giovedì 20 ottobre 2011

Corruzione, trasmesse a Palazzo Madama le telefonate del senatore Carlo Vizzini. - di Giuseppe Pipitone


Il senatore del PdL Carlo Vizzini


Il gip Piergiorgio Morosini ha trasmesso al Senato gli atti di tutte le 40 intercettazioni che coinvolgono il parlamentare del Pdl indagato per corruzione nell'ambito dell'inchiesta sulle operazioni finanziarie del Gruppo Gas.


"Ti cercavo perché sono un po’ nei guai, mi sono pure dovuto operare … purtroppo tocco sempre per ora male, capisci, per ora sono il contrario di Re Mida, quello che tocco io diventa merda”. E poi ancora  ”ma se io ti aspetto da sabato … dai Gianni … va bene fai quello che devi fare … e poi mi fai sapere”. Quindi l’insana proposta: “dico, non è che io debbo predisporre il mio suicidio!”. La voce nervosa, via via più insistente, che si descrive come un “il contrario di Re Mida” è quella di Carlo Vizzini, senatore palermitano del Pdl.


L’interlocutore a cui il senatore rivolge le sue richieste è sempre lo stesso: Gianni Lapis, affermato tributarista palermitano e amministratore della Gas spa, società di fornitura energetica riconducibile a se stesso, a Massimo Ciancimino e in precedenza a al padre di quest’ultimo, l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino. Sono telefonate insistenti quelle che Vizzini fa a Lapis e alla base delle quali ci sarebbero “comunicazioni sulle operazioni finanziarie del Gruppo Gas da cui ricavare la provvista per dazioni di somme di danaro da Lapis a Vizzini”. Diciotto chiamate in totale tra il 7 luglio e il 28 ottobre 2003 che però “come di incanto, subito dopo il 18 gennaio 2004 (data in cui verosimilmente riesce ad ottenere una prima tranche di denaro) spariscono completamente”.


A scriverlo è il gip di Palermo Piergiorgio Morosini che oggi ha trasmesso al Senato gli atti di tutte le 40 intercettazioni che coinvolgono l’ex segretario del Partito Socialdemocratico. Il giudice palermitano venerdì scorso aveva già invitato alla Camera gli atti delle telefonate che coinvolgono il ministro delle Politiche agricole Saverio Romano. Adesso è il turno degli atti riguardanti Vizzini, che con Romano e Salvatore Cuffaro è indagato per corruzione. Le quaranta telefonate che coinvolgono il senatore del Pdl sono state intercettate tra il 2003 e il 2004, e inserite nell’inchiesta sul cosiddetto “gruppo Gas” dai sostituti procuratori della Dda di Palermo Nino Di Matteo, Paolo Guido e Sergio Demontis che indagano sugli episodi di corruzione dei politici nella gestione del “gruppo Gas”.


Secondo Morosini, dalle telefonate di Vizzini si rileva “da un lato la percezione di somme di danaro contante che il senatore Vizzini avrebbe, in più occasioni ricevuto da Gianni Lapis, dall’altro uno stabile rapporto di messa a disposizione delle funzioni pubbliche esercitate dal senatore Vizzini in favore degli interessi della società riconducibili tra gli altri al predetto Lapis”. La mattina del 6 aprile 2004, per esempio, Gianni Lapis chiama Vizzini, spiegandogli che dovrà recarsi in Giappone per affari, chiedendo quindi al senatore agevolazioni per ottenere in tempi rapidi l’accreditamento presso l’ambasciata italiana a Tokio ed avere così a propria disposizione un addetto commerciale e alcuni interpreti.


Vizzini si mette a disposizione invitando addirittura Lapis a mandargli una memoria sulla questione (“dovresti farmi una memoria” “così io faccio prendere contatto attraverso il ministero con l’ambasciatore”). Già la mattina seguente Lapis chiama poi la segretaria di Vizzini, Francesca Li Vigni, per sincerarsi sullo stato delle cose. “La donna – scrive sempre Morosini – lo tranquillizza dicendo di aver già inviato un fax direttamente alla segreteria del ministro Frattini i cui funzionari si erano già attivati e che eventualmente Vizzini avrebbe parlato personalmente con il capo segreteria (… “io ho mandato un fax alla segreteria del ministro Frattini, che aspettavano che arrivasse il capo segreteria per farlo siglare e passarlo al funzionario con cui hanno già parlato … il senatore m’ha detto che eventualmente parla con lui con il capo segreteria direttamente …”). La vicenda si evolve in tempi record. Infatti appena 6 giorni dopo la richiesta di Lapis, Vizzini chiama il tributarista raccontandogli che per la vicenda del viaggio in Giappone si stava spendendo in prima persona (“Comunque da domani mattina, noi continueremo a … a chiamare il Ministero … perché questo è un contatto diretto con l’Ambasciata che ho fatto io”).


I contatti tra Lapis e Vizzini sono continui. E coinvolgono anche altre amicizie di Lapis. Il 31 luglio del 2004 il tributarista palermitano chiama il senatore chiedendogli d’intercedere con Enrico La Loggia, all’epoca ministro di Silvio Berlusconi per gli Affari regionali. Per aiutare Antonina Bertolino, proprietaria dell’omonima distilleria di Partinico. La donna infatti aveva appena chiamato Lapis manifestandogli la sua preoccupazione per un’iniziativa da parte dell’allora assessore all’Energia della Provincia di Palermo Salvatore Glorioso, che avrebbe messo a rischio l’attività finanziaria della sua azienda. Glorioso, secondo la Bertolino, è uomo vicino a La Loggia. Lapis rassicura subito la Bertolino che si muoverà, facendo parlare il loro “amico comune” direttamente con La Loggia (“Io vedo di parlare subito col mio amico che lei sa chi è e gli dico se può intervenire immediatamente con Enrico). “L’amico comune”, secondo l’accusa, è Carlo Vizzini. Che però non è in buoni rapporti con La Loggia, che arriva a definire addirittura come “un pezzo di merda”. Dopo qualche insistenza però Vizzini si mette a disposizione per risolvere la faccenda. (“Lunedì casomai te… te lo faccio cercare con la batteria, faccio dire che tu lo cerchi, lo… lo avviso al ministero, cioè il contatto te lo creo”).


Poi ci sono le richieste fatte da Lapis a Vizzini per ottenere un’autorizzazione al volo per seguire una manifestazione internazionale di windsurf in svolgimento nel golfo di Mondello a Palermo, ospitando una troupe televisiva della Rai a bordo degli elicotteri della loro società Air Panarea, società di elicotteri riconducibile a Massimo Ciancimino. Vizzini cerca d’intervenire sul dottor Marino, prefetto di Palermo, che avrebbe cercato di ottenere in giornata l’autorizzazione dal questore di Palermo (“Ho parlato col Prefetto ……” dice “comunque ora io parlo col questore e vediamo se possiamo rimediare”).


Secondo gli inquirenti, lo “stabile rapporto di messa a disposizione delle funzioni pubbliche di Vizzini” sarebbe stato poi ricompensato con denaro sonante elargito da parte di Lapis. Il 18 gennaio 2004 il tributarista palermitano ha appena ricevuto 1 milione e 300 mila euro da Massimo Ciancimino , prelevati due giorni prima dal conto “Mignon” presso il Credit Lyonnais. Gli investigatori sospettano che da quella somma siano state poi prelevate le tangenti destinate ai politici. La società Gas è infatti appena stata ceduta agli spagnoli di Endesa e secondo Massimo Ciancimino “circa 1.000.000 di euro erano da consegnare al Vizzini”. Una sorta di premio essendo quest’ultimo da sempre un punto di riferimento per lo stesso Lapis, ha rivelato l’avvocato Giovanna Livrieri, legale della famiglia Brancato, azionista del gruppo “Gas”.


La difesa del senatore palermitano giustifica però quella somma come parte dell’investimento effettuato nella società del gas da Vizzini anni prima. Ma Ciancimino junior, negli interrogatori con i magistrati palermitani, parla anche di una tranche di contanti per un ammontare di 250.000,00 euro fatta personalmente al Vizzini attraverso la consegna delle banconote presso l’hotel Borgognoni di Roma (con l’ordine, proveniente dal Lapis, di allontanarsi immediatamente da quel luogo per non destare sospetti). Secondo il figlio di Don Vito infatti  ”il senatore Vizzini era un punto di riferimento costante per il Lapis e che quest’ultimo per svolgere più proficuamente le sue attività aveva bisogno dell’appoggio di politici, i quali attraverso i loro contatti potevano garantire una serie di favori utili ad allargare il giro d’affari”. Tra le intercettazioni che Morosini ha inviato a Palazzo Madama anche un’inquietante intercettazione in cui Ciancimino Junior parla a Lapis di presunte pressioni, nei mesi di settembre-ottobre del 2002, fatte sul collaboratore di giustizia Giuffrè Antonino affinché non riferisse le sue conoscenze sul “Gruppo Gas”, cointeressenze del senatore Vizzini in quella compagine societaria. Pressioni che venivano direttamente da suo padre Vito.


Ciancimino: “Sì perché lo voleva massacrare, poi siamo riusciti a… a farlo ragionare, mi sembrava che c’era qualcosa su di lei, mi è venuto il freddo, ho detto ‘che cosa ha fatto, ho detto”.


Lapis: “Su di me?”


Ciancimino: “Sì (inc.) non hai capito, zitto, Giuffrè per far vendere i giornali (inc.) un altro, ho detto che ha detto che poi si ricorda a suo tempo”.


Lapis: “Mi ricordo”.


Ciancimino: “Gli avevamo detto proprio no quando ci siamo andati con Vizzini a suo tempo e gli abbiamo detto proprio di non dire niente”.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/20/corruzione-trasmesse-a-palazzo-madama-le-telefonate-del-senatore-carlo-vizzini/165197/

Appalti Enac e voli gratis D’Alema indagato dalla Procura di Roma



Secondo l'accusa il presidente del Copasir, che nel luglio scorso dichiarò di aver pagato regolarmente, avrebbe viaggiato gratis sui velivoli della Rotkopf Aviation, la società sospettata di aver pagato tangenti per vincere la gara.

La Procura di Roma ha iscritto nel registro degli indagati Massimo D’Alema nell’ambito di uno dei capitoli di indagine relativi agli appalti Enac. In particolare il coinvolgimento dell’ex Presidente del Consiglio è legato ad alcuni voli da lui fatti su aerei della compagnia low cost Rotkopf Aviation, società al centro delle indagini. Secondo gli accertamenti D’Alema avrebbe viaggiato gratuitamente sui velivoli della compagnia, anche se il capo del Copasir lo scorso luglio aveva affermato di aver regolarmente pagato quelle trasferte.

Massimo D’Alema era già stato sentito in veste di persona informata sui fatti dal pm Paolo Ielo, titolare dell’inchiesta che riguarda Vincenzo Morichini, l’ex amministratore di Ina Assitalia che in passato per alcuni mesi aveva raccolto fondi per Italianieuropei. “Abbiamo incontrato i pm Cascini e Ielo e abbiamo fornito loro ogni chiarimento sulla vicenda dei voli già nei giorni scorsi”, ha detto Gianluca Luongo, il legale del capo del Copasir, a proposito della notizia.

Lo scorso 4 giungo finiscono in manette quattro persone: il membro del cda Enac Franco Pronzato, l’amministratore della Rotkopf e l’amministratore delegato della società, Viscardo e Riccardo Paganelli, rispettivamente padre e figlio e Giuseppe Smeriglio, personaggio vicino a Pronzato. Nella lunga lista degli indagati c’è anche il nome di Vincenzo Morichini, uomo vicinissimo a Massimo D’Alema.

Il quadro emerso dalle indagini descrive una diffusa prassi di corruzione nei confronti di esponenti delle istituzioni e della politica. Prassi confermata da un appunto, sequestrato a Paganelli e contenente nomi di amministratori pubblici e politici. Accanto a ciascun nome l’indicazione di cifre, che ammontano complessivamente a circa 200mila euro. Soldi che, secondo l’accusa, sono tangenti. L’ipotesi è quella di un giro di tangenti legato all’assegnazione dell’appalto Enac per la gestione del servizio di linea aerea di collegamento dell’Isola D’Elba con Pisa, Firenze e Roma. Dell’appunto si parla nell’ordinanza di custodia cautelare notificata dal nucleo di polizia valutaria della guardia di finanza a Pronzato, ex consulente di Pierluigi Bersani tra il 1999 ed il 2001, quando l’attuale segretario del Pd era ministro dei Trasporti.

La Rotkopf Aviation Limited dei Paganelli è società controllante della Rotkopf Aviation Italia, cioè la vincitrice della gara bandita da Enac. I fatti vanno dalla fine 2010 all’inizio 2011, l’accusa per i quattro è corruzione. Il pm Paolo Ielo chiede l’ordinanza di custodia cautelare, per loro e anche per un altro indagato, Giovanni Perracchione, ma il gip non accoglie la richiesta. Secondo il pm Ielo, dietro le agevolazioni di Pronzato ai Paganelli per la partecipazione della loro società di low cost alla gara di appalto ci sarebbe una tangente da 40 mila euro. Quella cifra, infatti, è indicata indicata nell’appunto sequestrato a Viscardo Paganelli. A far da mediatore tra gli imprenditori e Pronzato sarebbe  Morichini. Le agevolazioni sono consistite, sostiene il pm, nel far ottenere a Rotkopf, anche tramite pressioni ad Enac, il Certificato operatore aereo (Coa), necessario per l’ammissione alla gara. La somma dei 40mila, invece, sarebbe stata intascata per metà dallo stesso Morichini e per metà da Pronzato.

Di Morichini aveva parlato, sempre al pm Ielo, l’imprenditore umbro Pio Piccini, ex presidente del gruppo Omega, arrestato l’11 luglio scorso nell’ambito dell’inchiesta sul crac Agile-Omega. Piccini aveva fatto riferimento alla ”natura lobbistica-affaristica dei rapporti intrattenuti con Morichini, finalizzati in sostanza ad ‘agevolare’ l’acquisizione di appalti sfruttando i suoi legami con esponenti politici e delle pubbliche amministrazioni”. E ci sono anche qui delle cifre: 2.500 euro mensili che secondo Piccini furono corrisposti a Morichini per la sua attività di intermediario, oltre ”ad una percentuale del 5 percento del valore degli affari procacciati – suddivisa tra Morichini e la sua società (Sdb), la Fondazione Italiana Europei ed il Partito Democratico”.

L’inchiesta si allarga, gli inquirenti cercano di fare luce su eventuali ulteriori contatti tra Morichini ed esponenti politici e della pubblica amministrazione per favorire l’assegnazione di appalti di altri imprenditori. Intanto vengono interrogati Prozato, Paganelli padre e figlio. Il primo viene poi rimesso in libertà dal gip a seguito della richiesta di patteggiamento da parte dei suoi legali, ma era già ai domiciliari nella sua casa di Genova. La tesi della difesa di Pronzato è che, non essendo il cda dell’Enac l’organo preposto a rilasciare il certificato, non costituisca reato l’interessamento di Pronzato per quella pratica. Tornano liberi, per lo stesso motivo, anche Viscardo Paganelli e il figlio Riccardo. Per tutti la pena patteggiata è di un anno e quattro mesi di pena.

L’Enac, intanto, annuncia l’istituzione di una commissione d’indagine interna per verificare ”procedure, tempi e modalità d’azione” sul rilascio del Certificato di operatore aereo (Coa) alla Rotkopf e sullo svolgimento della gara per l’assegnazione delle tratte dell’Isola d’Elba.

Ma resta in piedi l’indagine della Guardia di Finanza sulla cosiddetta ‘rete Morichini’, che va ben oltre all’Enac e riguarda anche altri appalti. Una rete in cui potrebbe restare impigliato anche D’Alema.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/20/appalti-enac-massimo-dalema-indagato-dalla-procura-di-roma/165198/



“Saverio Romano sostenuto da Provenzano” Da un pentito nuove accuse al ministro.



L'Espresso pubblica i verbali di Giacomo Greco, collaboratore di giustizia di grande rilievo. Il capo di Cosa nostra "si interessò per farlo votare" nel 2001, quando il futuro "Responsabile" militava nell'Udc.


Sarebbe stato Bernardo Provenzano in persona a muoversi per portare in parlamento Saverio Romano, l’attuale ministro dell’agricoltura nel governo Berlusconi, sotto inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione aggravata dal fatto di aver agito in favore di Cosa nostra. A sostenerlo è un collaboratore di giustizia di rilievo, Giacomo Greco, esponente di una famiglia vicinissima a Provenzano e compaesano di Romano a Belmonte Mezzagno, in provincia di Palermo. Greco era genero di Ciccio Pastoia, mafioso morto suicida per aver rivelato involontariamente segreti di “zio Binnu” in conversazioni intercettate.

I verbali di Greco sono svelati dall’Espresso in edicola domani, in un articolo di Lirio Abate. Che ricorda, fra l’altro, che nel 1997 i carabinieri fermarono insieme Greco e Romano, e “con loro c’era un’altra persona, poi assassinata”. I verbali fanno parte dei faldoni inviati dalla Procura di Palermo alla Camera dei deputati per chiederne l’utilizzabilità nei confronti dell’onorevole Romano. Dai quali erano già emerse intercettazioni imbarazzanti, come quella in cui l’allora deputato dell’Udc si fa dettare un emendamento sul settore gas da Gianni Lapis, il tributarista della famigliaCiancimino.

Il sostegno di zio “Binnu” a Romano, secondo Greco, risalirebbe al 2001, quando la famiglia deiMandalà di Villabate, che gestiva la latitanza di Provenzano “si interessò per far votare Saverio Romano”. Greco, riporta L’Espresso, venne a conoscenza di queste direttive dei boss “perché direttamente informato da Ciccio Pastoia e dai suoi figli”. C’era la “necessità” di portare Saverio Romano in Parlamento, che all’epoca militava nell’Udc, e per farlo eleggere tutto il clan si sarebbe mobilitato. Pastoia evitò di farsi vedere in pubblico con Romano, per non bruciarlo, ma secondo il pentito i due si conoscevano bene e tenevano i rapporti tramite Nicola Mandalà, il mafioso che per due volte accompagnò Provenzano in una clinica a Marsiglia.

“Sia Ciccio Pastoia che i suoi figli Giovanni e Pietro affermarono che su Romano c’era anche l’interesse dello “zio” e cioè di Bernardo Provenzano”, spiega Greco. Tutto cambia nel 2003, quando il futuro ministro – entrato al governo in quota Responsabili nel 2010 – finisce sotto inchiesta insieme al presidente della Regione sicilia Totò Cuffaro, anche lui dell’Udc. “Nel 2004 Ciccio Pastoia mi incaricò di organizzare ed eseguire un attentato incendiario in danno dell’abitazione del padre dell’onorevole Romano”, mette a verbale il collaboratore. “Mi disse che Nicola Mandalà ce l’aveva con Romano perché non aveva mantenuto gli impegni precedentemente assunti”. L’intimidazione saltò perché i mafiosi sapevano di essere oggetto di indagini dell’antimafia.

Di Biagio (Fli) denuncia la compravendita “Mi offrirono 1 milione di Finmeccanica”. - di Sandra Amurri




Il deputato futurista racconta le proposte avanzate da Verdini, per interposta persona, nei confronti suoi e di altri: "Dimmi cinque cose che desideri e l'accordo è fatto". A Ricardo Merlo, degli Italiani all'Estero, promisero la poltrona di vice alla Farnesina.


"Aldo ti devo parlare, subito, subito”. La voce dall’altra parte del filo è dolce quasi come un confetto. Aldo Di Biagio, deputato di Fli eletto nel 2008 nel Pdl per la circoscrizione Europa. Siamo a dicembre, nel pieno del mercato dei parlamentari, i telefoni dei possibili “acquistabili” sono incandescenti, il tempo stringe, la maggioranza langue e la fiducia per il governo è una questione di vita o di morte.


Di Biagio, doppia nazionalità italo-croata, passato in An, finiano doc, una vita nel patronato, nel sindacato e nel volontariato, sposato, padre di tre figlie, ha voglia di raccontarlo tutto il “disgusto” provato e confessa: “Se Fini non fosse stato cacciato e non fosse nato Fli me ne sarei andato nel Gruppo misto, non ne potevo più di vedere ruberie di ogni tipo, nani e ballerine come figurine telecomandate, scene indecenti”. I rapporti con la collega-imprenditrice inviata in avanscoperta, poi nel caso in cui il terreno si fosse rivelato fertile la mano passerebbe ad altri per sottoscrivere il nobile “contratto”, sono sempre stati cordiali. Lei lo attende nel corridoio, lui le va incontro: “Sai Aldo, da te ci aspettiamo un atteggiamento serio e coerente. Guarda al futuro, fatti una fondazione e noi ti diamo 1 milione e mezzo di euro di Finmeccanica”. “Mi dispiace ma la mattina voglio continuare a guardarmi allo specchio per trovarci proprio quella persona coerente e seria che sono”. Lei lo guarda incredula. “Ci siamo salutati con la solita cordialità. Non aveva fatto altro che eseguire il mandato ricevuto da Verdini, queste sono le loro regole vergognose o le accetti o sei fuori. Capisco che di questi tempi possa sembrare retorico, ma tornare a casa e sentirmi dire da mia figlia più grande che ha 18 anni: sono fiera di te, è stata una gioia enorme che questi qui non proveranno mai” aggiunge con orgoglio di padre.


La compravendita, il punto più alto della bassezza della politica berlusconiana non è un reato a meno che, come nel caso di Di Biagio, la merce di scambio non sia Finmeccanica, società partecipata dallo Stato, dunque soldi pubblici. Perché non si è rivolto alla magistratura? Ci pensa un attimo, sorride e dice: “Non credo sia stato un caso che la proposta mi sia stata fatta nel corridoio! Comunque il peso della mia parola è sufficiente a provare il ‘reato’ politico”.


La notte Di Biagio l’ha trascorsa in bianco al fianco di Luca Bellotti (Pdl passato a Fli tornato all’ovile). “Cercavo di sostenerlo mentre riceveva telefonate a raffica da Verdini e da Berlusconi fino a che non si è scaricato il cellulare”. Ah sì la famosa notte raccontata così da Berlusconi alla festa dei giovani del Ppe: “Fini avrebbe fatto meglio a restare con noi perché molti dei suoi sono pronti a fare ritorno alla ‘casa madre’, ho fatto incontri tutta la notte anche se avrei preferito incontrare belle ragazze”. E cosa gli diceva Verdini? “La domanda da manuale: dicci cinque cose che desideri, quale problema vuoi che ti risolviamo?”. Tempo buttato via visto che Bellotti alla fine ha ceduto per un posto da sottosegretario al Welfare. E cos’altro? “Sapevo che il suo impianto di pannelli solari non navigava in buone acque, non è difficile immaginare come si sia conclusa la trattativa!” risponde allargando le braccia e ripete: “Scene indecenti come quella volta in Brasile”.


Quando al fianco di Berlusconi c’era il fido Lavitola. “Sì anch’io ho partecipato a quella missione: pseudo imprenditori italiani, puttanieri, ricottai che accreditati da Lavitola si presentavano in compagnia di ragazzine che sgomitavano per essere scelte. E lui, il nostro presidente del Consiglio si scambiava i numeri di telefono. Da rabbrividire. Per rendersi conto della credibilità di cui gode all’estero la conduttrice di un famoso programma brasiliano di satira con indosso una pelliccia e sotto nuda, ha cercato di farsi riprendere mentre si gettava tra le sue braccia”.


Ma c’è anche un’altra storia di compravendita fallita rimasta top secret, ascoltata dallo stesso Di Biagio, da Fini e da Casini, quella del deputato del Movimento associativo italiani all’estero (MAIE), Ricardo Merlo, eletto con 53 mila preferenze nella circoscrizione America Latina. Nato a Buenos Aires, madre argentina, padre di Treviso, laurea in Scienze politiche poi a tempo pieno nell’impresa immobiliare di famiglia. Denis Verdini è andato nel suo appartamento romano per chiedergli, come da copione: dicci cinque cose che desideri. Poi ha telefonato a Berlusconi e gliel’ha passato al telefono. Infine ha scoperto la carta che credeva vincente: una poltrona da viceministro agli Esteri con delega agli Italiani nel Mondo. “Io posso fare accordi sulla base di un progetto politico, ma un obiettivo non si può raggiungere a qualunque prezzo altrimenti perde di valore. Noi siamo contro la corruzione, contro quelli che fanno politica non per la gente, ma per se stessi” e con un sorriso sornione aggiunge: “Poi io non ho bisogno di soldi”. Il suo movimento – che conta anche la senatrice Mirella Giai – si è astenuto dal votare la fiducia. “Poi ci siamo resi conto che questo governo non fa il bene del Paese e degli italiani all’estero perché non si può prescindere da onestà, trasparenza e credibilità. Berlusconi è ancora qui, ma è già passato. É tempo di costruire il futuro”.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/19/di-biagio-fli-denuncia-eccocome-verdini-tenta-di-comprarci/164797/

Libia, Cnt: ''Gheddafi è morto''. Da Tripoli a Sirte, ribelli in festa.



Tripoli - (Adnkronos/Ign) - Arriva la conferma del Consiglio nazionale transitorio sulla morte del Colonnello. Secondo una prima ricostruzione,Gheddafi sarebbe stato ferito mentre fuggiva da Sirte e sarebbe arrivato morto a Misurata. DIRETTA DI AL-JAZEERAPer il raìs 41 anni al potere, il più longevo dei leader arabi. Dal Libro Verde alle amazzoni, un regime costruito sui simboli Dalla rivolta a Bengasi alla morte, il tramonto dell'era Gheddafi.


Tripoli, 20 ott. - (Adnkronos/Ign) - ''Gheddafi è morto''. Dopo una raffica di voci, arriva la conferma del Cnt libico di Tripoli sulla sorte del Colonnello. Secondo una prima ricostruzione Muammar Gheddafi sarebbe stato catturato mentre stava fuggendo da Sirte, ultima roccaforte caduta questa mattina nelle mani del Cnt dopo una battaglia di due mesi. Rimasto gravemente ferito, il Colonnello sarebbe arrivato morto a Misurata.
"Il colonnello Muammar Gheddafi è stato ucciso, la sua era è finita", ha annunciato Abdel Hakim Belhaj, capo militare del Cnt a Tripoli. Il capo militare, noto per essere della corrente islamica, ha poi aggiunto: "Gheddafi era stato catturato dai nostri uomini e il suo cadavere è nelle nostre mani".
Da Tripoli a Sirte, la notizia della fine di Gheddafi è stata salutata daifesteggiamenti dei ribelli: sventolio di bandiere, spari in aria e segni di vittoria.
Nel frattempo le tv satellitari arabe stanno mostrando una foto in cui si vede il corpo del colonnello Muammar Gheddafi con il volto insanguinato e con la bocca aperta, riverso su un telo bianco. La foto sarebbe stata scattata subito dopo la sua cattura a Sirte. Mentre alcune emittenti sostengono che la foto sia stata scattata quando il colonnello era ferito ma ancora in vita, per altre tv la foto immortala il suo cadavere.
L'assalto finale a Sirte, città natale di Gheddafi, è scattato alle otto di questa mattina e si è concluso circa 90 minuti più tardi. Appena prima dell'offensiva, alcune camionette cariche di lealisti di Gheddafi hanno cercato di lasciare la città verso la strada costiera, ma sono stati fermati a colpi d'arma da fuoco dalle milizie del Cnt e da raid della Nato.
Secondo un primo bilancio nella sparatoria sono morti almeno una ventina di fedelissimi Colonnello. Terminata la battaglia, gli insorti hanno iniziato a rastrellare case ed edifici in cerca di altri combattenti dell'ex regime che potevano essere rimasti nascosti in citta'. Almeno 16 lealisti di Gheddafi sono stati catturati, mentre sono state sequestrate ingenti quantita' di munizioni e camion carichi di armi.
Notizie contrastanti sulla sorte di Mutassim Gheddafi, quarto figlio del Colonnello. "Abbiamo trovato il cadavere di Mutassim Gheddafi per le strade di Sirte", ha annunciato un capo militare del Consiglio nazionale transitorio (Cnt) di Sirte alla tv satellitare 'al-Arabiya'. Mentre poco prima un'altra fonte del Cnt di Tripoli aveva detto ad al-Jazeera che il figlio di Gheddafi era stato catturato vivo.



I tempi cambiano...in peggio!

Le 10 Regole Del Controllo Sociale - Noam Chomsky

Borse in calo dopo vertice Sarkozy-Merkel Milano a -1,63%. Vola lo spread a 395.






Alta tensione sui titoli di stato: il differenziale tra Btp decennali e Bund tedeschi è a quota 395, dopo aver chiuso ieri a 384 punti. I titoli di Stato italiani sono di nuovo sotto pressione con il rendimento del Btp decennale che vola al 5,96%, raggiungendo i livelli di inizio agosto, ossia prima degli acquisti della Bce. Sale anche lo spread tra i titoli francesi e quelli tedeschi a 119 punti base (record storico) e quello tra i ‘bonos’ spagnoli e i bund è a 337 punti.

I listini del Vecchio Continente hanno aperto in calo, influenzati da diversi fattori: in primis i colloqui ancora in fase di stallo tra Francia e Germania per trovare delle soluzioni alla crisi, nonostante il vertice di emergenza di ieri a Francoforte. L’intento era quello di arrivare a una decisione definitiva prima del vertice Ue di domenica. La Francia chiede più potere per il fondo “salva-stati”, mentre la Germania propone prima di tutto di avviare una modifica dei trattati europei. Piazza Affari apre in netto calo: l’indice Ftse Mib cede in avvio l’1,57% a 16.036 punti e poi peggiora perdendo l’1,63%. Le perdite più decise colpiscono nelle prime battute Prysmian (-3,46%), Fiat Industrial (-2,32%) e Fiat (-2,27%) e Tenaris (-2,25%). Male il comparto bancario, in controtendenza c’è solo la Bpm che registra un progresso dello 0,79% a 1,787 euro. Sabato l’assemblea è chiamata ad approvare la nuova governance duale, mentre resta aperto il duello Bonomi-Arpe. Rimbalzano dopo il rally di ieri, Intesa Sanpaolo a 1,30 euro (-2,62%) e Unicredita 0,9445 (-1,77%). In rosso anche Ubi Banca a 3,07 (-1,92%), Mps a 0,388 (-1,87%), Banco Popolare a 1,209 (-1,63%), Bper a 6,25 (-1,50%) e Mediobanca a 6,025 (-1,31%). Tutti i titoli del paniere principale sono in calo.

Giù dell’1,4% il Dax di Francoforte e dell’1,2% il Cac 40 di ParigiMadrid perde l’1,2% eAmsterdam l’1,23%. Peril quarto giorno consecutivo, la Borsa di Atene ha aperto in ribasso, registrando un -1,45%, con l’Indice Generale a 730,18 punti. Continueranno anche per oggi, secondo Eurobank, le condizioni di instabilità in vista del voto sulle misure di austerità da parte del Parlamento in programma per questa sera. Non si esclude che l’approvazione in prima lettura del disegno di legge, avvenuta ieri sera, possa essere considerata dagli investitori come un segnale positivo.

Seduta pesante anche per i listini asiatici, dopo i decisi cali di Wall Street nella notte a seguito della cautela espressa dalla Federal Reserve per l’economia americana. Tra le blue chip dell’area, il colosso estrattivo Bhp ha lasciato il 2,5% a Sydney, seguendo il calo delle quotazioni delle principali materie prime. Newcrest Mining, maggior miniera d’oro australiana, ha lasciato sul terreno il 6,4%. L’andamento degli indici di riferimento è negativo: Tokyo -0,71%, Hong Kong -2,79% (in corso), Shanghai -1,94% (punto più basso da marzo del 2009), Taiwan -1,48%, Seul -2,70%, Sydney -1,63%, Singapore -1,20% (in corso) e Bangkok -3,09%.

Bankitalia, arriva Bini Smaghi. Il candidato che scontenta tutti.



Oggi Berlusconi indica il governatore: se il nome sarà il suo, il direttorio di via Nazionale sarà spinto alle dimissioni. Saccomanni e Visco pronti a lasciare per protesta.


La vicenda Bankitalia sta finendo nel modo più temuto: con una nomina affrettata, imposta dalle scadenze più che dalla convinzione che spaccherà l’istituto di via Nazionale. Il premier Silvio Berlusconi ha comunicato che oggi manderà al consiglio superiore della Banca d’Italia la lettera con il nome su cui chiedere il parere, così che il consiglio superiore di via Nazionale possa esprimersi lunedì. Quel nome è ancora formalmente segreto, ma ieri nei palazzi romani la certezza era quasi assoluta: Lorenzo Bini Smaghi.

Da mesi, in via Nazionale, al Quirinale, al ministero dell’Economia, si voleva evitare il vicolo in cui si è infilato il governo. A Francoforte, ieri, si è celebrato l’addio a Jean-Claude Trichet che dopo otto anni lascia la presidenza della Banca centrale europea a Mario Draghi. Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha dovuto incassare l’umiliazione diplomatica di vedere ancora due italiani sulle poltrone più alte, Draghi a ricevere da Trichet la campanella rituale che apre le riunioni, e Bini Smaghi ancora membro del direttivo della Bce. Nonostante una telefonata con l’Eliseo a giugno, nonostante le promesse di Berlusconi a Parigi, Bini Smaghi non ha ancora lasciato spazio a un francese, così da rispettare gli equilibri di nazionalità al vertice dell’istituto di Francoforte. Non è obbligato, ma i rapporti di forza tra Paesi lo richiedono. Ed è ormai unanime convinzione che – ancora una volta – il banchiere fiorentino stia cercando di capitalizzare al meglio l’imbarazzo che può causare al governo per conquistarsi una poltrona all’altezza di quella che dovrà lasciare.

Se il nome di Bini Smaghi sarà quello nella lettera di Berlusconi alla Banca d’Italia, molte delle tensioni di questi mesi esploderanno. Soprattutto dentro via Nazionale. La struttura della Banca d’Italia non ha gradito il protagonismo di Bini Smaghi che, prima dell’estate, aveva quasi messo in discussione la promozione di Draghi alla Bce, per la quale in Bankitalia c’era un tifo unanime e convinto, visto che sancisce l’autorevolezza e il prestigio europeo dell’istituzione, oltre che quella personale del governatore . Ora Bini Smaghi è riuscito a fare di peggio, anche nel remoto caso in cui non dovesse essere nominato: ha trasformato la carica di governatore in una merce nel suk della politica, una casella la cui funzione fondamentale è liberarne un’altra.

Certo, parte della responsabilità è anche del ministro Giulio Tremonti che ha insistito fino all’ultimo per il suo candidato, il direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli (che ieri era a Bruxelles, ormai fuori dai giochi). E in parte anche di Mario Draghi, che ha fatto una campagna di sostegno forse troppo palese per il suo braccio destro, il direttore generale di Bankitalia Fabrizio Saccomanni. Ma Bini Smaghi ha fatto molto da solo: si è addirittura paragonato a san Tommaso Moro, giustiziato per la propria indipendenza da Enrico VIII, eccesso retorico culmine di una stagione di presenzialismo mediatico lontano dallo stile riservato della Banca d’Italia, dove pure Bini Smaghi ha lavorato prima di passare al ministero del Tesoro e alla Bce.

Se Bini Smaghi oggi sarà il candidato governatore, in via Nazionale le cose cambieranno in modo traumatico. L’attuale numero due, Saccomanni, si dimetterà all’istante. Il vicedirettore generale,Ignazio Visco, aspetterà un poco soltanto per rispetto istituzionale verso il Quirinale che firma il decreto di nomina. Potrebbero lasciare anche gli altri due membri della prima linea, Giovanni Carosio e Anna Maria Tarantola, seguiti da altri dirigenti apicali. L’arrivo di Bini Smaghi, di cui nessuno contesta le competenze ma tutti lo stile, rischia di quindi di chiudere la parentesi di quiete inaugurata da Mario Draghi nel 2006, pacificatore dopo il trauma più grave nella storia dell’istituto, la fine ingloriosa di Antonio Fazio in seguito all’estate delle scalate bancarie nel 2005.

C’è solo un dettaglio che può spiegare perché, a poche ore dall’invio della lettera, ancora non ci fosse certezza. I leader dell’opposizione, Pier Luigi Bersani (Pd) e Pier Ferdinando Casini(Udc) hanno chiesto ieri “rispetto dell’autonomia” di Bankitalia e “valorizzazione delle competenze interne”, cioè la nomina di Saccomanni o Visco. E’ un messaggio al Quirinale che, prima di dare il via libera, deve tener conto del consenso attorno al nome. E sapendo che la legislatura è ormai morente, avallare una successione osteggiata da chi potrebbe stare al governo tra pochi mesi non è proprio il massimo.

Il governo si taglia i tagli: ministri e sottosegretari rimborsati dal Fisco.




Un decreto dell'anno scorso decurtava gli stipendi pubblici superiori a 90 mila euro, a partire da gennaio 2011. Ma ora, rivela "Italia Oggi", una circolare del dicastero dell'Economia spiega che i membri dell'esecutivo sono esclusi, in quanto "non dipendenti". Le trattenute saranno quindi restituite "con la mensilità di novembre"
A sentirla pare una notizia inventata dall’ufficio propaganda degli indignati: in piena crisi, tra manovre lacrime e sangue e in attesa del decreto sviluppo, lo Stato restituisce soldi ai membri del governo. A raccontarlo, e a documentarlo, è invece Italia OggiIl quotidiano economico riporta una circolare del ministero dell’Economia, che dispone, appunto, la restituzione di quanto è stato trattenuto dalle “paghe” di ministri e sottosegretari in base ai tagli decisi l’anno scorso suglio stipendi pubblici più alti.

Il decreto legge 78 del 2010, che conteneva misure di “stabilizzazione finanziaria”, prevedeva che dal primo gennaio 2011 al 31 dicembre 2013 le retribuzioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni superiori a 90.000 euro lordi annui fossero ridotti del 5 per cento per la parte oltre il “tetto”, e del 10 per cento per la parte superiore ai 150 mila euro.

La riduzione è quindi entrata in vigore e ha pesato sugli stipendi degli statali dall’inizio dell’anno a oggi, ministri, viceministri e sottosegretari compresi. Ma ora, rivela Italia Oggi, la circolare numero 150 del l’11 ottobre 2011, diramata dalla direzione centrale dei sistemi informativi e dell’innovazione del Ministero dell’economia, spiega che chi siede al governo “ricopre una carica politica e non è titolare di un rapporto di lavoro dipendente”. Quindi a ministri e sottosegretari va restituito tutto quello che il fisco ha trattenuto quest’anno. Il rimborso arriverà a stretto giro di posta: “Sulla mensilità di novembre 2011”, promette la circolare, “si darà corso al rimborso di quanto trattenuto”.

E’ lo stesso quotidiano a bollare la vicenda come “un inghippo legale, ma scandaloso”. E infatti l’indignazione monta in Rete, a mano a mano che la notizia viene ripresa dai siti e blog. Data l’aria che tira, checché dicano le norme, è difficile mandare giù il paradosso che a essere rimborsati siano proprio quelli che decidono i tagli, e tutti gli altri paghino. Qualcuno si rifugia nell’ironia: se i ministri non sono dipendenti, significa che sono “precari”.

Il ministero dell’Economia, interpellato da ilfattoquotidiano.it, fa sapere che sta “procedendo alle verifiche”.