venerdì 15 giugno 2018

I tre pianeti più giovani della Via Lattea.


Rappresentazione di pianeti in formazione attorno a una giovane stella (fonte: NRAO/AUI/NSF; S. Dagnello)

Nati intorno a una stella bambina.

Scoperti i tre pianeti più giovani della Via Lattea: sono stati individuati nel disco di gas e polveri del loro sistema planetario in formazione, attorno a una giovanissima stella. I dettagli dei tre giovani inquilini della nostra galassia sono pubblicati in due articoli sulla rivista The Astrophysical Journal Letters.

Il gruppo coordinato da Richard Teague, dell’Università americana del Michigan, e quello guidato da Christophe Pinte, dell’Università australiana Monash, hanno osservato il trio di pianeti in formazione attorno alla stella bambina HD 163296, che ha una massa due volte il Sole ma un’età di ‘soli’ 4 milioni di anni. La giovane stella si trova a circa 330 anni luce dalla Terra, in direzione della costellazione del Sagittario. 

La scoperta è stata possibile grazie al radiotelescopio Alma (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) dell'Osservatorio Europeo Australe (Eso) e ad una nuova tecnica, che permette di cogliere nei dischi di gas e polveri minime anomalie associate alla formazione di pianeti, come i segnali emessi dal monossido di carbonio a specifiche lunghezze d’onda tra l’infrarosso e le onde radio. 

“Nonostante siano già circa 4.000 i pianeti esterni al Sistema Solare finora scoperti, è raro trovarne alcuni appena formati”, rilevano i ricercatori. Il gruppo guidato da Teague ha osservato due dei tre pianeti, a circa 80 e 140 unità astronomiche dalla loro stella madre, cioè 80 e 140 volte la distanza media tra la Terra e il Sole, pari a circa 150 milioni di chilometri. 

Il gruppo australiano ha invece scovato il terzo pianeta a circa 260 unità astronomiche. I tre pianeti, secondo i primi calcoli, avrebbero una massa simile a quella di Giove. “Queste ricerche - hanno concluso - ci aiuteranno a capire meglio come si sono formati anche i pianeti del nostro Sistema Solare”.


http://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2018/06/13/i-tre-pianeti-piu-giovani-della-via-lattea_f045c92c-68ba-4bd6-b693-2418ec4bcaab.html

Nell'ambra la più antica rana della foresta pluviale.


La più antica rana della foresta tropicale intrappolata nell'ambra con uno scarafaggio (fonte: Lida Xing/China University of Geosciences).

Intrappolata da 99 milioni di anni con il suo pasto, uno scarafaggio.


Istantanee di un 'banchetto' mancato dal Cretaceo: a restituirle è un piccolo pezzo di ambra ritrovato in Myanmar, che custodisce al suo interno il fossile della più antica rana vissuta nella foresta tropicale. Travolta da una goccia di resina 99 milioni di anni fa, è rimasta intrappolata insieme a quello che sarebbe dovuto essere il suo pasto: uno scarafaggio. La scoperta è pubblicata sulla rivista Scientific Reports dai ricercatori del Museo di storia naturale della Florida, e aiuterà a definire meglio la storia evolutiva di questi anfibi, ancora molto lacunosa.

Le rane, infatti, sono comparse sulla Terra circa 200 milioni di anni fa, ma i fossili di questi primi anfibi sono scarsi: mancano soprattutto testimonianze dirette delle prime specie che si sarebbero adattate a vivere nelle umide foreste pluviali tra i 66 e i 23 milioni di anni fa. Questo vuoto viene finalmente colmato dal ritrovamento del fossile in ambra del Myanmar, che custodisce un giovane esemplare appartenente ad una specie estinta chiamata Electrorana limoae.



I resti delle più antiche rane della foresta pluviale conservati nell'ambra (fonte: Lida Xing/China University of Geosciences).

"E' molto difficile trovare un fossile di rana risalente a questo periodo e che sia così piccolo, quasi tridimensionale e con le ossa piccole ben conservate", spiega David Blackburn, curatore della sezione di erpetologia del museo statunitense. "La cosa più eccitante di questo animale, però, è il contesto", prosegue l'esperto facendo riferimento ad altri tre fossili con resti di rane trovati nello stesso sito. "Queste rane facevano parte di un ecosistema che in un certo senso non doveva essere molto diverso da quello attuale, a parte la presenza dei dinosauri".

Grande circa due centimetri, l'esemplare di Electrorana conserva ancora il cranio, le zampe anteriori, parte della spina dorsale e di una zampa posteriore. Purtroppo, però, non presenta altri dettagli anatomici che avrebbero aiutato a ricostruire il suo albero evolutivo: per risolvere questo enigma, i ricercatori pensano di confrontare il fossile con le tac dei resti scheletrici di rane estinte e attualmente viventi.


http://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/ragazzi/news/2018/06/14/nellambra-la-piu-antica-rana-della-foresta-pluviale-_ff5578f7-0a3e-464a-bf62-f43d930688ba.html

Supernova? No, stellicidio.


Rappresentazione artistica di un evento di distruzione mareale (Tde): si verifica quando una stella passa troppo vicino a un buco nero supermassiccio, che reagisce distruggendola espellendo un getto relativistico. Lo zoom è nella regione centrale della sua galassia ospite, Arp 299B, che sta subendo un processo di fusione con Arp 299A (la galassia a sinistra). Crediti: Sophia Dagnello, Nrao/Aui/Nsf; Nasa, Stsci.

IL KILLER È UN BUCO NERO SUPERMASSICCIO.

Il raro fenomeno che porta alla disgregazione delle stelle è noto come evento di distruzione mareale e si verifica quando una stella viene catturata dal buco nero supermassiccio tramite la sua invincibile attrazione gravitazionale. Non c'è scampo: l'oggetto viene fatto a pezzi e addio stella. Lo studio è stato pubblicato oggi su Science. Il commento di Marco Bondi dell'Inaf di Bologna.

Sembrava un’esplosione di supernova, come tante se ne osservano ormai nell’universo. Ma un gruppo di astronomi, tra cui Marco Bondi dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) è riuscito a scoprire che sorprendentemente quel segnale proveniente da una coppia di galassie interagenti era in realtà prodotto da una stella che veniva fatta letteralmente a pezzi da un buco nero supermassiccio. Seppo Mattila dell’Università di Turku in Finlandia e Miguel Perez-Torres dell’Istituto di astrofisica di Andalusia in Spagna hanno guidato il team di 36 scienziati provenienti da 26 istituzioni di tutto il mondo e pubblicano i loro risultati nell’ultimo numero della rivista Science. I dati nella banda radio utilizzati nell’indagine sono stati ottenuti con la tecnica Very Long Baseline Interferometry (Vlbi), che consiste nell’osservazione simultanea da parte di molti radiotelescopi sparsi in diversi continenti che puntano la stessa regione di cielo. I radiotelescopi dell’Inaf presenti a Medicina (Bologna), Noto (Siracusa) e Cagliari hanno partecipato alla campagna osservativa.
Il raro fenomeno che porta alla disgregazione delle stelle è noto come “evento di distruzione mareale” (Tde, dalle iniziali dell’inglese tidal disruption event) e si verifica quando una stella viene catturata dal buco nero supermassiccio tramite la sua invincibile attrazione gravitazionale: le forze mareali deformano la stella, la fanno a pezzi creando un flusso di detriti che poi cadono verso il buco nero, illuminando lo spazio circostante con getti luminosi di plasma ed energia. I teorici hanno suggerito che il materiale strappato dalla stella malcapitata forma un disco in rotazione attorno al buco nero, che lancia questi getti energetici verso l’esterno a una velocità prossima a quella della luce. «Mai prima d’ora siamo stati in grado di osservare direttamente la formazione e l’evoluzione di un getto creato da uno di questi eventi», spiega Perez-Torres.

  Schema di un evento di distruzione mareale (Tde). Il buco nero supermassiccio al centro della galassia è circondato da un mezzo molto denso e incorporato in un foro polveroso. La maggior parte dell’emissione ottica e dei raggi X prodotta dall’evento è stata assorbita e riemessa a lunghezze d’onda IR a causa dell' esistenza di polvere polare. Questa emissione IR è stata rilevata dal Nordic Telescope ed è stata monitorata con l’aiuto del satellite Nasa Spitzer. Alcuni mesi dopo il rilevamento a lunghezze d’onda infrarosse, il Tde è stato rilevato a lunghezze d’onda radio con l’aiuto di una gamma molto sensibile di radiotelescopi. Crediti: Seppo Mattila, Miguel Pérez-Torres et al. 2018 (Science)
Nel corso del decennio successivo, il team di esperti ha continuato a osservare l’emissione radio utilizzando la rete Vlbi europea denominata European Vlbi Network (Evn) e quella americana nota come Very Long Baseline Array (Vlba), che forniscono immagini ad altissima risoluzione, e ha acquisito immagini nelle bande ottiche, infrarosse e X, necessarie per elaborare un modello interpretativo coerente del fenomeno osservato.
Nel 2011 si è visto che l’area dell’oggetto da cui provenivano le emissioni radio si stava espandendo verso una direzione specifica, formando un allungamento chiamato “getto”, come precedentemente previsto dai teorici. L’espansione misurata indicava che il materiale nel getto si stava muovendo a una media di un quarto della velocità della luce.



Gif animata che mostra in lunghezze d’onda radio il Tde nell’oggetto Arp299B (= Arp299B-AT1) dal 2005 nel corso di oltre 10 anni.Crediti: Bill Saxton,Nrao/Aui/Nsf



Bondi chiarisce quanto scoperto: «I tidal disruption event sono eventi molto rari da osservare. Fino ad oggi si trovano solo un paio di casi segnalati in letteratura. Quello rilevato nella galassia Arp 299 ha un’ulteriore peculiarità: per la prima volta si è potuto osservare anche la creazione di un getto radio prodotto dal fenomeno di rapido accrescimento ed è stato possibile seguire la sua evoluzione su un arco di tempo di diversi anni, grazie anche al contributo dei radiotelescopi dell’Inaf che hanno osservato congiuntamente alla rete europea e americana». Marco Bondi lavora presso l’Istituto di Radioastronomia dell’Inaf di Bologna e ha contribuito ad analizzare e interpretare le osservazioni radio che hanno avuto un ruolo fondamentale per confermare la presenza di un evento di distruzione mareale nella galassia Arp 299.
Perez-Torres conclude: «Gli eventi di distruzione mareale ci forniscono un’opportunità unica per comprendere meglio la formazione e l’evoluzione dei getti nelle vicinanze di questi potenti oggetti».
Per saperne di più:  I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Science nell’articolo “A dust-enshrouded tidal disruption event with a resolved radio jet in a galaxy merger”, di S. Mattila, M. Pérez-Torres, A. Efstathiou, P. Mimica, M. Fraser, E. Kankare, A. Alberdi, M. Á.Aloy, T. Heikkilä, P. G. Jonker, P. Lundqvist, I. Martí-Vidal, W. P. S. Meikle, C. Romero-Cañizales, S. J. Smartt, S. Tsygankov, E. Varenius, A. Alonso-Herrero, M. Bondi, C. Fransson, R. Herrero-Illana, T. Kangas, R. Kotak, N. Ramírez-Olivencia, P. Väisänen, R. J. Beswick, D. L. Clements, R. Greimel, J. Harmanen, J. Kotilainen, K. Nandra, T. Reynolds, S. Ryder, N. A. Walton, K. Wiik e G. Östlin. Qui i due comunicati stampa in inglese: Nrao e Vlbi/Eric