giovedì 19 settembre 2019

Giravolte e contrappassi. - Carlo Bertani

Risultati immagini per giravolte, contrappassi

Una volta, tanto tempo fa, ci fu in Italia il governo della “resurrezione”, che doveva condurci ai fulgidi avvenire dell’euro, e finì con una caciara innaffiata di bombe in quel di Belgrado. Venne dunque – per contrappasso – il governo delle “libertà”, ma di libertà se ne videro ben poche, condite però con robusti tagli a tutti i settori sociali.
Nuova boa, nuova virata a sinistra, con il governo del “riscatto” che passò quasi inosservato e, dopo due anni, per un colpo di lupara sparato da Ceppaloni, terminò nella polvere.
Tornò quindi in auge il sempiterno “libertario” che ci condusse, in pochi mesi, da una Roma stravolta dalla pacifica invasione libica di un Gheddafi raggiante – con stuoli di giovanette che si convertivano all’Islam (si scoprì, dopo, che erano state reclutate in una scuola per hostess) – ad una guerra senza quartiere, nel quale il “convertitore” Gheddafi finì martire, in un canale di scolo, con una baionetta piantata nel sedere.
Con gran spiegamento (anche) delle armi italiane ed una Hillary Clinton raggiante: dopo i giochi di bocca di Monica, assistente del marito, quella baionetta nel culo di Gheddafi dovette eccitarla, al punto di lasciarsi andare a mail molto focose, prontamente carpite dal buon Samaritano Assange.
Dopo, fu il regno del terrore, con un Bergmeister affiancato da una kapò dagli occhi di ghiaccio, che sbatté nel lager della “fine pena mai” i lavoratori italiani. Terminò anche l’incubo – mentre le loro riforme rimasero, al punto che, per cercare di ovviare al problema, si varò “Quota 100” che però, a conti fatti, prevede un “taglio” che va dal 5 al 30% dell’assegno pensionistico. In pratica, la riforma Fornero, non fu toccata nei suoi assiomi essenziali, vale a dire la “consistenza generale” del rapporto retribuzione/pensione. (1)
Dopo molte schermaglie, dissidi interni fra i partiti, alleanze stranissime e leggi elettorali sempre più “fantasiose”, giunse il governo della “rottamazione” il quale, ancora una volta, rottamò ben bene i diritti senza toccare, ovviamente, i doveri.
Infine, il governo del “cambiamento” che cercò disperatamente di cambiare qualcosa nel guazzabuglio della legislazione italiana ma che, per improvvisi motivi – che è oggi ampia materia di dibattito: è stato l’uno! No, l’altro! E’ tutta colpa della Madonna! No, dei comunisti! – cadde.
Oggi abbiamo un nuovo governo e, mentre il vecchio governo lavorava, anche la magistratura lavorava, eccome! Questa volta, però, era fortemente contrastata dalla giurisprudenza europea: come finì?
Finì con una sentenza del Febbraio 2019 che eludeva e cassava i diritti di 70.000 persone, transitati da molti enti locali (in primis le Province) al Ministero dell’Istruzione. Il passaggio fu decretato nel 1998 dal ministro Berlinguer, con l’omonima riforma che toccava un migliaio d’insegnanti e quasi 70.000 assistenti amministrativi, segretari, ed altro personale della scuola.
In pratica, Berlinguer in parte mentì, perché affermò che la riforma era a “costo zero” mentre, a parità d’anzianità conseguita, c’era un modesto esborso. All’epoca, veramente modesto per lo Stato.
Ma nel 2000, sotto Amato, ecco che si attivarono i sindacati: quando mai i sindacati, in Italia, hanno mancato al loro preciso dovere di difendere, vegliare, corroborare, aumentare i diritti e le retribuzioni dei…sindacalisti? Il lavoratore? Chi era costui?
Così ci fu un bell'accordo nel Giugno del 2000 nel quale, zappetta un poco, confondi qui e là…i lavoratori confluiti volontariamente il 1° Gennaio 2000 (con diritto di scelta!) si videro tagliare l’anzianità pregressa. Ad esempio, da 20 a 7 anni. Perché? Poiché lo prevedeva l’accordo sindacale “confederale”. Amato, quanto sei stato amato!
Il successivo governo delle “Libertà” – Forza Italia, Lega Nord e Alleanza Nazionale – precisò ancor meglio quella ruberia, inserendo un apposito comma (218) nella legge Finanziaria per il 2006. E, qui, entra in gioco l’Europa: l’Europa della barbarie, dell’intrigo, dei diktat massonici.
Stimolati dai vari ricorsi in sede europea – l’Italia assorbe, da sola, circa la metà dei ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (!) – i giudici europei stilarono ben 7 sentenze favorevoli ai lavoratori mentre, negli anni, la magistratura continuava a stilare sentenze favorevoli e contrarie, alcune “incerte” anche alla attenta analisi dei giuristi le quali, però, terminavano sempre con un verdetto contrario della Corte di Cassazione. Vabbè…due telefonate, una a Palazzo Chigi, un’altra a viale Trastevere…se trovammo sempre n’accordo pé accontentà tutti…il lavoratore? Chi è costui?
Fino a Giugno del 2019, quando l’UE s’incazza e dice: “Lo sapete che siete tenuti a rispettare e dare corso alle sentenze della Corte Europea? Avete firmato, prendendo precisi impegni. La finite d’ingolfarci con ricorsi inutili, sui quali abbiamo già sentenziato, perché la materia è chiarissima: non si può ingannare un lavoratore, impegnandosi a garantire l’anzianità da un passaggio da un’amministrazione all’altra, e poi fottersene con mezzucci giuridici che fanno pietà?”
E, tanto per spolverare la memoria, “ricorda” le varie sentenze:
Sentenza Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Grande Sezione) del 6 Settembre 2011, caso C 108/2010, Ivana Scattolon c. MIUR.
Poi, le varie sentenze della CEDU (Corte Europea dei Diritti Umani):
Agrati e altri c. Italia del 7 giugno 2011;
Anna De Rosa e altri c. Italia dell’11 dicembre 2012;
Montalto e altri c. Italia del 14 gennaio 2014;
Biasucci e altri c. Italia del 25 marzo 2014;
Bordoni e altri c. Italia, del 13 maggio 2014;
Caponetto c. Italia del 13 maggio 2014;
Peduzzi e Arrighi c. Italia del 13 maggio 2014;
Marino e Colacione c. Italia del 13 maggio 2014;
Caligiuri e altri c. Italia del 9 settembre 2014.
In teoria, se l’Italia fosse un Paese con un minimo di dignità, sarebbe bastata la sola sentenza del 2010, quella della Corte Europea di Giustizia dell’Unione Europea (Grande Sezione) ma l’Italia non ascolta, non recepisce, non attua nulla.
Credo d’aver capito il motivo.
Perché, in Italia, mancano sempre i soldi. Già.
Se viveste in Ausonia, dove vivo io, non succederebbe mai che i ponti autostradali crollino perché vecchi e fatiscenti, ed i tecnici incaricati della sorveglianza non si munirebbero d’appositi “disturbatori” elettronici per non farsi intercettare. (2)
Non capiterebbe nemmeno che una importante opera pubblica chiamata “Aurelia Bis”, che doveva esser pronta nel 2016, sia finanziata con 128 milioni (spariti) e che poi…la società fallisse, uno scappa, l’altro è in Africa, l’altro ancora è irreperibile…e tutto rimane fermo, così, con migliaia di tonnellate di macerie all’aria e nulla di fatto. (3)
Non capiterebbe nemmeno che un ponte, inaugurato a Natale, cada a Capodanno! (4)
Non succederebbe nemmeno che si chiedano dei soldi in Europa per specifiche opere e poi siano fatti sparire nel nulla (5): scusate, qui ho dovuto fermarmi perché c’erano centinaia di casi e non ho voluto tediarvi inutilmente.
Non capiterebbe nemmeno che persone che hanno oramai quasi ottant’anni vengano richiamate nelle scuole dove prestarono servizio per vedersi consegnare una nuova ricostruzione di carriera (!), grazie alla quale dovranno restituire tot soldi in tot anni…quasi li avessero rubati…mentre i magistrati di Cassazione rispondono con uno sberleffo. C’è ancora un ministro dell’Istruzione? Chi è? Cosa fa? Ne sono passati tanti che fecero promesse: sempre le stesse, più qualche cambiamento (non manca mai) nell’esame di maturità. Si parte sempre dall’omega.
Eppure, una ragione c’è a tanti disastri in Italia: la mancanza di memoria, che poi si concretizza in un lamento collettivo per le pretese “ingiustizie” create da altri. E’ vero che il trattato di Maastricht fu una truffa per l’Italia, ma ci fu solo quello?
Qualcuno ricorda a quanto arrivavano le aste dei BTP negli anni ’80? Al 15% d’interesse, come in Argentina, dove poi finirono con i conti correnti bloccati a sbattere le casseruole in strada. E i finanziamenti europei?
Qualcuno ricorda che, a differenza di Spagna e Portogallo dove c’erano strutture centrali, in Italia venivano concessi alle Regioni, le quali incaricavano poi le Province e, se non si trovava un accordo di spartizione fra le forze politiche, ritornavano a Bruxelles. Ancora oggi, l’Italia non ha imparato ad usarli: Spagna e Portogallo s’abbuffarono con i finanziamenti rifiutati dall’Italia. Oggi, è la Polonia la prima ad accalappiarli, seguita da altri Paesi dell’Est, che poi giocano a fare i sovranisti.
Da noi, se sei un panettiere, prova a fare domanda per costruire un forno con i finanziamenti europei: ti faranno girare mille uffici, e non otterrai nulla. Solo se hai un qualche mammasantissima alle spalle otterrai un finanziamento per studiare lo sviluppo e l’adattamento della capra abissina sulle prealpi. Che, poi, presenterai, qualcun altro verificherà con cura e poi sistemerà in un archivio, dove dormirà sonni tranquilli per secoli. Ma i soldi, privati della loro percentuale, arriveranno.
“Chi è senza colpa scagli la prima pietra”: è una frase illuminante della Bibbia cristiana. Non penso che tutto quello che diciamo e raccontiamo sulle vicende europee sia oro colato: nel caso che ho illustrato, anzi, è l’Europa stessa a far presente che la retroattività della norma non è ammessa, sia nel diritto di derivazione latina e sia in quello anglosassone. Ma la giurisprudenza italiana se ne frega altamente e non rispetta i trattati internazionali.
Me ne frego dopo me ne frego, siamo giunti ad un punto nel quale ogni truffa o raggiro viene quasi ammirata: quello è stato furbo, adesso gira in Audi, mentre io ho la vecchia Punto di mio zio buonanima. Allora, andiamo sul Web, sui social e ci assataniamo in caustici commenti contro l’Europa, le banche, i governi, le monete, ecc…
Mai guardare alle proprie mancanze, ai propri doveri elusi, alla troppa sufficienza nel giustificare fatti che non ammettono giustificazione. Noi scusiamo tutto e tutti…già…tanto il lamento è libero!


L’ex tesoriere indagato, la sindacalista che difese il Jobs Act, la transfuga berlusconiana, la ‘Cuffariana’: chi sono i 14 senatori che vanno con Renzi.



E' stata diffusa la lista di nomi di chi ha aderito alla scissione dell'ex segretario dal Partito democratico. Il capogruppo: "Resto, ma metto il mio ruolo a disposizione dei colleghi".
La senatrice catanese Valeria Sudano “tirata su” da Totò Cuffaro e l’ex tesoriere Pd Francesco Bonifazi indagato per finanziamento illecito e false fatture. Il luogotenente dei renziani in Sicilia Davide Faraone, la cui elezione a segretario regionale è stata annullata per “stravolgimento delle regole”. Ma anche il senatore iper presente Giuseppe Cucca che, nella scorsa legislatura, si è distinto per aver difeso Antonio Azzollini e Roberto Calderoli. Poi gente come Ernesto Magorno che, quando scoppiò il caso Consip, disse di Luca Lotti che era “un gigante”. E pure la prima forzista che ha scelto di passare da Silvio Berlusconi a Matteo RenziDonatella Conzatti. Sono questi alcuni dei componenti della squadra di Matteo Renzi a Palazzo Madama: i quattordici parlamentari che, aderendo alla “sfida di Italia Viva”, gli permetteranno di provare a giocare la partita per dare un senso e un peso al progetto. Al momento infatti, sono determinanti perché la maggioranza che sostiene il Conte 2 (che attualmente ha un margine di dieci senatori) possa stare in piedi.
Questo l’elenco, comunicato questa mattina al gruppo Pd al Senato, di chi aderisce alla scissione. Si tratta di Francesco Bonifazi, Matteo Renzi, Teresa Bellanova, Ernesto Magorno, Laura Garavini, Eugenio Comincini, Davide Faraone, Valeria Sudano, Nadia Ginetti, Leonardo Grimani, Giuseppe Cucca, Mauro Maria Marino, Daniela Sbrollini, Debora Conzatti. Si attendono anche le dichiarazioni di Riccardo Nencini e Pier Ferdinando Casini, entrambi considerati potenziali aderenti al gruppo.
Chi non se ne va è invece il capogruppo Andrea Marcucci, fino a pochi giorni fa considerato renzianissimo: “La mia scelta di restare”, ha detto incontrando il gruppo degli eletti a Palazzo Madama, “è indipendente dal ruolo che ricopro, quindi i senatori del Pd devono ritenersi liberi di prendere qualsiasi decisione. Metto a disposizione il mio ruolo. Io non faccio qualcosa a servizio di qualcuno, nella mia vita ho sempre preso decisioni con la mia testa”. Sul passaggio dall’altra parte, ha cambiato idea anche il senatore Tommaso Cerno: “Auguro a Italia viva ogni fortuna politica e personale e mi rivolgo al Pd”, ha scritto in una nota, “dopo l’addio di Renzi, il rischio per i democratici non è tanto la fuoriuscita di dirigenti o voti in favore di Italia viva, quanto piuttosto la tentazione di qualcuno all’interno di prendere il posto che fu di Renzi per dirsi ancora una volta determinante e ricominciare la fatica di Sisifo della rincorsa all’unità. Il mio appello a Nicola Zingaretti è: fermali subito! Perché il Pd non solo superi questo scisma, ma ne esca rafforzato, deve finire immediatamente l’era delle correnti e del Cencelli”.
Francesco Bonifazi, colonnello del Giglio magico, sotto inchiesta per i finanziamenti a Parnasi – Tra i bracci destri che Matteo Renzi si porta in Italia Viva c’è Francesco Bonifazi. Membro per eccellenza del Giglio magico, è stato tesoriere del Partito democratico negli anni di Renzi segretario. E proprio quel periodo è finito al centro di un’inchiesta della magistratura. Nel settembre 2018, è stato indagato per finanziamento illecito da parte dell’imprenditore Luca Parnasi, finito ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sullo stadio della As Roma. L’accusa è che i 150mila euro elargiti dal costruttore alla fondazione Eyu per uno studio immobiliare, fossero invece destinati al Pd e non scritti in modo corretto nei bilanci. A marzo scorso l’inchiesta si è allargata e ora gli vengono contestate anche false fatture. Laurea in Giurisprudenza e un passato da avvocato a Firenze, ha iniziato a fare politica con i Democratici di sinistra. Nel 2009 fa il consigliere comunale e nel 2012 sostiene l’ex premier alle primarie. Nel 2013 entra alla Camera, eletto però in Piemonte, e nel 2018 strappa di nuovo un posto in Parlamento, questa volta in Senato.
Valeria Sudano, la senatrice siciliana “tirata su” da Totò Cuffaro e protetta dal mister preferenze indagato – La parlamentare catanese è una che nella schiera dei renziani è approdata ufficialmente nel 2016. La sua storia parla chiaro. Eletta all’Assemblea regionale siciliana con il Cantiere Popolare di Saverio Romano, è poi passata nel partito nato da una scissione dell’Udc (Articolo 4) e quindi catapultata tra i democratici. Per capirsi, è una che l’ex governatore Totò Cuffaro appena scarcerato definì “la mia amica Valeria Sudano”, rivendicando di “averla tirata su lui”. Una benedizione non casuale, visto che la Sudano è nipote di Mimmo, ex senatore della Dc e potentissimo referente dell’area cuffariana. Ma da segnalare non ci sono solo le sue frequentazioni del passato. La senatrice è molto vicina a Luca Sanmartino, presidente Pd della commissione Lavoro all’Ars, e indagato per irregolarità nel voto degli anziani di un centro d’assistenza ad aprile 2018. Alle scorse elezioni Regionali aveva preso 32mila preferenze. Oggi Sudano ha dichiarato la sua fedeltà all’ex premier in un’intervista a la Sicilia: “Renzi mi accolse, ora lo seguo”, ha detto.
Ernesto Magorno, il sindaco calabrese che di Lotti disse: “È un gigante” – Senatore e sindaco di Diamante (Cosenza), Magorno è nato socialista, poi passato con i Ds e quindi approdato nel Partito democratico. E’ stato deputato nella scorsa legislatura e ora siede a Palazzo Madama. E’ stato segretario regionale del Pd in Calabria: si è autosospeso a luglio scorso dopo la retata contro il clan Libri,nell’ambito della quale è finito agli arresti anche il capogruppo dem in Regione. Noto per la sua vicinanza a Renzi, nei mesi scorsi si era speso in grandi parole e dimostrazioni di solidarietà per l’ex ministro Luca Lotti, dopo la sua decisione di autosospendersi dai dem per il coinvolgimento nella vicenda Consip. “Più volte ho sottolineato l’onesta e la trasparenza”, disse. E ancora: “Ha mostrato alla prova dei fatti di essere un gigante rispetto a tanti altri”. Quest’estate si era conquistato le pagine dei giornali per la vicenda “acqua di mare”. Per “difendere dalle accuse di inquinamento la sua cittadina”, ha registrato un video in cui ne beve un bicchiere. L’ha dovuto fare due volte perché la prima lo accusarono di avere fatto per finta.
Giuseppe Cucca, il senatore che “difese” Azzollini e Calderoli – Senatore sardo al secondo mandato, avvocato cassazionista, inizia a fare politica con il partito Popolare e quindi con la Margherita e infine, naturalmente, finisce nel Pd. Dal 2017 è anche segretario regionale per i dem in Sardegna. Nella scorsa legislatura è risultato uno dei senatori più presenti in assoluto. Ed è stato anche capogruppo per i democratici in Giunta per le immunità. Nel 2014 salì alle cronache perché, insieme ad altri sette senatori, negò l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche indirette di Antonio Azzollini (Nuovo centrodestra), accusato allora per diversi reati nell’ambito dell’inchiesta sul Porto di Molfetta. “Avevamo delle perplessità”, si giustificò. Ma la difesa che fece più scalpore fu quella per Roberto Calderoli, quando nel 2015 venne salvato dal Pd dal processo per istigazione razziale nei confronti della ministra Kyenge. Il leghista in un comizio aveva paragonato l’allora ministra a un orango. “Spesso nella satira si paragonano le persone agli animali”, disse proprio Cucca.
Davide Faraone, il segretario siciliano autosospeso dopo che l’hanno accusato di aver “stravolto le regole” – Tra chi ha detto subito sì a Renzi c’è naturalmente il suo luogotenente in Sicilia. Colui che per primo ha fatto campagna sull’Isola per aprire il Partito democratico oltre i suoi confini naturali e che di conseguenza ha attirato ex sostenitori di Totò Cuffaro, Raffaele Lombardo e Silvio Berlusconi. Attualmente è autosospeso dal Partito democratico, dopo che a luglio scorso è scoppiato un vero e proprio caso sul suo conto dentro il partito: la commissione di garanzia ha infatti deciso di annullare la sua elezione a segretario regionale sette mesi dopo l’esposto della corrente che fa riferimento a Zingaretti. A lui si contesta di aver “stravolto le regole del partito”. Una decisione mal digerita dal renzianissimo, che ora si vendica passando dall’altra parte. Faraone inizia a fare politica nella Sinistra giovanile, quindi nei Democratici di sinistra. Sostiene prima Piero Fassino e poi Walter Veltroni. Nel 2008 entra all’Ars con il Pd e nel 2013 viene eletto deputato. Nella scorse legislatura è sottosegretario all’Istruzione e alla Salute. Nel 2018 diventa senatore, oggi segue Renzi in Italia viva.
Teresa Bellanova, la ministra dell’Agricoltura e sindacalista che sostenne il Jobs act – Una delle carte più importanti che si gioca l’ex segretario Pd è quella della neoministra all’Agricoltura. Teresa Bellanova infatti è stata nominata nel governo Conte 2 e sarà tra le sentinelle più importanti di Renzi nell’esecutivo. Classe 1958 di Ceglie Messapica in provincia di Brindisi, è stata viceministra dello Sviluppo economico nei governi Gentiloni e Renzi. Ha iniziato come sindacalista della Cgil in Puglia ed è stata in prima linea nella lotta al caporalato. E’ nota per essere stata tra le più forti sostenitrici del Jobs act. E’ stata coordinatrice regionale delle donne di Federbraccianti in Puglia, segretaria generale provinciale della Flai (la Federazione dei lavoratori dell’agroindustria), componente della segreteria nazionale della Filtea, con delega alle politiche per il Mezzogiorno. Nel 2006 si è candidata alle elezioni politiche per i Democratici di Sinistra e, una volta eletta alla Camera, ha assunto l’incarico di componente della commissione Lavoro.
Debora Conzatti, la berlusconiana (ex Scelta civica) che abbraccia Renzi – Che la senatrice azzurra stesse pensando di fare il salto verso la maggioranza giallorossa, era sembrato chiaro già il giorno del voto di fiducia a Giuseppe Conte. In quell’occasione infatti Debora Conzatti, eletta in trentino con i voti di Lega-Fdi-Fi, aveva deciso di non votare. Un gesto che aveva destato non solo i sospetti degli azzurri, ma addirittura aveva fatto paventare l’ipotesi espulsione. Ci ha pensato lei ad accelerare i tempi. Ieri non si è presentata alla cena organizzata da Mara Carfagna con gli eletti di Forza Italia e oggi ha annunciato il grande addio. La vera notizia è che, raccontano nei corridoi, potrebbe essere solo la prima di una serie.
Nadia Ginetti, dalla Leopolda 2012 alla difesa della Boschi sulle pressioni a Unicredit – Nel 2012, quando era sindaco di Corciano, 21mila abitanti in provincia di Perugia, salì sul palco della terza Leopolda come oratrice. Il ‘titolo’ della convention? “Viva l’Italia viva”: quasi una premonizione. Di fatto la senatrice umbra è una renziana della prima ora. Sette anni fa, da amministratrice locale, sostenne la candidatura dell’allora Rottamatore alle primarie del Pd. Poi, nel 2013, l’elezione al Senato, bissata alle politiche del 2018. Di lei si ricorda il voto contrario (insieme ad altri 18 senatori) alla decadenza di Augusto Minzolini e una difesa a spada tratta di Maria Elena Boschi dopo le presunte pressioni, denunciate da Ferruccio De Bortoli, su Unicredit per l’acquisto della traballante Banca Etruria.
Mauro Maria Marino, in Parlamento dopo le dimissioni di Enrico Letta: è stato vicepresidente della commissione Banche – Entra alla Camera nel 2004 in quota Margherita, ma non perché viene eletto: subentra a Enrico Letta, dimessosi. Da allora non lascia più Roma e nel 2008 diventa senatore del Pd venendo eletto nel collegio della sua regione, il Piemonte. Qui, a dicembre 2018, si candida alla segreteria regionale dei dem, raccoglie la maggioranza relativa dei voti ma viene sconfitto dall’attuale segretario Paolo Furia. Responsabile regionale del settore Economia e Attività produttive, è stato vicepresidente della commissione Banche guidata da Pierferdinando Casini. Quando impazzava la polemica sulle presunte pressioni della Boschi su Unicredit, definì “inutile e ininfluente” la possibile audizione dell’ad Ghizzoni (che non fu più ascoltato). Sul metodo di lavoro scelto dalla commissione non aveva dubbi: “Se andiamo alla ricerca di vendette politiche o regolamenti dei conti, faremo danni“.
Leonardo Grimani, da sindaco di San Gemini a Palazzo Madama – Alla sua prima esperienza in Parlamento dopo i due mandati da primo cittadino di San Gemini, in provincia di Terni, ha aderito a Italia Viva ma ha promesso che sosterrà il programma e il candidato del Partito democratico alle prossime elezioni regionali del 27 ottobre. Intanto, ha detto, “mi dimetto da tutti gli organi di direzione politica del partito a partire dalla segreteria dell’Unione comunale”.
Laura Garavini, da Vignola a Berlino, l’impegno antimafia e la pioggia di voti degli italiani all’estero – Nata in provincia di Modena, nel 1989 si trasferisce a Berlino. Nel 2007, dopo la strage di Duisburg, è tra le promotrici della più grande iniziativa antiracket al di fuori dell’Italia, con Eurojust ad applaudirne la riuscita. Nel 2008 diventa deputata con oltre 25mila voti nella circoscrizione Europa/estero, performance migliorata nel 2013 con oltre 37mila voti. Nel 2018 viene candidata al Senato e l’esito non cambia: oltre 36mila voti. Una marea. Nel 2010 il ministro Maroni ha minacciato di querelarla dopo che lei ne aveva denunciato l’insufficiente collaborazione con la Commissione Antimafia per quanto riguarda il contrasto delle mafie al Nord. Nel 2015 chiede a Facebook di chiudere le pagine inneggianti al fascismo: per questo è stata minacciata di morte sui social da esponenti di estrema destra.
Eugenio Comincini, una carriera da primo cittadino a Cernusco sul Naviglio – Dal 2007 al 2017 sindaco di Cernusco sul Naviglio, la sua città, nel 2014 è eletto anche nel consiglio metropolitano di Milano e Giuliano Pisapia lo nomina vicesindaco metropolitano. Dal 2013 al 2017 componente della Direziona nazionale del Partito Democratico, a novembre 2018 – da senatore – si è candidato alla guida della segreteria regionale del PD lombardo, perdendo le elezioni.
Daniela Sbrollini, la juventina vicina a Lotti che Renzi voleva sottosegretaria allo sport – Vicentina, ex segretaria provinciale dei Ds, deputata dal 2008 e senatrice dallo scorso anno. E juventina, tanto da far parte del consiglio direttivo dell’Associazione Parlamentare Giovanni Agnelli Juventus Club. Nel 2017 Renzi – da segretario Pd – la nomina a capo del dipartimento sport. Il suo nome è collegato a un emendamento alla manovra 2017, con cui inserisce lo share certificato nella ripartizione dei diritti tv del calcio: si tratta di un regalo alla sua squadra del cuore, che rischiava – insieme alle altre big della Serie A – di perdere qualche decina di milioni di euro in favore dei club medio piccoli. Nella formazione del governo Conte 2 i renziani hanno cercato di farla diventare sottosegretaria allo sport. Invano.