venerdì 21 settembre 2012

Carrube.



Con la polpa delle carrube, si preparava una bevanda simile al te. Serviva per curare il raffreddore, l’influenza e la tosse.

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Non dimentichiamo i nostri eroi.



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Spese dei gruppi consiliari in Lombardia: “Non mostriamo le fatture. Cazzi nostri”. - Thomas Mackinson

Consiglio Regionale Lombardia

I bilanci di tutti i partiti che siedono al Pirellone sono certificati dalla Corte dei Conti, ma in realtà non dicono nulla perché composti da sole voci aggregate. E infatti basta chiedere ai politici di Pdl o Pd di esibire le ricevute e gli scontrini per avere una risposta molto chiara: "Non ve le facciamo vedere, questione di privacy". Anche la Lega fa orecchie da mercante. Idv e Sel: "Disponibili a mostrare tutte le carte".

Peggio che chiedere lo scontrino al bar. Non hanno niente da nascondere in Regione Lombardia ma quando si tratta di mostrare una ricevuta quasi tutti fanno muro. Tirano in ballo la violazione della privacy e s’attaccano al “diritto alla discrezionalità del consigliere a spendere nell’esercizio delle sue funzioni”. Al Pirellone funziona così, i soldi sono pubblici quando entrano e privati appena escono. Anche se annunciano future mozioni bipartisan sulla trasparenza, oggi non resta che credergli sulla parola.
Ma dopo il caso Fiorito in Lazio anche quella vacilla e allora tocca bussare a tutte le porte per capire come i gruppi spendono il loro tesoretto in un pozzo che l’anno scorso ha inghiottito 71 milioni di euro per 26 sedute soltanto. Certo, nel loro bilancio – che è pure certificato dalla Corte dei Conti – c’è il rendiconto degli 11 milioni spesi: 3,2 tra funzionamento e attività di comunicazione, 7,5 per il personale e così via.
Ma sono voci aggregate: cosa vuol dire che il Pdl ha usato 450mila euro in “spese dei consiglieri per l’espletamento del mandato”? Come hanno speso 720mila euro in comunicazione? Si accalora a rispondere il capogruppo Paolo Puccitelli: “Qui non siamo mica alla Regione Lazio, loro sono 71 noi 80 ma a Roma hanno un bilancio di 98 milioni e noi un terzo di meno. E poi noi teniamo tutte le ricevute, le fatture e gli scontrini per cinque anni come dice la legge. Se vuole le mostro tutte le tabelle”. Grazie, le abbiamo, a questo giro vorremmo vedere le fatture. “Non esiste proprio – scandisce irritato Puccitelli – Io non tiro fuori un bel niente, ci sono cose che sono riservate, personali. Magari dovrei dirvi anche dove va a cena questo e quel consigliere, cosa mangia e quanto spende… Roba da matti, io non voglio grane e senza l’autorizzazione di tutti e 29 i colleghi non faccio vedere un bel niente”.
Si scende di cinque piani ma la musica non cambia. Al gruppo del Pd si parla con Stefano Tosi. “Certo abbiamo l’ufficio contabilità con segretaria e tutto, ecco quello che spendiamo. Non mettiamo i dettagli online perché i giornalisti potrebbero farne un uso strumentale falsando le informazioni”. Peccato che sia la solita tabella senza dettagli: 212mila per il mandato dei consiglieri, 120mila per consulenze (a chi?), 72mila in convegni e manifestazioni. Il resto in trasporto, giornali, spese di stampa fino a sfiorare i 600mila euro nel 2011. Tenete le fatture? “Certo che teniamo tutto, è in un faldone ma non tengo a mente tutte le spese. Se vuole le mostro il bilancio”. E ci risiamo. Che ne dice invece di farmi dare una sbirciatina alle ricevute? Così, giusto per provare il brivido del proibito… “Eh no questo no, non andiamo in giro a distribuire i conti facendoli vedere a questo e a quello. Come i consiglieri gestiscono le loro spese è una scelta discrezionale”. Anche la Lega,fa orecchie da mercante. Sel e Idv, invece, si rendono disponibili a fornire la rendicontazione, fattura per fattura. Il capogruppo dell’Idv Stefano Zamponi dichiara: “Sentiti i colleghi ho aderito subito all’invito del Fatto Quotidiano sia perché non abbiamo nulla da nascondere, sia per dare un segnale che la politica non è tutta uguale. Invito gli altri gruppi a fare altrettanto perché in una situazione che ricorda Tangentopoli, con l’antipolitica che soffia sul fuoco e la competizione elettorale alle porte non si possono lasciare ombre”. Appuntamento lunedì alle 14.30, scontrini e fatture alla mano. Anche Chiara Cremonesi di Sinistra ecologia e libertà, sentiti i colleghi, ha manifestato analoga disponibilità.
Il capogruppo del Carroccio è lapidario: “Non è possibile farvi vedere nulla e poi non ne vedo proprio il motivo perché i nostri bilanci sono certificati dalla Corte dei Conti, quando la Lombardia sarà messa come il Lazio ne riparleremo”, dice Stefano Galli. Sì ma la Corte non vi chiede di giustificare le spese e mostrare le fatture… “Questo io non lo so, ma chissenefrega. Come spendiamo i nostri soldi sono cazzi nostri. Arrivederci”. Allora chi controlla che le spese non siano senza controllo? Tutti e nessuno.
I gruppi si autocertificano spese e rendiconti tramite i propri funzionari amministrativi che entro il 31 marzo depositano i bilanci all’ufficio di presidenza. Quest’ultimo li ratifica entro giugno. In realtà la legge (art. 7 LR n. 17 del ’92) gli conferisce il potere di “chiedere chiarimenti, nonché l’esibizione della documentazione relativa alle spese sostenute dai propri consiglieri”. Potere ma non “dovere”. E infatti da vent’anni resta un’opzione poco praticata. “Noi controlliamo la regolarità formale e la coerenza degli importi – conferma un dirigente – non le singole spese; chiediamo spiegazioni se notiamo scostamenti visibilmente anomali”. E infatti si ricorda un solo caso di spesa riconosciuta illegittima per 700 euro, tutto quello che hanno speso gli altri 79 consiglieri è passato in giudicato e non c’è capogruppo che ricordi una richiesta di accertamento spese. Anche la Corte dei Conti lavora così, chiudendo la catena della vigilanza nel solco della coerenza contabile e sotto l’insegna inviolabile della privacy degli eletti.
da Il Fatto Quotidiano del 21 settembre 2012 – articolo aggiornato alle 10.30

Sollievo.... e terrore.



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Rogo nel deposito dei cinesi. Il leghista: “Nessun morto? Che peccato”. - Alessandro Madron


Rogo Fabbrica Cinesi Monza


Il segretario della sezione del Carroccio di Bovisio Masciago, Patrizio Ferrabue, ha commentato così (e aggiungendo: "Sarà per la prossima volta") l'incendio che ieri in Brianza ha distrutto una ditta di giocattoli in cui lavoravano solo operai provenienti dall'estremo Oriente. Ora il politico rischia l'espulsione dal partito e l'incriminazione per istigazione all'odio razziale.

Un enorme deposito di giocattoli cinesi è andato in fiamme ieri sera, tra Brugherio e Monza, nel cuore produttivo della Brianza. Un incendio che ha tenuto impegnati decine di vigili del fuoco per diverse ore di lavoro e che ha prodotto alte colonne di fumo visibili anche da Milano. La vicenda non è sfuggita ai leghisti brianzoli, tanto che il segretario della sezione di Bovisio Masciago, Patrizio Ferrabue, ha colto l’occasione per lasciarsi andare ad commento decisamente sopra le righe. Nel corso dello scambio di battute con i suoi interlocutori ha chiesto: “Quanti cinesi morti?”. Gli hanno detto: “Nessuno…” E lui per tutta risposta: “Vabbè sarà per la prossima, però che peccato!!!!”. Con tanto di faccina sorridente.
Oggi i messaggi sono scomparsi da Facebook. Probabilmente all’orecchio del segretario di sezione è arrivato il consiglio di qualche amico avveduto, ma non sono scoparsi dalla Rete. Ad immortalarli e renderli pubblici ci ha pensato ‘l’anticomunitarista’ Daniele Sensi nel suo blog, sempre attento a smascherare la xenofobia strisciante con cui conviviamo spesso in maniera distratta.
Così, nonostante la repentina pulizia digitale, a Patrizio Ferrabue potrebbero toccare le stesse sorti dell’ex capogruppo della Lega Nord nel consiglio comunale di Udine, Luca Dordolo, espulso dal movimento nel mese di giugno dopo aver scritto un post razzista sul proprio profilo Facebook. Dordolo aveva commentato un episodio di cronaca nera: una donna indiana uccisa dal marito era stata gettata nel Po, lui se l’era presa con l’assassino, colpevole di aver “inquinato il sacro fiume” (ad agosto è stato rinviato a giudizio per istigazione all’odio razziale). Non contento, nelle scorse settimane Dordolo era tornato a colpire, postando l’immagine di un orango accanto a quella di Mario Balotelli, commentando “Ma sono uguali!!!”.


Gli otto buchi della terra.

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Il Meteor Crater, Arizona - USA (chiamato anche Canyon Diablo crater, Cratere di Barringer, Coon Montain o Coon Butte) è un cratere meteorico situato in Arizona. È per antonomasia il cratere meteorico per definizione. 

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Kimberley  Big Hole -  South Africa 

Apparentemente il più grande buco mai scavato sulla terra. Profondo 1.097 metri questa miniera ha dato alla luce più di 3 tonnellate di diamanti prima della sua chiusura avvenuta nel 1914. 


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Glory Hole -  Diga di Monticello, California 

Il Glory Hole viene usato quando il livello della diga raggiunge il punto critico e bisogna far scorrere l'acqua fuori dall'invaso. 


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Bingham  Canyon  Mine,  Utah - USA 

Un altro dei più grandi buchi scavato nella terra. L'estrazione mineraria iniziò nel 1863 e continua ancora oggi.

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Great Blue  Hole ,  Belize 

Questo incredibile fenomeno geografico conosciuto come il Buco Blu è situato a 60 miglia da Belize, in America Centrale. Ci sono numerosi buchi blu nel mondo ma, nessuno così grande e stupefacente. 


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Mirny Diamond  Mine ,  Tunguska - Russia 

Sicuramente la miniera di diamanti numero uno per larghezza. Profonda 525 metri, con un diametro alla superficie di 1.200 metri, è fatto espressamente divieto di volo sopra di esso per il pericolo, per gli elicotteri, di rimanevi letteralmente succhiati dentro. 

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Sinkhole in  Guatemala 

Creato semplicemente dal risucchio dell'acqua piovana causato dal collasso della superficie terrestre. 
Questo buco, creatosi in Guatemala ha letteralmente inghiottito almeno un dozzina di case, abitanti inclusi.

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Diavik Mine ,  Canada 

Questa incredibile miniera si trova a 300km a nord-est di Yellowknife  in  Canada. 


http://www.lineameteo.it/viewtopic.php?f=22&t=5008

Consiglio regionale Campania, Gdf acquisisce atti sui fondi ai gruppi.


caldoro interna


L’iniziativa disposta nell’ambito di una inchiesta della Procura di Napoli che ha aperto un fascicolo per l’ipotesi di peculato. Da un primo esame del materiale emergerebbe che l’ammontare complessivo delle spese si aggirerebbe intorno ai sei milioni di euro all’anno.

Dopo il caso che ha investito la regione Lazio, si apre un’inchiesta anche in Campania. La Guardia di Finanza ha acquisito una serie di documenti presso la sede del Consiglio regionale al Centro Direzionale di Napoli. L’iniziativa è stata disposta nell’ambito di indagini della Procura di Napoli che ha aperto un fascicolo per l’ipotesi di peculato
La Finanza ha acquisito, in particolare, documenti del bilancio regionale in cui si fa riferimento alla ripartizione di fondi per i vari gruppi nonché la relazione della presidenza del Consiglio sulle modalità di rendicontazione.
L’inchiesta è condotta dal pm Giancarlo Novelli ed è coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco.  L’indagine che ha portato le Fiamme Gialle ad acquisire atti è scaturita da intercettazioni telefoniche disposte nell’ambito di un’altra inchiesta su reati di pubblica amministrazione in cui è coinvolto un consigliere. Gli inquirenti intendono esaminare le spese dei consiglieri che rientrano in tre voci di bilancio: indennità per le attività politiche, comunicazione e funzionamento dei gruppi. Da un primo esame del materiale acquisito emergerebbe che l’ammontare complessivo delle spese si aggirerebbe intorno ai sei milioni di euro all’anno. 
Sotto la lente dei magistrati anche il denaro destinato a consulenze e rappresentanza. Dai primi accertamenti compiuti dal nucleo regionale di polizia tributaria emergerebbe che fondi destinati ai gruppi regionali presenti in Consiglio in Campania era finito attraverso bonifici nella disponibilità di singoli consiglieri. Sono in corso accertamenti per verificare se e in che modo il denaro sia stato successivamente speso.
Il presidente del Consiglio regionale della Campania Paolo Romano ha affermato: ”Il Consiglio regionale della Campania e la Regione stessa costituiscono un esempio positivo, avendo intrapreso un percorso di rigore, che ha portato a tagliare di 21 milioni di euro i costi della politica. L’inchiesta della Guardia di Finanzia ci trova tranquillie disponibili a collaborare con magistratura e forze dell’ordine per far luce su punti non perfettamente chiari, semmai ce ne fossero”. 
”In due anni – ha sottolineato – il nostro bilancio è passato da 83.754.000 del 2010 a 69.951.000 del 2011. Per l’anno in corso sono stati stanziati 72 milioni, ma contiamo di restare sotto la soglia dei 70, pesando per 12 euro sulle tasche dei contribuenti campani. Le spese per il funzionamento dei Gruppi consiliari rientrano in un’ottica di rigore: circa un milione di euro all’anno suddivisi per nove gruppi, secondo il numero dei componenti. Nonostante si tratti di una cifra equa in un momento in cui la trasparenza è uno dei migliori antidoti all’antipolitica, stiamo lavorando ad una legge che rafforzi una più chiara regolamentazione della materia”.
Romano ha inoltre elencato altri tagli decisi di recente: “Abbiamo cancellato i gruppi costituiti da un solo consigliere, abolito tutte le auto blu, tranne per il Presidente della Giunta ed il Presidente del Consiglio, non abbiamo speso un euro di consulenze ed abbiamo in bilancio 49 mila euro per spese di rappresentanza. E’ notizia di ieri  la rescissione del contratto di locazione di alcuni locali al Centro direzionale che ci consente un ulteriore risparmio di oltre un milione di euro”.

FIOCCO ROSA A LASHKAR-GAH.

“Giorgia” e lo staff medico di Emergency


Si chiama Ridigul, ha trent’anni ed è stata ferita dall’esplosione di una mina nel distretto di Grishk. Il marito l’ha trasportata subito al nostro Posto di primo soccorso, dove i nostri infermieri l’hanno stabilizzata e trasferita in ambulanza al Centro chirurgico per vittime di guerra di Lashkar-gah.
Fin qui sembra la cronaca di una "normale" giornata di lavoro a Lashkar-gah. Ma Ridigul è incinta di otto mesi e una delle tante schegge che l’hanno colpita si trova a pochi centimetri dal bambino.
Le facciamo un’ecografia prima di entrare in sala operatoria: il bambino è vivo.
I nostri chirurghi si preparano per una laparotomia e, inaspettatamente – questo è un Centro di chirurgia di guerra – un parto cesareo.
Durante l’operazione, in sala come in tutto l’ospedale, regna il silenzio: temiamo che il bambino abbia riportato dei danni. C’è anche un po’ di ansia: può sembrare strano, ma quando sei abituato a curare vittime di guerra tutti i giorni, un parto diventa un evento straordinario, quasi spiazzante.
A un certo punto, sentiamo un pianto percorrere i corridoi fino alle cucine. Non è un pianto di dolore, come spesso siamo abituati ad ascoltare in queste corsie, ma quello di una nuova vita.
Giorgia, come l’ha chiamata affettuosamente il nostro personale, sta bene ed è già attaccata al seno della sua mamma.
Lorenzo, logista di Emergency in Afghanistan

Corrado Clini l'americano. - Stefania Maurizi



Nei file segreti dell'ambasciata Usa, pubblicati da WikiLeaks il ministro viene definito "Il nostro migliore amico al ministero dell'Ambiente"

Corrado Clini? E' «il nostro migliore amico al ministero dell'Ambiente». A definirlo così è l'ambasciata americana di via Veneto nelle sue comunicazioni riservate con il Dipartimento di Stato, pubblicate da WikiLeaks. Il ministro, che ha rigettato con sdegno le presunte intercettazioni telefoniche in cui un manager dell'Ilva di Taranto lo definirebbe «un nostro uomo», sembra avere amici ben più potenti dei signori dell'acciaio. 

Sono 22 i cablo, dall'ottobre 2002 al gennaio 2010, anni in cui Clini era ancora un navigato direttore generale del dicastero, che permettono di ricostruire la sua relazione speciale con gli americani. Sono anni molto speciali: durante l'amministrazione Bush tra Usa e Unione europea c'è un grande gelo, con l'eccezione del governo Berlusconi sempre al fianco della Casa Bianca. E in questo momento gli accordi internazionali sull'inquinamento e l'ecologia sono al centro dell'agenda diplomatica. Ma gli americani sanno che al ministero dell'Ambiente di Roma c'è un contatto fidatissimo: Corrado Clini, appunto. Le comunicazioni usano toni sfumati ma permettono di ricostruire il sostegno del funzionario italiano, che avrebbe aiutato gli americani a uscire dall'isolamento sulle questioni ambientali. Lo considerano «un architetto chiave del ponte tra gli Stati Uniti e l'Europa in materia di cambiamenti climatici negli anni del governo Berlusconi (2001-2006)», come scrive l'ambasciatore Ronald Spogli. 

La diplomazia di via Veneto è grata all'Italia del Cavaliere per «essersi presa il significativo rischio politico di promuovere la cooperazione nella ricerca con gli Usa in un periodo in cui la maggior parte dei Paesi membri dell'Europa erano critici riguardo alla decisione del presidente (Bush) di ritirarsi dal protocollo di Kyoto».

Oltre a Kyoto c'è un'altra questione chiave in cui si vuole superare il muro europeo: la diffusione delle coltivazioni Ogm. E' un grande scontro: in ballo ci sono enormi interessi di multinazionali come la Monsanto o la Pioneer del gigante della chimica Du Pont, sostenuti dal governo americano. Pronto a cogliere al volo i suggerimenti dell'alto dirigente italiano, ora diventato ministro. Clini suggerisce che un modo «per stimolare positivamente Berlusconi potrebbe essere quello di metterlo in comunicazione con Tony Blair». 


E quando regioni come il Piemonte del governatore di centrodestra Ghigo iniziano a distruggere le colture "contaminate" da Ogm, l'ambasciata riporta a Washington la reazione del «nostro migliore amico al ministero dell'Ambiente», che si chiede: «Ghigo è matto?». 

Infine è da Federica Fricano, consigliere senior di Corrado Clini, che nel 2004 gli americani vengono a sapere in via confidenziale come il governo italiano intende comportarsi in materia di bromuro di metile, un pesticida usato per le coltivazioni in serra, che la comunità internazionale vuole mettere al bando entro il 2005, visti i suoi effetti sulla salute umana e sull'ozono. La Fricano - indicata come «un nome da proteggere» - rivela a via Veneto che l'Italia continuerà ad appoggiare la posizione degli Usa, secondo cui l'uso era possibile nei casi in cui «non fossero disponibili alternative al bromuro di metile tecnicamente ed economicamente fattibili».


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/corrado-clini-lamericano/2188787

La mafia e i silenzi di Silvio. - Lirio Abbate (16 dic. 2009)



I pm di Palermo a Palazzo Chigi per interrogare Berlusconi. Che scelse di tacere. Ecco i quesiti che gli volevano porre. Per chiarire l'origine dei capitali di Fininvest.

Ci sono domande che lo inseguono da circa trent'anni, che tornano periodicamente alla mente di imprenditori, politici e investigatori. Sono i 'buchi neri' della vita professionale del cavaliere Berlusconi, affiorati durante indagini sulle presunte collusioni mafiose. Interrogativi semplici. Lo sono, perlomeno, per chi non ha nulla da nascondere. Gli investigatori ipotizzano che nelle casse che fanno capo alle aziende del premier potrebbe essere stato versato denaro proveniente dai traffici illeciti della mafia palermitana. Per i giudici avrebbe ricevuto finanziamenti "non trasparenti" fra gli anni '70 e '80. Dietro l'origine di queste fortune economiche, per gli inquirenti, si nasconderebbero i fantasmi del passato: incontri riservati nella 'Milano da bere' di trent'anni fa invasa dai siciliani, colloqui evocati da pentiti di mafia e testimoni. Ma di questi fatti Silvio Berlusconi non vuole parlarne nemmeno ai magistrati che processano il suo amico Marcello Dell'Utri accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Preferisce restare in silenzio davanti ai giudici. E attaccarli appena mette la testa fuori dall'aula giudiziaria.

Il codice di procedura penale gli ha consentito, sette anni fa, di avvalersi della facoltà di non rispondere, per via di un'inchiesta palermitana sul riciclaggio in cui era stato indagato e poi archiviato. Indagine che potrebbe essere riaperta se dovessero arrivare nuovi spunti investigativi.Era il 26 novembre 2002 ed il tribunale che processava Dell'Utri si era spostato nella sede istituzionale di Palazzo Chigi per sentire il premier nella qualità di 'indagato di procedimento collegato'. E lui, dopo tanti rinvii per sopravvenuti impegni istituzionali, si è avvalso della facoltà di non rendere interrogatorio. Un po' come ha fatto la scorsa settimana il boss Giuseppe Graviano chiamato dalla corte d'appello nel processo al co-fondatore di Forza Italia. Entrambi - Berlusconi e Graviano - davanti ai giudici hanno preferito restare in silenzio e non chiarire le posizioni del passato che potrebbero avere punti in comune fra il '93 e '94.


A guardarli dall'esterno sono posizioni diverse, ma il messaggio che arriva è identico. Il presidente del Consiglio non ha certo contribuito a far luce su vicende che riguardavano un suo stretto e antico collaboratore oltre che su una serie di interrogativi che si pongono all'origine delle sue fortune finanziarie e sulla nascita di Forza Italia. Interrogativi che emergono dalle indagini. Per il mafioso e stragista Giuseppe Graviano "il silenzio è d'oro", perché in Sicilia "la migliore parola è quella che non si dice". Chi sostiene di prendere le distanze dal suo passato, senza pentirsi, è Filippo Graviano fratello di Giuseppe. Accettando di rispondere in aula alle domande dei pm nel processo d'appello a Dell'Utri, il maggiore dei Graviano afferma di non conoscere il senatore. Non riscontrando in questo modo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza che coinvolgono Dell'Utri e il presidente del Consiglio nel groviglio istituzionale delle indagini sulle stragi e sulla 'trattativa con lo Stato'. La deposizione dei Graviano è stata anomala. Nei processi di mafia i pm non citano mai le fonti dei collaboratori di giustizia 'se si tratta di affiliati non pentiti', perché - come sostiene la giurisprudenza - non potrebbero che negare. E' come se Totò Riina fosse chiamato dai giudici a riscontrare le dichiarazioni di Tommaso Buscetta.

Per cercare di dipanare le ombre che coprono i buchi neri nel passato di Berlusconi, i pm di Palermo, Domenico Gozzo e Antonio Ingroia, sette anni fa avevano preparato una lunga lista di domande - un centinaio, che abbracciavano quasi trent'anni di attività - che gli avrebbero voluto rivolgere. 'L'espresso' è in grado di ricostruire i punti essenziali - contenuti in 90 pagine scritte dalla procura - che avrebbero costituito l'esame al quale il premier doveva essere sottoposto. A cominciare da chi gli avesse dato i soldi all'inizio della sua scalata imprenditoriale. Si sarebbero voluti far ricostruire al teste i flussi finanziari relativi alle società del gruppo Fininvest. La vera genesi e lo sviluppo del rapporto con Dell'Utri, con il finanziere Filippo Alberto Rapisarda e con l'imprenditore Francesco Paolo Alamia, entrambi amici di Vito Ciancimino, e con il mafioso palermitano Gaetano Cinà (deceduto due anni fa, coimputato di Dell'Utri e condannato in primo grado a 6 anni per associazione mafiosa ndr).


I pm avrebbero voluto sapere dal premier perché nel 1974 ingaggiò come fattore Vittorio Mangano, nonostante i suoi precedenti penali e in base a quali competenze lo aveva scelto visto che gli unici due cavalli che il boss fino a quel momento aveva avuto erano stati proprio quelli di villa San Martino ad Arcore. Una spiegazione l'avrebbero voluta per comprendere l'assoluta assenza di preoccupazione di Berlusconi durante una conversazione telefonica con Dell'Utri dopo l'attentato che aveva subito in via Rovani a Milano, davanti gli uffici Fininvest il 28 novembre 1986, in cui veniva ipotizzato che l'autore fosse Mangano.

Ai magistrati interessava sapere se Dell'Utri conoscesse Bettino Craxi e quali rapporti avessero, visto che dalle intercettazioni emergono riferimenti all'ex segretario del Psi. Se il capo del governo fosse informato dei continui contatti fra il suo amico Marcello e il mafioso Cinà: incontri avvenuti a Milano nel 1987 con l'uomo d'onore palermitano che avrebbe partecipato anche ad una riunione in cui si sarebbe discusso dell'acquisto di Rete 4 da parte della Fininvest. I magistrati avrebbero voluto sapere se Berlusconi avesse mai conosciuto i mafiosi Francesco Di Carlo, Stefano Bontate e Mimmo Teresi, il Gotha di Cosa nostra che nel 1974 lo avrebbe incontrato negli uffici della Edilnord per assicurargli 'protezione'. E se è vero che cenasse insieme a Mangano e alla sua famiglia, in particolare la sera del 7 dicembre 1974 in cui avvenne il sequestro del principe D'Angerio dopo esser stato ospite ad Arcore.

Ci sono anche i rapporti con l'imprenditore Flavio Carboni e il cassiere della mafia Pippo Calò. Gli investimenti immobiliari che avrebbero concluso in Sardegna. L'appartenenza alla P2 alla quale Berlusconi si era iscritto nei primi mesi del 1978 su invito di Licio Gelli. Nella lista ci sono domande sul pagamento di somme di denaro ad associazioni criminali per lo svolgimento di attività produttive, con particolare riferimento agli attentati ai magazzini Standa di Catania - di cui la Fininvest deteneva il 75 per cento - e per i quali l'azienda non si costituì parte civile nel processo ai responsabili del rogo. E il motivo per il quale non avesse denunciato le estorsioni subite dalle sue attività in Sicilia. Inoltre se avesse o meno saputo di rapporti tra la Fininvest siciliana e un lontano parente di Tommaso Buscetta. 


Le domande si allargano alla parte economica, in particolare al motivo per il quale nel 1998 il premier mandò a prelevare copia delle carte sulle holding che formano la Fininvest e le nascose ai consulenti della difesa di Dell'Utri che in questo modo non hanno potuto chiarire le "anomale" operazioni miliardarie. E il perché fossero state utilizzate le identità di casalinghe, disabili colpiti da ictus e disoccupati ai quali erano state intestate alcune azioni del gruppo. E da dove arrivassero tutti quei miliardi di lire di provenienza ignota affluiti nelle holding Fininvest tra il 1975 e il 1985. E poi perché non avesse reso noto i nomi dei soci effettivi, cioè di coloro che hanno versato le prime disponibilità finanziarie. E infine l'aspetto politico: se avesse avuto contatti nel 1993 con il partito Sicilia Libera voluto dal boss Leoluca Bagarella con il quale voleva stringere un accordo elettorale; e in quale data avesse preso la decisione di "scendere in campo".

Ma il premier si è avvalso della facoltà di non rispondere. Alla verità ha preferito il silenzio.

In quella occasione, ad avviso del tribunale, come è riportato nella motivazione della sentenza di primo grado che ha condannato Dell'Utri a nove anni, Berlusconi "si è lasciato sfuggire l'imperdibile occasione di fare personalmente, pubblicamente e definitivamente chiarezza sulla delicata tematica in esame", cioè "sulla correttezza e trasparenza del suo precedente operato di imprenditore che solo lui, meglio di qualunque consulente o testimone e con ben altra autorevolezza e capacità di convincimento, avrebbe potuto illustrare. Invece, ha scelto il silenzio".


Quando il Cavaliere stava per alzarsi dal banco dei testimoni anche i pm tentarono di rivolgergli un appello per non rinunziare al suo contributo alla verità, ma rimase inascoltato, dando così luogo ad un appuntamento mancato con la verità.

Ciò nonostante, quel silenzio non è stato capace di cancellare con un colpo di spugna ciò che è stato faticosamente accertato durante le indagini preliminari che lo hanno riguardato: prima l'inchiesta in cui il capo del governo è stato indagato per riciclaggio insieme all'imprenditore Alamia, e poi in quella di Dell'Utri.

I silenzi del premier, le resistenze dei consulenti della Fininvest, le insufficienze della documentazione bancaria e societaria messa a disposizione delle parti, non hanno annullato la valenza indiziaria degli elementi acquisiti dai magistrati che hanno indagato sulle prime basi finanziarie su cui si è creato l'impero economico del Biscione. Vero è che i riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo e a quelle dell'industriale Rapisarda non sono stati sufficienti per provare l'accusa di riciclaggio. E trovandosi senza elementi di diretta conferma a queste affermazioni, manca la prova specifica del reato: e infatti il procedimento per Berlusconi è stato archiviato dieci anni fa.

Restano tanti interrogativi che ci vengono imposti dai numeri che sono emersi dall'analisi delle holding. Sono le cifre a nove zeri che i magistrati hanno trovato nelle società che formano la Fininvest. Miliardi di lire versati in contanti di cui Berlusconi non ha mai indicato l'origine. E il periodo coincide con quello segnalato da collaboratori di giustizia e testimoni che facevano riferimento alla disponibilità di Dell'Utri al reinvestimento di denaro di provenienza illecita, versato - come sostengono gli inquirenti - nelle casse della Fininvest. Rapisarda ha riferito di un impiego di dieci miliardi di lire nel 1978-79, e di un investimento di 20 miliardi nel 1980-81.

Nessuno è autorizzato a trarre argomenti dal silenzio, perché il silenzio è nemico della verità. "Ma se tutto era davvero così chiaro", come hanno sottolineato i magistrati, "bastava chiarire quel che c'era da chiarire". Un appuntamento mancato sulla strada dell'accertamento dei fatti. Davanti ai giudici Berlusconi preferisce tacere. E, così, i dubbi sul suo passato restano. 


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/la-mafia-e-i-silenzi-di-silvio/2117392//0

Livorno, murato l’ingresso di Equitalia. “Bisogna ribellarsi per non suicidarsi”.


porta murata equitalia livorno (2) interna nuova


Un gruppo di una decina di persone è stato scoperto mentre armeggiava con secchi e cazzuole davanti alla sede dell'agenzia. Un collettivo "rivendica" l'azione e invita a scendere in piazza: "Se la prende solo con i poveri".

Mattoni bianchi “da tamponamento” e calcestruzzo e l’ingresso della sede di Equitalia finisce murato. E’ successo nel pomeriggio a Livorno. Un’azione dimostrativa di almeno una decina di persone, sulla quale stanno ora indagando i carabinieri. Tuttavia nessuno sembra aver visto niente finché non si è insospettito il portiere di un edificio a fianco di quello in cui si trova l'agenzia di riscossione. A quel punto il gruppetto, che era arrivato trasportando tutto il necessario con dei carrelli di un supermercato, si è allontanato. Tutto registrato dagli stessi autori del “blitz” e pubblicato su youtube.


All’interno degli uffici, peraltro, si trovavano anche alcuni impiegati (l’ufficio era chiuso al pubblico), ma non hanno notato niente di strano, anche perché stavano lavorando al primo piano. Stando alle prime ricostruzioni dell’Arma e dei testimoni i muratori improvvisati avrebbero agito in pochi minuti, arrivando ad alzare tre file di mattoni.
All’esterno della sede di Equitalia – oltre all’attrezzatura utilizzata per alzare il muretto – è stato trovato anche un piccolo manifesto, attaccato a una ringhiera, che promuove una manifestazione in città per sabato prossimo proprio contro la società di riscossione: “Ribellarsi per non suicidarsi, in piazza contro Equitalia”. 
Una forma di protesta, insomma, poi “rivendicata” dal comunicato di un gruppo chiamato “Ex Caserma Occupata”, nato dopo l’occupazione, per l’appunto, di una caserma della polizia dismessa da tempo come protesta contro l’emergenza abitativa.  ”Chiudi la porta a Equitalia – si legge nel comunicato – Oggi precari e disoccupati sull’orlo di una crisi economica e nervosa, prima di suicidarsi hanno deciso di lottare per i loro diritti, pacificamente e simbolicamente con un’azione goliardica”
“Nonostante sia sempre più difficile sopravvivere alla ‘crisi’ – aggiunge il manifesto – basta un piccolo ritardo o una cartella non pagata per rimanere indebitato a vita, mentre chi evade le tasse per milioni di euro ha la possibilità di “adeguarsi” pagando una percentuale irrisoria”. Quindi l’imperativo diventa: “Chiudere Equitalia subito!”. 
Non è la prima volta che la sede di Equitalia di Livorno (che si trova in centro, non lontano dalla zona pedonale) è presa di mira da episodi di contestazione. Il più recente è stato anche il più grave. A maggio due bottiglie molotov furono scagliate contro l’ingresso e le fiamme danneggiarono l’esterno della sede. L’inchiesta ha poi portato alla denuncia di 9 ragazzi, tutti molto giovani. A gennaio, invece, il direttore dell’agenzia ricevette una lettera con un proiettile 7,65. In quel caso, tuttavia, sembrò più un gesto isolato: tra le altre cose definiva il recapito della pallottola come un avviso e precisava esplicitamente la lontananza da qualsiasi ideologia anarchica. Anche per questo motivo nella zona ci sono molte telecamere di sorveglianza. 

E la Fornero va nel sito proibito. - Denise Pardo



L'invito recitava così «Nell'area archeologica mezzo secolo si perde». Per festeggiare il suo compleanno come si conviene Maria Criscuolo, presidente di Triumph Group, monopolista o quasi dei grandi eventi e anche dei G8 negli anni del Cavalierato, avrà desiderato qualcosa di alto, qualcosa di colto. Una visita privata al Colosseo per esempio? Ma no, visto e stravisto. Al Foro romano? No, colonne, sassi e massi riconoscibili pure dai taiwanesi. Comunque, troppo sfacciato, non è più aria. E poi si può fare di più. Per esempio far aprire alla Sovrintendenza del Beni archeologici della Capitale un monumento ancora chiuso al pubblico. Complicato? Per niente, siamo a Roma, sede del Palazzo. E infatti. Detto, fatto. 

COMPLEANNO AL BUIO. Così al crepuscolo di un giorno di fine estate Criscuolo ha offerto agli "amici" la visita guidata a una caverna d'eccezione: il mitreo, il sotterraneo dedicato al culto del dio Mitra alle Terme di Caracalla. Ancora cantiere, questo è il bello, solo a fine ottobre la previsione d'apertura, questo è ancora più bello. Una visita per intimi, ovvio. Trecento ospiti o giù di lì. Che privilegio, che benefizio. Per non parlare della sintonia con lo Zeitgeist. Quando i tempi sono bui, dove festeggiare se non sottoterra, appunto al buio? 

LE ROVINE DEL POTERE. Hanno aderito tutti. Anche la first lady Elsa Monti, tallonata da Marina Piranomonte (con quel nome non poteva che essere lei ad accompagnarla) nota archeologa responsabile delle Terme di Caracalla. Non mancava il ministro del Lavoro Elsa Fornero, e anche il collega alla Pubblica amministrazione Filippo Patroni Griffi. E poi in giro per le rovine Antonio Mastrapasqua, presidente dell'Inps, manager piovra da decine di incarichi, Luigi Abete, Maddalena Letta, Gabriella Alemanno e insomma c'era questo e c'era quello, la nomenklatura della città eterna che non tramonta mai chiunque sia al potere.


Maria Criscuolo 
Maria Criscuolo

JACKPOT MARIA. All'entrata del mitreo, lei Criscuolo, temperamento da vispo carro armato, taglio di capelli da carmelitana scalza ma pettinata, cervello da manager, al tempo era così vicino al Berlusconi-power da essere presenza fissa nella stanza pre-Consiglio dei ministri. Dal centrodestra al centrosinistra, spesso in tandem con Guido Bertolaso, Criscuolo è un jack pot di appalti strabiliante: la sua società Triumph, comunicazione ed eventi, veniva commentata con ammirazione (nelle intercettazioni telefoniche) persino dalla cosiddetta «cricca» per i notevoli acchiappi di commesse. 

LODE DALLA CIA. Ora Triumph è stata clonata dal suo presidente anche in Cina e in patria trionfa ancora di più come organizzatrice di mega convegni medici. In un'intervista ad «A» la suddetta ricorda i suoi inizi come interprete dell'ambasciatore Usa presso il Vaticano William Wilson. Dopo essere passata per un'intera giornata al vaglio e con lode dalla Cia. 

PLASTICA E CHAMPAGNE. La passeggiata nelle viscere della terra culminava con un umile tavolino pieno di bottiglie di champagne con bicchieri spending review, ovvero di plastica. Nonostante l'assenza del Baccarat, qualcuno ha commentato: l'apertura del cantiere di un sito archeologico per un compleanno? Siamo in pieno clima da casta. Ma no. Che malalingua, e poi in questo caso la casta non è desnuda ma si occulta. Almeno per quei quindici minuti nel cunicolo del mitreo.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/e-la-fornero-va-nel-sito-proibito/2191507



Alle società della «cricca»  il lasciapassare degli 007 - Fiorenza Sarzanini - 4 marzo 2010

Balducci ad Anemone: Bertolaso dice che sei il nostro capo.

PERUGIA— «Tu sei il nostro capo». Così Angelo Balducci si rivolgeva all’imprenditore Diego Anemone. E gli assicurava di parlare anche a nome di Guido Bertolaso. Gli atti giudiziari della procura di Perugia svelano ulteriori retroscena sull’aggiudicazione degli appalti per i Grandi Eventi. Aggiungono dettagli sui comportamenti del capo della Protezione Civile. E fanno emergere nuovi contatti dei componenti della cricca come quello tra lo stesso Balducci e il consulente aziendale Luigi Bisignani, con il professor Valori e con l’ex segretario di Francesco Rutelli, Vincenzo Spadafora, che assume suo figlio all’Unicef. Ma l’indagine dovrà adesso verificare anche un’altra circostanza: il rilascio del "Nos" al gruppo Anemone. Si è infatti scoperto che il Gruppo ha ottenuto il «nulla osta di sicurezza» dai servizi segreti. Un riconoscimento che viene concesso soltanto a ditte che hanno particolari requisiti e possono così svolgere lavori per alcune istituzioni come appunto le sedi che ospitano gli apparanti di intelligence, quelle del Viminale, le caserme, le carceri e altre strutture «riservate».Saranno dunque i magistrati di Perugia a dover verificare se la procedura seguita sia stata regolare e se l’impresa avesse i titoli necessari.
Il prezzo invitato
Il 12 novembre scorso il responsabile del centro benessere del Salaria Sport Village Simone Rossetti contatta Stefano Morandi, un suo collaboratore, «e gli prospetta "l’importantissima" necessità di organizzare un ciclo di riabilitazione per la figlia di Bertolaso». Il tono è sbrigativo: «Allora praticamente ha chiamato la Protezione Civile... ha chiamato la segretaria del ministro Bertolaso ... ha richiesto siccome la figlia di Bertolaso c’ha un problema al... s’è tolta un chiodo praticamente... c'ha bisogno da domani mattina di una persona che le faccia sia la riabilitazione in acqua... quindi lei viene con la mascherina un po’ di pinne ’ste cose qui... vuole che gli mandi una mail allora fai... punto gallo... chiocciola protezione civile punto it... mi raccomando pure i prezzi dentro... mettiamogli un programma che ne so 10 sedute cose così». I due si sentono ancora poco dopo. Annotano gli investigatori: «Rossetti chiede a Morandi di indicare nel programma da inviare per posta elettronica alla segretaria Marina il prezzo inventato di 80 euro a seduta: "L’importo inventatelo insomma fai... fagli 80 euro a seduta».

Tessera di platino per il cognato.
Le intercettazioni svelano come il circolo di Anemone sia una meta fissa per tutta la famiglia Bertolaso. E i dipendenti appaiono ben lieti di accontentare ogni richiesta. Il 17 ottobre, Rosalba, dipendente del Salaria Sport Village, parla con Rossetti di Francesco Piermarini, il cognato del capo della protezione civile, che ha ottenuto anche alcuni incarichi nell’ambito degli eventi. Rosalba: ... eh Simone ... ti disturbo? allora una cortesia questa mattina è venuto il signor Piermarini Francesco ... lui era ... che è platino (Categoria di abbonamento, ndr?)
... Rossetti: ... sì, a posto, a posto ... Rosalba: ... lo posso rinnovare ? Rossetti: ... assolutamente va bene ... sì, sì va be’ sai ... senti una cosa quella lì ... prolungamela così poi non c’abbiamo problemi... prolungamela un paio d’anni va bene?... Rosalba: ah! va benissimo, sì perché ha portato un’ospite io ho fatto entrare... Rossetti: ... non ci sono problemi hai fatto benissimo... A confermare gli ottimi rapporti tra Bertolaso e Anemone è, secondo gli investigatori, una telefonata del 31 dicembre scorso tra l’imprenditore e Balducci. Balducci:... poi mi ha chiamato Guido e m’ha detto... sai... dice... ho avuto un bellissimo colloquio con il nostro capo... che saresti te Anemone:... (ride) Balducci: e m’ha detto senti allora ci vediamo il... magari se sei a Roma?... dico... no ... guarda ... io il primo ho detto ... be’ può darsi perché poi il primo sera e il 2 mattina... faccio 3-4 giorni alla Residance
I lavori alla Triumph
Il 12 dicembre scorso Balducci commenta la pubblicazione di un articolo sul settimanaleL’Espresso «dove il riferimento alla società Triumph "è perfettamente preciso", aggiungendo che più volte ha segnalato a Guido (Bertolaso) che era "un’esagerazione affidare sempre a tale impresa le fornitura di servizi"». Annotano i carabinieri del Ros: «Si tratta della impresa Gruppo Triumph srl con sede a Roma via Lucilio 60, costituita il 23 luglio 1991 che presenta in atto un capitale sociale di euro 35.000, ripartito fra i soci: (euro 34.000) Maria Criscuolo, (euro 1.000) Francesca Accettola. La società ha come attività l'organizzazione sia nella preparazione che nello svolgimento di conferenze, congressi, tavole rotonde, riunioni, seminari ed incontri tecnici e scientifici». E poi aggiungono: «Proprio a Maria Criscuolo, il pomeriggio del giorno successivo (24 dicembre), Balducci invia un sms pr gli auguri natalizi. "Maria tanti auguri e spero a presto. Angelo Balducci". Dopo pochi minuti Maria Criscuolo, con un altro sms, risponde. "Anche io spero di vederti presto un abbraccio Maria». Balducci è critico nei confronti di Bertolaso anche in occasione del suo viaggio ad Haiti dopo il terremoto. Ne parla con Mauro della Giovampaola e afferma: «Domani lui ritorna da Haiti ... perché è andato lì per far ’sta boutade, perché insomma, mi pare andare lì un giorno e mezzo non credo che...».
I nuovi contatti
Tra gennaio e febbraio scorsi vengono rilevati contatti mai emersi in precedenza. Il 20 gennaio Balducci chiede al centralino di palazzo Chigi, dove ha sede il suo ufficio «di essere messo in contatto con il dottor Luigi Bisignani». Dopo alcuni tentativi gli viene risposto che non è rintracciabile e lui annuncia che riproverà nel pomeriggio. Scrivono i carabinieri: «È la prima volta che nel corso della presente indagine emerge il nome di Luigi Bisignani e il tentativo di contatto è concomitante alla pubblicazione sul quotidiano La Repubblica, dell’articolo dal titolo "Bertolaso spa" in cui fra gli altri, si fa cenno sia a Bisignani sia a Balducci». Non ci sono altre telefonate tra i due, mentre il 3 febbraio Balducci viene chiamato dal professor Valori che afferma: «È venuta a trovarmi Donatella e così passando è venuto il discorso su di te ... "assolutamente bisogna tutelarlo!" eh adesso a Roma è arrivato un numero uno, un grande amico preferisco parlartene a voce non da questi mezzi che ci ascoltano tutti. Ci sentiamo domattina e così ci raggiungiamo perché è importante che tu sappia... Donatella... mi raccomando perché questa ... tu sai... sono molto legato a tutti e due».
Il posto all’Unicef.
Erano noti i rapporti tra Balducci e Spadafora, l’ex segretario di Rutelli poi diventato presidente dell’Unicef. E adesso si scopre che il figlio dell’alto funzionario è stato assunto come dipendente part-time presso l’organizzazione che tutela i diritti per l’infanzia «con contratto firmato nell’ottobre 2009, pochi giorni dopo un incontro tra i due». «Filippo Balducci - che svolge anche un altro lavoro come assistente del direttore artistico dell'auditorium di Roma - telefona al commercialista Stefano Gazzani, preoccupato per gli effetti fiscali dell’accumulo del doppio stipendio ma riceve assicurazioni. Gli dice il professionista: «Puoi firmare tranquillo. Quando ti farò la dichiarazione dei redditi ti dirò "Filippo c’è da pagare una integrazione perché chiaramente la somma dei due redditi fa saltare ad uno scaglione superiore, per cui ci sarà una aliquota marginale un po’ più alta e ci sta da pagare la differenza ogni anno, ma quello poi ogni volta che faccio la denuncia dei redditi te lo dico io. Per cui puoi firmare tranquillo, auguri!». Gazzani, che gestisce non soltanto il patrimonio della famiglia Balducci, ma anche quello del Gruppo Anemone, è indagato nell’inchiesta.