domenica 15 dicembre 2019

Popolare Bari, Conte: «Verso una Banca del Sud pubblica». Nuova inchiesta.

Una filiale della Banca Popolare di Bari (ANSA)
Una filiale della Banca Popolare di Bari (ANSA)

La Procura di Bari apre un nuovo fascicolo sulla base delle segnalazioni di Consob. Conte: «Cdm a breve. Avremo una sorta di Banca del Sud degli investimenti»

La Procura di Bari ha aperto un nuovo fascicolo d'indagine (modello 45 senza indagati né ipotesi di reato) sulla Banca Popolare di Bari dopo la lettera inviata nei giorni scorsi dalla Consob che ha segnalato il mancato invio delle informazioni richieste alla banca sulla situazione dei conti. La notizia arriva da fonti vicine agli ambienti giudiziari. L'indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Roberto Rossi, dovrà valutare se quanto segnalato dal presidente Consob Paolo Savona configuri ipotesi di reato. Nel frattempo Luigi Di Maio, in un’intervista al Corriere della Sera, chiede che Banca Popolare di Bari «sia nazionalizzata»
Governo diviso.
Nella mattinata di sabato 14 dicembre sul caso, motivo di forti tensioni nella maggioranza, è intervenuto anche il premier Giuseppe Conte: «Siamo un po' vivaci - ha detto - ma siamo responsabili. Capisco che ci sia molta sensibilità, al limite dell'ipersensibilità sul tema banche, che è un nervo scoperto per molte forze politiche, è un tema divisivo». Su PopBari «ci sarà una convocazione» del Cdm «a breve», ha spiegato il presidente del Consiglio. Venerdì sera «abbiamo fissato gli obiettivi che vogliamo conseguire in tempi rapidi, secondo un disegno di politica coerente che avevamo in parte già impostato, non è che improvvisiamo».
Il premier.
Nello specifico sulla Popolare di Bari, ha detto Conte, «interverremo attraverso uno strumento nella pancia di Invitalia, Mediocredito Centrale. Cerchiamo di fare di necessità virtù. Assicureremo a Mediocredito centrale le necessarie risorse per poi, con un fondo interbancario, intervenire per rilanciare la Pop Bari. Avremo una sorta di Banca del Sud degli investimenti a partecipazione pubblica».
Il leader M5S.
Sulla vicenda è intervenuto anche il capo politico del M5S Luigi Di Maio. Che in un’intervista al Corriere della Sera pubblicata domenica 15 ribadisce la necessità di salvare i risparmi di settantamila famiglie della banca e di far partire una commissione di inchiesta sulle banche: «Possiamo fare tutte e due le cose: avviare in Consiglio dei ministri il procedimento che metta agli atti i nomi di chi ha ricevuto soldi allo scoperto, facendo chiarezza sui legami politici locali, e contestualmente mettere al riparo i risparmi. E bisogna far partire la commissione d'inchiesta sulle banche». «Se lo Stato - aggiunge - deve mettere soldi per salvare i conti correnti, dobbiamo fare in modo che quella banca
sia nazionalizzata. Il nostro progetto è la banca pubblica degli investimenti». Concetti già evidenziati in un post sulla sua pagina Facebook: «Per noi ci sono 2 cose da fare prima di arrivare ad un decreto: vogliamo sapere da chi doveva sorvegliare cosa è emerso in questi anni. Quante sono state le ispezioni di Bankitalia negli ultimi tre anni? Cosa è emerso? Vogliamo sapere chi ha prestato soldi e a chi. La commissione di inchiesta sulle banche è ferma da un anno - scrive il Ministro degli Esteri -. Ancora bisogna eleggere il Presidente. È arrivato il momento di farlo. Quella commissione sono sicuro aprirà un vaso di Pandora. E non vediamo l'ora».
Opzione nazionalizzazione.
«Se dobbiamo mettere soldi pubblici in una banca per evitare che saltino i conti correnti dei pugliesi - ha aggiunto Di Maio - quella banca deve diventare di proprietà dello Stato per creare la banca pubblica per gli investimenti, che è un nostro obiettivo del programma del Movimento 5 Stelle e che tra l'altro è dentro il programma di Governo. Non faremo come qualcuno in passato con le banche Venete, che furono ripulite con i soldi degli italiani e poi furono regalate (al prezzo di un euro) ad altre banche».

Brindisi, missione compiuta: disinnescata la bomba, in 54 mila rientrano nelle proprie case. - Lucia Portolano

Brindisi, missione compiuta: disinnescata la bomba, in 54 mila rientrano nelle proprie case
I militari impegnati nelle operazioni a Brindisi.

La bomba, di fabbricazione inglese, pesa 500 libbre, è lungo un metro e contiene 40 chili di tritolo: era stata sganciata presumibilmente nel 1941. La spoletta è stata danneggiata durante il ritrovamento.

BRINDISI -  Alle 11,10 la bomba è stata disinnescata: Brindisi è fuori pericolo. Sono state completate senza problemi le operazioni di disinnesco dell'ordigno bellico trovato all’esterno del maxicinema Andromeda. Quindici gli artificieri dell'undicesimo reggimento Genio guastatori di Foggia che hanno operato sull'ordigno. Due di loro hanno smontato le spolette utilizzando una chiave a razzo, altri due uomini erano a breve distanza e  monitoravano le operazioni con una telecamera in remoto.

Cinquantaquattromila brindisini avevano dovuto lasciare le loro case entro le 8. La città si era fermata, strade e case deserte per oltre due ore. Bloccato fino alle 12 anche il traffico aereo e quello ferroviario. Si è trattata della più grande evacuazione urbana in Italia. Per far defluire il traffico, i navigatori con sistema Waze e Google maps erano stati aggiornati in tempo reale, dalla polizia locale di Brindisi, con la segnalazione dei 41 varchi che hanno blindato la zona rossa all'interno della città.


La bomba, che contiene 40 chili di tritolo, è stata neutralizzata. Per attuare questo vasto piano di evacuazione hanno lavorato mille persone tra forze dell’ordine, vigili del fuoco, protezione civile e polizia locale. La città è stata monitorata dall’alto da un sofisticato congegno dell’Aeronautica militare insieme a con droni, mentre 54 pattuglie hanno presidiato le strade per impedire atti di sciacallaggio e furti nelle abitazioni.

L’ordigno era stato trovato il 2 novembre scorso durante i lavori di ampliamento del cinema. Si tratta di una bomba della Seconda guerra mondiale, di fabbricazione inglese, sganciata molto probabilmente nel 1941. Una volta disinnescata è stata portata presso un cava di sabbia tra Brindisi e San Vito De Normanni e sarà fatta brillare nella giornata di lunedì. Per l’emergenza sono stati allestiti 14 punti di accoglienza nelle scuole cittadine. Molti residenti avevano lasciato le case già dalla serata precedente, soprattutto coloro che hanno le abitazioni a ridosso del ritrovamento.


È stato fatto evacuare anche il carcere: 200 detenuti sono stati portati in un’ala del carcere di Lecce. Svuotate questura e caserma dei carabinieri, dove erano rimaste attive solo le sala operativa e il presidio per l’armeria. La soprintendenza dei Beni archeologici ha fatto trasferire le più importanti opere del museo provinciale Ribezzo a Lecce.


https://bari.repubblica.it/cronaca/2019/12/15/news/brindisi_si_ferma_per_il_disinnesco_dell_ordigno_evacuati_in_54_mila_aggiornate_mappe_dei_navigatori-243520824/

A Salvini chi ci pensa? - Marco Travaglio

L'immagine può contenere: 7 persone, persone che sorridono

Siccome la politica è anche e soprattutto comunicazione, l’unica buona notizia dell’ultimo paio di mesi sono le piazze piene di sardine. Che saranno pure debolucce sui contenuti, ma una cosa chiara e semplice la dicono: no alla Lega di Salvini. Grazie a loro, il Cazzaro Verde non si atteggia più a padrone delle piazze e del popolo, perché l’altro popolo e le altre piazze si vedono ogni giorno a occhio nudo, anzi a perdita d’occhio. E ha dovuto rinfoderare anche l’altro suo mantra, quello dell’invasione dei migranti fatti venire appositamente dalla “sinistra”, perchè la ministra Lamorgese sta facendo in silenzio molto meglio di lui (del resto, ci voleva poco). Senza migranti, popolo e piazze, Salvini è un sacco vuoto. Infatti scende nei sondaggi e non è più affatto certo di conquistare l’Emilia Romagna, mentre a destra cresce la Meloni, che diversamente da lui lavora molto, studia il giusto e ha molti più argomenti di “narrazione”. Gli resta un solo ritornello: elezioni subito, ma a furia di ripeterlo ha già rotto i maroni, tant’è che ieri se n’è uscito con una scombiccherata proposta di inciucione: un non meglio precisato “comitato di salvezza nazionale da LeU a Forza Italia” che “in un mese” dovrebbe risolvere con fantomatiche “nuove regole” tutti i problemi che la classe politica (Lega in primis) ha creato o aggravato o non risolto negli ultimi 20 anni per votare subito dopo.

Un modo come un altro per tentare di rimettere lo zampino nell’area di governo, dopo la demenziale auto-crisi di agosto. Ma anche un sintomo di disperazione dinanzi alla prospettiva terrificante (per lui) che il governo Conte duri tre anni e lo costringa a 36 mesi di urla e strepiti fino a perdere il fiato e ad arrivare spompato alle elezioni del 2023. Intanto le inchieste che lo terrorizzano, dalle mazzette russe ai voli di Stato, dai 49 milioni scomparsi alla nuova Tangentopoli lombarda, saranno giunte in porto. Tutto questo Salvini l’ha capito benissimo e cerca di modulare le sue mosse di conseguenza. Per sua fortuna e nostra sfortuna, chi continua a non capirlo sono quelli che dovrebbero approfittarne: 5Stelle e centrosinistra, troppo impegnati a farsi la guerra ogni santo giorno per ricordarsi dell’unico vero avversario.
E dire che le occasioni per inchiodarlo mediaticamente alla sua nullità con una “contronarrazione” convincente non mancano. La legge di Bilancio-miracolo che neutralizza l’aumento dell’Iva, riduce le tasse sui lavoratori e vara finalmente le manette agli evasori. Lo sconcio dei 35 voli di Stato usati per fare comizi a spese degli italiani con la scusa di improbabili impegni istituzionali.

Le balle sul Mes, discutibile finché si vuole, ma inaugurato nel 2011 dal terzo governo B. con dentro la Lega, poi modificato sotto il Conte1 tra gli applausi della Lega che non capiva, o non studiava, o dormiva. Gli scandali, i malgoverni e le incapacità in quasi tutte le regioni appena conquistate dalla Lega (dal miliardo e rotti di buco della giunta siciliana di Musumeci certificato dalla Corte dei conti per il 2019, ai disastri in Trentino Alto Adige, Sardegna, Basilicata e Molise, per non parlare delle sconcezze forzaleghiste nella roccaforte lombarda). Di questo dovrebbero parlare ogni giorno i leader dei 5Stelle e del centrosinistra nei talk, nei tg, sulle agenzie e sui social. Immaginate se, anzichè Salvini, ci fosse Di Maio sotto inchiesta per abuso d’ufficio per quei 35 voli di Stato: il Cazzaro parlerebbe solo di quello, la Meloni e quel che resta di B. pure, e tutti i media dietro. Così com’è avvenuto per il Mes, di cui gli italiani sanno poco o nulla, eppure da un mese non si parla d’altro perchè Salvini – che in un Paese informato se ne terrebbe a debita distanza – ha deciso così. Pensate che accadrebbe se negli ultimi tre mesi i rimpatri fossero aumentati e le distribuzioni in altri paesi Ue si fossero rallentate con crisi internazionali come quelle di un anno fa: il Cazzaro parlerebbe solo di quello, tutti gli risponderebbero e gl’italiani penserebbero solo a quel tema. Invece, sotto il Conte2, il trend s’è invertito rispetto alla presunta età dell’oro salviniana. E, comprensibilmente, Salvini diserta l’argomento. Ciò che è incomprensibile è che lo disertino i suoi presunti avversari, anziché bombardare i media di dati (che fra l’altro, diversamente da quelli spacciati dalla Lega, hanno il pregio di essere veri).
I 5Stelle sono troppi intenti a guardarsi l’ombelico e il Pd a farfugliare scemenze sullo Ius culturae e l’abolizione dei decreti Sicurezza. Idem per la legge di Bilancio: quando si cominciò a discuterne, Salvini e i suoi trombettieri annunciarono che era “tutta tasse”; e Di Maio e Renzi facevano a gara a dar loro ragione, spacciando le multe ai commercianti senza Pos e le sacrosante microtasse di scopo sulle bevande gassate, i cibi pieni di zuccheri e la plastica per una stangata insopportabile per i cittadini. Idem Repubblica, che titolava “Plastica, quella tassa no” a pagina 1 e nelle altre inneggiava a Greta. Ora che, purtroppo, quei balzellini utili e impercettibili per le nostre tasche sono quasi scomparsi, Conte si ritrova solo a difendere una manovra che di nuove tasse non ne ha più neppure l’ombra. E di cui tutta la maggioranza dovrebbe vantarsi, non vergognarsi: se l’avesse fatta Salvini, si sarebbe già eretto un monumento equestre da solo. Invece i nostri eroi sono troppo occupati a litigare sul salvataggio della Popolare di Bari, senza neppure aver capito che stavolta non salverà i banchieri-bancarottieri, ma i risparmiatori fregati. Ecco perchè Salvini sembra vincere anche quando perde e i giallo-rosa sembrano perdere anche quando vincono: l’uno riuscirebbe a vendere il ghiaccio pure agli eschimesi, gli altri sono gli eschimesi.


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‘Ndrangheta in Valle d’Aosta, gli investigatori: “Il senatore eletto e il deputato mancato sponsorizzati alle elezioni dalle cosche”. - Diego Pretini e Giovanna Trinchella

‘Ndrangheta in Valle d’Aosta, gli investigatori: “Il senatore eletto e il deputato mancato sponsorizzati alle elezioni dalle cosche”

La ricostruzione dei carabinieri di Aosta che hanno indagato per la Procura antimafia nell'informativa di 243 pagine in cui viene descritta l'azione iniziata vent'anni fa per infiltrare le istituzioni della piccola regione alpina. A beneficiare della raccolta di voti della "locale" della criminalità organizzata, spiegano, sono stati anche gli autonomisti Lanièce (riconfermato a Palazzo Madama) e Giampaolo Marcoz (che però fu preceduto dalla candidata M5s).
Uno studio lungo 20 anni per infiltrare le istituzioni della Val d’Aosta. Non solo regionali o comunali. Ma anche – dalla piccola regione del Nord – quelle nazionali, per arrivare in Parlamento. Al Senato, in particolare: lì – è la convinzione dei carabinieri di Aosta – un parlamentare è stato riconfermato a Palazzo Madama grazie ai voti delle cosche locali. Una ricostruzione messa nera su bianco in 243 pagine di informativa che la Procura antimafia di Torino ha depositato agli atti del processo Geenna, nel quale sono imputate 19 persone, tre delle quali elette a vario livello, scaturito dagli arresti dello scorso gennaio. Il sostegno al senatore autonomista Albert Lanièce, esponente del partito regionale dell’Union Valdoitane – forza politica un tempo quasi monopolista in Val d’Aosta e ora parecchio in crisi – sarebbe avvenuto attraverso Antonio Raso, ristoratore di origini calabresi, ritenuto componente della cosiddetta “locale” di ‘ndrangheta. Anzi: “L’uomo che pianifica le elezioni per conto del locale di ‘ndrangheta“. Viene definito da chi indaga un “sottile stratega”, perché tesse una tela di alleanze e patti nuovi e mantenuti con più candidati di partiti diversi. L’obiettivo è chiaro: avere più punti di riferimento nei consigli comunali e in quello regionale che siano in debito di riconoscenza nei confronti suoi e della “locale”. E quindi più “gestibili” in caso di necessità.
Per Raso e per la “locale” – secondo gli investigatori – il sostegno al senatore Lanièce alle Politiche del 4 marzo 2018 è quasi solo una dimostrazione di forza “preparatoria” per gli altri appuntamenti elettorali in Val d’Aosta: le Regionali del maggio dello stesso anno (che sono il centro dell’inchiesta che vede indagato l’ex governatore dimissionario Antonio Fosson per voto di scambio politico mafioso) e le Comunali di un piccolo paese della valle, Saint Pierre, dove vorrebbe diventare sindaca Monica Carcea, “fidata” di Raso, secondo la ricostruzione degli investigatori, e che Raso punta a far eleggere non certo gratis. In cambio – sottolineano i carabinieri nell’informativa inviata ai pm – ci sono posti di lavoro o pratiche amministrative “facilitate” per affiliati al sodalizio o affini.
Raso e Carcea, in una telefonata agli atti, parlano a lungo del sostegno al “Dottore“, come lo chiamano: per i carabinieri è Lanièce, che di mestiere fa il medico. E’ già senatore, ma in pochi anni il quadro è molto cambiato. I partiti autonomisti sono in crisi, si sono scissi, si sono moltiplicati e nel frattempo – inchiesta dopo inchiesta – nella valle sono cresciuti il M5s e la Lega, che dell’autonomismo al Nord fa comunque una bandiera. I concorrenti aumentano, i voti invece sono sempre gli stessi: il bacino elettorale non si è allargato nella piccola regione alpina. La riconferma di Lanièce sul seggio di Palazzo Madama, dove siede nel gruppo delle Autonomie, arriva, per pochi voti in più rispetto al candidato dei Cinquestelle Luciano Alfredo Nicola Mossa, ma – secondo l’indagine dei carabinieri – è frutto “di un rapporto derivante da una lunga intesa tra lo stesso e Raso Antonio, esponente del locale, sicuramente già in essere da tempo”. Raso, in una conversazione di qualche giorno precedente al voto, “intima” alla Carcea (in quel momento assessora a Saint Pierre) di far appoggiare Lanièce dal proprio elettorato. L’accettazione della promessa di voti, secondo chi indaga, è “pacifica”. In una intercettazione del 6 marzo 2018, due giorni dopo le elezioni, il senatore ringrazia la Carcea per il successo elettorale: “Bene! Bene! Insomma è stata una battaglia dura, volevo ringraziarti perché anche grazie a voi siamo riusciti… perché so che hai lavorato tanto”.
Il notaio sponsorizzato battuto dalla candidata 5Stelle –Ma la ‘ndrangheta, secondo i carabinieri, non ha puntato su un solo candidato. Proprio perché i partiti autonomisti sono entrati in crisi, la “strategia elettorale” che entra in gioco è quella della “locale” di Aosta, che decide di sostenere più candidati di diversi partiti (anche se sempre di estrazione autonomista) così da ottenere una rosa di eleggibili nelle varie liste. Un meccanismo che secondo i carabinieri vale anche per la corsa al seggio valdostano della Camera. Lo “sponsorizzato” in questo caso è il notaio Giampaolo Marcoz, candidato alla Camera per una coalizione di 4 forze politiche autonomiste (Mouv, Alpe, Stella Alpina, Pour Notre Vallée-Area civica). Marcoz non viene eletto: viene superato dalla candidata del M5s Elisa Tripodi e da quella del centrosinistra Alessia Favre. Nelle loro telefonate Raso e Carcea lo chiamano il “notaro”. Quindici giorni prima delle elezioni del 4 marzo 2018 si sentono e il ristoratore che per i carabinieri è esponente della “locale” valdostana dice che l’appoggio a Marcoz dimostrerà la capacità di portare voti a chiunque: “Così è vero che siamo stati noi i più bravi di Aosta. Un aiuto non gratuito perché poi il candidato dovrà aiutare: “Ah va bene, mi ha detto, non ti preoccupare mi farò… ricambierò naturalmente“. Ed è la stessa Carcea che a Raso racconta l’insoddisfazione della mancata elezione: “Ci sono delle cose da chiarire un attimo perché qualcuno… pensa che noi non abbiamo fatto il nostro lavoro”. Raso è categorico: “Impossibile“. L’apporto è stato significativo eccome perché altrimenti la differenza di voti con la grillina Elisa Tripodi sarebbe stata ben più larga. I carabinieri annotano infatti che la candidata M5s – ora parlamentare – non ha nessun tipo di contatto con la “locale”.
L’infiltrazione ai vertici delle istituzioni locali – Più profonda l’infiltrazione a livello locale. Un piano riuscito a tal punto che il presidente della Regione Valle d’Aosta, Laurent Vierin, eletto sempre secondo gli investigatori grazie ai voti di una “locale”, ha potuto stringere la mano della presidente della commissione antimafia, Rosy Bindi. È l’ottobre del 2017 e la commissione arriva ad Aosta. La denuncia della Bindi sembra una profezia: “In una realtà con così pochi abitanti ed elettori, con una presenza del 30% di calabresi tra cui c’è una percentuale significativa di persone riconducibili a gruppi ‘ndranghetisti, è singolare che in Valle d’Aosta non si sia indagato sul voto di scambio per accertare si ci sono stati tentativi di condizionamento sulle scelte politiche e amministrative”. In realtà i carabinieri stanno intercettando, pedinando, fotografando da tempo, i movimenti degli ‘ndranghetisti valdostani. Indagini che non si sono mai fermate fino a fotografare Antonio Fosson – ex senatore, punto di riferimento di Comunione e liberazione nella regione e poi diventato governatore – mentre entra nel ristorante di Raso, per parlare di elezioni regionali.
L’intercettazione di Fosson: “Hanno fatto un bel discorso” – Fosson, che si dichiara totalmente estraneo, il 20 marzo 2018 – un paio di mesi prima del voto – viene intercettato al telefono con Giuseppe Petullà, considerato dagli inquirenti “vicino ad esponenti del locale di Aosta quali Antonio Raso e Marco Di Donato“. Fosson dice: “Son passato da Tonino ieri a fare quello che mi hai detto di fare. Hanno fatto un bel discorso eh. Proprio un bel discorso”. A Raso, nel suo ristorante (La Rotonda), l’ex senatore che diventerà presidente della Regione, il 3 marzo 2018 dice: “Quando ti vedo sto meglio… A Pasqua si cambia”.
Ma secondo i carabinieri non è il primo governatore a cui viene contestato un incontro del genere: tre ex governatori (Augusto RollandinLaurent Viérin e Pierluigi Marquis) si incontrano o cercano di incontrare nel corso della campagna elettorale i fratelli Di Donato coloro che l’indagine ha fatto emergere come vertici del ‘locale’ di ‘ndrangheta di Aosta”. Vierin – allora governatore – il 4 maggio 2018 vede Roberto Di Donato, a casa di un altro degli indagati, Alessandro Giachino, ad Aymavilles, paesino diviso da Saint Pierre dalla Dora Baltea. L’incontro “a fini elettorali” durò un’ora circa e anche questo è stato fotografato. L’accettazione della promessa di voti sarebbe stata poi concretizzata – dicono i carabinieri – otto giorni dopo quanto al bar Nord, nel quartiere di Cogne, “quello a maggior densità di calabresi” specificano gli investigatori, viene organizzato “un aperitivo in favore di Laurent Viérin al chiaro scopo elettorale”. Anche Pierluigi Marquis, presidente della Val d’Aosta per sei mesi nel 2017, chiede un incontro a Marco Di Donato, l’altro fratello. Ma viene rifiutato.
Venti anni di azione per infiltrare le istituzioni della Valle D’Aosta – È dal 1999 – con la creazione del Movimento Immigrati Valdostano – che i mafiosi di Calabria cercano di prendere possesso delle istituzioni locali. La strategia finale “è stata quella di puntare su più candidati di diverse liste che – come si legge nell’informativa dell’Arma depositata agli atti dell’udienza preliminare del processo Geenna – consentito loro di avere sette soggetti, di tre partiti diversi, direttamente o indirettamente legati agli associati all’interno del consesso regionale”: si tratta di Union ValdotaineUnion Valdotaine Progressiste e Area Civica-Pnv-Stella Alpina. Una “lenta, inquietante e inesorabile infiltrazione della mafia calabrese negli apparati politici, istituzionali e amministrativi” della regione a statuto speciale, ricostruiscono gli investigatori. Oltre Fosson, stando alle indagini, con i voti delle cosche sono stati eletti quattro consiglieri regionali – Luca Bianchi (1051 voti), Marco Sorbara (1071), Renzo Testolin (2291), Alessandro Nogara (660) e Augusto Rollandin (3417), già ex governatore per 15 anni dei 33 che sono trascorsi tra il 1984 e il 2017. Ma dell’attività di collettori dei voti dei clan hanno beneficiato – sempre secondo i carabinieri – anche gli assessori regionali ai Lavori Pubblici e al Turismo Stefano Borrello e Laurent Vierin, che, entrambi indagati, si sono dimessi insieme al governatore Fosson.
“Condizionati gli ultimi decenni di politica valdostana” – Per i carabinieri, dunque, questa e le precedenti inchieste “hanno rivelato che il ‘volere’ elettorale del locale ha condizionato gli ultimi decenni della storia politica valdostana creando un connubio politico-criminale ben radicato”. In cui, a differenza dei candidati storicamente supportati “con cui il legame è consolidato”, altri “hanno cercato direttamente o tramite terzi, di mettersi in contatto con gli esponenti dell’associazione criminale per giovarsi delle preferenze elettorali che questa è capace di convogliare”. Ogni candidato finito nell’inchiesta “dimostra di comprendere che per ottenere una cospicua approvazione elettorale deve per forza fare riferimento al sodalizio criminale“. Si tratta di “una situazione in cui il locale è predominante verso i politici e in tale condizione ha la possibilità di scegliere chi appoggiare e a chi rifiutare l’aiuto”. Come nel caso di Marquis. In cambio ci sono le solite richieste di un posto di lavoro, l’inserimento di una persona all’interno del collegio di revisori del Soccorso alpino, l’interessamento per un cantiere. Tanto, come dice uno dei Di Donato in una intercettazione, “mal che vada noi siamo in quattro o cinque parti“.

Craxi amari. - Luisella Costamagna

Craxi amari

Per evitare il tritacarne delle opinioni contrastanti su Matteo Renzi, è bene affidarsi ai dati di fatto. E il primo, inequivocabile, dato di fatto è che Renzi ieri ha parlato al Senato per rispondere all’inchiesta che riguarda la sua fondazione e attaccare i magistrati, chiamando su questo a raccolta tutta la politica e citando come auctoritates Giovanni LeoneAldo Moro e – soprattutto – Bettino Craxi. Poi uno dice la separazione e il rispetto tra poteri dello Stato…
Il secondo dato di fatto è che sul finanziamento pubblico ai partiti gli italiani si sono espressi con estrema chiarezza nel referendum del ’93, in occasione del quale il 90,3%, pari a 31 milioni di elettori, votò per l’abolizione. Ed è un altro dato di fatto che poi, negli anni, la politica abbia cercato di “aggirare” quel voto, per garantirsi comunque fondi per finanziarsi – perché la politica costa (non ditelo a noi italiani…) – attraverso rimborsi elettorali e fondazioni.
Tutto legale, per carità – anche perché le leggi se le facevano loro – ma un ulteriore dato di fatto è che le fondazioni politiche sono spuntate come funghi e non sempre c’è stata piena trasparenza su bilanci e finanziatori (me n’ero occupata, ad esempio, a proposito della Fondazione Kairos di Alessandra Moretti per le elezioni regionali in Veneto). Tutto legale dunque, ma fino a prova contraria.
E siamo alla fondazione Open e a Renzi: su eventuali problemi di natura penale – si sta indagando per finanziamento illecito, corruzione, riciclaggio – spetta, certo, solo alla magistratura fare piena luce e pronunciarsi.
Ma sul prestito da 700mila euro per l’acquisto della casa, sia pure usato parzialmente e restituito, fatto da un imprenditore a un ex presidente del Consiglio, che qualche anno prima lo aveva nominato nel cda di una società di Cassa Depositi e Prestiti (quindi pubblica), si pone indubbiamente un problema, se non di natura penale, di opportunità (ed eventuale conflitto d’interessi).
Infine, l’ultimo dato di fatto: se la valutazione della politica spetta ai cittadini, agli italiani, e non alla “barbarie” di magistrati e media “politicizzati e strumentali”, affidiamoci a loro. E a vedere i sondaggi il consenso per Renzi e il suo nuovo partito invece di salire cala – anche in virtù di queste vicende, degli attacchi e delle querele ai giornalisti – e ora è tra il 3 e il 4% massimo. Non se n’è già parlato (e ne stiamo parlando) pure troppo? Sipario.