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venerdì 13 marzo 2020

Coronavirus, il racconto di un italiano che vive in Cina: “Due diverse app sui nostri telefoni, così il governo controlla che rispettiamo la quarantena”. - Ilaria Mauri

Coronavirus, il racconto di un italiano che vive in Cina: “Due diverse app sui nostri telefoni, così il governo controlla che rispettiamo la quarantena”

Il New York Times aveva rivelato in un suo recente articolo l'esistenza di una delle due app e ora un italiano appena rientrato lì dall'Italia spiega a Ilfattoquotidiano.it come in realtà le applicazioni usate dal governo siano due e racconta la sua esperienza di messa in quarantena.

Due diverse applicazioni installate sugli smartphone di milioni di persone che registrano i loro dati personali e monitorano tutti i loro spostamenti. Tempestività, controllo e coinvolgimento attivo della popolazione. Così la Cina verifica che i suoi abitanti rispettino la quarantena imposta per sconfiggere l’epidemia di coronavirus e riesce a risalire a tutte le persone con cui è entrato in contatto chi risulta poi essere infetto. Un sistema di sorveglianza complesso, che mette in secondo piano privacy e libertà individuali, ma che dopo 50 giorni sta iniziando a dare risultati: negli ultimi giorni a Wuhan, città focolaio del contagio, sono stati registrati appena una decina di casi al giorno. Niente se paragonato ai numeri a tre cifre di due settimane fa. Il New York Times aveva rivelato in un suo recente articolo l’esistenza di una delle due app, spiegando che in questo modo Pechino sta “creando un modello per nuove forme di controllo sociale automatizzato che potrebbero persistere a lungo dopo che l’epidemia si sarà placata”, e ora un italiano appena rientrato lì dall’Italia spiega a Ilfattoquotidiano.it come in realtà le applicazioni usate dal governo siano due e racconta la sua esperienza di messa in quarantena.
Marco (nome di fantasia, dal momento che per questioni di sicurezza non possiamo svelare la sua identità) vive in Cina, da 15 anni e poco prima dell’inizio del Capodanno Cinese è tornato in Italia assieme alla moglie per trascorrere le vacanze. Dovevano essere tre settimane di ferie ma poi sono diventate sei: “Siamo partiti il 1 marzo, per evitare di fare la quarantena ad Hong Kong dove il mio primo volo era diretto abbiamo optato deciso di arrivare a Guangzhou facendo scalo a Mosca (che ha adibito un intero terminal solo per chi transita da e per la Cina). Una volta atterrati ci hanno fatti scendere per primi dall’aereo, ci è stata controllata la temperatura due volte in aeroporto, ci hanno fatto diverse domande e ci hanno fatto aspettare due ore in aeroporto prima di rilasciarci un documento con cui abbiamo potuto passare la dogana. Quando siamo arrivati al palazzo dove viviamo ci è venuto incontro un gruppo di persone dell’amministrazione locale che sapeva del nostro arrivo e ci hanno controllato ancora la temperatura, poi ci hanno fatto firmare delle carte e ci hanno chiesto di scaricare un’applicazione spiegandoci di registrarci con i nostri dati personali perché ci sarebbe servita in seguito durante la quarantena“.
Una volta riusciti a salire in casa, per Marco e la moglie è iniziata la quarantena vera e propria, che dura 14 giorni e al termine della quale saranno sottoposti a controlli medici per accertare che stiano effettivamente bene e possano tornare a condurre la vita di sempre. L’isolamento ha poche regole ma ben precise: “Non possiamo uscire di casa e dobbiamo misurare la temperatura due volte al giorno e tramite l’applicazione comunicare il valore alle autorità. Possiamo comprare online solo beni di prima necessità che poi ci saranno lasciati alla porta: le consegne vengono tutte gestite dall’amministrazione condominiale, che fa da referente alla polizia. Ogni tot tempo (ancora non ci è chiaro quanto) degli incaricati del governo verranno a verificare che noi stiamo effettivamente rispettando queste indicazioni”, spiega. E per chi viola le prescrizioni ed esce di casa, la polizia arriva a mettere i sigilli alla porta.
C’è poi anche un’altra applicazione con cui il governo riesce a individuare e bloccare le catene del contagio, avvisando le persone che devono mettersi in quarantena: “La situazione qui, da quel poco che sono riuscito a vedere, è sotto controllo anche perché il governo cinese traccia tutti tramite un’altra applicazione che abbiamo già installato da tempo sugli smartphone dove deve essere fatto il login inserendo le proprie generalità. Questa genera poi un QRCode che deve essere scannerizzato ogni volta che per esempio si accede a un edificio, si entra in un ufficio pubblico, si prende il treno o la metropolitana, così che il governo ha la possibilità di rintracciare tutti i movimenti. Così sanno subito anche se qualcuno è entrato o sta entrando in contatto con persone risultate infette e possono intervenire tempestivamente. L’utilizzo di questi QRCode è previsto in praticamente tutte le situazioni e registra se qualcuno esce di casa mentre è in quarantena e si sposta o anche solo se compra del cibo. Con questo metodo però il governo cinese sta facendo tutto il possibile per tenere le persone a casa e cercare di circoscrivere il più possibile l’epidemia – conclude Marco -. Ora stiamo a vedere come finirà il mio isolamento”.
Questo sistema è stato adottato da Pechino nei confronti di oltre 760 milioni di cinesi, ovvero più della metà degli abitanti dello Stato più popoloso del mondo. In più, fin da subito sono stati cancellati voli, treni e autobus da e per la città sono stati soppressi, come anche il trasporto pubblico interno. Si è monitorato chi entrava nel Paese, nelle città, nei villaggi e persino nei condomini. Niente panico, solo ordine e controllo. Le immagini delle città cinesi completamente deserte sono diventate un simbolo e in questi giorni sono state spesso confrontate quanto stava accadendo in Italia, dove – prima che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dichiarasse con due diversi decreti l’istituzione di una zona rossa per tutto il Paese e poi la chiusura di bar, ristoranti e negozi – per settimane si è assistito a scene di locali della movida affollati e gente a spasso imperterrita per i centri commerciali.

venerdì 16 novembre 2018

Sarcomi, il 30% delle diagnosi è sbagliato ma nuove armi dalla ricerca.

Il momento della divisione cellulare durante la creazione del cancro (fonte: United States: National Institutes of Health) © Ansa
Il momento della divisione cellulare durante la creazione del cancro (fonte: United States: National Institutes of Health) © ANSA/Ansa

Tumori rari, picco tra bimbi. Sopravvivenza con chemio al 70%.



Sono tumori rari che contano circa 4mila nuovi casi l'anno in Italia e fanno registrare un picco in primis tra i bambini: i sarcomi, con un'incidenza di circa 5 casi su 100 mila abitanti l'anno, comprendono oltre 80 diversi tipi di tumori che possono insorgere in qualsiasi parte del corpo e colpire tutte le fasce di età ma, proprio a causa della loro rarità, è in vari casi difficile diagnosticarli, tanto che 3 diagnosi su 10 si rivelano inizialmente sbagliate ed attualmente la maggior parte di queste neoplasie è ancora 'orfana' di specifici farmaci. Nuove speranze arrivano però dalla ricerca, con studi promettenti su molecole che sembrerebbero evidenziare possibilità concrete di trattamento per questo tipo di neoplasie.
Proprio ai sarcomi è dedicato il congresso internazionale 'Ctos 2018' della Connective Tissue Oncology Society che, da oggi al 17 novembre, riunisce a Roma i maggiori esperti in materia per fare il punto sulle nuove sperimentazioni in atto ed i progressi della ricerca oncologica nei tumori rari. Le attese si associano soprattutto alle nuove terapie molecolari. Studi condotti ad esempio sul fibrosarcoma infantile, spiega Silvia Stacchiotti, oncologo medico all'Istituto nazionale tumori (Int) di Milano, "malattia congenita che presenta una alterazione riguardante la diffusione di una specifica proteina (TRK), dimostrerebbero che una terapia molecolare (larotrectinib) mirata a questo bersaglio è in grado di garantire nella maggior parte dei pazienti una risposta terapeutica durevole nel tempo".
Speranze anche per il trattamento di un altro tipo di sarcoma, il cordoma poco differenziato, con prognosi molto sfavorevole e tipico dei bambini: uno studio recente cui sta partecipando anche la pediatria dell'Int in rappresentanza dell'Italia sembra infatti attestare una riduzione della malattia con l'impiego di uno specifico farmaco molecolare (tazemetostat). Per i sarcomi sembra anche aprirsi l'opzione dell'immunoterapia. Per la "prima volta - precisa l'oncologa - possiamo dire che non tutti sarcomi sono refrattari a questa via di cura. In particolare, il sarcoma alveolare delle parti molli, un tumore molto raro e grave, sembra rispondere bene a una immunoterapia con atezolizumab".
Arma fondamentale resta però la chemioterapia: "dagli anni '70 ad oggi la sopravvivenza dei pazienti a 5 anni senza presenza di malattia è aumentata del 60%, passando dal 10% all'attuale 70%. Un progresso enorme - sottolinea Alessandra Longhi, responsabile Unità Chemioterapia dei tumori dell'apparato locomotore all'Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna - reso possibile proprio grazie alla chemioterapia per questo tipo di tumori". C'è dunque "grande attesa nella comunità dei pazienti - sottolinea Ornella Gonzato, presidente della Associazione Paola per i Tumori muscolo-scheletrici, affiliata alla CTOS -. E nuove speranze arrivano anche dalla biologia molecolare: proprio la ricerca sempre più approfondita della biologia di alcuni tipi di sarcoma sembrerebbe infatti consentire per il futuro la possibilità di monitorare la malattia, durante il trattamento, tramite semplice prelievo di sangue per l'analisi del DNA circolante del tumore". Un passo avanti che "oltre alla minor invasività del controllo - conclude Gonzato - significherebbe per i pazienti poter sperare in terapie sempre più personalizzate sulla base della risposta individuale".
Fonte: ansa del 15 novembre 2018