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lunedì 29 giugno 2020

Decreto Semplificazioni, appalti senza gara fino a 5 milioni di euro e procedure accelerate per le opere di rilevanza nazionale.


Decreto Semplificazioni, appalti senza gara fino a 5 milioni di euro e procedure accelerate per le opere di rilevanza nazionale

La bozza in 48 articoli punta a sbloccare i contratti pubblici e sburocratizzare il Paese. Previsti un fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche e l'accelerazione della Valutazione di impatto ambientale. Modifiche alle norme su responsabilità erariale e abuso d'ufficio per far sì che i funzionari rischino di più in caso di omissioni che quando mettono la firma per far partire i lavori. All'interno della maggioranza restano dubbi, martedì vertice a Chigi.
Fino al 31 luglio 2021 niente gare per affidare i lavori su opere piccole e medie fino alla soglia comunitaria, 5,3 milioni di euro. E possibilità di deroga all’iter ordinario del Codice appalti, con procedure a trattativa ristretta, anche per le opere di rilevanza nazionale individuate dalla presidenza del Consiglio. Mentre solo per gli interventi infrastrutturali più complessi e con alto tasso di difficoltà attuativa arriveranno uno o più commissari straordinari. Sono alcune delle novità previste nella bozza del decreto Semplificazioni, che punta a sbloccare i contratti pubblici e sburocratizzare il Paese per spingere la ripresa post Covid. I 48 articoli, per ora solo abbozzati a grandi linee, dispongono anche l’accelerazione delle Valutazioni di impatto ambientale e modificano le norme su responsabilità erariale e abuso d’ufficio per far sì che i funzionari pubblici rischino di più in caso di omissioni e inerzie che quando mettono la firma per far partire i lavori.
Martedì è in agenda un vertice politico di maggioranza e il decreto dovrebbe approvare in consiglio dei ministri entro la fine della settimana. Ma in seno al governo ci sono diversi dubbi sul capitolo appalti, sulla certificazione antimafia, sulle norme per l’edilizia e sulla Via semplificata. La senatrice di Leu Loredana De Petris parla di “testo per molti versi inaccettabile se dovessero essere confermate le indiscrezioni”, perché “dietro l’alibi della semplificazione non possono nascondersi passi indietro sulla tutela dell’ambiente, deregolamentazioni sul consumo di suolo o ennesime sanatorie“. Il riferimento è all’articolo con misure in materia edilizia, che prevede solo sanzioni – ed esclude la demolizione – nel caso di abusi edilizi “leggeri”.
Deroga al Codice per un anno per i lavori sotto soglia europea – I primi due articoli sono dedicati alle procedure per “incentivare gli investimenti pubblici durante il periodo emergenziale”. Per quanto riguarda i lavori sotto soglia, viene introdotta una norma transitoria – fino al 31 luglio 2021 – che prevede solo due modalità di affidamento: diretto o in amministrazione diretta per lavori, servizi e forniture di importo inferiore a 150.000 euro e procedura negoziata senza bando con consultazione di almeno cinque operatori per tutte le altre procedure. Oggi l’articolo 36 del Codice appalti, più volte modificato negli ultimi anni (l’ultimo intervento risale allo sblocca cantieri del governo gialloverde) prevede procedure differenziate in base alle soglie e alla tipologia di contratto. Fino a 40mila euro affidamento diretto; tra 40mila e 150.000 euro o fino alle soglie comunitarie affidamento diretto previa valutazione di tre preventivi per i lavori; tra 150.000 e 350.000 procedura negoziata previa consultazione di almeno 10 operatori economici; per lavori tra 350.000 e 1 milione di euro procedura negoziata previa consultazione di almeno quindici operatori e infine per lavori tra 1 milione e le soglie comunitarie procedura aperta, cioè gara.
Procedure veloci per opere “di rilevanza nazionale” – Per i contratti pubblici sopra soglia e di rilevanza nazionale, la norma prevede sempre entro il 31 luglio 2021 l’applicabilità, “salva motivata determinazione di ricorso alle procedure ordinarie”, della procedura ristretta o, nei casi previsti dalla legge, della procedura competitiva con negoziazione prevista dal decreto legislativo 50 del 2016 per i settori ordinari, e per i settori speciali, ovvero ricorrendone i relativi presupposti con le procedure sempre previste dallo stesso provvedimento in ogni caso con i termini ridotti, per ragioni di urgenza. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro delle infrastrutture, sarà individuato l’elenco delle opere di rilevanza nazionale la cui realizzazione è necessaria per il superamento della fase emergenziale o per far fronte agli effetti negativi del Covid-19 e per i quali vi è una situazione di estrema urgenza tale da non consentire il rispetto dei termini, anche abbreviati, previsti dalle procedure ordinarie. In quei casi sarà applicabile la procedura negoziata di cui all’articolo 63 del decreto legislativo 50 del 2016, per i settori ordinari, e di cui all’articolo 124 per i settori speciali.
Nasce il fondo prosecuzione opere pubbliche – Viene poi istituito un fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche per evitare che la mancanza temporanea di risorse pubbliche possa costituire un ostacolo alla realizzazione dell’opera. Beneficiari del fondo sono le stazioni appaltanti. E fino al 31 luglio 2021 sarà obbligatoria sia per appalti di valore superiore alle soglie comunitarie sia per opere di interesse nazionale la costituzione del collegio consultivo tecnico. Il collegio ha “funzione di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche” di ogni natura.
Previsto poi il controllo concomitante della Corte dei conti per accelerare la realizzazione delle spese di investimento: le sezioni di controllo possono nominare, previo contraddittorio con le amministrazioni e gli altri soggetti interessati, un commissario ad acta per la rimozione dell’inerzia.
Procedura d’urgenza per il rilascio della certificazione antimafia – Per un anno si prevede anche la procedura d’urgenza per il rilascio della certificazione antimafia, con specifico riferimento alla consultazione della banca dati nazionale unica e revoca del beneficio o dell’agevolazione al privato nel caso in cui in seguito emerga la sussistenza di una delle cause interdittive. Si introduce, quindi, all’interno della legislazione antimafia, l’istituto dei protocolli di legalità, delimitandone il contenuto e l’ambito di applicazione.
Modifiche alla responsabilità erariale e all’abuso d’ufficio – La responsabilità dei funzionari pubblici sarà limitata ai casi di dolo , solo per le azioni e non anche per le omissioni, mentre l’abuso d’ufficio sarà circoscritto attribuendo rilevanza alla violazione, da parte del pubblico ufficiale, di “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge”.
Corsia veloce per la Valutazione di impatto ambientale – In arrivo anche una serie di semplificazioni in materia di attività d’impresa, comprese quelle per i lavori necessari alla realizzazione della banda larga, e di ambiente e green economy. In particolare sono previste semplificazioni per progetti o impianti alimentati da rinnovabili e per punti e stazioni di ricarica di veicoli elettrici e viene accelerata la procedura di Via che oggi richiede fino a 10 anni nei casi peggiori. Si propone, tra l’altro, la “previsione dell’obbligo di presentazione sin dall’avvio del procedimento da parte del proponente del progetto di fattibilità o del progetto definitivo (in luogo degli attuali elaborati progettuali)”, la riduzione dei termini previsti in capo all’amministrazione e l’esercizio del potere sostitutivo in caso di inerzia nella conclusione del procedimento. Il titolare del potere sostitutivo (attualmente il Capo Dipartimento del ministero dell’Ambiente) deve provvedere all’adozione del provvedimento entro un termine prefissato. Prevista anche una procedura speciale accelerata (fast-track) dedicata all’espletamento delle procedure Via delle opere ricomprese nel Programma Nazionale Integrato Energia e Clima: sarebbero affidate all’istruttoria di una Commissione speciale composta da dipendenti pubblici.

domenica 27 ottobre 2019

GIUSTIZIA & IMPUNITÀ Cosenza, chiesto processo per Oliverio, Occhiuto, Adamo nell’inchiesta Passepartout. Contestata l’associazione a delinquere. Lucio Musolino

Cosenza, chiesto processo per Oliverio, Occhiuto, Adamo nell’inchiesta Passepartout. Contestata l’associazione a delinquere

Turbata libertà degli incanti, corruzione, abuso d'ufficio e frode in pubblica fornitura sono i reati contestati al governatore e al sindaco di Cosenza, entrambi candidati alle Regioni. Al centro dell’indagine, ci sono i bandi di gara per la costruzione del nuovo ospedale, della metropolitana di superfice e del Museo di Alarico.
Amministratori pubblici, politici e imprenditori in Calabria. Tutti insieme nell’associazione a delinquere che, secondo la Procura di Catanzaro, aveva “lo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti contro la pubblica amministrazione”. Appalti truccati e corruzione. Ma anche nomine telecomandate alla Regione Calabria e traffico di influenze.
Per i venti indagati nell’inchiesta “Passpartout”, il procuratore Nicola Gratteri e il sostituto Vito Valerio hanno chiesto il rinvio a giudizio. Nell’elenco ci sono i due aspiranti candidati alla presidente della Regione Calabria, l’uscente Mario Oliverio (Pd) e il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto (Forza Italia).
Il processo è stato chiesto pure per l’ex deputato del Pd Nicola Adamo e per il consigliere regionale Luigi Incarnato. Quest’ultimo è accusato di traffico di influenze illecite perché, nel febbraio 2016, sfruttando le sue relazioni politiche con molti consiglieri comunali di Cosenza, li avrebbe convinti a dimettersi per fare cadere il sindaco Occhiuto. In cambio si è fatto promettere “incarichi pubblici e istituzionali da Nicola Adamo e Mario Oliverio”.
Incarichi che, secondo la Procura, poi sono anche arrivati: la sua “mediazione illecita”, infatti, sarebbe stata ripagata con la nomina a commissario liquidatore della Sorical spa (Società Risorse Idriche Calabresi).
Della partita era anche Luca Morrone, l’ex presidente del Consiglio di Cosenza che, per le sue dimissioni, avrebbe accettato la promessa “effettuata da Adamo e Oliverio di ricoprire alternativamente o la carica di vicesindaco in seno alla compagine politica eventualmente vincitrice nelle successive elezioni o, comunque, un incarico di ingegnere presso la Regione Calabria”.
Al centro dell’indagine, ci sono i bandi di gara per la costruzione del nuovo ospedale, della metropolitana di superfice e del Museo di Alarico, ma anche il ripristino della tratta ferroviaria turistica della Sila.
Dietro tutto, secondo la Procura, c’era un’associazione a delinquere di cui avrebbero fatto parte il presidente Oliverio, come promotore, il suo fedelissimo Nicola Adamo, il dirigente della Regione Luigi Giuseppe Zinno, il direttore di Ferrovie Calabria Giuseppe Lo Feudo e gli imprenditori Pietro Ventura e Rocco Borgia.
Il “punto di riferimento” sarebbe stato proprio Nicola Adamo, l’ex vicepresidente della Regione ritenuto “l’elemento di raccordo tra esponenti politici, amministratori pubblici e imprenditori privati”. L’obiettivo, secondo gli inquirenti, era quello di mantenere il controllo sulle procedure di aggiudicazione delle principali opere pubbliche e di favorire la realizzazione delle stesse, attraverso il coinvolgimento di imprese amiche e sponsorizzate dagli indagati. Il tutto attraverso “collusioni, accordi, promesse e mezzi fraudolenti”.
In sostanza, secondo gli inquirenti, Nicola Adamo sarebbe stato il consigliori di Mario Oliverio. Per la costruzione del nuovo ospedale, la politica e la burocrazia regionale avrebbero prima concertato la strategia di partecipazione alla gara d’appalto, “orientando raggruppamenti di imprese interessate in modo da pre-individuare la ‘cordata’ vincitrice’”, e poi avrebbero turbato la procedura aggiudicando lo studio di fattibilità del nosocomio alla società Steam srl.
Nell’affare del sistema di collegamento metropolitano tra Cosenza, Rende e l’Unical, invece, è rimasto impigliato il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto, oggi accusato di corruzione. Secondo i pm di Catanzaro, in cambio della firma sull’accordo di programma per la realizzazione di un sistema di mobilità sostenibile, Occhiuto avrebbe accettato “la promessa avanzata da Oliverio per il tramite del dirigente Luigi Zinno, di ottenere da parte della Regione Calabria i finanziamenti e la copertura amministrativa per la realizzazione del Museo di Alarico, oggetto di gara d’appalto (illegittima) indetta dal Comune di Cosenza”.
Dalle carte dell’inchiesta “Passpartout” emerge che in Calabria la cosa pubblica sarebbe stata gestita come un interesse privato. I politici calabresi coinvolti ne escono a pezzi. Gli stessi che, nei rispettivi schieramenti di centrosinistra e centrodestra, oggi scalpitano per ripresentarsi alle prossime regionali.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/26/cosenza-chiesto-processo-per-oliverio-occhiuto-adamo-nellinchiesta-passepartout-contestata-lassociazione-a-delinquere/5534888/?fbclid=IwAR2jLmkOlUvPCCi3mIQFKrqLLs3991chtD_dgdP_C8RPLDWwokDQUXWFlmQ


Questa gente va allontanata definitivamente dalla politica; è, ormai, lampante il motivo che li spinge ad entrare in politica: arricchire illecitamente. E chi gli da fiducia è fatto della stessa pasta. E' anche chiaro che la corruzione in politica non ha più un'etichetta di destra o di sinistra, perchè sono gli uomini a scegliere come comportarsi, non il partito al quale hanno scelto di aderire. Cetta

martedì 9 aprile 2019

Milano, per Metropolitana autonoleggio d’oro: paga 70 Panda come fossero suv. “Abbiamo già modificato il contratto”. - Thomas Mackinson

Milano, per Metropolitana autonoleggio d’oro: paga 70 Panda come fossero suv. “Abbiamo già modificato il contratto”

La municipalizzata milanese ha noleggiato un centinaio di Fiat 1.200 di cilindrata per 84 mesi, vale a dire sette anni, a 535,68 euro. Al termine del contratto ognuna sarà costata quasi 50mila euro. "Ipotesi di danno erariale da due milioni", denuncia con un'interrogazione il consigliere Fabrizio De Pasquale (FI). La società risponderà entro il 23 aprile, ma fa sapere di aver rivisto le tariffe a gennaio. 


Milano una controllata municipale riesce nell’impresa di noleggiare 70 Panda al costo di un suv e forse più. Si tratta di Metropolitana Milanese Spa (MM), società di ingegneria che serve il capoluogo nel trasporto, nella gestione del patrimonio immobiliare e nel servizio idrico con un migliaio di dipendenti. A fare le pulci al suo parco auto è il consigliere comunale di Forza Italia, Fabrizio De Pasquale, che ha presentato un’interrogazione agli uffici di Piazza Scala ipotizzando un danno erariale vicino ai due milioni di euro. MMspa, in sostanza, avrebbe noleggiato un centinaio di Fiat Panda 1.200 di cilindrata per 84 mesi, vale a dire sette anni, a 535,68 euro. La Panda, a fine vita, verrebbe così a costare 45mila euro quando sul mercato te la danno a 15mila “chiavi in mano”. Per De Pasquale quella tariffa tutto sarebbe fuorché un “affare”, atteso che Consip – la centrale unica per gli acquisti della Pa – riporta per analoghi modelli condizioni e prezzi decisamente più convenienti, inferiori anche alla metà rispetto al prezzo praticato per le Punto a nolo di MM.
La controllata MM sta lavorando per rispondere agli uffici per le partecipate del Comune e da qui al consigliere, ma a Libero ha già risposto che contratto e tariffe in questione sono stati rivisti a gennaio di quest’anno “allineando la fornitura ai prezzi di mercato”. Dichiarazione che suona come un’implicita ammissione, anche se MM fornirà una più articolata ed esaustiva risposta al suo azionista entro una decina di giorni ancora.
Dal canto suo, Consip – interpellata dal Fattoquotidiano.it – precisa che gli enti locali, diversamente delle amministrazioni statali, non hanno l’obbligo di utilizzare le convenzioni attivate dalla centrale acquisti. Qualora però decidano di rivolgersi al mercato libero (teoricamente) sono tenuti a optare per beni/servizi di costo inferiore al prezzo-parametro individuato da Consip a seguito di una gara. Qualora optino poi per servizi e beni diversi e più cari, devono giustificare questa scelta specificando perché quelli proposti dalla centrale non soddisfano per caratteristiche le esigenze dell’ente. La Corte dei Conti infatti potrebbe decidere di vederci meglio e intervenire contestando la decisione.
Nell’interrogazione il consigliere chiede poi conto delle modalità di esecuzione della gara e dei successivi rinnovi. Spostando le lancette all’inizio della storia si va al 9 gennaio 2015, quando MM indice la gara per il noleggio a lungo termine per 84 mesi con termine per le offerte in data 23 febbraio. L’appalto viene aggiudicato all’unica concorrente, la Arval Service Lease Italia Spa per quasi sei milioni (5.990.796,00). In realtà Arval era già fornitore della controllata dal 2008 grazie a un appalto di 48 mesi poi prorogato di 28 mesi, “nonostante il capitolato prevedesse un massimo di 6 mesi” e sei ulteriori di proroga tecnica. Nel 2015 viene indetta la nuova gara ma si presenta ancora e solo Arval che ottiene di fatto la commessa per oltre 10 anni.
De Pasquale ritiene che possa ave inciso la “breve durata concessa per la presentazione dell’offerta” pari a 45 giorni, tra il 9 gennaio e il 23 febbraio 2015. Nell’appalto sono state noleggiate con ARVAL 45 Fiat Panda 1200 di cilindrata a benzina al canone mensile di 535,58, 38 Opel Combo 1300 diesel con canone mensile a seconda dell’allestimento che varia da 518,50 a  574,62 euro (Panda e Combo hanno una percorrenza annua compresa di 8000 km), mentre per furgoni più grossi i canoni come il Fiat Ducato 595,42 o per gli Opel Movano da 728,35.
Prezzi alti, altissimi, visto che nel 2017 MM – attraverso Consip con fornitore Lease Plan Spa – noleggia una trentina di Fiat Panda 1200 al canone mensile di 223,748 euro (con percorrenza di 15000 chilometri annui) e una Opel Mokka 1600 diesel 4×4 al canone mensile di € 336,964 e una durata contrattuale di 48 mesi. Ragion per cui De Pasquale parla di ipotesi si danno erariale per i canoni sopra riportati. “In sintesi una Panda 1200 benzina costa in 7 anni di noleggio 44.988,72 euro con una percorrenza annua di solo 8000 km, mentre adottando la proposta Consip i canoni sarebbero stati inferiori del 60% circa e avrebbero avuto una percorrenza annua quasi doppia, cioè di 15000 chilometri. Questa abnorme differenza applicata a ben 72 veicoli, avrebbe procurato un danno erariale per i 7 anni di quasi 1.900.000”. Ad MM tocca ora la risposta.

giovedì 4 aprile 2019

Auto blu, Consip smonta la polemica: ‘Auto di servizio a nolo e mezzi blindati per la sicurezza, anche di magistrati’. - Thomas Mackinson

Auto blu, Consip smonta la polemica: ‘Auto di servizio a nolo e mezzi blindati per la sicurezza, anche di magistrati’

Sotto accusa due gare per un valore di 168 milioni. Di Maio chiede chiarimenti, tutti all'attacco del governo. Ma la stessa Centrale acquisti esclude si tratti di mezzi destinati ai politici: nel primo caso sono veicoli operativi a noleggio per il trasporto ospedaliero, per la polizia locale. Nel secondo di mezzi blindati per le forze dell'ordine e per i magistrati.

Autoblu, il vicepremier Di Maio attacca lo “spreco”. Consip risponde che sono “auto grigie di servizio, a noleggio”, come quelle “per il trasporto dei farmaci, per la polizia municipale”. Di piccola e media cilindrata, “perlopiù Panda, Yaris” precisano dalla centrale acquisti dello Stato. Il secondo lotto poi? E’ per l’acquisto di auto blindate, “ad esempio quelle in uso a magistrati”.
E’ un giorno di altissima tensione sul filo governo-Consip. Tutto parte con un articolo sul Messaggero: “Shopping del governo: 8.280 auto blu e grigie per 168 milioni di euro”. L’infornata procederebbe da due gare Consip indette nei mesi scorsi e oramai chiuse, con importi da capogiro: il governo, accusa il giornale romano, sarebbe pronto a spendere 168 milioni di euro per acquistare 7900 auto grigie (120 milioni di spesa) e 380 auto blu (48,5 milioni). Il termine per le offerte è scaduto e nessuno ha detto niente
Il governo in realtà nulla sapeva, tanto che Luigi Di Maio viene colto di sorpresa e prende una posizione netta sul “caso”: “Avvierò subito un’indagine interna ai ministeri per capire se questi bandi si stanno avviando in automatico, il nostro obiettivo è ridurre le auto blu. E se sarà vero si bloccherà tutta sta roba qui”. E ora tocca capire se il caso esiste, perché la polemica divampa.
L’opposizione attacca: “Era il Governo che voleva abbattere la casta e oggi, dopo un anno nei palazzi e sulle poltrone, decide di acquistare 8.280 auto nuove, grigie e blu metallizzato. Di queste solo il 18,1% verranno destinate alle forze dell’ordine. E l’81,9% alla casta“. Così Francesco Giro, senatore di Fi. “Il governo che doveva tagliare i privilegi acquista 9 mila autoblu, spendendo 168 milioni euro. Di Maio, invece di scusarsi, che fa? Evoca una gelida manina” fa eco la vice Presidente del Gruppo Pd, Simona Malpezzi. Il Codacons annuncia esposti alla Corte dei Conti.
In serata arriva una nota di Consip, pubblicata anche sul sito. “Non è Consip ad acquistare o noleggiare ma sono le singole amministrazioni – in base ai loro fabbisogni – ad emettere gli ordini di acquisto verso i fornitori selezionati da Consip”. La gara di per sé non è un via libera generalizzato all’acquisto ma è un invito alle amministrazioni che intendessero rinnovare il parco mezzi ad avvalersi della fornitura oggetto della convenzione, che non piove dal cielo ma è figlia di una politica programmata degli acquisti funzionale all’economicità degli acquisti e a garantire le necessarie dotazioni. Lo si evince dagli stessi bandi che (non a caso) riportano in calce il numero progressivo di edizione (per i due specifici sono la 14 e la 3), secondo i fabbisogni emersi dalle ricognizioni. Ed ecco che arriva la vera sostanza: le auto blu non ci sono.
“Nel caso della convenzione “noleggio autoveicoli ed. 14”, si tratta di autovetture operative destinate ai servizi di base delle amministrazioni. Consip fa l’esempio delle Asl e delle vetture di trasporto farmaci, la Polizia municipale con le vetture di servizio stradale. A maggior ragione per la seconda gara: “nel caso della convenzione acquisto auto protette ed. 3”, di autovetture blindate destinate alla tutela di soggetti istituzionali nel caso di rischio di incolumità (es. magistratura sotto scorta)”. Infine un chiarimento sull’obiettivo delle gare e I risultati raggiunti: “Su tali tipologie di acquisto i risultati dell’azione Consip, valorizzando la aggregazione della domanda, si misurano in riduzioni di prezzo per le amministrazioni tra il 40-60%, in garanzia di qualità del prodotto/servizio e di attenzione all’ambiente. Dunque non spreco, ma risparmio.

venerdì 12 giugno 2015

Azzollini e il dirigente suicida: “Dal senatore pressioni per ostacolare i pm”. - Mario Portanova

Azzollini e il dirigente suicida: “Dal senatore pressioni per ostacolare i pm”

Il 12 marzo 2013 Enzo Tangari, responsabile del settore appalti del Comune di Molfetta, si lancia con la sua Panda nelle acque del porto. Una testimonianza agli atti dell'inchiesta corrobora il legame fra la tragedia e l'appalto per il faraonico nuovo scalo, che vede il presidente della commissione bilancio di Palazzo Madama indagato per truffa ai danni dello Stato.

Una Panda beige imbocca l’ingresso del porto a forte velocità, percorre il molo, alla curva tira dritto senza frenare. L’auto finisce in mare, proprio sotto il faro, dove ancora oggi si vede la banchina sbrecciata sul bordo. Così, alle 8 e mezzo del mattino del 12 marzo 2013, ha messo fine alla sua vita Enzo Tangari, 59 anni, moglie e tre figli, dirigente del Settore appalti del Comune di Molfetta, in provincia di Bari. Cinque mesi più tardi, il 7 ottobre, due persone finiranno in carcere e altre sessanta indagate nell’inchiesta della Procura di Trani sulla costruzione del nuovo porto, un affare da 70 milioni di euro per il quale, però, le casse pubbliche ne hanno già stanziati circa 170compreso l’ultimo fondo da dieci milioni garantito dalla legge di stabilità 2015.
E’ la vicenda che vede inquisito, tra gli altri, l’ex sindaco Antonio Azzollini (a sinistra nella foto)Ncd, presidente della Commissione bilancio del Senato, accusato di truffa ai danni dello Stato e altri reati. Un’inchiesta che ha travolto la macchina comunale e le società appaltatrici, guidate dalla coop rossa Cmc di Ravenna. Le manette sono scattate ai polsi di Vincenzo Balducci, dirigente comunale responsabile unico dell’appalto, e del procuratore speciale della Cmc, nonché direttore del cantiere, Giorgio Calderoni. Secondo l’accusa, l’amministrazione Azzollini ha dirottato ad altri scopi parte del fiume di denaro piovuto sulla città, riconoscendo per di più alle aziende appaltatrici “risarcimenti” milionari, contestati dai magistrati, per i ritardi nei lavori dovuti alla presenza di migliaia di ordigni bellici inesplosi sui fondali dell’erigendo nuovo porto. Il contestatissimo affare del porto è la pista principale imboccata dalla Procura di Trani sulla morte di Enzo Tangari. La pm Silvia Curione ha aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio, poi passata ad Antonio Savasta, uno dei titolari dell’indagine sul faraonico scalo a oggi incompiuto.
Quasi due anni dopo il volo di quella Panda nelle acque del porto di Molfetta, da palazzo di giustizia di Trani non si ha più alcuna notizia. Ma ilfattoquotidiano.it è in grado di rivelare una testimonianza, resa alla pm Curione il 25 settembre 2013 da un noto professionista della città, che corrobora il legame tra la morte del dirigente comunale e la gestione della grande opera voluta e gestita dal sindaco-senatore Azzollini. Il professionista racconta di essere stato ricevuto in Comune tre giorni prima della tragedia, perché aveva segnalato problemi di ordine pubblico nel centro storico. Il commissario straordinario Giacomo Barbato, subentrato al sindaco Azzollini che si era dimesso mesi prima per poter correre alle elezioni politiche del febbraio 2013, lo indirizza da Enzo Tangari. Mentre espone le proprie lamentele nell’ufficio di Tangari, il professionista sente delle urla provenienti dalla stanza del segretario comunale Michele Camero (anche lui poi risultato indagato). A gridare è Azzollini, che pur non essendo più il primo cittadino continua a frequentare assiduamente gli uffici comunali, dove è già cominciata l’aquisizione di documenti sull’appalto del nuovo porto da parte della Guardia di Finanza e della Guardia forestale (l’inchiesta della Procura di Trani era iniziata nel 2009) . “Mo’ viene pure da me”, è il commento rassegnato di Tangari. Sempre secondo la testimonianza del professionista, le sfuriate di Azzollini in quei giorni riguardano proprio gli atti relativi al porto, e sono rivolte a scoraggiare la collaborazione dei funzionari del municipio con gli inquirenti. All’ulteriore sorpresa manifestata dall’interlocutore, la risposta di Tangari è la più classica: “Tengo famiglia”. Tre giorni dopo, il tuffo mortale dal molo di Molfetta. Azzollini è tra i primi ad accorrere, con altri dipendenti comunali. E a quanto raccontano alcuni testimoni, vicino alle sbarre dell’ingresso del porto (quasi sempre aperte, come quella mattina) si lascia andare a una nuova sfuriata contro la magistrature e le sue inchieste.
Del resto il sindaco-senatore è noto in città e a Roma per i suoi scatti d’ira, gli sfoghi in dialetto molfettese, i fronteggiamenti a muso duro, a volte anche fisici, con gli avversari politici. Nel lungo elenco di accuse che la Procura di Trani gli rivolge in relazione all’affare del porto, ce ne sono due per violenza e minaccia. Nel primo caso, già prescritto secondo i pm, Azzollini avrebbe pressato Luigi Nicola Alcaro, ricercatore  dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la ricerca Ambientale) “abusando dei suoi poteri di presidente della commissione Bilancio del Senato”. Il problema è sempre quello della presenza degli ordigni bellici sul fondale, che di fatto impediscono il proseguimento dei lavori. In una riunione presso la Regione Puglia il 30 giugno 2008, racconta Alcaro ai pm, “Azzollini, con un atteggiamento intimidatorio, sollecitò l’avvio dei lavori di prospezione proprio partendo dal Porto di Molfetta. Ricordo che parlava in dialetto molfettese e non proferiva parole gentili, fondamentalmente inveiva contro la Regione Puglia dicendo che avrebbe fatto un casino in Senato“. Il tecnico Alcaro, peraltro, si dice certo che “il Comune di Molfetta, era sicuramente a conoscenza della smodata presenza di ordigni bellici nei fondali del realizzando Porto, in quanto nel 2005 aveva affidato lavori di prospezione dei fondali, propedeutici all’esecuzione dell’opera, alla ditta specializzata Lucatelli s.r.l.”. Le pressioni hanno effetto e l’esito della riunione è l’accelerazione del “risanamento”. Che però a oggi, oltre sei anni dopo, non è ancora ultimato.
La seconda accusa per violenza e minaccia riguarda invece le pressioni su Antonello Antonicelli, che da dirigente del servizio ecologia della Regione Puglia doveva rilasciare, nel 2010, l’autorizzazione ai primi lavori di dragaggio del fondale. Con Azzollini, dice Antonicelli ai pm, “tra il 2008 ed il 2009 ho avuto vari contrasti, taluni pure con toni accesi; in pratica il sindaco di Molfetta pretendeva che il mio ufficio desse una corsia preferenziale alla pratica del porto di Molfetta e io replicavo che la Regione doveva valutare una serie di interventi e valutare le priorità; in quell’occasione l’interlocuzione col sindaco, che aveva un fare impetuoso e spavaldo, fu molto accesa”. Il 30 maggio 2010 Azzollini si presenta a far valere le proprie “ragioni” nell’ufficio di Antonicelli con un seguito decisamente sproporzionato: una decina di persone del suo staff. Proprio di questo si parla in una delle intercettazioni telefoniche (quella del 4 maggio 2010) per cui il Senato, con il voto determinante del Pd, ha negato al gip di Trani l’autorizzazione all’utilizzo: “Ahhhhh! Porca troia, quello qualche volta gli devo dare due cazzotti … dammi il numero, scusa va …”, dice Azzollini a Balducci, il dirigente comunale poi arrestato.
Scorci del metodo Azzollini. Fatto sta che dal giorno in cui il professionista mette piede nella Procura di Trani per rendere la sua testimonianza sul suicidio di Enzo Tangari succedono “fatti molto strani, perché sia io che il testimone siamo stati oggetto di critiche velenose e, per quel che riguarda il teste, anche di aggressioni fisiche da parte di ‘fiancheggiatori’ dell’ex sindaco”. Lo scrive al procuratore della Repubblica Valeria Tangari, cugina di Enzo, in una lettera datata 15 gennaio 2014. Mentre la moglie del dirigente ha scelto il silenzio pubblico sulla vicenda, lei continua a sollecitare le indagini e a sottolineare i legami tra la vicenda di Enzo e l’appalto del porto. Cosa che nella piccola città pugliese non la rende esattamente popolare. Sempre nella lettera ai pm di Trani, Valeria segnala un’altra stranezza di questa storia. Il legale della moglie e dei figli del dirigente scomparso è lo stesso che difende l’ex sindaco Azzollini nel procedimento sul nuovo porto: l’avvocato Felice Petruzzellache secondo Valeria Tangari si è offerto spontaneamente di assistere la vedova e la famiglia subito dopo la morte di Enzo. Un doppio incarico “deontologicamente scorretto”, sostiene la cugina della vittima nella lettera. A ilfattoquotidiano.it, Valeria descrive Enzo come “un ragazzone d’oro”, che non aveva mai manifestato angosce personali tali da far pensare a un gesto del genere. Né si è mai saputo di un suo messaggio di addio che ne spiegasse le ragioni. Al vertice dell’Ufficio appalti era stato chiamato proprio da Azzollini, che prima di lasciare la poltrona cittadina per correre verso Roma aveva rinnovato per cinque anni il suo incarico e quello degli altri dirigenti del “cerchio magico” comunale, a cominciare dal solito Balducci.
Certo è che il nome di Enzo Tangari ricorre nelle carte dell’inchiesta, e in corrispondenza dei nodi più delicati. Come dirigente del settore Appalti, Tangari firma i documenti chiave dell’affare. Ma, precisano i pm, è “tratto in errore” da Balducci. Il 16 ottobre 2006 appone il via libera al bando discilplinare di gara, che secondo l’accusa contiene già una violazione di legge. In Comune, affermano i pm, tutti sapevano benissimo che il fondale del futuro porto era cosparso di residuati bellici, e che quindi sarebbe stato impossibile realizzare i lavori, affidati al massimo ribasso all’associazione di imprese guidata da Cmc per oltre 57 milioni di euro (destinati a lievitare negli anni senza che a oggi il porto abbia visto la luce). “Nella determina non si fa alcun riferimento al fatto che le aree non erano in parte disponibili”, notano i pm, “perché il Comune aveva deciso di procedere autonomamente, previo reperimento di altro finanziamento, alla bonifica dei fondali da ordigni residuati bellici e, di conseguenza, i lavori di dragaggio dei fondali previsti nel progetto non potevano avere inizio”. Cosa peraltro segnalata il 2 gennaio, dieci mesi prima, dalla ditta incaricata della bonifica, che comunicava “notevoli difficoltà” sul punto. Tangari, inoltre, è membro della Commissione di gara, insieme a Balducci. Anche questa, per l’accusa, viziata da irregolarità.
Che cosa abbia spinto davvero Enzo Tangari a togliersi la vita, e quanto abbiano pesato le pressioni e le preoccupazioni legate ala storia nera del faraonico progetto del porto di Molfetta,  lo svelerà forse l’inchiesta dei magistrati di Trani. Tangari, ha affemato il Procuratore capo Carlo Maria Capristo nella conferenza stampa dopo gli arresti del 7 ottobre 2013, è morto “in circostanze molto poco chiare”. Gli inquirenti, ha promesso dunque il magistrato, faranno di tutto per capire “perché questo funzionario così corretto abbia deciso di farla finita, e in quel modo. Buttandosi proprio nel porto”. 
(Ha collaborato Mary Tota)

giovedì 20 dicembre 2012

Dalla Camera a Palazzo Chigi, gli appalti pubblici della Casta col segreto di Stato. - Thomas Mackinson


Camera dei deputati


Il tutto grazie anche a un codicillo che il governo Berlusconi ha inserito nella finanziaria due anni fa che amplia l’ambito della secretazione della normativa e rimette le autorizzazioni in capo ai dirigenti ministeriali. In pratica ogni burocrate romano di peso può decidere di affidare personalmente un maxi-appalto senza gara.

C’è un pezzo di casta che col pretesto della ‘massima sicurezza‘ si rifà bagno e salotto, lontano da occhi indiscreti. Tra gli appalti coperti da segreto di Statosenza Iva e a chiamata diretta non pubblicizzata, non c’è solo il rifacimento dell’aula bunker di Poggioreale. Ci sono anche l’aula dei gruppi parlamentari della Camera, il rifacimento della biblioteca di Palazzo Chigi, la riqualificazione della sala benessere e la ristrutturazione dei bagni per le scorte del Viminale. C’è perfino il rifacimento del bar e della sala ristoro per autisti del governo. Il tutto grazie anche a un codicillo che il governo Berlusconi ha inserito nella finanziaria due anni fa che amplia l’ambito della secretazione della normativa sugli appalti pubblici (d.lgs. 163/2006) e rimette le autorizzazioni in capo ai dirigenti ministeriali. In pratica ogni burocrate romano di peso può decidere di affidare personalmente un maxi-appalto a imprese di sua fiducia, evitando la gara e tenendo riservata l’esistenza stessa di un contratto, non dovendo pubblicizzare contenuti e condizioni, importi e aziende beneficiare. Praterie per chi volesse approfittarne, un colpo al cuore ai principi di legalità e trasparenza.
Da allora la corsa ai contratti “classificati” non si è più fermata, il loro numero è esploso arrivando a un valore di 200-250milioni di euro l’anno. Ogni ministero ne fa man bassa, in testa la Presidenza del Consiglio per la quale, scrive la Corte dei Conti, “la denominazione stessa degli appalti è inconoscibile”. Si sa però che ha fatto ricorso alla secretazione per restaurare l’aula dei Gruppi parlamentari in via Campo Marzio. Un “regalo” che la Camera si concede per i 150 anni dell’unità d’Italia, a carico dei contribuenti per 14 milioni di euro. La nuova aula, inaugurata il 16 giugno 2011, sarà un gioiello di tecnologia con 286 postazioni attrezzate con i più avanzati impianti per il voto, una sala regia per le riprese, postazioni per interpreti e traduttori. Il punto però è la scarsa trasparenza che accompagna il rifacimento di questo (e altri) luoghi-simbolo della Repubblica e del potere.
I costi che aumentanoNella cerimonia di riapertura il presidente della Camera Gianfranco Fini spiegava che la nuova aula “dovrà favorire una maggiore apertura delle istituzioni ai cittadini accrescendo la trasparenza e le visibilità dell’attività parlamentare”. Un manifesto dei buoni propositi piantato nella sabbia,  perché una parte dei lavori per l’auletta in questione – importo 1,3 milioni di euro – era stato secretato. Chi lo ha vinto e perché, non è dato sapere mentre si saprà l’importo finale dei lavori per 14 milioni di euro. Il governo ha usato la stessa procedura per ristrutturare la “biblioteca chigiana” realizzata dall’architetto Contini e perfino il bar e il punto ristoro della sala autisti della Presidenza del Consiglio. E non è l’unico, il Viminale ha fatto ricorso ad appalti classificati per rifare i bagni e la sala benessere del reparto scorte a Villa Tevere. Guai, insomma, a ficcare il naso nel bagno degli autisti. Ma che ci sarà poi di così segreto? Forse il fatto che l’appalto che inizialmente doveva costare 284mila euro alla fine è stato aggiudicato per 406.315, nonostante un ribasso dichiarato del 20%.
Sulla secretazione aleggia da tempo un sospetto: che abbia poco a che fare con la sicurezza dello Stato e molto con la possibilità di liberare la committenza pubblica dai lacci delle norme e dai controlli. La Corte dei Conti, del resto, rileva un’anomala lievitazione dei costi “frutto di perizie di variante, quasi sempre in aumento, che inducono a considerazioni negative in ordine alla corretta individuazione dei fattori di costo”. Si dirà che è tipico dei contratti pubblici. Ma la secretazione amplia i margini di manovra in fase d’assegnazione e riduce le informazioni disponibili in fase di controllo: per i magistrati contabili “permangono criticità sulla possibilità di conoscere in maniera precisa le dimensioni del fenomeno e l’utilizzazione degli strumenti di segretazione nei casi strettamente necessari”. Spesso l’aumento degli importi finali è superiore al massimo consentito del 5%. E non sono bruscolini.
Carceri e Finanza
Nel 2005, ad esempio, parte la mega ristrutturazione del Comando provinciale della Gdf di Como, lavori per 11,8 milioni di euro. L’impresa che ha vinto l’appalto, ovviamente schermata, fa rilevare che “a seguito di prove geotecniche è indispensabile procedere a nuovi interventi di sistemazione delle fondazioni” e scatta una commessa aggiuntiva per 1,5 milioni. Tutto corretto? Impossibile saperlo, il Comando Generale dal 2003 ha blindato ogni lavoro al suo interno, ricorrendo alla secretazione. E ancora. Nel 2010 il provveditorato ai Lavori Pubblici dell’Emilia Romagna assegna un appalto classificato per il “ricovero attrezzi agricoli e laboratorio per il miele” nella casa circondariale di Modena. Nel 2011 ne stipula un secondo per “sopraggiunte necessità di adeguamento funzionale” al primo progetto. L’importo lievita di 50mila euro, il conto finale sarà di 428mila euro. Congruo, non congruo? Impossibile dirlo, la pratica è secretata trattandosi di un carcere. Peccato che – fa rilevare la Corte dei Conti – nella documentazione trasmessa non ci sia traccia del verbale di lecitazione e “nel decreto di approvazione si parli genericamente di requisiti di idoneità della ditta aggiudicatrice”. Di più non si sa. È un segreto di Stato.