mercoledì 16 marzo 2016

Mafia Capitale, il caso Sacrofano: paese regno di Carminati, guidato dall’ex ras del Msi e impossibile da sciogliere. - Marco Pasciuti

Mafia Capitale, il caso Sacrofano: paese regno di Carminati, guidato dall’ex ras del Msi e impossibile da sciogliere

A 15 mesi dallo scoppio dello scandalo e a 14 mesi dall'avvio dell'iter di commissariamento, il governo non ha ancora deciso il destino del comune alle porte di Roma, per i magistrati base operativa del clan del "cecato". Alfano parla di un nuovo "monitoraggio", ma in municipio nessuno sa nulla e lo scorso agosto il prefetto Gabrielli aveva annunciato che ne avrebbe chiesto lo scioglimento. Risultato: i sospetti non sono stati fugati e il sindaco Tommaso Luzzi, nato e cresciuto politicamente nella destra romana e indagato per associazione mafiosa, rimane al suo posto.


E’ tutto coperto da segreto
Secretata la relazione della commissione di accesso, secretata anche quella del prefetto Gabrielli. Il ministro dell’Interno ha annunciato ieri che nel comune è stato “attivato un gruppo di esperti per un costante monitoraggio”, ma in municipio non ne sanno nulla. Intanto è passato oltre un anno dal 2 gennaio 2015, giorno in cui vennero nominati i commissari chiamati a stabilire se a Sacrofano, 7mila anime sulla via Flaminia, c’era la mafia. Quella stessa Mafia Capitale capeggiata da Massimo Carminati, che a Sacrofano aveva residenza e base operativa, capace secondo i pm di piazzale Clodio di infiltrare il Campidoglio e le amministrazioni pubbliche di Roma e provincia. Quattordici mesi senza che nessuno abbia detto una parola chiara sulla questione, passati i quali Tommaso Luzzi, il sindaco indagato per associazione di stampo mafioso, è ancora al suo posto.
Tutto comincia la mattina del 2 dicembre 2014, quando scoppia lo scandalo di Mafia Capitale che investe, oltre a Roma, 4 comuni della provincia: Castelnuovo di Porto, Morlupo, Sant’Oreste e, appunto, Sacrofano. La macchina dei controlli si mette subito in moto: per Sacrofano la commissione di accesso agli atti viene nominata dal prefetto Giuseppe Pecoraro il 2 gennaio 2015, si insedia l’8 gennaio, conclude i propri lavori l’8 luglio e invia la propria relazione al nuovo prefetto Franco Gabrielli. Il quale, il 19 agosto 2015, nel corso della riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza, annuncia che avrebbe sottoposto al Viminale la proposta di scioglimento per infiltrazioni mafiose solo nel caso di Sacrofano.
Sulla faccenda cade una coltre di silenzio che dura mesi, poi il 26 gennaio 2016 il prefetto cambia idea: “Con riferimento alle commissioni d’accesso nei 4 comuni toccati dall’inchiesta del Mondo di mezzo, l’attività si è conclusa – spiega quel giorno in audizione in commissione Antimafia – su Sacrofano ci sono alcuni interventi su alcuni dirigenti. Non si è ritenuto di sciogliere nessuna delle assemblee dei 4 comuni”. Quali sono gli interventi? Vengono rimossi la responsabile dell’ufficio urbanistico e uno dei dirigenti dell’ufficio raccolta rifiuti. Provvedimenti ritenuti insufficienti da Rosy Bindi, presidente della Commissione Antimafia, che nella stessa sede avanza una richiesta precisa: Morlupo e Sacrofano “sono realtà che necessitano di un monitoraggio dal quale si possa prevedere la nomina di nuove commissioni d’accesso”. In particolare a Sacrofano “il monitoraggio deve esser particolarmente penetrante e potrebbe portare ad ulteriori approfondimenti“.
Solo 24 ore dopo, il 27 gennaio, il maresciallo capo del Ros Roberta Cipolla viene ascoltata come testimone nell’aula bunker del tribunale di Roma in cui si celebra il processo a Mafia Capitale. E fa da contraltare alle parole di Gabrielli confermando i legami tra Carminati e Luzzi: a fare da collante tra i due – spiega il maresciallo – è Giuseppe Ietto, imprenditore che il gip definisce “colluso” perché “partecipa all’associazione mettendo a disposizione le proprie imprese e attività economiche nel settore della ristorazione”. 
Detto l’ingegnere, Ietto aiuta Carminati a organizzare una cena di fine campagna elettorale per Luzzi. “Vonno fatto pesce, famo pesce, volemo fa’ de carne, famo de carne. (…) Per Tommaso la faccio de lusso”, spiegava il cecato a Gaglianone il 6 maggio 2013, due settimane prima della cena imbandita in piazza il 24 maggio, a due giorni dalle elezioni.
Passano altri due mesi di silenzio e il 15 marzo il ministro Alfano spiega in Antimafia: “E’ stato attivato su mia precisa indicazione, presso la prefettura di Roma, un gruppo di esperti per un costante monitoraggio dei comuni di S. Oreste, Sacrofano e Morlupo. Queste tre amministrazioni verranno controllate negli ambiti più sensibili fino al mese di dicembre prossimo e anche oltre, se sarà necessaria una proroga della misura”.
A Sacrofano nessuno sa nulla. “Qui non risulta – spiega aIlFattoQuotidiano.it Gianluigi Barone, consigliere comunale diSacrofano Progetto Comune – a noi non è stato comunicato l’insediamento né l’inizio dei lavori di alcun gruppo di esperti”. Altra singolarità: per Sant’Oreste e Morlupo i procedimenti erano stati dichiarati dallo stesso Viminale conclusi da tempo. Lo si legge sul sito del ministero, nell’apposita sezione, intitolata “Insussistenza dei presupposti per lo scioglimento degli enti locali per condizionamento mafioso, dove vengono pubblicati i decreti con i quali – in base all’articolo 143 del Testo Unico degli Enti Locali che regola l’iter di commissariamento – il ministero certifica la fine dei procedimenti: sul procedimento relativo a Sant’Oreste il Viminale aveva messo una pietra sopra l’11 novembre 2015, quello in carico al comune di Morlupo era stato dichiarato concluso il 28 ottobre
Per avere un’idea più chiara bisognerebbe leggere le relazioni della commissione d’accesso e del prefetto, ma non si può.  “Noi abbiamo chiesto di leggere la relazione del prefetto attraverso una richiesta di accesso agli atti – spiega ancora Barone – ma il 12 ottobre 2015 ci è stato risposto che il procedimento era ancora secretato perché in fase istruttoria”. Impossibile conoscere anche la data in cui la prefettura ha inviato la relazione al Viminale: alla nostra richiesta, il ministero ha risposto con il silenzio.
Il comma 5 dell’articolo 143, poi, prevede che in casi come questo “in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 (collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori, ndr) con decreto del Ministro dell’interno, su proposta del prefetto, è adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell’ente”. Ma il ministero non è obbligato a pubblicare il decreto e anche sulle motivazioni per le quali il Viminale ha deciso per il supplemento di indagine è sceso il silenzio. Morale della favola: a 15 mesi dallo scoppio di Mafia Capitale e a 14 mesi dall’avvio dell’iter di commissariamento per mafia, i sospetti non sono stati fugati e il sindaco di Sacrofano Tommaso Luzzi, indagato per associazione mafiosa, rimane al suo posto.
Eppure “la legge ha una logica ben precisa – spiega Giulio Marotta, responsabile dell’Osservatorio di Avviso Pubblico, la rete degli enti locali contro le mafie – quando ci sono dei gravi sospetti sull’esistenza di possibili infiltrazioni mafiose in un’amministrazione pubblica, bisogna prendere una decisione in tempi brevi“. “Il procedimento dell’art. 143 – continua Marotta – è estremamente scadenzato: la commissione di accesso ha tre mesi, rinnovabili per altri tre mesi, per indagare e inviare la sua relazione al prefetto; quest’ultimo ha 45 giorni per inviare la sua relazione al ministero; il governo poi ha 3 mesi per decidere, qualunque sia la decisione finale, scioglimento oppure archiviazione. Lo scopo della legge è chiaro: occorre acquisire celermente tutti gli elementi utili e poi informare l’opinione pubblica e gli elettori sulle responsabilità accertate e su tutte le misure utili a ripristinare la legalità, evitando che un’amministrazione su cui pende un sospetto di infiltrazione mafiosa rimanga sottoposta a tale sospetto troppo a lungo“. Troppo tardi.
SACROFANO, LA TERRAZZA DALLA QUALE CARMINATI COMANDAVA SU ROMA
I pm di Roma non hanno dubbi: Sacrofano era il quartier generale della cupola. Lì, in via Monte Cappelletto 12, c’è la villa in cui viveva Carminati; lì ha la sua ditta Agostino Gaglianone, costruttore, braccio operativo del Nero nel settore del mattone, arrestato pure lui per associazione di stampo mafioso; lì viveva Riccardo Brugia, braccio militare del sodalizio; lì è domiciliato anche Cristiano Guarnera, altro ras del cemento cui la Guardia di Finanza ha sequestrato beni per 100 milioni di euro. Ma fino al 30 novembre 2014 era stato un paesino come tanti. Tutto cambiò quella mattina, quando i carabinieri bloccarono una Smart in una stradina di campagna e fecero scendere l’uomo alla guida: per una volta impaurito, Carminati, uno dei quattro re di Roma, alzò le mani e scese dalla macchina. Quel giorno si cominciò a capire che Sacrofano, 7mila abitanti sulla via Flaminia, era la terrazza dalla quale l’imperatore comandava su Roma.
Per comandare servono i luogotenenti. Nel 2013 Tommaso Luzzi è presidente e amministratore delegato di Astral, società che gestisce la viabilità della regione Lazio. A gennaio i rapporti con la cupola si fanno più stretti, quando Salvatore Buzzi fa assumere nelle sue cooperative alcune persone di Sacrofano su richiesta del sindaco. Risultato: “6 segnalati, 4 assunti, 1 ha rinunciato, 1 inadeguata”. Ben presto a Carminati serve che Luzzi diventi sindaco a Sacrofano. Così si mette a disposizione per organizzare con Gaglianone una bella cena di fine campagna elettorale: “Tu metti il locale, io metto il catering“. “Perché Tommaso a me – raccontava Carminati al figlio Andrea il 4 maggio 2013 in un bar di Vigna Stelluti – me serve lì in zona da noi come sindaco”. “La settimana prossima – continua – vieni a cena con me. Quella sera verrà forse anche Gramazio. Luca c’ha trent’anni e fa il capogruppo alla Regione. Il padre è senatore”.
Il trentenne è Luca Gramazio, figlio del senatore Domenico: alla Pisana è capogruppo del Pdl. “Gramazio aveva sostenuto la candidatura a sindaco del Luzzi – si legge nell’ordinanza del dicembre 2014 – ma la politica amministrativa del sindaco di Sacrofano appariva, nelle parole dei sodali, ampiamente vincolata alle decisioni intraprese dall’organizzazione”. Cosa spingeva Luzzi, effettivamente eletto il 27 maggio 2013, a obbedire a Carminati? “Gramazio – continuano gli inquirenti – in Consiglio regionale era anche membro della Commissione Bilancio, pertanto, nelle condizioni di influire sulla disposizione di fondi da assegnare agli enti localiUna “capacità coercitiva dell’organizzazione” esemplificata come meglio non si potrebbe dallo stesso Carminati: Luzzi “non può fare nulla – domanda in via retorica il boss a Gaglianone il 18 aprile 2014 – perché i soldi vengono dalla Regione, se lui non fa quello che dimo noi, Luca (Gramazio, ndrgli blocca tutto“.
LUZZI, LE RADICI NELLA DESTRA ROMANA E IL GRUPPO STORICO DI ALLEANZA NAZIONALE
Un humus politico e umano, quello della destra romana, in cui si muovono diversi protagonisti dell’inchiesta di Mafia Capitale – da Gianni Alemanno a Carlo Pucci, fino a Luca Gramazio – figlio del senatore Domenico cui Luzzi è “da sempre al fianco“, si legge sul sito del comune di Sacrofano – a processo per associazione mafiosa. “Il 19 ottobre 2015 Luzzi ha organizzato una manifestazione a sostegno dell’amministrazione comunale – continua Barone – da Roma sono venuti il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri e il senatore Domenico Gramazio, padre di Luca”. Amici “di tante battaglie”, come scriveva Gasparri in un tweet del 24 maggio 2013, il giorno della cena organizzata da Carminati e 3 giorni prima che Luzzi venisse eletto sindaco, in una manifestazione a sostegno dell’amico. Un’amicizia pluridecennale, un rapporto che si perde nella storia della destra romana per Luzzi, che vanta un passato illustre nel Movimento Sociale Italiano: dal 1975 al 2001, segretario politico (“il più giovane d’Italia”) del circolo Appio Latino Metronio, prima sede nella capitale del Msi dal 1947, poi membro del gruppo storico di Alleanza Nazionale con i vari Gianfranco Fini, Francesco Storace, Domenico Gramazio, Altero Matteoli, lo stesso Gasparri. E poi una vita nel consiglio della Regione Lazio, di cui diventerà vice-presidente, sotto le insegne di An.
IL COMMISSARIAMENTO? UNA QUESTIONE POLITICA
Diversi i  processi nel curriculum di Luzzi, da ultimo lo scandalo Mafia Capitale. “Perché rimuovere due dirigenti non indagati e lasciare al suo posto il sindaco indagato?”, domanda ancora Barone. La questione è di natura politica: secondo il comma 7 dell’articolo 143 del Tuel, “nel caso in cui non sussistano i presupposti per lo scioglimento o l’adozione di altri provvedimenti di cui al comma 5, il Ministro dell’interno, entro tre mesi dalla trasmissione della relazione del prefetto, emana comunque un decreto di conclusione del procedimento in cui dà conto degli esiti dell’attività di accertamento”. Cosa che il Viminale non ha fatto, perché il procedimento non è concluso.
Quindi il ministero si trova di fronte a due alternative, entrambe così rischiose da dover essere evitate: “Se il governo commissaria Sacrofano – conclude Barone – e quindi stabilisce che nel paese regno di Carminati c’è un sodalizio mafioso, saranno in molti quelli che si domanderanno per quale motivo l’assemblea comunale di Roma non è stata sciolta, come ha già fatto lo stesso Luzzi. D’altra parte, mettere nero su bianco che a Sacrofano la mafia non c’è e che tutto è stato risolto con la rimozione di due dirigenti è pericoloso per Alfano: se, infatti, Carminati e soci venissero condannati nel processo, il ministro verrebbe sbugiardato. Meglio quindi lasciare tutto a bagnomaria”. Ovvero non fare nulla, rimandare ogni intervento e attendere l’esito del processo.

Italiani uccisi in Zimbabwe. - Walter Caporale



Eccoli i due ITALIANI ASSASSINI UCCISI OGGI IN ZIMBABWE. Ed io dovrei piangere per la loro morte??? Comunicato Stampa - ZIMBABWE: UCCISI DUE CACCIATORI PROFESSIONISTI ITALIANI. VIVEVANO IN ZIMBABWE PER UCCIDERE ANIMALI E GUIDARE SAFARI. - 

Roma, 14 marzo 2016. Lo Zimbabwe è uno dei meravigliosi Paesi Africani dove da anni, purtroppo, per far fronte alla crisi economica, cacciatori assassini europei ed americani pagano circa 500 euro al giorno per uccidere, legalmente, animali protetti in altre zone ed in via di estinzione: leoni, elefanti, rinoceronti, giraffe, bufali...

Claudio Chiarelli si era trasferito da decenni in Africa per seguire le sue due grandi passioni: la caccia e la natura. 
Insieme al figlio, anche lui cacciatore, erano diventati Guide Safari e per cacciatori. " La morte dei due cacciatori italiani non mi sorprende:" dichiara Walter Caporale, Presidente degli Animalisti Italiani Onlus - chi semina vento raccoglie tempesta. 
Ci dicono che i due cacciatori sono stati uccisi durante una azione contro i bracconieri. Io frequento l'Africa da molti anni e posso garantire che purtroppo la corruzione è capillare e diffusissima e che tutti - italiani e locali - accettano soldi per la caccia anche di frodo. 
Le stesse Guardie dei Parchi, pagate in genere dai 100 ai 300 euro massimo al mese, sono le prime ad essere disponibili per i cacciatori italiani ed occidentali, anche per la loro profonda conoscenza degli animali e del territorio. 
Dunque: nè santi nè eroi nè profeti. I due cacciatori italiani sono morti perché avevano scelto di vivere in Zimbabwe e di dedicare la loro vita alla caccia ad animali selvatici e selvaggi. 
Del resto, Claudio e Massimiliano sono stati uccisi nelle stesse zone in cui Walter Palmer, il criminale dentista americano ammazzó nei mesi scorsi, oltre ad altre centinaia di elefanti e giraffe, il leone Cecil. 
In Africa tutti fingono di combattere il bracconaggio, e magari ogni tanto lo fanno anche per coprire le apparenze: dopodiché il 90% delle stesse persone che va a caccia, accetta soldi dai turisti occidentali che vogliono provare l'ebbrezza criminale, immorale, vile ed ignobile di uccidere un leone o un elefante".








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