Chef pentastellato...
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
martedì 22 agosto 2023
domenica 13 agosto 2023
Uno strano uccello in metallo emerge da una villa romana. - Angelo Petrone
"Un piccolo corvo con un seme nel becco è stato scoperto, in maniera del tutto fortuita, in un’antica fattoria tardo romana nel Suffolk, in Inghilterra. Ad annunciarlo è la Pre-Construct Archaeology Ltd PCA, una compagnia che si occupa di archeologia soprattutto agli scavi archeologici preventivi. Reperti simili spesso mostrano l’uccello su un globo con un buco nella base, suggerendo che fossero dei puntali. Il contesto indica la presenza di un legame religioso, perché è stato scoperto accanto ad altri elementi metallici indicando che questa area del sito avesse una destinazione differente rispetto alla parte restante della fattoria.
E’ ancora presto per indicare la struttura come un vero e proprio santuario perché è necessario ancora comprendere l’insieme, ma quell’area della casa romana ha un uso ”particolare” e ben distinto dal resto della struttura. ”L’analisi dei frammenti scoperti potrebbe consentirci di comprendere le pratiche e le credenze religiose nell’epoca tarda romana. Siamo felici di portare alla luce i segreti di questa struttura” – spiegano gli esperti. Ora l’obbiettivo degli archeologi è stabilire che significato avesse quella figura nella religiosità romana. Il corvo potrebbe aver svolto un ruolo nella religiosità cristiana? Non bisogna trascurare, infatti, che il profeta Elia venne aiutato proprio da un corvo.
mercoledì 19 aprile 2023
Il Pd si astiene nel voto per fermare l’inceneritore di Roma. - Giulio Cavalli
Domani in Parlamento il Pd si asterrà sugli ordini del giorno di M5S e Verdi-Sinistra per bloccare l'inceneritore della Capitale.
mercoledì 22 dicembre 2021
Lo Voi, chi è il magistrato in pole per la procura di Roma: la nomina a Palermo (dopo lettera del Colle) e il sostegno trasversale per la Capitale. - Giuseppe Pipitone
Chi è il magistrato che il plenum nominerà al vertice dell'ufficio inquirente capitolino. Silenzioso e affidabile, avveduto e felpato, moderato ed equilibrista, il procuratore siciliano è sempre stato capace di raccogliere un gradimento bipartisan: negli anni è stato apprezzato da Giorgio Napolitano (che nel 2014 intervenne su Palazzo dei Marescialli, agevolandone la nomina a Palermo) a Silvio Berlusconi, che lo indicò come membro italiano a Eurojust. Più complesso il rapporto con Salvini, che ha fatto rinviare a giudizio per il caso Open Arms: i due furono fotografati insieme mentre si salutano a una cena romana.
Per Francesco Lo Voi il 22 dicembre rischia di essere un giorno magico. Un Natale anticipato da festeggiare ogni anno. E non solo perché è in questa data che il plenum del Consiglio superiore della magistratura formalizzerà la sua nomina al vertice della procura di Roma, salvo colpi di scena. Nel 2014 Giorgio Napolitano scelse proprio il 22 dicembre per firmare decreto di possesso anticipato che aveva consentito a Lo Voi d’insediarsi a tempo record al vertice della procura di Palermo: una scelta che all’epoca qualcuno interpretò come un modo per sopire sul nascere le polemiche su un’elezione contestata. Sette anni dopo pure la vittoria di Lo Voi nella corsa alla guida della procura di Roma è tutt’altro che estranea alle lotte intestine interne al mondo delle toghe. La successione di Giuseppe Pignatone, che di Lo Voi è amico e in un certo senso maestro, ha avuto un ruolo centrale nel terremoto che ha scosso il mondo della magistratura. Anzi per qualcuno la causa scatenante della faida che ha lacerato il mondo della toghe è rappresentata proprio dalla corsa alla guida della procura di Roma: titolato a indagare sulla maggior parte dei reati contestati ai politici, l’ex “porto delle nebbie” è l’ufficio inquirente più delicato del Paese.
La corsa alla procura di Roma – In questo senso l’elezione di Lo Voi sembra un remake di quanto accaduto nel 2014. All’epoca la procura che maggiormente impensieriva i palazzi romani era quella di Palermo. L’inchiesta sulla cosiddetta Trattativa tra pezzi delle Istituzioni e Cosa nostra aveva portato a un violento scontro tra i magistrati siciliani e il Quirinale: Giorgio Napolitano era arrivato a sollevare un conflitto d’attribuzione davanti alla Consulta per ottenere la distruzione delle intercettazioni con Nicola Mancino. E proprio un irrituale intevento del Colle aveva spianato la strada della procura di Palermo a Lo Voi, che all’epoca era il più giovane e inesperto dei candidati alla guida dell’ufficio inquirente siciliano. E che invece alla fine riuscì nell’impresa di torna a Palermo da procuratore capo. Questa volta, invece, l’elezione a Roma chiude un iter accidentato cominciato nella primavera del 2019. Prima l’inchiesta su Luca Palamara aveva azzoppato la corsa di Marcello Viola, procuratore generale di Firenze (ma siciliano come Pignatone e Lo Voi) che fino a quel momento era il favorito. Poi, dopo lo scoppio dello scandalo sulle nomine, Palazzo dei Marescialli aveva optato per Michele Prestipino, ex procuratore aggiunto pure lui fedelissimo di Pignatone, scelto per guidare la procura di piazzale Clodio. Un regno breve, visto che quella nomina è stata annullata dal Tar e dal Consiglio di Stato. È in questo modo che Lo Voi è tornato prepotentemente in corsa a due anni e mezzo dal pensionamento di Pignatone.
Da Napolitano a Berlusconi: un magistrato trasversale – Si può dire che il magistrato siciliano è uno che sa aspettare il suo momento senza farsi influenzare da polemiche e veleni. E soprattutto senza fare rumore. Silenzioso e affidabile, avveduto e felpato, moderato ed equilibrista, Lo Voi è sempre stato capace di raccogliere un gradimento bipartisan: negli anni è stato apprezzato da Napolitano e da Matteo Renzi ma pure da Silvio Berlusconi, che lo indicò come membro italiano a Eurojust. D’altra parte già nel 2014 la sua candidatura a procuratore di Palermo era stata appoggiata al Csm da Maria Elisabetta Alberti Casellati, in quel momento membro laico in quota Forza Italia e oggi presidente del Senato. Più complicato il rapporto con Matteo Salvini: nel 2019 i giornali avevano pubblicato la foto che immortalavano il leader della Lega mentre salutava affettuosamente il magistrato siciliano durante un evento all’interno di un ristorante romano. Nell’aprile scorso, però, la procura guidata da Lo Voi ha ottenuto il rinvio a giudizio dell’ex ministro dell’Interno per il caso Open Arms. Questa capacità di ottenere un consenso trasversale ha portato Lo Voi a ottenere voti provenienti da tutte le correnti già in commissione: dopo il precedente della Casellati, anche questa volta il suo nome è stato proposto dal consigliere laico di Forza Italia, Alessio Lanzi. A votarlo Alessia Dal Moro, consigliera togata di Area, la corrente progressita delle toghe, il moderato di Unicost Michele Ciambellini, il presidente della commissione Antonio D’Amato, esponente di Magistratura Indipendente, la componente più conservatrice della quale fa parte lo stesso Lo Voi.
Il no al processo Andreotti e il saluto a Salvini (suo indagato) – Nato a Palermo nel 1957, in magistratura dal 1981, Lo Voi era pm in Sicilia già ai tempi di Giovanni Falcone, del quale si è sempre professato amico. Resta sostituto procuratore anche durante la stagione di Gian Carlo Caselli, negli anni Novanta, quando si occupa di mafia militare, contribuendo all’arresto e alla condanna all’ergastolo di centinaia di boss, da Totò Riina a Leoluca Bagarella. Quindi passa alla procura generale: in molti a Palermo ricordano quando da sostituto pg rifiutò di rappresentare la pubblica accusa nel processo d’appello a Giulio Andreotti. Indelebile, nella memoria di alcuni colleghi palermitani, anche il suo rifiuto, nei giorni immediatamente successivi alla strage di via d’Amelio, a schierarsi con gli 8 pm che si erano dimessi in polemica con il procuratore Pietro Giammanco, principale oppositore di Paolo Borsellino. Dopo l’esperienza da sostituto pg, l’approdo al Csm come membro togato: nel 2006 a Palazzo dei Marescialli appoggiò Piero Grasso nella contestatissima corsa alla procura nazionale Antimafia contro Caselli, quindi votò Pignatone come nuovo procuratore capo di Palermo. Finito il mandato a Palazzo dei Marescialli vola all’estero: il governo Berlusconi, su indicazione di Angelino Alfano, lo sceglie per rappresentare l’Italia all’interno di Eurojust.
La nomina a Palermo dopo le lettere del Quirinale – È da lì che la carriera di Lo Voi spicca il volo. Da L’Aja il magistrato invia la sua candidatura alla guida della procura di Palermo. All’inizio sembrava non avere possibilità. Per prendere il posto di Francesco Messineo, infatti, al Csm erano arrivate le candidature di due magistrati più esperti: quella dell’allora procuratore di Messina, Guido Lo Forte, e quella dell’ex capo dell’ufficio inquirente di Caltanissetta, Sergio Lari. Sono più anziani di Lo Voi, che all’epoca non aveva ancora mai diretto un ufficio giudiziario. E infatti nell’estate del 2014 la commissione incarichi direttivi del Csm indica Lo Forte come candidato favorito. Dal Quirinale, però, era arrivata una lettera, che ordinava a Palazzo dei Marescialli di procedere con maggiore urgenza alla nomina degli incarichi vacanti da più tempo. La missiva era firmata dal segretario generale del Colle, Donato Marra, che aveva appena testimoniato a Palermo davanti alla corte d’assise che celebrava il processo sulla Trattativa. Il risultato è stato l’azzeramento del vantaggio di Lo Forte, il rinvio della nomina al nuovo plenum – rinnovato dopo le elezioni – e la consecutiva vittoria di Lo Voi. Che aveva provocato roventi polemiche. “Lo Voi? Aveva meno titoli e meno anzianità degli altri: e infatti ha vinto”, commentò sarcastico l’ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. “Perché ha vinto? – continuava l’ex pm – Perché al Csm contano di più le regole della politica rispetto a quelle del diritto”.
Palamara e la colazione di Pignatone – Anni dopo a spiegare che tipo di logiche si erano mosse dietro alla nomina di Lo Voi sarà Palamara, l’ormai ex pm al centro dell’indagine che ha terremotato il mondo della magistratura. Davanti alla commissione Antimafia, Palamara ha spiegato che Lo Forte “era considerato un magistrato sostenitore dell’inchiesta sulla Trattativa Stato-mafia, che come noto lambiva, per usare un eufemismo, il Quirinale”. Lo Voi, invece, “veniva ritenuto uno con un atteggiamento più morbido” nei confronti della medesima inchiesta. Dopo la vittoria di Lo Voi sia Lo Forte che Lari si opposero, facendo ricorso al Tar. E il tribunale amministrativo diede loro ragione, annullando l’elezione del procuratore capo di Palermo: una decisione che però venne poi ribaltata dal Consiglio di Stato alcuni mesi dopo. Nei giorni precedenti a quella sentenza, Palamara ha sostenuto di aver ospitato a casa sua un incontro a colazione tra Pignatone – grande sponsor di Lo Voi – e Riccardo Virgilio, presidente della sezione di Palazzo Spada che aveva in mano quel fascicolo. “Interloquirono tra di loro, ma io non ero presente a quel discorso. I fatti poi sono andati come sappiamo: il Consiglio di Stato ha ritenuto legittima la nomina di Lo Voi“. Sempre a Palazzo San Macuto, l’ex magistrato ha ricordato come nei mesi successivi sia Virgilio che Nicola Russo, il giudice relatore della sentenza favorevole a Lo Voi, finirono sotto inchiesta per corruzione in atti giudiziari. L’accusa era quella di aver “venduto” alcune sentenze del Consiglio di Stato. Le contestazioni, però, non riguardavano in alcun modo la decisione che ha blindato Lo Voi al vertice della procura di Palermo. Sette anni dopo il magistrato siciliano è pronto a incassare un nuova promozione. E’ anche questa volta è il 22 di dicembre.
giovedì 4 novembre 2021
Cose dell'altro mondo.
Questo signore, tale Stefano Puzzer, autoproclamatosi leader dei portuali triestini non vax e no pass, dopo il flop della manifestazione di Trieste, conclusasi con un dilagare dell'epidemia, decide di recarsi a Roma e, seduto su una panchina di Piazza del Popolo, inizia la sua manifestazione personale, durante la quale pretende di essere ricevuto dal Papa, da Draghi e da chissà quale altro personaggio di spicco.
Naturalmente, con il suo comportamento oltranzista, ha solo suscitato l'interesse della polizia, che lo ha prelevato, portato in caserma con l'accusa di manifestazione non autorizzata e gli ha rilasciato un foglio di via con il divieto di mettere piede in Roma per un anno, pena l'arresto immediato.
Io gli avrei anche addebitato il costo delle spese sanitarie che lo Stato, ahimè noi, dovremo, spendere per curare tutti gli infettati durante la manifestazione triestina, oltre all'obbligo di frequentare un corso di apertura mentale che lo aiuti a comprendere i rudimenti della medicina che tratta gli interventi da adottare nel caso si verificasse un'epidemia virale.
Questa gente va istruita, va seguita, l'ignoranza produce menti bacate, insulse, a volte dannose, il cui unico interesse è mettersi in mostra, rendersi visibile, non importa come e con quale motivazione, ne abbiamo tanti in Italia che adottano questo sballatissimo sistema, per poi approdare in politica e provocare danni, a volte, irreparabili.
cetta
lunedì 16 agosto 2021
Il Fisco punta a recuperare 12,6 miliardi dall’evasione. - Marco Mobili e Giovanni Parente
Si punta a ridurre il tax gap del 5% nel 2023 e poi del 15% nel 2024. Per centrare l'obiettivo digitalizzazione e impulso alla compliance, portando a 2,8 miliardi il gettito da autocorrezioni.
Lo schema è chiaro e l’ex capo di gabinetto del Mef e ora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio lo ha ricordato al ministro dell’Economia Daniele Franco: potenziare l'infrastruttura informatica per semplificare gli adempimenti dei contribuenti ma soprattutto ridurre la distanza tra quanto dovrebbe entrare nelle casse dello Stato e quanto realmente i contribuenti versano come imposte. E quest’ultimo obiettivo è già cifrato: nel 2023 il tax gap dovrà essere ridotto del 5% rispetto al gap del 2019. A conti fatti si tratta di poco più di 4 miliardi di euro che però diventano più di 12 miliardi con la riduzione a regime del 15% del tax gap nel 2024.
Si tratta per altro di una somma al ribasso perché, come scrive Roberto Garofoli nell’allegato alla breve missiva sui target che ogni amministrazione dovrà centrare in nome del Pnrr, la differenza tra incassato e dovuto riferito al 2019 non deve tener conto del differenziale su accise e imposte sul mattone, come può essere l’Imu.
Centrare l’obiettivo di riduzione del tax gap vuol dire comunque recuperare in modo strutturale risorse che fino a oggi alimentano soltanto il sommerso. Una risultato ambizioso che, secondo le indicazioni inviate al Mef, potrà essere centrato seguendo soprattutto due direttrici principali. Da una parte il potenziamento della compliance ovvero dell’adempimento spontaneo del contribuente invitato a chiarire eventuali posizioni incongruenti tra quanto dichiarato e quanto effettivamente versato al fisco. La seconda linea d’azione è il completamento del processo di pseudonimizzazione e analisi dei big data per potenziare le analisi di rischio nella selezione dei soggetti da sottoporre a controllo.
Sotto il primo fronte c’è una progressione molto chiara segnalata nella lettera di Garofoli, che punta a obiettivi non solo quantitativi ma anche qualitativi. Il primo traguardo è fissato a fine 2022: aumentare del 20% il numero degli alert inviati ai contribuenti e del 15% il gettito. In entrambi i casi la “maggiorazione” va rapportata all’ultimo anno prima della pandemia (2019) e quindi dovrebbe tradursi, rispettivamente, in quasi 2,6 milioni di lettere e 2,5 miliardi di recupero. Ma - e questo è il target qualitativo - va ridotto di almeno il 5% il numero di falsi positivi. In pratica l’utilizzo dei database deve puntare sempre più a comunicazioni mirate, ossia dirette a contribuenti per i quali vi siano davvero situazioni di anomalia. Il secondo traguardo, invece, è fissato a fine 2024 con il numero di lettere da aumentare del 40% e il gettito del 30 % sempre rispetto al risultato 2019. A conti fatti significa puntare a quasi 3 milioni di lettere e a 2,8 miliardi di gettito aggiuntivo. E nell’ottica di accompagnamento alla compliance va letta anche la strada già intrapresa della precompilata Iva. A settembre c’è il primo appuntamento con i registri precompilati, ma bisogna arrivare anche alla dichiarazione che però partirà dalle operazioni 2022 e quindi arriverà a partire dal 10 febbraio 2023. Il tutto interesserà un numero molto elevato di imprese e professionisti: 2,3 milioni di partite Iva.
Come anticipato, la seconda linea d’azione punta a mettere finalmente a punto la pseudoanonimizzazione dei dati, prevista dalla legge di Bilancio 2020. L’idea è di utilizzare il patrimonio informativo dell’amministrazione per costruire dei modelli di rischio evasione attraverso dei dati preventivamente anonimizzati. Da lì, poi, si potrebbe calare nella realtà gli indici di rischio e procedere alla fase dei controlli sui soggetti ritenuti più pericolosi. La messa a punto - vista la delicatezza delle informazioni trattate - richiede di trovare una quadra con il Garante della Privacy. Dopo di che, si tratterà di sviluppare i modelli informatici. Ma ora la raccomandazione di Garofoli potrebbe accelerare i tempi.
IlSole24Ore
lunedì 14 giugno 2021
Roma, sparatoria al parco ad Ardea: uccisi un anziano e due bambini. Aggressore barricato in un appartamento.
Un anziano e due bambini di 5 e 10 anni sono morti dopo essere stati feriti da un aggressore in un parco pubblico in via degli Astri a Colle Romito, consorzio residenziale di Ardea, un piccolo centro sul litorale a sud di Roma. Da quanto emerso sembra che intorno alle 11 di domenica mattina un uomo di 34 anni con dei problemi psichici abbia sparato ai tre, si sia allontanato e poi si sia barricato in un appartamento dove è arrivato un negoziatore. Ignoti i motivi degli spari.
“Pare che il tutto sia nato da una futile lite“, ha detto all’Ansa il sindaco di Ardea Mario Savarese intervenuto sul posto spiegando che “tutte le persone coinvolte sono residenti del consorzio, compresa la persona che ha sparato. Ho fornito tutte le indicazioni necessarie ai carabinieri, spero che venga preso al più presto”. Al momento non risulta alcun legame tra le tre vittime e l’omicida. I due bambini erano fratelli.
I carabinieri della compagnia di Anzio e Pomezia sono intervenuti in seguito a numerose segnalazioni e sono scattate le ricerche dell’aggressore, finché non hanno individuato l’uomo. I feriti erano stati soccorsi dal 118 e anche da un elisoccorso.
“Ho ricevuto ora una telefonata che non avrei mai voluto avere, il Direttore Sanitario dell’Ares 118 mi ha appena comunicato che i medici soccorritori stanno facendo la constatazione di decesso per entrambi i bambini. Il primo a non farcela è stato il più piccolo, poi purtroppo è mancato anche il secondo bambino – ha scritto in una nota l’Assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato -. Gli operatori intervenuti sul posto hanno impiegato tutti gli sforzi possibili per salvare le vittime con ripetuti tentativi di rianimazione, ma la situazione è apparsa fin da subito compromessa. Sono profondamente scosso per l’accaduto ed esprimo tutto il mio rammarico e le più sentite condoglianze ai familiari e all’intera comunità di Ardea che oggi vive un terribile lutto per questa tragedia”.
ILFQ
venerdì 7 maggio 2021
Bertolaso e Albertini mollano Salvini e lui se la prende con FdI: “Troppi no”. - Lorenzo Giarelli
Leghista suonato - Matteo scaricato dai suoi candidati a Roma e a Milano: destra spaccata.
La campagna elettorale deve ancora iniziare, ma per Matteo Salvini le Amministrative di ottobre sono già un grosso problema. In barba al solito ottimismo sbandierato a favor di telecamera, il leghista ha impiegato sei mesi per trovare i candidati per Roma e Milano, li ha strombazzati come cavalli vincenti e poi è finito per essere sbugiardato da entrambi.
È successo con Guido Bertolaso per la Capitale ed è successo ieri a Milano con Gabriele Albertini, il cui no alla corsa per sfidare Beppe Sala ha aperto l’ennesima frattura pubblica nel centrodestra. Con tanto di smacco personale a Matteo, che ora se la prende con gli alleati per aver “fatto perdere la pazienza” ai suoi candidati, provocandone la fuga.
Ufficialmente, Albertini decide di farsi da parte per motivi familiari. Scrive una lettera a Libero ringraziando per i tanti messaggi di sostegno, assicura che stava “per cedere e dire sì” ma che poi si è fermato: “Non potevo infliggere un disagio a mia moglie. Preferisco sperare di trascorrere con la mia famiglia, finché ci sarà salute, l’ultimo ottavo di vita media”. E nell’uscire dal pressing, Albertini butta lì pure che se avesse vinto avrebbe chiesto a Sala “di entrare in giunta come vicesindaco”, gesto di rispetto per l’avversario ma anche ecumenico segnale per una Milano pronta “alla primavera” dopo “l’inverno della pandemia”.
Tante belle parole di cui Salvini non sa però che farsene, visto che pochi giorni fa anche Bertolaso si è sfilato da Roma lasciandolo col cerino in mano: “Ringrazio chi mi vuole sindaco nella Capitale – la versione del factotum dell’emergenza lombarda – ma cerchino qualcun altro”. E allora il leader leghista – che peraltro aveva scelto due nomi fuori dal suo partito – fiuta la disfatta e si agita, tirando in mezzo Fratelli d’Italia e Forza Italia: “Sono mesi che cerco di costruire e unire il centrodestra in vista delle amministrative. A Roma e Milano avevamo i candidati giusti, ma altri hanno detto no per settimane e mesi e loro hanno perso la pazienza”.
In effetti i passi indietro di Albertini e Bertolaso sono attribuibili solo in parte a ragioni personali, ma molto più alle crepe interne alla coalizione. Il problema è che FdI, a sua volta, scarica le responsabilità su Salvini, che da tempo rimanda il famoso “tavolo” del centrodestra in cui dovrebbero essere definite tutte le principali candidature alle Amministrative, per paura che la trattativa coinvolga vicende molto più nazionali (su tutte: la presidenza del Copasir contesa proprio da Lega e Fratelli d’Italia).
Ed è questo che Daniela Santanchè, riferimento milanese del partito di Giorgia Meloni, rinfaccia al leghista: “Il fatto che Salvini non abbia ancora convocato il tavolo del centrodestra ha determinato la decisione di Albertini. Quando non si hanno risposte e si vive senza sapere poi succede che un candidato si ritiri”.
Non basta allora il nome di Maurizio Lupi, indicato ora come il favorito per sfidare Sala, a calmare i malumori della destra. La lacerazione è molto più profonda e rischia non solo di ritardare la scelta dei candidati su Milano e Roma, ma persino di compromettere l’intesa altrove. A Napoli, per esempio, Giorgia Meloni potrebbe andare da sola sostenendo l’avvocato Sergio Rastelli (figlio di Antonio, ex governatore della Campania dal 1995 al 1999) e lasciando gli alleati al loro destino con Catello Maresca, sperando poi di arrivare al ballottaggio da una posizione di forza.
Uno sgarbo non da poco che potrebbe replicarsi in altre città dove l’accordo è ancora in alto mare, come Salerno o Bologna. Non c’è da stupirsi allora che di questo quadro fracassato, a taccuini chiusi, un big del centrodestra dia una sintesi simile a un epitaffio: “Non esiste più una coalizione”. Figurarsi se possono esistere i candidati.
ILFQ
sabato 19 dicembre 2020
L'Imperatore sfida il Covid, a Roma riapre il Mausoleo di Augusto.
Raggi: "E' un messaggio di speranza". Visite guidate fino al 21 aprile.
ROMA - Dopo 14 anni riapre al pubblico il Mausoleo di Augusto. Al termine di un lungo progetto di recupero e restauro, una delle più imponenti opere architettoniche della romanità e il più grande sepolcro circolare del mondo antico sarà nuovamente accessibile ai visitatori dal 1° marzo. "Dopo 14 anni riapre al mondo questo monumento unico. È un momento storico - ha detto la sindaca Virginia Raggi -. A pochi giorni dal Natale facciamo un regalo ai romani e ai cittadini di tutto il mondo. Un capolavoro dell'antica Roma, un tesoro di inestimabile valore che rinasce in tutto il suo splendore. Un obiettivo raggiunto grazie a un proficuo lavoro di squadra, soprattutto, grazie al sostegno e all'atto di mecenatismo della Fondazione Tim. Una testimonianza significativa dell'efficacia e della lungimiranza della collaborazione tra pubblico e privato" ha proseguito.
Una riapertura, in tempi di Covid, che la sindaca ha definito «un messaggio di speranza». «Dal 1° marzo fino al 21 aprile, Natale di Roma, la visita sarà gratuita per tutti - ha detto Raggi - e per tutto il 2021 sarà gratis per i romani. È un regalo che faccio ai miei concittadini». Dal 21 dicembre sarà aperto il sito per le prenotazioni e «potremo organizzare le visite nel rispetto delle norme Covid».
Dopo la prima fase di restauro conservativo terminata nel 2019 e realizzata attraverso un finanziamento pubblico di 4.275.000 euro (di cui 2 milioni versati dal Mibact e 2.275.000 da Roma Capitale), è attualmente in corso la fase di valorizzazione del monumento, finanziata dalla Fondazione TIM con un atto di mecenatismo. I lavori, diretti dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, permetteranno di realizzare un itinerario che racconterà le varie fasi storiche del Mausoleo, affiancato da un percorso senza barriere architettoniche, in concomitanza con i lavori di sistemazione di Piazza Augusto Imperatore, avviati a maggio. E per quanto riguarda gli interventi sulla piazza la sindaca ha spiegato: "contemporaneamente al recupero della parte monumentale procediamo a spostare il capolinea dei bus e alla progressiva pedonalizzazione della piazza per valorizzarlo e dare l'importanza che merita".
A presentare l'intervento di recupero e restauro del Mausoleo di Augusto, assieme alla prima cittadina, il Presidente della Fondazione TIM Salvatore Rossi, il Vicesindaco di Roma con delega alla Crescita culturale Luca Bergamo, la Soprintendente speciale di Roma Daniela Porro e la Sovrintendente Capitolina Maria Vittoria Marini Clarelli. "In primavera, grazie alla collaborazione tra Fondazione TIM e Sovrintendenza, i visitatori potranno inoltre navigare attraverso la storia del Mausoleo grazie alle possibilità offerte dalle tecnologie multimediali" ha detto il vicesindaco aggiungendo: "l'apertura del Mausoleo ha un significato ancora ulteriore perché si collega all'impegno della Sovrintendenza grazie a cui sono partiti i lavori nella piazza Augusto Imperatore, che dovrebbero concludersi per questa prima fase a dicembre 2021".
giovedì 15 ottobre 2020
Orgasmi&ganasce. - Marco Travaglio
Per la prima volta, ho provato sentimenti di umana pietà per Monica Cirrinnà. È stato quando ho letto sul sito di Repubblica che “Calenda schiaccia gli altri candidati nella corsa per il Campidoglio”. Il pensiero dell’esile deputata pidina che stramazza al suolo esanime sotto il peso del corpulento leader di Azione mi ha fatto riflettere sulle dure e impietose leggi della politica e sull’esigenza di porvi qualche limite di cristiana misericordia o di laica solidarietà. Anche perché le primarie romane del centrosinistra sono talmente affollate che non ci si meraviglierebbe di veder piovere dal cielo pure Mario Adinolfi. E lì sarebbero cavoli amari per tutti, non solo per la Cirinnà. Ma almeno si smetterebbe di chiamarle “le primarie dei sette nani”. Per fortuna, al momento, di schiacciante c’è solo la maggioranza dei giornaloni e dei retrostanti padroni del vapore che fanno il tifo per Calenda ancor prima che si candidi a sindaco. Anzi, più che un tifo, è una serie di orgasmi multipli a mezzo stampa, pari a quelli che si registravano ai tempi del Giubileo, dei Mondiali di Nuoto e delle candidature olimpiche (fortunatamente sventate da Monti e dalla Raggi). Con una particolarità: invece dei tradizionali sospiri e gridolini di piacere, gli orgasmi capitolini hanno come colonna sonora un sinistro rumore di ganasce, che va da Repubblica degli Agnelli-Elkann al Messaggero di Caltagirone. Per la serie: daje che se rimagna.
Repubblica spaccia per “sondaggio” una consultazione fra i lettori del sito su chi preferiscano fra Calenda e nove “potenziali candidati” al Campidoglio: Cirinnà, Fassina, Zevi, Ciani, Caudo, Magi, Ciaccheri, Alfonsi e De Biase. Naturalmente è arrivato primo Calenda col 50%, mentre gli altri nove si dividono il 32 e il restante 18 li detesta tutti. Bella forza: Calenda sta sempre in televisione anziché al Parlamento europeo (dove, secondo i dati ufficiali di Votewatch, è il 72° italiano su 75 per numero di voti e presenze: peggio di lui fanno solo Roberti, Patriciello e B.), mentre gli altri nessuno sa chi siano. Il campione, peraltro, è piuttosto striminzito, visto che in quattro giorni han risposto appena 25mila lettori del sito e 13.100 han votato Calenda. Ma Rep ha già deciso che questo “successo travolgente”, questo “straordinario consenso” basta e avanza a garantirgli “buone chance di arrivare primo”: basterà un emendamento per limitare il diritto di voto ai romani che leggono il sito di Rep. Inutile fare le primarie, un tempo orgoglio e vanto del Pd veltroniano e dunque di Rep, oggi degradate a “concorso di bellezza per sconosciuti” e “coperta di Linus cui aggrapparsi in mancanza di idee migliori”.
Del resto, Carletto è un “city manager più che un politico di professione”, e ciò è bene se lo dice Rep (se lo dicono gli altri, è male, è qualunquismo, peronismo, antipolitica, fascismo). Lui sa “cosa vuol dire amministrare una macchina da 30 mila dipendenti”, anche se non ha amministrato nemmeno un condominio. Lui sa “condurre in porto un appalto senza farsi imbrigliare per mesi o anni da cavilli”: basti pensare alla brillante gestione di dossier come Ilva, Alitalia eccetera. Lui sa “far ritrovare alla parte sana dei dipendenti comunali l’orgoglio delle cose realizzate”, anche grazie alla proverbiale fermezza e alla tetragona continuità: nel 1998 in Ferrari, nel 2003 a Sky, nel 2004 in Confindustria, nel 2008 all’Interporto Campano, nel 2012 in Italia Futura con Montezemolo, nel 2013 candidato trombato nella Lista Monti e viceministro al Mise con Letta, nel 2014 confermato da Renzi, nel 2016 rappresentante permanente dell’Italia presso la Ue per ben due mesi, poi di nuovo al Mise come ministro, nel 2018 nel Pd, nel 2019 fondatore di Siamo Europei, ma candidato ed eletto eurodeputato col Pd, abbandonato tre mesi dopo per fondare Azione, e ora forse candidato a sindaco di Roma confidando nell’appoggio del Pd che ha appena cercato di far perdere alle Regionali, insultandone i dirigenti e persino gli elettori (“indegni”). Sono soddisfazioni.
Ma l’orgasmo repubblichino è niente al confronto delle fregole caltagirine. Il Messaggero titola: “La tentazione dei dem: ‘adottare’ Calenda per fermare la Raggi. L’idea di replicare l’operazione Bonino nel 2010”. Infatti l’operazione Bonino nel 2010 riuscì a consegnare il Lazio alla Polverini. Ma la notiziona è un’altra: dopo aver passato quattro anni a dipingerla come un’incapace che i romani non rivoterebbero neppure sotto tortura, adesso il Messaggero registra orripilato “la paura, non solo di Calenda ma di buona parte della città, che Virginia possa arrivare al secondo turno, per poi avere l’appoggio sicuro del Pd”. Un “timore che rovina il sonno anche al Pd”. Ma come fa la Raggi ad arrivare al ballottaggio e poi a rivincerlo se “buona parte della città” è terrorizzata dalla sola prospettiva? E perché mai l’insonne Pd dovrebbe darle l’“appoggio sicuro” al ballottaggio se non dorme la notte all’idea che rivinca? L’unica spiegazione alternativa al manicomio è che forse non è vero che la Raggi ha sbagliato tutto e tutti i romani la maledicono. E forse non è vero che Roma è piena di sindaci in pectore capacissimi di rifarla più bella e superba che pria: altrimenti qualcuno di questi fenomeni si candiderebbe per farcelo vedere. Cioè: i giornaloni ci han raccontato un sacco di balle. Tanto per cambiare.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/15/orgasmiganasce/5966573/
martedì 13 ottobre 2020
La Raggi e l’alleanza col Pd. - Tommaso Merlo
Dopo Mafia Capitale il Pd avrebbe dovuto azzerare il partito laziale e non solo, cospargersi il capo di cenere davanti al Campidoglio e chiedere scusa all’Italia intera per la vergogna con cui ha ricoperto non solo la capitale ma l’intero paese. Ed invece il Pd ha fatto spallucce in attesa che passasse la tempesta e nel frattempo si è messo a far sgambetti alla Raggi nella speranza di riprendersi le poltrone perdute. Zingaretti è stato tra i primi a tuonare contro la ricandidatura di Virginia Raggi e allo stesso tempo a lagnarsi che il Movimento non si alleava alle regionali con statisti alla De Luca. Da allora il Pd sta cercando un malcapitato che rischi l’osso del collo sfidando la sindaca di Roma. Nonostante tutto il fango con cui l’hanno ricoperta, la Raggi è infatti politicamente molto più solida di quello che han sempre blaterato e fa paura a molti. Virginia Raggi è un simbolo del Movimento perché ne incarna la storia e la cultura più genuina. Anni di persecuzione, l’impegno e il coraggio quotidiano senza mai scimmiottare atteggiamenti e vizietti dei vecchi politicanti. La Raggi ha poi tracciato una linea politica nuova. Dopo i sindaci fanfaroni del passato che han sommerso la capitale di chiacchiere e di debiti facendogli perdere decenni. La Raggi ha intrapreso la strada più complessa della legalità, della sobrietà e della concretezza con gli scarsi mezzi a disposizione. Da un comune infiltrato dai mafiosi ad una sindaca antimafia. Se non si fossero fottuti tutti i soldi la Raggi avrebbe potuto fare di più, ma a livello politico ha comunque drasticamente voltato pagina dopo anni di malapolitica e può vantare una serie di risultati che spetterà ai romani valutare a fine mandato. Ma Virginia Raggi ha tracciato una nuova linea politica anche nel rapporto tra Movimento e Pd. Ha detto cioè “no” ad un partito che prima ha ridotto Roma in macerie e poi si è messo a far la guerra a chi come la Raggi sta cercando di ricostruirla. La linea è chiara. Ci si allea col Pd solo se quel vecchio partito di marpioni poltronistici si dimostra degno, altrimenti ciao. Una linea sacrosanta. È il Pd col suo curriculum da film horror che si deve dimostrare all’altezza di cooperare col Movimento. Non viceversa. È il Pd col suo curriculum da film horror che deve dimostrarsi all’altezza del nuovo corso politico aperto dal Movimento. Non viceversa. A Roma come in tutta Italia. Altrimenti torniamo indietro invece di andare avanti. Il Pd è il passato e il Movimento nasce anche dalle sue ceneri. Se si vuole alleare è il Pd che deve aggiornarsi ai tempi. È il Pd che deve darsi una ripulita, una svecchiata e già che c’è tirar fuori uno straccio d’idea se ne è capace. È questo il nodo politico fondamentale. Non se fare l’alleanza o meno, ma a quali condizioni farla. Il quadro politico nazionale non offre molte alternative al Movimento. Le porte a destra sono chiuse e i numeri scarsi. Se vuole governare e incidere sulla realtà il Movimento deve allearsi con la fu sinistra. Ma “alleanza organica” sono quelle parolacce politichesi che fan venire l’orticaria e scatenano rissosi malintesi. Proseguire a braccetto del Pd ad ogni costo giusto per raccattar poltrone significherebbe non solo la fine del Movimento ma anche la fine della fase politica che ha aperto nel paese. Un danno enorme. Diversa è la linea tracciata dalla Raggi. Se il Pd si dimostra all’altezza bene, altrimenti ognuno per la sua strada. Punto. E non contano solo i programmi e le cose da fare con cui un accordo alla fine si trova sempre. Conta anche quello che c’è dietro ai finti sorrisi e alle cravatte di sartoria. E cioè la volontà del Pd di mettersi alle spalle una volta per tutte facce e logiche e pagine buie del suo passato che han devastato Roma come l’Italia intera. Solo così il Movimento manterrà la sua integrità e quindi la sua forza politica e quindi il suo ruolo storico di motore del cambiamento della vecchia politica come del paese.
https://repubblicaeuropea.com/2020/10/12/la-raggi-e-lalleanza-col-pd/
giovedì 13 agosto 2020
Effetto Spelacchio. - Marco Travaglio
venerdì 17 luglio 2020
Salvini citofona, nessuno apre. Blitz con flop all’impianto Ama di Roma. L’ultima smargiassata del Capitano è una figuraccia. Porte chiuse a Matteo: il sito opera ma è sotto sequestro. - Giuseppe Vatinno
martedì 16 giugno 2020
Roma, blitz contro il clan Casamonica: arresti e sequestri per 20 milioni di euro. - Maria Elena Vincenzi
Scattata all'alba l'operazione denominata "Noi proteggiamo Roma" come diceva uno di loro intercettato. Decisivo il ruolo di due ex mogli di componenti del clan.
Nuovo colpo ai Casamonica. La Polizia di Stato, su richiesta della Dda di Roma, ha eseguito ieri 20 ordinanze (15 in carcere e 5 ai domiciliari) e un sequestro di prevenzione da 20 milioni di euro ai danni del clan Casamonica. Le accuse sono per tutti di mafia. Una settantina di capi di imputazione, tra cui una trentina di episodi di usura ed estorsione e cinquanta di esercizio abusivo dell’autorità finanziaria. Reati che ai Casamonica garantivano un controllo assoluto del territorio, la Romanina, definito il loro “quartier generale”.
Roma, blitz contro Casamonica: arrestati esponenti del clan e sequestrati beni per 20 milioni di euro.
Dei 4 collaboratori che hanno aiutato un’indagine che ricostruisce 20 anni di storia della famiglia, due sono ex mogli di componenti del clan. Un clan che, come hanno spiegato gli inquirenti è autoctono, tanto da autoproclamarsi difensore di Roma (“Noi proteggiamo Roma”, dice in un’intercettazione Guido Casamonica) dalle mafie straniere, e ha una struttura orizzontale: non esiste un capo dei capi, ma singole famiglie, imparentate e legate da un comune senso di appartenenza.
Due, in particolare, le famiglie finite in questo filone di inchiesta, quelle di Ferruccio Casamonica e di Giuseppe Casamonica, cognati. “È un branco, si aiutano sempre”, ha detto una delle collaboratrici. Il tribunale ha disposto anche un contestuale sequestro da 20 milioni di euro, per i magistrati, il loro patrimonio era alla base del loro potere sul territorio.
Le intercettazioni: "Noi proteggemo Roma".
Sequestrate case, ville e società del valore di 20 milioni e 140 conti su vari istituti di credito.
Il Tribunale di Roma ha disposto il sequestro di 7 unità immobiliari site in Roma, tra cui le ville di Via Flavia Demetria 90 e Via Roccabernarda 8, il villino di Via Lunano 25 ed altri siti a Monterosi (VT) e San Cesareo (RM); quote di 5 società di capitali; quote di 1 società di persone; 1 ditta individuale; interi complessi aziendali di cui una stazione di servizio, sita in San Cesareo, e un bar tabacchi, ubicato a Montecompatri (RM); 1 contratto di concessione del godimento di un complesso immobiliare, con diritto di acquisto ai sensi del D.L. 12/9/2014 n. 133 (rent to buy); 140 rapporti finanziari con vari Istituti di credito.Tra i beni immobili sequestratati anche la villa di via Roccabernarda 8, unico immobile nella roccaforte storica della famiglia Casamonica ancora in possesso del clan, situato nella adiacenze delle due ville di via Roccabernarda n. 15 e n.14/16, già confiscate nel 2009 a Giuseppe Casamonica e destinate dalla Regione Lazio a parco pubblico denominato “Il parco della legalità” e a centro polivalente dell’Associazione nazionale Genitori Soggetti Autistici.
https://roma.repubblica.it/cronaca/2020/06/16/news/roma_mafia_casamonica-259325872/