martedì 30 giugno 2020

Premier forti e governi deboli ai tempi del Coronavirus. - Antonio Padellaro

Conte: «Basta classi pollaio». Azzolina: lezioni anche in cinema ...
Com’è possibile tenere insieme la popolarità di Giuseppe Conte (il 60% costante in tutti i sondaggi) con le fragilità del rapporto tra Pd e 5Stelle? E come può sopravvivere un governo alla cui stabilità si affidano pur sempre sei italiani su dieci (Ilvo Diamanti, Demos &Pi) con il progressivo sfaldamento del gruppo M5S che al Senato rischia di mettere in crisi maggioranza ed esecutivo?
Certo, di premier forti e di governi deboli la politica italiana (ma non solo) ne ha conosciuti parecchi. Uno per tutti, Romano Prodi disarcionato due volte, nel 1998 e nel 2008, da manovre di palazzo, con il conseguente doppio tracollo del centrosinistra, e doppio trionfo di Silvio Berlusconi. Rispetto al passato esiste però una sostanziale differenza: l’Italia messa in ginocchio dallo tsunami coronavirus. Una catastrofe senza precedenti che dovrebbe fare seriamente riflettere: tale è la gigantesca responsabilità che pesa sulle spalle della politica, ma soprattutto dei singoli comportamenti. Imperdonabili se mossi da semplici, e a maggior ragione sciagurate, convenienze personali.
Per carità, alla larga dai cosiddetti uomini della Provvidenza (soprattutto se autoproclamati) ma per i profeti del Conte bollito e praticamente fritto (da quando, si può dire, il nostro fece udire i primi vagiti in quel di Volturara Appula) un governo vale l’altro, e dunque gli italiani se ne facciano una ragione. Infatti cosa può esserci di più opportuno, mentre la trattativa con l’Europa per i 172 miliardi del Recovery Fund (di cui 81 a fondo perduto) entra nella fase decisiva, di una bella crisi al buio, magari ferragostana? Per rinsaldare nei nostri alleati l’idea di un’Italietta inaffidabile, incasinata, perennemente alla deriva?
Siamo convinti che nella quotidiana consultazione dei divani (vuoti) di Montecitorio, gli aruspici della imminente caduta di Conte abbiano già nei loro taccuini le soluzioni belle che pronte. Finalmente avremo quel governissimo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, del resto da mesi fremente sulla soglia del casale umbro in attesa della convocazione al Quirinale. O se no, ancora meglio l’immediato ritorno alle urne auspicato da Giorgia Meloni e Matteo Salvini, elezioni precedute neanche a dirlo da una serena campagna elettorale al profumo di Covid-19. Nel tripudio delle masse avide di duelli televisivi mentre il Pil sprofonda e forse anche la democrazia.
Non conosciamo infine i nomi dei grillini che a sentire Salvini sarebbero in procinto di passare alla Lega, con le conseguenze che sappiamo. Speriamo di non conoscerli mai. Per non ripetere la famosa frase di Churchill: mai così tanti dovettero così tanto a così pochi. Solo che lui parlava di eroi. Non di traditori.

Scanzi su Salvini.

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Va in una zona rossa (a fare un comizio...). Parla con uno che abita lì, quindi a forte rischio contagio. Ci parla lungamente, ovviamente senza mascherina. Poi gli stringe pure la mano. Quindi, come nulla fosse, torna alla sua vita di sempre. Se fosse capitato a me, a noi, come minimo ci avrebbero fatto dei controlli. Ci avrebbero detto di stare in quarantena. Macché: lui può tutto. Roba da matti.

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Dalle ciliegie al Ponte Salvini (oramai) ne fa più di Bertoldo. - Andrea Scanzi

Salvini in treno senza mascherina e seduto su un sedile non utilizzabile.
Non è vero che Salvini sia in stato confusionale. Tutt’altro. Se dalla crisi del Papeete in poi pareva aver iniziato una china comicamente discendente, confermata peraltro dai sondaggi a picco, nelle ultime settimane è tornato il Cazzaro Verde che dà orgogliosamente del tu a Churchill.
Già durante la fase più cupa del lockdown, Salvini aveva dato prova di commovente saggezza. Per esempio con la proposta delle chiese aperte per Pasqua, un ottimo modo per far arditamente conciliare la celebrazione della Resurrezione con l’aumento dei trapassi. Ma è negli ultimi giorni che l’uomo che sussurrava ai citofoni è salito garrulamente in cattedra.
Dapprima è andato da Floris e, candido come un bambino, ha dimostrato di non avere ancora capito nulla dell’utilizzo della mascherina, che per lui è un orpello fastidioso da togliere anzitutto quando ci si trova vicini a una signora: evidentemente Salvini, e con lui il suo popolo, preferiscono infettare con educazione piuttosto che salvare le vite mascherati. Teoria affascinante. Poi si è scofanato otto chili di ciliegie mentre Zaia parlava di bambini morti. Non solo: di fronte alla figuraccia planetaria, non solo non ha chiesto scusa ma – ospite di SkyTg24 – ha negato l’evidenza di fronte alla giornalista attonita: “Ma scusi, le sembra possibile che io cominci a mangiare le ciliegie mentre parlano di bambini morti?” (no, non parrebbe possibile, ma purtroppo è esattamente quel che è accaduto).
Dal 2 giugno in poi, con encomiabile senso civico, ha organizzato assembramenti a manetta, stretto mani senza lavarsele e abbracciato tutti in nome del Sacro Selfie: esattamente ciò che non andrebbe mai fatto in tempo di pandemia. È stato contestato in ogni piazza, reagendo a tali manifestazioni col garbo di sempre (ovvero zimbellando Azzolina, Bellanova e più genericamente “i comunisti, i radical chic e i centri sociali”).
Sabotato dalla Meloni, che gli sta saccheggiando l’elettorato senza neanche dare il meglio di sé (anzi), nel corso del suo tour in Puglia è riuscito a non citare mai il candidato meloniano (da lui mal sopportato) Fitto. Metà partito appoggia già Zaia, conscio del fatto che se il Cazzaro Verde continua così la Lega tornerà a percentuali da Tabacci greve, ma lui continua a fare chissà perché il ganassa. Emulo di Pappalardo (Antonio), nel treno verso Andria si è fatto fotografare senza mascherina (obbligatoria) e in uno dei posti dove è vietato sedersi (daje!). Continua a straparlare di “no al plexiglas(s) nelle scuole”, quando il plexiglas(s) è stato (ovviamente) eliminato dalle linee guida del governo. Pur di raccattare consensi e like, è arrivato persino a fare un post sui gemelli ammazzati dal papà nel Lecchese. Vive in televisione, spesso riverito neanche fosse uno statista, ma ciò nonostante ha il coraggio di gridare (come la Meloni) al “regime di Conte”. Durante un’assai sobria sfilata sul ponte di Genova, vestito come un playboy daltonico e ben poco atletico, ha scambiato i pannelli fotovoltaici per dei mitologici “pannelli di metano”. Si potrebbe andare avanti in eterno, perché ormai Salvini ne fa più di Bertoldo, ma non basterebbe il giornale intero. Lasciamolo quindi continuare così, implacabile come un fagiano lesso e rutilante come una Duna smarmittata in salita: chi siamo noi per negare a un cazzaro verde di emulare, in tutto e per tutto, il tragicomico nonché subitaneo tramonto del cazzaro rosé? Daje Matte’!

Mes o non Mes dieci ragioni per evitare la trappola. - Salvatore Cannavò

Mes o non Mes dieci ragioni per evitare  la trappola

Il segretario del Pd ha esposto in una lettera al Corriere della Sera i motivi per cui l’Italia dovrebbe ricorrere al Mes, il Meccanismo europeo di stabilità. Dieci motivi molto specifici per utilizzare quei 36 miliardi circa che il Mes mette a disposizione dell’Italia entro il 2022, con una “linea di credito rafforzata”, Eccl, denominata Pandemic crises support. Si va dall’investimento nella ricerca alla digitalizzazione del settore sanitario, dalla medicina territoriale al miglioramento di ospedali e strutture sanitarie, oltreché aumentare gli stipendi del personale. Zingaretti, però, fa finta di non sapere che quei fondi non sono gratis e non tanto perché hanno un costo, ma perché sono inseriti in una cornice ben precisa, delineata dalle regole della Ue. Con l’obiettivo di darsi un profilo si allinea a un europeismo di maniera che al momento ha un unico obiettivo: costringere il M5S, e Giuseppe Conte a cui non è stato anticipato il testo della lettera, a subordinarsi al quadro politico europeo. Non che Conte non abbia già fatto molto in quella direzione, in fondo l’elezione di Ursula von der Leyen è anche merito suo, ma qui si vuole una resa totale. Eppure di motivi per non cedere a questa richiesta ce ne sarebbero molti.
1. Non è vero che mancano le condizionalità.
Sull’assenza di condizionalità c’è un ritornello al limite della molestia. Se non bastasse l’articolo 136 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea, deciso dal Consiglio europeo del 25 marzo 2011 e poi approvato l’anno successivo – “La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità” – basterebbe rileggersi il Trattato istitutivo del Mes: in base all’articolo 14, per un Paese non finanziariamente solido si prevede la linea di credito “rafforzata”, Eccl che nelle linee guida (Guideline on Precautionary Financial Assistance) prevedono all’articolo 5 “una sorveglianza rafforzata da parte della Commissione Ue”. Questi documenti non sono mai stati menzionati né si prevede di modificarli.
2. Il Mes non è un fondo salva-Salute.
L’Eurogruppo ha adottato una decisione per la concessione della Eccl finalizzata alla crisi pandemica e sottoposta a precise e ben elencate spese sanitarie, “dirette o indirette”, e questo è vero. Ma il Mes è rimasto quello che è, un trattato intergovernativo che permette a un organismo sovranazionale di funzionare come una banca. Che presta soldi per riaverli indietro. Da questo punto di vista, si potrebbe tranquillamente dire che la condizione relativa alle spese sanitarie non è sostitutiva delle altre condizioni, ma è semplicemente aggiuntiva.
3. La Commissione non può garantire di più.
Nella lettera con cui i due commissari europei, Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis, hanno dovuto assicurare che la “sorveglianza rafforzata” deve essere “semplificata”, i due commissari si sono riferiti al Regolamento 472/2013 del Consiglio europeo che prevede, appunto, le condizioni di una sorveglianza a seguito dei prestiti del Mes. Ma non si sono mai riferiti né al 136 del Tfue né, tantomeno, al Trattato istitutivo del Mes. Che restano saldamente in vigore.
4. Perché non può esistere un Mes light?
Con queste premesse è comprensibile capire perché ricorrere al Mes presenti dei rischi: perché le caratteristiche del Trattato che lo regola sono tutte in piedi. Paragrafo 2 delle premesse: c’è il chiaro rinvio all’articolo 136 che prevede la “stretta condizionalità”; paragrafo 4: La “stretta osservanza” del quadro della Ue, della sorveglianza macro-economica, del Patto di stabilità “dovrebbero rimanere la prima linea di difesa contro la crisi di fiducia che incide sulla stabilità dell’area euro”. Articolo 12: “Ove indispensabile, per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e dei suoi Stati membri, il Mes può fornire a un proprio membro un sostegno alla stabilità, sulla base di condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto. Tali condizioni possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite”.
5. La natura del Mes: garantire la stabilità.
Come si vede da queste citazioni, la parola chiave del Mes è “stabilità” non “solidarietà”. E infatti l’introduzione del Mes nel Tfue non ha utilizzato, magari modificandolo, l’articolo 122 che parla di “spirito di solidarietà tra gli Stati membri”, ma ha introdotto un articolo nuovo che ritiene indispensabile “salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme”.
6. Il senso politico dell’articolo 136 del Tfue.
Non è un caso che nel discutere di Recovery fund e degli “eurobond” che gli sono sottintesi, si faccia riferimento proprio al 122 Tfue. Se le intenzioni fossero davvero quelle che vengono espresse ripetutamente e in tutte le salse, perché non si modifica il trattato del Mes e lo si trasforma in un organismo che, in uno “spirito di solidarietà”, punti a emettere bond europei che servano ai Paesi che ne hanno bisogno?
7. Il ricorso al Mes non riduce il debito.
In realtà neanche questo sarebbe risolutivo, perché anche in assenza di “strette condizionalità” – quando si tratta di prestare denaro qualche condizione deve essere sempre prevista – si gonfierebbe comunque il debito pubblico. Per ora il Patto di stabilità è sospeso, ma che succederà quando sarà riattivato? E come si comporterà il Mes di fronte alla difficoltà economica di un Paese come l’Italia? Il problema della condizionalità non è tanto un ostacolo per accedere al Mes, ma un problema per il dopo, quando la crisi sarà magari superata e all’Italia sarà richiesto di rientrare, sia pure nell’arco di dieci anni.
8. Al Mes non ci ricorre nessuno, chissà perché.
Questo punto è stato spiegato proprio sul Fatto Quotidiano da un testimone d’eccezione, Emanuele Felice, responsabile economico del Pd: “Il Mes è senza condizioni e a tassi di interesse molto bassi – spiegava – ma il problema è che se lo chiediamo solo noi si può creare un ‘effetto stigma’ sui mercati che può far salire il tasso sul resto del nostro debito. Così è difficile dire se ci guadagniamo”. Infatti, la Spagna non ha intenzione di farvi ricorso e anche Portogallo e Grecia hanno fatto sapere di non averne l’intenzione. Saremmo solo noi: stigma assicurato.
9. Il Mes è un creditore senior, come il Fmi.
Anche questo punto in genere è sottovalutato, ma come si evince sempre dal Trattato del Mes “i capi di Stato e di governo hanno concordato che i prestiti del Mes fruiranno dello status di creditore privilegiato in modo analogo a quelli del Fmi. Tale status produrrà i suoi effetti a decorrere dall’entrata in vigore del presente trattato”. Avere un creditore senior abbatte, automaticamente, la credibilità del debito residuo per cui è ipotizzabile che i tassi di interesse per un debito che non è privilegiato possano salire.
10. Caro Mes, ma quanto mi costi?
I prestiti Mes sono costati a Cipro lo 0,76 per cento. Le tabelle ufficiali, complicate, parlano di tasso base, commissioni e una tantum per circa lo 0,2%. Secondo il sito del Mef, “l’andamento del tasso medio ponderato di interesse dei titoli di Stato domestici calcolato sulla base dei rendimenti lordi all’emissione fra il 2018 e il 2019 è passato dall’1,07 per cento allo 0,93 per cento”.
Il risparmio sembra essere di 270 milioni l’anno. Davvero vale la pena?

Due minuti. - Massimo Erbetti



Dura 2 minuti il comizio di Salvini a Mondragone: contestazioni, scontri e lancio di bottiglie d'acqua.
Sembrerebbe questo il resoconto della giornata di ieri del leader della Lega, almeno a leggere le notizie sui giornali. Con lui che accusa i contestatori di appartenere alla sinistra dei centri sociali e addirittura asserviti alla camorra. Ma la vera notizia secondo me, non è affatto questa, la notizia è un'altra. La notizia è nel contenuto di quanto detto da Salvini in quei due minuti, perché oltre la sua battuta: "grazie perché fa caldo, mi dai una mano" rivolta ad un contestatore che gli lanciava dell'acqua, c'è altro molto altro. C'è la scarsa o nulla, conoscenza della istituzione e dei diritti dei cittadini italiani, cosa secondo me inaccettabile da parte di chi vorrebbe guidare un paese. "Le case a chi la merita...un lavoro a chi lo merita..." eh no caro Salvini, non ci siamo proprio, non funziona così...a chi merita? Ma merita cosa? Ma cosa vai dicendo? Ma la costituzione la conosci? Il trattato di Lisbona, lo conosci? E tu vorresti guidare una nazione?
Articolo 1 della Costituzione:
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro...
Articolo 4 della Costituzione:
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Per cui caro Salvini, non a chi lo merita, ma il lavoro è un diritto di tutti, non esiste un giudice, un essere superiore che decide chi merita cosa, tutti hanno il diritto ad un lavoro...ma logicamente la tua azione politica, volta continuamente a cercare contrapposizioni, a creare nemici, non si smentisce, neanche quando si parla di lavoro.
Stessa identica cosa per il diritto alla casa:
Articolo 25 della dichiarazione dei diritti umani: Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo... all'abitazione.
Il diritto all'abitazione è il diritto economico, sociale e culturale ad un adeguato alloggio e riparo. È presente in molte costituzioni nazionali, nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e nella Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali art. 31, uno dei primi documenti a farne menzione esplicita, nel Trattato di Lisbona art. 34.3.
Due minuti, in soli due minuti, Salvini è riuscito, nonostante le proteste, a dimostrare quello che è...

I Mes-tatori. - Marco Travaglio

zingaretti rovina l'estate di conte: ''le 10 ragioni per dire sÌ ...
Quest’anno, in mancanza del giallo dell’estate (tipo il delitto della contessa Alberica Filo della Torre), della hit dell’estate (tipo Vamos a la playa) e del gioco dell’estate (tipo il frisbee), partiti e giornaloni al seguito han deciso di trastullarsi col Mes, il Meccanismo europeo di stabilità che, per quanto pallosissimo, è insieme un giallo, una hit e un gioco di società. Ciascuno, per carità, si diverte come può. Ma qui ci vanno di mezzo il governo, la maggioranza, la reputazione dell’Italia in Europa e altre questioni un po’ più serie di un passatempo da spiaggia. Infatti del Mes si parla esclusivamente in Italia: nessun altro Stato membro dell’Ue (a parte forse Cipro) intende chiederlo. Il che la dice lunga sul provincialismo italiota e sulla vantaggiosità del Mes: le condizionalità sono sparite a parole, ma nei fatti i trattati non sono cambiati; dunque è sempre possibile che chi chiede i soldi si veda poi imporre ex post di ristrutturare il suo debito sovrano secondo il graziosi diktat della Trojka. Ieri persino il segretario del Pd Nicola Zingaretti, la cui competenza e le cui competenze in materia sfuggono ai più, ha spiegato le 10 ragioni per cui l’Italia deve assolutamente accedere al Mes, e alla svelta. Pare che non si sia neppure premurato di avvertire il premier, che aveva appena ribadito le perplessità non tanto sullo strumento in sé, quanto sulla convenienza di chiederlo noi soli. E aveva spiegato che è meglio attendere le mosse degli altri partner Ue, per non restare isolati a tendere il cappello come accattoni alla fame.
Già, perché il Mes è fatto apposta per Paesi in stato prefallimentare: chi lo chiede ammette di non farcela da solo e dà un pessimo segnale ai famosi “mercati”. I mercati che due anni fa allarmavano il presidente Mattarella al punto da indurlo a invocarli esplicitamente per giustificare la mossa più incauta e incomprensibile del suo mandato: il respingimento del primo governo Conte perché aveva come ministro dell’Economia quel pericoloso terrorista anti-euro di Paolo Savona, che poi invece gli andò benissimo agli Affari europei (sic!) con il suo prediletto Giovanni Tria all’Economia. Ora evidentemente i “mercati” non esistono più. E il primo che passa per la strada, persino la Lorenzin, Bonaccini e financo l’Innominabile (manca solo Scalfarotto), dà fiato alla bocca e invoca il Mes come gli ebrei in fuga dall’Egitto la manna dal cielo. Intanto chi dovrebbe decidere (il ministero dell’Economia, come ha ricordato Conte alla Merkel), tace. E parte il solito teatrino all’italiana, con i competenti per definizione (Pd, Iv e FI) pro Mes e i barbari incompetenti (M5S, Lega e FdI) contro. Ma le cose non stanno affatto così.
Il Mes ha i suoi pro e contro (vedi pagg. 6 – 7); sarebbe meglio riuscire a farne a meno; non sarebbe scandaloso se invece alla fine fossimo costretti a chiederlo, possibilmente insieme ad altri Paesi Ue; parlarne ora è assurdo e pericoloso, perché ancora non conosciamo dettagli e dimensioni del Recovery Fund e questa batracomiomachia alla vigilia del Consiglio europeo decisivo del 17-18 luglio indebolisce il potere contrattuale dell’Italia. Come arrendersi prima di giocare la partita. Non sappiamo se Zinga, mentre scriveva il suo compitino all’insaputa di Conte, abbia informato il suo ministro e il suo viceministro dell’Economia, Roberto Gualtieri e Antonio Misiani. Ma, sia come sia, i due dovrebbero parlare. Perché furono proprio loro a dire che l’Italia non ha bisogno del Mes e non lo chiederà: non secoli fa, ma poche settimane fa. Disse Gualtieri l’11 aprile al Tg3: “Abbiamo sempre detto che il Mes non ha la dimensione adeguata per mettere in campo risorse necessarie, tra 1 e 1,5 trilioni. Ci stiamo concentrando sugli eurobond e sul fondo per la rinascita dell’Europa, abbiamo detto che non abbiamo bisogno del Mes, ma ci siamo impegnati perché offra a tutti i Paesi che ne faranno richiesta – c’erano molti Paesi interessati – delle risorse senza nessuna condizionalità. Questa è la proposta che l’Eurogruppo mette sul tavolo del Consiglio europeo, che dovrà decidere se si potrà attivare per i Paesi che fanno richiesta di questa linea di credito senza nessuna condizionalità. Ma l’Italia punta a un obiettivo più ambizioso: il fondo per la rinascita dell’Europa”. Ora quel fondo (il Recovery Fund) è realtà e i Paesi che avevano chiesto all’Italia di appoggiare il Mes anche senza chiederlo, in primis la Spagna, non lo vogliono più: perché dovremmo volerlo noi? Gualtieri ha cambiato idea e, se sì, perché?
Due giorni dopo il suo vice Misiani dichiarò a Canale5: “Non utilizzeremo i fondi del Mes” (13 aprile). Misiani ha cambiato idea e, se sì, perché? Un altro grande sponsor last minute del Mes è Carlo Cottarelli. Lo stesso che il 28 aprile scriveva su Repubblica, a quattro mani con Enzo Moavero, che – in costanza dei trattati – il rischio di condizionalità ex post è tutt’altro che scongiurato; che il Mes ci farebbe risparmiare “un punto e mezzo” sul “nostro tasso di interesse di mercato”, cioè appena “2-2,5 miliardi su sette anni”; e soprattutto che “ricercare l’ausilio del Mes potrebbe segnalare ai mercati che siamo più in difficoltà di altri; il rischio sarebbe ridotto se procedessimo insieme ad altri Stati, fra cui qualcuno di dimensione comparabile alla nostra”. Posto che nessun altro Stato intende chiederlo (tranne forse Cipro), Cottarelli ha cambiato idea e, se sì, perché?

Fondazioni, cda e scuole: i politici hanno due vite. - Lorenzo Giarelli

Fondazioni, cda e scuole: i politici hanno due vite

Da Maroni a Mogherini - Seconda occasione.
L’ultimo a indicare la via è stato Roberto Maroni, ex presidente della Regione Lombardia, leghista per una vita, che nel 2018 rinunciò a ricandidarsi a governatore – era l’epoca in cui a destra ci si sfregava le mani in vista delle elezioni politiche – e che adesso trova fortuna in consigli d’amministrazione, banche, studi legali. È notizia recente il suo arrivo nel cda del Gruppo San Donato, uno dei maggiori gruppi della sanità privata italiana, dopo essere già entrato nel board dello studio di avvocati Gatti Pavesi Bianchi ed esser diventato senior advisor in Mediobanca, oltreché presidente del consiglio d’amministrazione di SGB Humagnest Holding, specializzato in consulenza alle imprese. Niente male, ma la seconda vita – quella fuori dalle istituzioni – è spesso lastricata di sorrisi per parecchi ex parlamentari ed ex ministri, magari usciti dal giro e in attesa di tempi migliori per riproporsi in politica.
Per informazioni chiedere ad alcuni reduci del governo gialloverde o a qualche ex volto noto dell’ultima legislatura. Federica Mogherini, per esempio, ha concluso l’anno scorso il mandato da Alto Rappresentante per gli Affari esteri dell’Unione europea (ci perdoni se banalizziamo: una sorta di ministero degli Esteri della Ue) ma non ha corso il rischio di annoiarsi: a maggio di quest’anno è stata scelta per diventare Rettore del College of Europe, incarico che diventerà effettivo da settembre. Non si tratta di un istituto qualunque, perché il College – che ha sede a Bruges e a Varsavia – è finanziato direttamente dall’Unione e, oltre a offrire master in Studi europei, è un granaio di futuri leader e funzionari. Peraltro, la scelta ha provocato parecchi malumori, dato che il consiglio amministrativo guidato dall’ex presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy, ha accolto l’indicazione del suo nome dopo aver scartato illustri pretendenti che avevano partecipato al bando, tanto che alcuni professori del College si sono lamentati del presunto favoritismo (“Inizierà il suo mandato con una nuvola sopra la testa”, ha scritto Jon Wort).
Erede dell’epopea renziana è anche Ernesto Carbone, ex deputato che salutò con un “Ciaone” su Twitter il mancato raggiungimento del quorum al referendum sulle trivelle. Era il 2016 e il Giglio magico sembrava dover durare vent’anni. Oggi, dopo aver fallito la rielezione in Parlamento nel 2018, Carbone ha dovuto attendere l’ultimo giro di nomine pubbliche per avere soddisfazione, finendo nel consiglio d’amministrazione di Terna, una società di Cassa Depositi e Prestiti che gestisce la rete elettrica nazionale.
Più bucolica la destinazione di Enzo Moavero Milanesi, ministro degli Esteri dell’era Salvini-Di Maio, la cui esperienza politica è – al momento – tramontata con la surreale estate del Papeete. Se non altro, Moavero avrà di che occuparsi: a gennaio è diventato presidente di Filiera Italia, un insieme di aziende e associazioni del settore agroalimentare che promuove il Made in Italy e le coltivazioni sostenibili.
Era ministro gialloverde anche Alberto Bonisoli, ex titolare della Cultura (prima e dopo di lui, Dario Franceschini). Chiuse le porte del governo, è però sempre dalla politica che Bonisoli ha trovato una missione, perché alla fine del 2019 la ministra della Pubblica amministrazione Fabiana Dadone (anche lei M5S) lo ha indicato come presidente di Formez PA, una associazione che si definisce “centro servizi, assistenza, studi e formazione per l’ammodernamento delle pubbliche amministrazioni”. Auguri.
È invece tornato a Milano il suo ex collega Marco Bussetti, all’epoca voluto dalla Lega come ministro dell’Istruzione: dal settembre scorso è presidente dell’Ufficio Scolastico del territorio, quel che è più noto come Provveditorato. Ritorno al passato che ha in comune con Cécile Kyenge, ministra dell’Integrazione ai tempi del governo Letta ed eurodeputata fino al maggio del 2019. Lo scorso anno, fallita lo ricandidatura, si è rimessa il camice (è medico chirurgo specializzata in oculistica) tornando a Padova per far parte delle Unità speciali di assistenza create per il Covid-19.

lunedì 29 giugno 2020

Il crack Wirecard arriva in Italia: bloccate almeno 325mila prepagate per oltre 20 milioni di euro. - Piaerangelo Soldavini

Reuters

Sono almeno 325mila la carte di debito emesse in Italia da Wirecard che sono state bloccate, con fondi attorno a 20 milioni di euro, dopo lo stop operativo imposto dalla Fca alla fintech tedesca finita nell’occhio del ciclone per l’ipotesi di falso in bilancio. SisalPay|5 è intervenuta subito assumendosi direttamente l’onere finanziario e impegnandosi a restituire i fondi congelati ai propri clienti, per lo più ignari di essere finiti nel mezzo dello scandalo Wirecard.
Non è chiaro al momento quanti siano altri clienti italiani che abbiano in tasca carte prepagate emesse dalla fintech tedesca dei pagamenti. Anche Soldo si trova nella stessa situazione. Sarebbero una settantina in tutta Europa le fintech e milioni gli utenti coinvolti nel crack.
Alla pari di altre fintech SisalPay|5 si trova ad avere Wirecard come “issuer” delle proprie carte prepagate: i 325mila possessori hanno visto le loro carte congelate senza alcun preavviso dopo che venerdì l’authority finanziaria inglese, la Fca, ha imposto lo stop operativo a Wirecard. Sulla base di una giacenza media attorno a 60-65 euro, SisalPay ha previsto una copertura finanziaria pari a 20 milioni di euro per l’intervento.
L’intervento di SisalPay|5, effettuato con il supporto degli azionisti Cvc Capital Partners e Banca 5 del gruppo Intesa Sanpaolo, punta a sostenere nell’immediato i propri clienti, molti dei quali colti di sorpresa dal blocco mentre erano in viaggio o in vacanza. Già sabato i clienti e gli esercizi convenzionati erano stati informati e rassicurati sul rimborso delle somme bloccate.
Nello specifico ai possessori della carta prepagata a brand SisalPay verrà data la possibilità di trasferire il saldo direttamente su una nuova carta, emessa in partnership con Banca 5, per permettere al cliente di tornare velocemente a effettuare pagamenti in tutta tranquillità oppure di ricevere l'accredito o rimborso del saldo presente sulla carta.
Ma SisalPay|5 non è l’unica società italiana ad essersi appoggiata per l’emissione delle proprie carte prepagate alla soluzione di Wirecard, istituto di moneta elettronica che ha accesso ai paesi dell’area euro. Anche Soldo, fintech italiana con base a Londra specializzata nella gestione delle spese aziendali.
Al momento non è stato possibile avere i numeri delle carte di debito di Soldo in circolazione in Italia. In un messaggio mandato immediatamente ai propri clienti la società afferma che sta accelerando il processo di migrazione degli account da Wirecard, per assicurare un ripristino tempestivo dell'operatività.
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Decreto Semplificazioni, appalti senza gara fino a 5 milioni di euro e procedure accelerate per le opere di rilevanza nazionale.


Decreto Semplificazioni, appalti senza gara fino a 5 milioni di euro e procedure accelerate per le opere di rilevanza nazionale

La bozza in 48 articoli punta a sbloccare i contratti pubblici e sburocratizzare il Paese. Previsti un fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche e l'accelerazione della Valutazione di impatto ambientale. Modifiche alle norme su responsabilità erariale e abuso d'ufficio per far sì che i funzionari rischino di più in caso di omissioni che quando mettono la firma per far partire i lavori. All'interno della maggioranza restano dubbi, martedì vertice a Chigi.
Fino al 31 luglio 2021 niente gare per affidare i lavori su opere piccole e medie fino alla soglia comunitaria, 5,3 milioni di euro. E possibilità di deroga all’iter ordinario del Codice appalti, con procedure a trattativa ristretta, anche per le opere di rilevanza nazionale individuate dalla presidenza del Consiglio. Mentre solo per gli interventi infrastrutturali più complessi e con alto tasso di difficoltà attuativa arriveranno uno o più commissari straordinari. Sono alcune delle novità previste nella bozza del decreto Semplificazioni, che punta a sbloccare i contratti pubblici e sburocratizzare il Paese per spingere la ripresa post Covid. I 48 articoli, per ora solo abbozzati a grandi linee, dispongono anche l’accelerazione delle Valutazioni di impatto ambientale e modificano le norme su responsabilità erariale e abuso d’ufficio per far sì che i funzionari pubblici rischino di più in caso di omissioni e inerzie che quando mettono la firma per far partire i lavori.
Martedì è in agenda un vertice politico di maggioranza e il decreto dovrebbe approvare in consiglio dei ministri entro la fine della settimana. Ma in seno al governo ci sono diversi dubbi sul capitolo appalti, sulla certificazione antimafia, sulle norme per l’edilizia e sulla Via semplificata. La senatrice di Leu Loredana De Petris parla di “testo per molti versi inaccettabile se dovessero essere confermate le indiscrezioni”, perché “dietro l’alibi della semplificazione non possono nascondersi passi indietro sulla tutela dell’ambiente, deregolamentazioni sul consumo di suolo o ennesime sanatorie“. Il riferimento è all’articolo con misure in materia edilizia, che prevede solo sanzioni – ed esclude la demolizione – nel caso di abusi edilizi “leggeri”.
Deroga al Codice per un anno per i lavori sotto soglia europea – I primi due articoli sono dedicati alle procedure per “incentivare gli investimenti pubblici durante il periodo emergenziale”. Per quanto riguarda i lavori sotto soglia, viene introdotta una norma transitoria – fino al 31 luglio 2021 – che prevede solo due modalità di affidamento: diretto o in amministrazione diretta per lavori, servizi e forniture di importo inferiore a 150.000 euro e procedura negoziata senza bando con consultazione di almeno cinque operatori per tutte le altre procedure. Oggi l’articolo 36 del Codice appalti, più volte modificato negli ultimi anni (l’ultimo intervento risale allo sblocca cantieri del governo gialloverde) prevede procedure differenziate in base alle soglie e alla tipologia di contratto. Fino a 40mila euro affidamento diretto; tra 40mila e 150.000 euro o fino alle soglie comunitarie affidamento diretto previa valutazione di tre preventivi per i lavori; tra 150.000 e 350.000 procedura negoziata previa consultazione di almeno 10 operatori economici; per lavori tra 350.000 e 1 milione di euro procedura negoziata previa consultazione di almeno quindici operatori e infine per lavori tra 1 milione e le soglie comunitarie procedura aperta, cioè gara.
Procedure veloci per opere “di rilevanza nazionale” – Per i contratti pubblici sopra soglia e di rilevanza nazionale, la norma prevede sempre entro il 31 luglio 2021 l’applicabilità, “salva motivata determinazione di ricorso alle procedure ordinarie”, della procedura ristretta o, nei casi previsti dalla legge, della procedura competitiva con negoziazione prevista dal decreto legislativo 50 del 2016 per i settori ordinari, e per i settori speciali, ovvero ricorrendone i relativi presupposti con le procedure sempre previste dallo stesso provvedimento in ogni caso con i termini ridotti, per ragioni di urgenza. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro delle infrastrutture, sarà individuato l’elenco delle opere di rilevanza nazionale la cui realizzazione è necessaria per il superamento della fase emergenziale o per far fronte agli effetti negativi del Covid-19 e per i quali vi è una situazione di estrema urgenza tale da non consentire il rispetto dei termini, anche abbreviati, previsti dalle procedure ordinarie. In quei casi sarà applicabile la procedura negoziata di cui all’articolo 63 del decreto legislativo 50 del 2016, per i settori ordinari, e di cui all’articolo 124 per i settori speciali.
Nasce il fondo prosecuzione opere pubbliche – Viene poi istituito un fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche per evitare che la mancanza temporanea di risorse pubbliche possa costituire un ostacolo alla realizzazione dell’opera. Beneficiari del fondo sono le stazioni appaltanti. E fino al 31 luglio 2021 sarà obbligatoria sia per appalti di valore superiore alle soglie comunitarie sia per opere di interesse nazionale la costituzione del collegio consultivo tecnico. Il collegio ha “funzione di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche” di ogni natura.
Previsto poi il controllo concomitante della Corte dei conti per accelerare la realizzazione delle spese di investimento: le sezioni di controllo possono nominare, previo contraddittorio con le amministrazioni e gli altri soggetti interessati, un commissario ad acta per la rimozione dell’inerzia.
Procedura d’urgenza per il rilascio della certificazione antimafia – Per un anno si prevede anche la procedura d’urgenza per il rilascio della certificazione antimafia, con specifico riferimento alla consultazione della banca dati nazionale unica e revoca del beneficio o dell’agevolazione al privato nel caso in cui in seguito emerga la sussistenza di una delle cause interdittive. Si introduce, quindi, all’interno della legislazione antimafia, l’istituto dei protocolli di legalità, delimitandone il contenuto e l’ambito di applicazione.
Modifiche alla responsabilità erariale e all’abuso d’ufficio – La responsabilità dei funzionari pubblici sarà limitata ai casi di dolo , solo per le azioni e non anche per le omissioni, mentre l’abuso d’ufficio sarà circoscritto attribuendo rilevanza alla violazione, da parte del pubblico ufficiale, di “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge”.
Corsia veloce per la Valutazione di impatto ambientale – In arrivo anche una serie di semplificazioni in materia di attività d’impresa, comprese quelle per i lavori necessari alla realizzazione della banda larga, e di ambiente e green economy. In particolare sono previste semplificazioni per progetti o impianti alimentati da rinnovabili e per punti e stazioni di ricarica di veicoli elettrici e viene accelerata la procedura di Via che oggi richiede fino a 10 anni nei casi peggiori. Si propone, tra l’altro, la “previsione dell’obbligo di presentazione sin dall’avvio del procedimento da parte del proponente del progetto di fattibilità o del progetto definitivo (in luogo degli attuali elaborati progettuali)”, la riduzione dei termini previsti in capo all’amministrazione e l’esercizio del potere sostitutivo in caso di inerzia nella conclusione del procedimento. Il titolare del potere sostitutivo (attualmente il Capo Dipartimento del ministero dell’Ambiente) deve provvedere all’adozione del provvedimento entro un termine prefissato. Prevista anche una procedura speciale accelerata (fast-track) dedicata all’espletamento delle procedure Via delle opere ricomprese nel Programma Nazionale Integrato Energia e Clima: sarebbero affidate all’istruttoria di una Commissione speciale composta da dipendenti pubblici.