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lunedì 16 agosto 2021

Il Fisco punta a recuperare 12,6 miliardi dall’evasione. - Marco Mobili e Giovanni Parente

 

Si punta a ridurre il tax gap del 5% nel 2023 e poi del 15% nel 2024. Per centrare l'obiettivo digitalizzazione e impulso alla compliance, portando a 2,8 miliardi il gettito da autocorrezioni.

Lo schema è chiaro e l’ex capo di gabinetto del Mef e ora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio lo ha ricordato al ministro dell’Economia Daniele Franco: potenziare l'infrastruttura informatica per semplificare gli adempimenti dei contribuenti ma soprattutto ridurre la distanza tra quanto dovrebbe entrare nelle casse dello Stato e quanto realmente i contribuenti versano come imposte. E quest’ultimo obiettivo è già cifrato: nel 2023 il tax gap dovrà essere ridotto del 5% rispetto al gap del 2019. A conti fatti si tratta di poco più di 4 miliardi di euro che però diventano più di 12 miliardi con la riduzione a regime del 15% del tax gap nel 2024.

Si tratta per altro di una somma al ribasso perché, come scrive Roberto Garofoli nell’allegato alla breve missiva sui target che ogni amministrazione dovrà centrare in nome del Pnrr, la differenza tra incassato e dovuto riferito al 2019 non deve tener conto del differenziale su accise e imposte sul mattone, come può essere l’Imu.

Centrare l’obiettivo di riduzione del tax gap vuol dire comunque recuperare in modo strutturale risorse che fino a oggi alimentano soltanto il sommerso. Una risultato ambizioso che, secondo le indicazioni inviate al Mef, potrà essere centrato seguendo soprattutto due direttrici principali. Da una parte il potenziamento della compliance ovvero dell’adempimento spontaneo del contribuente invitato a chiarire eventuali posizioni incongruenti tra quanto dichiarato e quanto effettivamente versato al fisco. La seconda linea d’azione è il completamento del processo di pseudonimizzazione e analisi dei big data per potenziare le analisi di rischio nella selezione dei soggetti da sottoporre a controllo.

Sotto il primo fronte c’è una progressione molto chiara segnalata nella lettera di Garofoli, che punta a obiettivi non solo quantitativi ma anche qualitativi. Il primo traguardo è fissato a fine 2022: aumentare del 20% il numero degli alert inviati ai contribuenti e del 15% il gettito. In entrambi i casi la “maggiorazione” va rapportata all’ultimo anno prima della pandemia (2019) e quindi dovrebbe tradursi, rispettivamente, in quasi 2,6 milioni di lettere e 2,5 miliardi di recupero. Ma - e questo è il target qualitativo - va ridotto di almeno il 5% il numero di falsi positivi. In pratica l’utilizzo dei database deve puntare sempre più a comunicazioni mirate, ossia dirette a contribuenti per i quali vi siano davvero situazioni di anomalia. Il secondo traguardo, invece, è fissato a fine 2024 con il numero di lettere da aumentare del 40% e il gettito del 30 % sempre rispetto al risultato 2019. A conti fatti significa puntare a quasi 3 milioni di lettere e a 2,8 miliardi di gettito aggiuntivo. E nell’ottica di accompagnamento alla compliance va letta anche la strada già intrapresa della precompilata Iva. A settembre c’è il primo appuntamento con i registri precompilati, ma bisogna arrivare anche alla dichiarazione che però partirà dalle operazioni 2022 e quindi arriverà a partire dal 10 febbraio 2023. Il tutto interesserà un numero molto elevato di imprese e professionisti: 2,3 milioni di partite Iva.

Come anticipato, la seconda linea d’azione punta a mettere finalmente a punto la pseudoanonimizzazione dei dati, prevista dalla legge di Bilancio 2020. L’idea è di utilizzare il patrimonio informativo dell’amministrazione per costruire dei modelli di rischio evasione attraverso dei dati preventivamente anonimizzati. Da lì, poi, si potrebbe calare nella realtà gli indici di rischio e procedere alla fase dei controlli sui soggetti ritenuti più pericolosi. La messa a punto - vista la delicatezza delle informazioni trattate - richiede di trovare una quadra con il Garante della Privacy. Dopo di che, si tratterà di sviluppare i modelli informatici. Ma ora la raccomandazione di Garofoli potrebbe accelerare i tempi.

IlSole24Ore

giovedì 5 agosto 2021

Mps, Franco: «C’è il rischio di oltre 2.500 esuberi. Possibile che Mef diventi azionista di Unicredit»

 

Il ministro dell’Economia è intervenuto davanti alle Commissioni riunite Finanze di Camera e Senato: nuovo piano banca non conforme con impegni presi con l’Ue. Unicredit soluzione strategicamente superiore per interesse paese.

«Sin dall’autunno dello scorso anno sia il ministero sia la banca si sono attivati per la ricerca di un partner per Mps. È possibile che il Mef riceva azioni del gruppo Unicredit» a fronte della cessione del Montepaschi alla banca milanese, «ma tale eventuale partecipazione al capitale non dovrebbe alterare gli equilibri di governance. Lo Stato parteciperà comunque a tutti i benefici economici in termini di creazione di valore derivanti dall’operazione», ha chiarito il ministro dell’Economia Daniele Franco, in audizione a Borsa chiusa davanti alle Commissioni riunite Finanze di Camera e Senato sul dossier Mps. Il nuovo piano industriale di Mps, ha sottolineato, «presenta obiettivi non conformi alle richieste della Commissione europea in particolare la riduzione costi fissata al 51% dei ricavi da Bruxelles, mentre in base al piano si prevede il 74% nel 2021 e ancora il 61% al 2025».

Il chiarimento nella replica: non chiuderemo con Unicredit a ogni costo.

Nella replica finale agli interventi, a proposito dell’eventuale aggregazione con Unicredit, il ministro ha poi precisato «non chiuderemo con Unicredit a qualsiasi costo». Per il Montepaschi, ha detto, «abbiamo un’unica controparte che si è fatta avanti» ma «proporremo un pacchetto finale solo se convinti che sarà adeguato ma se dovessimo pensare non lo sia, non cercheremo di chiuderlo a tutti i costi». «Auspico che si chiuda e lo auspico fortemente - ha affermato Franco -, e credo ci siano margini per le soluzioni ma non chiuderemo a qualsiasi costo, né noi né Unicredit».

Rischio di ben oltre 2.500 esuberi con paletti Ue.

«Non ci sono i presupposti per una richiesta a Ue su rinvio termini - ha spiegato il ministro nel suo intervento -. Non vi sono rischi di smembramento della banca. Nel caso probabile in cui l’interlocuzione con la commissione richiedesse di fissare un obiettivo costi-ricavi più ambizioso gli esuberi di personale potrebbero essere considerevolmente più elevati» rispetto ai 2.500 volontari attualmente fissati». Franco ha parlato di «massima attenzione a 21mila dipendenti con pluralità strumenti». «Non si tratterà di svendita di proprietà statale - ha poi assicurato -. Unicredit è soluzione strategicamente superiore per interesse paese», ha assicurato.

Serve aumento superiore a quello del piano.

«L’esito dello stress test - ha detto Franco - conferma l’esigenza di un rafforzamento strutturale di grande portata» per Mps e per «portarla su valori medi delle banche europee» servirebbe «un aumento bene superiore a quello previsto dal piano 2020-2025» da 2,5 miliardi di euro. «Ai fini di un eventuale aumento di capitale di banca Mps, che si rendesse necessario nell’ambito della complessiva struttura dell’operazione, potranno essere utilizzate le risorse stanziate dall’articolo 66 del decreto legge 104 del 2020, cosiddetto decreto agosto, vale a dire fino a 1,5 miliardi. Il piano stand alone - ha continuato il responsabile dell’Economia - sarebbe esposto a rischi ed incertezze considerevoli e a seri problemi di competitività».  

Ad oggi con Unicredit nessun rischio spezzatino.

Il ministro ha chiarito che «non vi sono al momento indicazioni che facciano intravedere rischi di smembramento» di Montepaschi con un’aggregazione con Unicredit. «Le attività escluse, ad ora, sono individuate nei crediti deteriorati per circa quattro miliardi al lordo delle rettifiche», ha detto Franco, oltre al contenzioso giudiziale e stragiudiziale di carattere straordinario in essere, nei contenziosi e rischi legati alle cessioni a terzi dei crediti deteriorati.

Se Mps resta autonoma forti rischi e incertezze.

Franco ha ricordato che gli stress test europei hanno evidenziato per Mps «l’esigenza di un rafforzamento strutturale di elevata portata con un aumento di capitale ben superiore a quello previsto dal piano industriale». «Se la banca restasse soggetto autonomo - ha aggiunto -, sarebbe esposta a rischi e incertezze considerevoli e avrebbe seri problemi», e «non si ravvisano le condizioni per una interlocuzione» con l’Unione europea per cambiare le condizioni che prevedono la dismissione da parte del Mef. «Non vi sono le condizioni per mettere in discussione la cessione» del Montepaschi, è la conclusione del ministro.

La richiesta di riferire in parlamento.

Il ministro è intervenuto in parlamento dopo che sia la maggioranza sia l’opposizione hanno chiesto che fornisse chiarimenti sull’operazione.In quanto informativa, non è previsto alcun voto. I Cinque Stelle avevano chiesto che l’audizione di Franco avvenisse davanti alla Commissione di inchiesta sulle banche, presieduta dalla pentastellata Carla Ruocco.

IlSole24Ore