale per fare il muso duro sul minimo accettabile dello isu soli, che doveva essere obbligatorio almeno cinque governi fa, quella del sindacalismo dei patronati senza lotta di classe ormai assimilata all’odio da censurare tramite commissione parlamentare.

Le sardine, vezzeggiate da tutti,  piacciono alla gente che piace, ecologisti che fanno giardinaggio, femministe che vogliono che l’altra metà del cielo si conquisti mediante al sostituzione di stronzi maschi al potere con altrettante stronze femmine nei ruoli di comando, agli antifascisti sì, purchè non antisistema, quelli che pensano che sia sufficiente togliere di mezzo la ferocia in felpa per addomesticare il totalitarismo che si esprime con i metodi criminali di sempre per ridurci a Ausmerzen vite indegne di essere vissute.

E infatti eccoli a Bologna contro Salvini, ma non contro il Global Compact di Merola fotocopia della cooperazione secondo Renzi, quel neo colonialismo che dovrebbe normalizzare  l’invasione fornendo un esercito di riserva al padronato in modo che il potere di ricatto di una concorrenza avvilita e intimidita faccia recedere da conquiste e diritti del lavoro i lavoratori locali. Si esibiscono in tutta l’Emilia, la loro culla, senza riservare una parola di dissenso  nei confronti della pretesa di autonomia divisiva e quella si, eversiva, patrimonio indiscusso della Lega. Oggi ci sono anche in Puglia, dove non abbiamo visto manifestazioni di piazza di una qualsiasi specie ittica, nemmeno le cozze pelose,  per dare appoggio alla città martire di Taranto. Ci sono in Sardegna dove resistono da anni quelli che si battono contro la militarizzazione dell’isola, o in Sicilia dove i No Muos sono ridotti al silenzio dalla repressione e censurato dalla stampa.

Eppure sono ben altri l’argento vivo del paese, quello che non dovremmo lasciare solo perchè fa paura e viene tacitato e emarginato,  quello che si muove per noi e che non si piega a essere costretto dentro al vecchio termometro che non registra mai la febbre di chi vorrebbe davvero rovesciare il tavolo e cambiare le cose.

https://infosannio.wordpress.com/2019/11/20/i-beccafichi/

Ex Ilva, i finanzieri negli uffici di Arcelor. L’accusa: materie prime comprate a prezzi alti, prodotti finiti svenduti a società del gruppo. - Francesco Casula

Ex Ilva, i finanzieri negli uffici di Arcelor. L’accusa: materie prime comprate a prezzi alti, prodotti finiti svenduti a società del gruppo

Agli investigatori toccherà studiare i documenti per comprendere come sia stato possibile che in soli 12 mesi la costola italiana del gruppo abbia accumulato il doppio delle perdite rispetto a quelle certificate dai commissari. Mercoledì nuova delega della procura ai carabinieri del Noe per le verifiche su operazioni di bonifica, situazione dello stabilimento, attività di manutenzione finora eseguite e sicurezza sul lavoro.

Sono entrati poco dopo le 10 i finanzieri di Taranto e Milano negli uffici dello stabilimento ex Ilva e nella sede di ArcelorMittal in via Brenta, nel capoluogo lombardo. I militari delegati dalle due rispettive procure hanno passato al setaccio materiale cartaceo e dispositivi elettronici alla caccia di una serie di documenti della contabilità di ArcelorMittal per verificare le questioni sollevate dai commissari straordinari nei palazzi di giustizia. In particolare gli investigatori delle fiamme gialle tarantine, guidati dal tenente colonnello Marco Antonucci, hanno sequestrato i documenti di acquisto delle materie prime e quelli di vendita dei prodotti finiti nei periodi di gestione di ArcelorMittal e in quelli della precedente gestione commissariale: l’obiettivo è quello di comprendere come sia stato possibile che in soli 12 mesi ArcelorMittal Italia abbia accumulato il doppio delle perdite rispetto a quelle certificate dai commissari. I reati ipotizzati dal procuratore capo Carlo Maria Capristo, l’aggiunto Maurizio Carbone e il pm Mariano Buccoliero sono distruzione di mezzi di produzione e di appropriazione indebita.


Il fronte milanese: l’ipotesi della ‘crisi pilotata’.

A Milano l’aggiunto Maurizio Romanelli e i pm Stefano Civardi, che in mattinata ha sentito come persone informate sui fatti due dirigenti dell’area commerciale di ArcelorMittal, e Mauro Clerici si stanno concentrando sull’aggiotaggio informativo, ossia alle presunte false comunicazioni al mercato negli ultimi 3 mesi, e la distrazione di beni del fallimento in relazione al magazzino (valore 500 milioni) ‘scomparso’ secondo i commissari. In sostanza, l’ipotesi è quella di una “crisi pilotata” per lasciare solo “macerie” dell’acciaieria, come ipotizzato dai commissari nel ricorso d’urgenza presentato al Tribunale civile di Milano. Un fascicolo a parte riguarda l’omessa dichiarazione dei redditi di una società del gruppo con sede in Lussemburgo.

L’ipotesi al vaglio degli investigatori di Taranto è invece che la multinazionale dell’acciaio abbia operato con una serie di escamotage per far lievitare le perdite. I finanzieri dovranno accertare se davvero c’è stata una svendita a prezzi eccessivamente bassi dei prodotti finiti presenti nei magazzini dell’Ilva: acciaio che sarebbe stato venduto a società del gruppo a prezzi bassissimi, particolarmente fuori mercato. Le società del gruppo poi li avrebbero rimessi sul mercato a prezzi regolari. Al contrario andrà invece fatta la verifica per le materie prime: carbone e minerale di ferro, infatti, sembrerebbero essere state acquistate a prezzi più alti di quanto non facessero i commissari. In questo modo, secondo quanto ipotizzato in queste ore, ArcelorMittal Italia avrebbe segnalato perdite maggiori mentre il gruppo non ne risulterebbe per nulla danneggiato, anzi. Non solo: un faro è acceso anche sulle quantità acquistate negli ultimi mesi per comprendere se queste siano state sufficienti per consentire agli impianti di marciare in maniera regolare e senza essere danneggiati. Tutto da verificare, insomma. I prezzi degli uni e degli altri dovranno chiaramente essere confrontati con le oscillazioni di mercato, i prezzi di acquisto di altre società che operano nel mercato dell’acciaio per comprendere se siano state scelte obbligate oppure se davvero queste operazioni facessero parte di quel disegno “preordinato” che secondo i commissari mira a chiudere la fabbrica di Taranto.


La nuova delega ai carabinieri del Noe.
Nell’esposto firmato dal l’avvocato Angelo Loreto che ha dato il via a un’indagine contestando i reati di distruzione di prodotti o industriali o di mezzi di produzione che danneggerebbero l’economia italiana e l’appropriazione indebita. L’esposto oltre a ripercorrere i fatti salienti descritti nel documento arrivato ai giudici milanesi, sottolinea come i commissari, nei giorni scorsi, avessero comunicato d ArcelorMittal l’intenzione di effettuare una visita ispettiva nell’impianto di Taranto a cui la multinazionale avrebbe risposto che “essendo stato risolto il contratto con la comunicazione del 4 novembre 2019” non era più tenuta rispettare l’obbligo di garantire l’accesso ai commissari. A questo si aggiunge la “scomparsa” delle materie prime: al momento della presa in consegna dei rami d’azienda, secondo i commissari, Arcelor “ha ricevuto un magazzino del valore di circa euro 500 milioni” e ora si appresta a riconsegnare lo stabilimento senza giacenze e rifiutandosi “di procedere ad alcun ulteriore acquisto”. Un punto che potrebbe essere stato temporaneamente superato dalla comunicazione diffusa lunedì con la quale l’ad Lucia Morselli ha annunciato che la regolare ripresa delle attività e degli ordini commerciali in attesa di una definitiva decisione della Procura di Taranto. Tutto quanto, però, passerà ora al vaglio dei finanzieri e già nei prossimi giorni potrebbero arrivare clamorosi risvolti. Tenuto conto, tra l’altro, che i magistrati tarantini mercoledì delegherà i carabinieri del Noe a nuove indagini riguardanti le operazioni di bonifica, la situazione dello stabilimento, le attività di manutenzione finora eseguite e la sicurezza sul lavoro.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/11/19/ex-ilva-i-finanzieri-negli-uffici-di-arcelor-laccusa-materie-prime-comprate-a-prezzi-alti-prodotti-finiti-svenduti-a-societa-del-gruppo/5570051/?fbclid=IwAR1hX7eJfcz-co6ZEY6M7yGFrMjMoBpwmvwrpiei79Ijh6gG6N0d4O76dY8

Ghostbusters. - Marco Travaglio

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Fermi tutti, che nessuno si muova. Dopo Ezio Mauro, Folli, Gramellini e De Angelis, anche Nicola Zingaretti ha perso il sonno perché il governo non ha l’anima. Il grido di dolore del segretario-ghostbuster del Pd è così straziante che Repubblica ha aperto la prima pagina con la sua conversione all’animismo: “Il governo trovi l’anima”. Il che è già un passo avanti rispetto agli allarmi dei quattro suddetti teologi, convinti che il Conte2 sia irrimediabilmente sprovvisto di anima, diversamente dai feti che ne hanno una fin dal concepimento, figurarsi dopo due mesi di vita. Invece quell’anima in pena di Zinga è più ottimista: “La manovra finanziaria ha un’anima. Il governo ancora no. E se non la trova rischia”. Quindi questa benedetta anima da qualche parte c’è: lui, per dire, l’ha intravista per un attimo nella legge di Bilancio, poi più nulla. Qualcuno l’ha sentita sussurrare: “Scendo a comprare le sigarette” e ciao. Si sa come sono queste anime governative: vanno e vengono, oggi qui domani là, fanno un po’ come pare a loro. Forse è fuggita, o è solo in vacanza, o è finita sotto l’acqua alta con Brunetta, magari l’ha sequestrata l’Anonima Anime in cambio di un riscatto. Ora bisogna trovarla a ogni costo. Anche con una caccia al tesoro, un safari, un’operazione di soul searching con i cani sanbernardo.

Si potrebbero affidare le ricerche a quell’essere inanimato di Conte, che però è piuttosto indaffarato a rintuzzare i 5 mila emendamenti alla legge di Bilancio (di cui 1700 della sua maggioranza, di cui 900 del Pd),
 a far ragionare i sedicenti alleati (tipo il Pd) che vogliono riesumare la prescrizione e lo Ius soli (fuori dal programma di governo) e a risolvere quisquilie tipo Ilva, Mose, Alitalia (eredità dei governi Pd). Però il premier, se gli resta tempo, un’occhiatina nei cassetti di Palazzo Chigi potrebbe darla. Se poi proprio non saltasse fuori, potrebbe prenderla a prestito da chi sicuramente ce l’ha, e da vendere. Tipo la giunta Zingaretti che governa il Lazio dal 2013. È vero che nessuno aveva mai preteso un’anima da una giunta o da un governo. Ma chi la esige dagli altri avrà almeno verificato di averne una in casa. Noi, potendo scegliere, preferiremmo che la giunta Zinga barattasse l’anima con un piano rifiuti, essendo ferma a quello della Polverini del 2012, quand’era ancora aperta la discarica di Malagrotta, il che spiega l’emergenza continua nella Capitale. Ma non si può avere tutto dalla vita. Piuttosto: se l’anima del Conte2 non si trova, bisognerà fabbricarne una nuova di zecca. Ma chiederlo al Pd, che esprime 9 ministri su 21, pare brutto: ha già troppi problemi col corpo. Elettorale.


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