giovedì 17 gennaio 2019

Cognato di Renzi, l’organizzazione Operation Usa denuncia i Conticini: l’indagine sui milioni all’Africa va avanti.

Cognato di Renzi, l’organizzazione Operation Usa denuncia i Conticini: l’indagine sui milioni all’Africa va avanti

Secondo l’accusa i fratelli - uno dei quali ha sposato la sorella dell'ex premier - avrebbero dirottato ben 6,6 milioni di circa 10 complessivi ricevuti per aiutare i bambini in Africa, su conti correnti personali usandoli – come ricostruito dagli inquirenti – per investimenti immobiliari all’estero e altre operazioni finanziarie.

L’organizzazione umanitaria Operation Usa ha denunciato per appropriazione indebita Alessandro Conticini. Lo racconta il quotidiano La Verità che spiega come la querela consenta alla procura di Firenze di continuare l’inchiesta su Alessandro, ma anche sui suoi due fratelli coindagati: Andrea e Luca. Il primo è il cognato di Matteo Renzi avendone sposato la sorella. Sono accusati di aver utilizzato a fini personali parte dei fondi versati dalle associazioni umanitarie alla loro Play Therapy Africa.
Secondo la procura di Firenze i fratelli Conticini avrebbero dirottato ben 6,6 milioni di circa 10 complessivi ricevuti per aiutare i bambini in Africa, su conti correnti personali usandoli – come sostengono gli inquirenti – per investimenti immobiliari all’estero e altre operazioni finanziarie. Andrea è accusato di aver prelevato soldi dai conti destinandoli a tre società dell’inner circle renziano: alla Eventi6 dei suoceri (133.900 euro), la Quality Press Italia (129.900 euro) e 4mila euro per la Dot Media di Firenze, che organizzava la Leopolda del fu Rottamatore.

La denuncia dell’ organizzazione no profit di Los Angeles – tramite cui opera la Fondazione Pulitzer – permette ai pm della procura di Firenze di portare avanti l’indagine: almeno per il filone che riguarda i 5,5 milioni di dollari versati dalla Operation Usa  tra il 2009 e il 2016 alla società Play Therapy Africa.  Grazie alla riforma che porta il nome dell’ex ministro della giustizia, Andrea Orlando, infatti, per il reato di appropriazione indebita se la parte lesa non sporge formale denuncia l’intera indagine rischia di concludersi con un nulla di fatto. Il decreto, approvato dal governo Gentiloni, ha modificato la procedibilità di alcuni reati, in particolare i “delitti contro il patrimonio”. Quindi truffa, frode informatica, appropriazione indebita non sono più procedibili d’ufficio ma solamente su querela delle parti offese. E i tre fratelli Andrea, Alessandro e Luca Conticini sono indagati per riciclaggio, mentre soltanto Alessandro e Luca anche per appropriazione indebita aggravata. La loro iscrizione risale al 2016 mentre la norma Orlando è stata approvata alla scadenza dell’ultima legislatura e pubblicata in Gazzetta ufficiale il 24 aprile 2018. Una norma sin da subito ribattezzata “lex ad cognatum” perché Andrea Conticini è il marito di Matilde Renzi, quindi cognato dell’ex premier e segretario del Pd, Matteo Renzi.
La parte lesa più nota, cioè Unicef, non ha ancora sporto denuncia, ma secondo La Verità in procura non hanno perso la speranza visto che non è ancora scaduto il termine dei 3 mesi scattato al momento della notifica della rogatoria di sollecito inviata dai magistrati alla sede di New York . Il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, nel frattempo, è stato denunciato dagli avvocati di Andrea Conticini per aver accostato il nome del loro cliente a quelli dei fratelli, poiché il cognato dell’ex premier “non ha mai ricevuto né beneficiato di alcuna retribuzione né remunerazione da parte di Play Therapy Africa, né di Alessandro Conticini”.

Cartelli tra imprese funebri, 30 arresti a Bologna. Agli infermieri 200 euro a morto.

Si spartivano camere mortuarie di Bologna, sequestrati 13 mln. 

I carabinieri di Bologna hanno smantellato due cartelli di imprese di pompe funebri che controllavano le camere mortuarie dei due principali ospedali cittadini riuscendo in pratica ad avere il monopolio nell'aggiudicazione dei servizi funebri. Sono 30 le misure cautelari e 43 le perquisizioni eseguite da 300 militari che hanno sequestrato un patrimonio di 13 milioni di euro. 
Gli infermieri agganciavano i familiari dei defunti, mettendoli in contatto con i referenti delle varie agenzie di servizi, proponendo quelle più economiche o efficienti. Questi poi fornivano dettagli e indirizzavano i clienti verso gli uffici per le pratiche. Al vertice invece c'erano i rappresentanti di due consorzi, che dividevano i compiti e ridistribuivano le somme guadagnate. E' questa la catena organizzativa ricostruita dai carabinieri del reparto operativo - nucleo investigativo e della Compagnia Bologna Centro, che hanno smantellato un business legato al settore funerario.
"Se dopo anni in camera mortuaria hai ancora dei mutui da pagare significa che non hai capito come funziona". Sono parole di un infermiere, rivolto a un altro indagato, agli atti dell'inchiesta della Procura di Bologna su un presunto business illecito legato al settore funerario. Gli infermieri, secondo le indagini, agganciavano i parenti dei defunti indirizzandoli alle agenzie funebri e venivano compensati con somme tra i 200 e 350 euro a 'lavoro'.
I militari stanno eseguendo un provvedimento emesso dal Gip per 30 persone, accusate a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, corruzione di incaricato di pubblico servizio, riciclaggio e violazioni connesse alla responsabilità amministrativa degli enti. Secondo le indagini i due 'cartelli' controllavano le camere mortuarie dei due principali ospedali cittadini, il Maggiore e il Policlinico Sant'Orsola-Malpighi.
Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Bologna, hanno consentito di disarticolare una vera e propria associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e riciclaggio. I due cartelli si spartivano i servizi nelle camere mortuarie dell'Ospedale Maggiore e del Policlinico Sant'Orsola-Malpighi, ottenendo di fatto il monopolio nel settore.

Caporalato e sfruttamento, migranti in condizioni disumane a Latina.

Arrestati un sindacalista e un ispettore del lavoro.

Scoperta a Latina un'organizzazione criminale dedita allo sfruttamento del lavoro ed al caporalato ai danni di centinaia di stranieri impiegati in lavori agricoli in "condizioni disumane": costretti a lavorare 12 ore al giorno, a fronte di una retribuzione al di sotto della metà di quella prevista dal contratto nazionale, e all'ubbidienza di regole senza la garanzia dei più elementari diritti. Sei gli arresti. La misura cautelare ha raggiunto, tra gli altri, un sindacalista ed un ispettore del lavoro. I braccianti inoltre erano costretti a iscriversi al sindacato
Tra i sei arrestati due donne che reclutavano e sfruttavano stranieri centrafricani e rumeni, tramite una società cooperativa con sede a Sezze (LT), distribuendo illecitamente la loro manodopera a centinaia di azienda agricole che avevano monopolizzato il settore nelle provincie di Latina, Roma, Frosinone e Viterbo.
L'obbligo di iscrizione al sindacato, dietro la minaccia del licenziamento, veniva fatta affinchè quest'ultimo "percepisse non solo le quote di iscrizione ma anche ulteriori introiti economici connessi alla trattazione delle pratiche finalizzate ad ottenere le indennità di disoccupazione".
I migranti venivano trasportati nei campi a bordo di pulmini sovraffollati, privi dei più elementari sistemi di sicurezza. Il sistema era retto anche grazie alla copertura di esponenti sindacali e dell'Ispettorato del lavoro infedeli. Oltre ai sei arrestati, vi sono ulteriori 50 indagati, tra cui imprenditori agricoli, commercialisti, funzionari ed esponenti del mondo sindacale, che avrebbero dovuto vigilare sulla legalità nel mondo del lavoro e tutelare i lavoratori.
L'indagine ha avuto inizio alla fine del 2017, a seguito dei interventi disposti dal Servizio Centrale Operativo nell'ambito dell'operazione ad alto impatto denominata "Freedom", finalizzata al contrasto del preoccupante fenomeno del caporalato e dello sfruttamento del lavoro. Tali controlli hanno permesso di rilevare la presenza in alcune zone della città, nelle primissime ore della mattinata, di folti gruppi di stranieri in attesa di pulmini per essere trasportati nei campi. 

I poliziotti hanno potuto accertare che i braccianti provenivano anche dai centri di accoglienza straordinaria ed erano in attesa del riconoscimento della protezione internazionale. Le indagini di natura patrimoniale hanno portato al sequestro di 5 abitazioni, 3 depositi, 3 appezzamenti di terreno, 9 autovetture, 36 tra furgoni e camion, 1 società cooperativa, 4 quote societarie e numerosi rapporti bancari, per un valore complessivo di circa 4 milioni di euro.