È uscito per Einaudi il nuovo libro di “Non c’è più tempo”, un viaggio per comprendere che quella climatica e ambientale è un’emergenza di cui dobbiamo preoccuparci. Tanto piú in un’epoca di riscaldamento globale che, tra alluvioni, siccità e aumento dei livelli marini, minaccia il benessere dei nostri figli e nipoti. Ne proponiamo un estratto.
Molti uomini (e poche donne) nel lungo corso della storia hanno dimostrato di essersi fumati il cervello. Alcuni di loro non hanno fatto male a nessuno, la maggior parte ha ucciso e violentato i suoi simili, incendiato città e nazioni, ma non hanno fatto danni ambientali irreversibili: chi rimaneva si leccava le ferite e la vita riprendeva. Agli antichi Egizi maniaci di sepolcri piramidali non possiamo addebitare alcuna nostra sciagura, e le guerre dei Romani se ne stanno innocue sui libri di storia.
La popolazione aumenterà da uno a 7,5 miliardi di individui, gli ordigni bellici e le centrali elettriche nucleari spargeranno radioattività “artificiale” su tutto il pianeta, la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera passerà da 300 a 400 parti per milione, un primato assoluto e inedito su almeno 800mila anni, la perdita di biodiversità segnerà l’inizio della Sesta Estinzione, una pletora di inquinanti subdoli e persistenti impesterà l’aria, l’acqua e i cibi, minacciando la nostra salute su tempi di secoli, enormi banchi di microplastiche si diffonderanno negli oceani, la cementificazione e la deforestazione cambieranno per sempre la geografia globale. È l’Antropocene, bellezza!
L’epoca geologica recentissima che segna la Terra con pustole, cicatrici e infiammazioni derivanti dall’attività forsennata di una sola specie, Homo sapiens! Ed è soprattutto il Novecento, una manciata di anni dopo la Seconda guerra mondiale, a segnare l’irreversibilità dell’erosione delle risorse terrestri, la modifica a lungo termine dei suoi cicli biogeochimici, ovvero la “grande accelerazione” verso il superamento dei “limiti planetari”. Temi fondamentali per la nostra sopravvivenza, intravisti nel 1972 da Aurelio Peccei e dai ricercatori del Mit, che pubblicarono il primo rapporto sui limiti della crescita (Limits to growth), e ripresi oggi da Johan Rockström dello Stockholm Resilience Centre. La scienza del clima e dell’ambiente non ha più dubbi: ci stiamo fumando la Terra! Se non applicheremo il fragile accordo sul clima di Parigi del 2015, la temperatura planetaria rischia di aumentare di circa 5° C entro la fine del secolo, rendendo i nostri continenti molto meno ospitali, punteggiando la nostra vita di eventi estremi sempre più frequenti e distruttivi, compromettendo la produzione alimentare e facendo salire i livelli dei mari per via della fusione dei ghiacci polari, con sommersione di molte zone costiere e conseguenti migrazioni di profughi climatici. Non dite che è catastrofismo. È peggio. È un tipo di mondo che la nostra specie non ha mai sperimentato nella sua evoluzione, e sarebbe meglio evitare. E invece chi ti arriva? Un presidente americano che nel 2017 dice che son tutte balle, e che bisogna continuare a far fumare carbone e petrolio, come prima, più di prima! Posti di lavoro, dollari, sviluppo, crescita! Se uno decide di fumarsi il cervello, libero di farlo, perché ce ne sono molti sani che possono sostituirlo. Ma se i comportamenti di cervelli in fiamme portano a fumarsi il pianeta, l’unico che abbiamo, compromettendolo per millenni e ipotecando il benessere di figli, nipoti e pronipoti, allora tocca gettare acqua sul fuoco. Sempre che non sia già evaporata…
Fonte: ilfattoquotidiano del 2.10.2018 e preso da comedonchisciotte del 14.11.2018