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martedì 11 gennaio 2022

L’ambivalenza di raffinato stampo diccì. -- Antonio Padellaro

 

Naturalmente, la “postilla” di Mario Draghi “non risponderò a domande sul Quirinale”, riguardo cioè all’argomento più atteso dai giornalisti convenuti in conferenza stampa, come tutti i silenzi programmatici rappresenta di per sé una risposta possibile, o forse anche tre.

1. Il muro innalzato su un possibile trasloco da Palazzo Chigi al Quirinale confermerebbe la controversa battuta sul “nonno” a disposizione delle istituzioni pronunciata nell’incontro con la stampa del 22 dicembre. Quindi, sì, Draghi si sente ancora in corsa e proprio per questo sposa la linea del mutismo per non accendere nuovi fuochi nella sua stessa maggioranza. Quieta non movere, gli avrebbe suggerito il suo insegnante di latino all’Istituto Massimo.

2. E invece no, perché Draghi ha ben compreso che dovrà restare a Palazzo Chigi e ha già accantonato nel suo intimo l’ipotesi Quirinale. Infatti, la somma dei problemi illustrati – dall’emergenza sanitaria alle conseguenze prevedibili e imprevedibili connesse alla riapertura delle scuole in presenza – è tale che perfino alludere a una sua nonnesca disponibilità avrebbe costituito dinamite pura per il governo di unità nazionale. Tanto più che la frase chiave è: “Se c’è voglia di lavorare insieme, il governo va avanti bene”. E dunque si andrà avanti.

3. In realtà, Draghi, a due settimane dalla corsa per il Colle vuole lasciarsi tutte le strade aperte. E trasferisce la patata bollente nella mani dei partiti. Spetta a loro decidere se e come giocare la carta Draghi e lo faranno non potendosi aggrappare a un no ma neppure a un sì del presidente del Consiglio. Una mossa ambivalente di raffinato stampo democristiano anche se il premier ha chiuso con una seconda postilla sicuramente non ascrivibile ad ammiccamenti e furbizie. È stato quando ha definito un “atto riparatorio” la conferenza stampa di ieri, convocata, ha ammesso, dopo le critiche sollevate per il suo pesante silenzio (le sera del Consiglio dei ministri dedicato all’obbligo vaccinale) che ha definito “sottovalutazione delle attese”. Non ricordiamo precedenti del genere.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/11/lambivalenza-di-raffinato-stampo-dicci/6451661/?fbclid=IwAR0BUPidoo32czyuVewok988kq1IE3Ijlroy3ZmmBaDECQh2zXHoBop5PUg

domenica 14 febbraio 2021

Conte e l’uscita tra gli applausi. «Ma il mio impegno continua.» - Monica Guerzoni

 

L’ovazione dei dipendenti e la compagna al suo fianco. E lui annuncia un «percorso» per la «buona politica». «Torno a vestire i panni di semplice cittadino»

Entrato a Palazzo Chigi da perfetto sconosciuto o quasi, il primo giugno del 2018, l’avvocato Giuseppe Conte ne esce due anni e otto mesi dopo, salutato dagli applausi dei dipendenti, dalle lacrime del portavoce Rocco Casalino e dall’omaggio di una piccola folla che grida il suo nome in piazza Colonna.
Uscita di scena «da galantuomo» lo rimpiange il dem Goffredo Bettini, grande mediatore del mai nato governo Conte ter. La scena è di quelle che fanno felici i fotografi. Il premier che guidò un governo di centrodestra e uno di centrosinistra lascia il palazzo all’ora di pranzo, dopo aver consegnato la campanella a Mario Draghi con garbo istituzionale e sorriso di circostanza. Ultimo giro sul tappeto rosso, picchetto d’onore, poi Conte alza il braccio destro al cielo mentre la mano sinistra cerca quella della biondissima compagna Olivia Paladino. L’ormai ex premier alza gli occhi verso i dipendenti di Palazzo Chigi che lo acclamano da un minuto, mima un bacio con la mano sulla mascherina bianca, quindi sventola gli indici come per dire «ciao». Amareggiato? «Mai rammarichi, bisogna guardare sempre avanti — confiderà a Fanpage.it —. È stata una grande esperienza, spero di essermi migliorato anche come persona».

Quasi un appello agli elettori.

Che sia un arrivederci lo scrive nero su bianco nell’ultimo post su Facebook, dove ha accumulato tre milioni e 600 mila seguaci. Il messaggio è tutto rivolto agli italiani, che Conte ringrazia per «la forza e il coraggio» mostrati nella pandemia, per «il sostegno e l’affetto» che ha sentito su di sé e anche per le critiche. E ai quali promette con una certa enfasi che la sua carriera politica non è finita: «La chiusura di un capitolo non ci impedisce di riempire fino in fondo le pagine della storia che vogliamo scrivere. Con l’Italia, per l’Italia. Grazie».
Così si chiude il post e così, è l’auspicio del giurista pugliese nato a Volturara Appula l’8 agosto del 1964, si riaprirà appena possibile la sua esperienza politica: «Un percorso a misura d’uomo, volto a rafforzare l’equità, la solidarietà, la piena sostenibilità ambientale». Quasi un appello agli elettori perché ciascuno, quando sarà il momento, «partecipi attivamente alla vita politica» del Paese e si impegni a «distinguere la buona Politica, quella con la P maiuscola, dalla cattiva politica», che serve solo «ad assicurare la sopravvivenza di chi ne fa mestiere di vita».
E qui qualcuno potrebbe leggerci una frecciata a Matteo Renzi, che ha innescato la crisi e la caduta del suo secondo governo.


https://www.corriere.it/politica/21_febbraio_13/uscita-conte-gli-applausi-ma-mio-impegno-continua-26ae3476-6e43-11eb-a923-8177dd174962.shtml

Conte lascia palazzo Chigi tra gli applausi. Casalino in lacrime.


I dipendenti della presidenza del Consiglio, affacciati alle finestre, hanno omaggiato Conte con un lungo applauso.

Dopo il passaggio della campanella che segna l'insediamento del nuovo governo a Palazzo Chigi, l'ormai ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte si congeda dalla sede di governo con il saluto del picchetto militare dei Granatieri di Sardegna. Conte, visibilmente commosso, al termine degli onori militari nel cortile di palazzo Chigi, chiama vicino a se' la compagna Olivia Paladino. Dalle finestre del palazzo si affacciano decine di dipendenti che gli riservano un lungo applauso, al quale Conte risponde con un caloroso saluto. In strada un gruppo di sostenitori  grida slogan in favore dell'ex premier. 

Si commuove anche Rocco Casalino. Il  portavoce di Conte, mascherina bianca sul volto, non trattiene le lacrime. Qualche fotografo cattura l'immagine, che  ora sta rimbalzando sui social. 

https://www.rainews.it/dl/rainews/media/Conte-lascia-palazzo-Chigi-tra-gli-applausi-con-la-compagna-casalino-in-lacrime-4f103d4f-044b-4201-8dc1-a39ff3991fb5.html#foto-1

giovedì 9 gennaio 2014

Anche con Enrico Letta Palazzo Chigi paga affitti d’oro: 13,4 milioni di euro nel 2013. - Carlo Tecce

Anche con Enrico Letta Palazzo Chigi paga affitti d’oro: 13,4 milioni di euro nel 2013


Lo Stato ha un patrimonio immenso di caserme, capannoni, palazzoni, allora perché Palazzo Chigi, l’essenza statale e politica, spende 13,4 milioni di euro l’anno in “locazioni di vario genere”? Ai calcoli, la giusta sentenza: le stagioni dei tecnici e lettiani, ultimo triennio, fanno risparmiare quasi 6 milioni di euro.

Giulio Tremonti e pure Silvio Berlusconi: “Vendiamo gli immobili pubblici”. Mario Monti e la truppa di ministri con il loden: “Vendiamo gli immobili pubblici”. Enrico Letta e i collaboratori di larghe intese: “Vendiamo gli immobili pubblici”. Non va buttato il tempo per notare le differenze: non ci sono. Vendere per fare cassa, non fa difetto il buon proposito, però affittare perché?
Lo Stato ha un patrimonio immenso di caserme, capannoni, palazzoni, allora perché Palazzo Chigi, l’essenza statale e politica, spende 13,4 milioni di euro l’anno in “locazioni di vario genere”? Ai calcoli, la giusta sentenza: le stagioni dei tecnici e lettiani, ultimo triennio, fanno risparmiare quasi 6 milioni di euro.
La crescita, esponenziale e incontrollata, l’aveva provocata il Cavaliere: 2011, a ogni sottosegretario veniva affidato un appartamento di lusso. Esempio: Daniela Santanchè, Attuazione del programma, occupava un panoramico ufficio in piazza di Montecitorio. Il governo di Berlusconi sforava con leggerezza i 20 milioni di euro. Più di un terzo degli odierni 13,4 milioni di euro sono per la Protezione civile: via Vitorchiano di proprietà di Roberto Amodei e famiglia (editori del Corriere dello Sport), un cubo di cemento e vetrate, in zona a rischio allagamenti, costa 4,454 milioni di euro. I mezzi sono adagiati in via Affile; scrutato un groviglio di numerose società, s’arriva a banca Bnl: vale 1,219 milioni di euro.
Va segnalato che il professor Mario Monti, che pure aveva ridotto di parecchio la spesa in locazioni, ha stipulato un contratto da 1,6 milioni di euro con Unicredit per palazzo Verospi, storico e centrale, via del Corso. Propri lì, fra affreschi e capitelli, il sottosegretario Giovanni Legnini (editoria) riceve, e le foto lo testimoniano, illustri ospiti e delegazioni.
In via dell’Umiltà, non lontano dall’ex sede dei berlusconiani, il governo ospita la stampa estera: 1,8 milioni di euro, considerati troppi dai dirigenti governativi. Il segretario generale di Chigi, sfruttando l’articolo di legge inserito con fatica nel Milleproroghe contro gli affitti d’oro, vuole disdire gli accordi pluriannuali per via della Vite e via dei Laterani: una limatura da 870.000 euro. E grazie a quel comma che il Movimento Cinque Stelle ha proposto e il Partito democratico ha compreso con ritardo, Palazzo Chigi vorrebbe ridiscutere le tariffe per (almeno) tre palazzi. Anche i 310.000 euro per il parcheggio di Pozzo Pantaleo potrebbe traslocare altrove (e gratis) scegliendo una nuova e vicina destinazione fra le infinite proprietà dello Stato: Palazzo Chigi vuole comprare dal demanio militare. Disperso fra la lista d’acquisti per caffè, acqua minerale effervescente o naturale e tende con ricami, mister spending review Cottarelli ancora non ha toccato la pratica immobili di Chigi (o dei ministeri).
Dai 20 milioni di Berlusconi ai 13,4 milioni di Letta, che l’anno prossimo saranno 12: lo spreco diminuisce, però resta. Così non sarà credibile per un presidente del Consiglio, affiancato con seriosità dal ministro di turno, far notare che “il patrimonio pubblico è troppo, inutilizzato e va dismesso”. Non s’è mai visto un ricco immobiliarista che prende qua e là palazzi in affitto.

giovedì 20 dicembre 2012

Dalla Camera a Palazzo Chigi, gli appalti pubblici della Casta col segreto di Stato. - Thomas Mackinson


Camera dei deputati


Il tutto grazie anche a un codicillo che il governo Berlusconi ha inserito nella finanziaria due anni fa che amplia l’ambito della secretazione della normativa e rimette le autorizzazioni in capo ai dirigenti ministeriali. In pratica ogni burocrate romano di peso può decidere di affidare personalmente un maxi-appalto senza gara.

C’è un pezzo di casta che col pretesto della ‘massima sicurezza‘ si rifà bagno e salotto, lontano da occhi indiscreti. Tra gli appalti coperti da segreto di Statosenza Iva e a chiamata diretta non pubblicizzata, non c’è solo il rifacimento dell’aula bunker di Poggioreale. Ci sono anche l’aula dei gruppi parlamentari della Camera, il rifacimento della biblioteca di Palazzo Chigi, la riqualificazione della sala benessere e la ristrutturazione dei bagni per le scorte del Viminale. C’è perfino il rifacimento del bar e della sala ristoro per autisti del governo. Il tutto grazie anche a un codicillo che il governo Berlusconi ha inserito nella finanziaria due anni fa che amplia l’ambito della secretazione della normativa sugli appalti pubblici (d.lgs. 163/2006) e rimette le autorizzazioni in capo ai dirigenti ministeriali. In pratica ogni burocrate romano di peso può decidere di affidare personalmente un maxi-appalto a imprese di sua fiducia, evitando la gara e tenendo riservata l’esistenza stessa di un contratto, non dovendo pubblicizzare contenuti e condizioni, importi e aziende beneficiare. Praterie per chi volesse approfittarne, un colpo al cuore ai principi di legalità e trasparenza.
Da allora la corsa ai contratti “classificati” non si è più fermata, il loro numero è esploso arrivando a un valore di 200-250milioni di euro l’anno. Ogni ministero ne fa man bassa, in testa la Presidenza del Consiglio per la quale, scrive la Corte dei Conti, “la denominazione stessa degli appalti è inconoscibile”. Si sa però che ha fatto ricorso alla secretazione per restaurare l’aula dei Gruppi parlamentari in via Campo Marzio. Un “regalo” che la Camera si concede per i 150 anni dell’unità d’Italia, a carico dei contribuenti per 14 milioni di euro. La nuova aula, inaugurata il 16 giugno 2011, sarà un gioiello di tecnologia con 286 postazioni attrezzate con i più avanzati impianti per il voto, una sala regia per le riprese, postazioni per interpreti e traduttori. Il punto però è la scarsa trasparenza che accompagna il rifacimento di questo (e altri) luoghi-simbolo della Repubblica e del potere.
I costi che aumentanoNella cerimonia di riapertura il presidente della Camera Gianfranco Fini spiegava che la nuova aula “dovrà favorire una maggiore apertura delle istituzioni ai cittadini accrescendo la trasparenza e le visibilità dell’attività parlamentare”. Un manifesto dei buoni propositi piantato nella sabbia,  perché una parte dei lavori per l’auletta in questione – importo 1,3 milioni di euro – era stato secretato. Chi lo ha vinto e perché, non è dato sapere mentre si saprà l’importo finale dei lavori per 14 milioni di euro. Il governo ha usato la stessa procedura per ristrutturare la “biblioteca chigiana” realizzata dall’architetto Contini e perfino il bar e il punto ristoro della sala autisti della Presidenza del Consiglio. E non è l’unico, il Viminale ha fatto ricorso ad appalti classificati per rifare i bagni e la sala benessere del reparto scorte a Villa Tevere. Guai, insomma, a ficcare il naso nel bagno degli autisti. Ma che ci sarà poi di così segreto? Forse il fatto che l’appalto che inizialmente doveva costare 284mila euro alla fine è stato aggiudicato per 406.315, nonostante un ribasso dichiarato del 20%.
Sulla secretazione aleggia da tempo un sospetto: che abbia poco a che fare con la sicurezza dello Stato e molto con la possibilità di liberare la committenza pubblica dai lacci delle norme e dai controlli. La Corte dei Conti, del resto, rileva un’anomala lievitazione dei costi “frutto di perizie di variante, quasi sempre in aumento, che inducono a considerazioni negative in ordine alla corretta individuazione dei fattori di costo”. Si dirà che è tipico dei contratti pubblici. Ma la secretazione amplia i margini di manovra in fase d’assegnazione e riduce le informazioni disponibili in fase di controllo: per i magistrati contabili “permangono criticità sulla possibilità di conoscere in maniera precisa le dimensioni del fenomeno e l’utilizzazione degli strumenti di segretazione nei casi strettamente necessari”. Spesso l’aumento degli importi finali è superiore al massimo consentito del 5%. E non sono bruscolini.
Carceri e Finanza
Nel 2005, ad esempio, parte la mega ristrutturazione del Comando provinciale della Gdf di Como, lavori per 11,8 milioni di euro. L’impresa che ha vinto l’appalto, ovviamente schermata, fa rilevare che “a seguito di prove geotecniche è indispensabile procedere a nuovi interventi di sistemazione delle fondazioni” e scatta una commessa aggiuntiva per 1,5 milioni. Tutto corretto? Impossibile saperlo, il Comando Generale dal 2003 ha blindato ogni lavoro al suo interno, ricorrendo alla secretazione. E ancora. Nel 2010 il provveditorato ai Lavori Pubblici dell’Emilia Romagna assegna un appalto classificato per il “ricovero attrezzi agricoli e laboratorio per il miele” nella casa circondariale di Modena. Nel 2011 ne stipula un secondo per “sopraggiunte necessità di adeguamento funzionale” al primo progetto. L’importo lievita di 50mila euro, il conto finale sarà di 428mila euro. Congruo, non congruo? Impossibile dirlo, la pratica è secretata trattandosi di un carcere. Peccato che – fa rilevare la Corte dei Conti – nella documentazione trasmessa non ci sia traccia del verbale di lecitazione e “nel decreto di approvazione si parli genericamente di requisiti di idoneità della ditta aggiudicatrice”. Di più non si sa. È un segreto di Stato.

domenica 18 novembre 2012

Il Governo si promuove: “Senza queste politiche non ci sarebbe più l’Eurozona”.


Mario Monti


La nota di Palazzo Chigi: "Si sarebbe dovuto fare di più in favore delle classi più disagiate, ma si è cercato di mettere in sicurezza i conti pubblici". E ancora: "Non sono state fatte promesse: solo un consapevole senso della realtà può dare fiducia per l'avvenire". Ma a supporto del lavoro fatto, un'analisi economica evidenzia il "successo" di riforma pensioni, redditometro e direttiva sui pagamenti, tralasciando i nodi esodati, debiti della pa e accordo Italia-Svizzera.

Niente promesse né illusioni. Sono stati messi in sicurezza i conti, anche se si poteva fare di più per le classi più disagiate. Certo, l’Italia ha guadagnato molto in termini di credibilità internazionale. E con un’Italia meno debole ne ha guadagnato anche l’Europa: “Senza le nostre politiche non ci sarebbe più l’Eurozona“. A un anno dal suo insediamento il professor Monti promuove il presidente del Consiglio Monti. Palazzo Chigi con una lunga nota (“Un anno dopo: il governo, l’Italia, i cittadini – Appunti di viaggio”) fa il bilancio della propria attività, fondata su cinque parole che ridisegnano la nuova Italia: credibilità, coesione, responsabilità, legalità e visione. “In un anno l’Italia ha intrapreso profonde trasformazioni. Questo esecutivo è nato sull’onda dell’emergenza, trovandosi di fronte ad un bivio drammatico: lasciare affondare il Paese o sforzarsi di uscire dalla palude” si legge. 
Secondo Monti gli effetti positivi delle politiche del governo tecnico si sono riverberati non solo sulla tenuta dell’Italia, ma anche sul resto della comunità europea. “Forse oggi, senza le politiche di rigore messe in atto dall’esecutivo non ci sarebbe più l’Eurozona – si legge – O sarebbe notevolmente ristretta come dimensione geografica, senza quello che l’Italia, con uno sforzo collettivo di cui non si ricordano molti precedenti nella storia repubblicana, è riuscita a compiere”. Il riferimento è a quella “strana maggioranza” di PdlPdFli e Udc: “Certamente sarebbe stato necessario fare di più, e forse alcuni errori sono stati commessi, ma l’impianto delle riforme necessario ad uscire dalla fase di emergenza è stato condiviso dalla ‘strana maggioranza’ che ha appoggiato l’esecutivo”.
Qualche rammarico il governo ce l’ha: “Molto di più si sarebbe dovuto fare in favore delle classi più disagiate del Paese, soprattutto per sostenere le famiglie che con il loro welfare sono il vero tessuto produttivo grazie al quale l’Italia non ha subito un contraccolpo negativo come, ad esempio, è successo negli Stati Uniti” si legge nell’introduzione della lunga nota di Palazzo Chigi. Ma “il governo ha cercato di mettere in sicurezza i propri conti pubblici, come richiesto dall’Europa e dalla Banca Centrale Europea, al fine di preservare non solo i diritti acquisiti, ma anche quelli ancora da acquisire dalle generazioni future. Lo ha fatto con una riforma delle pensioni che viene indicata a livello internazionale come un modello da seguire e con quella del mercato del lavoro che ambisce a creare un contesto più inclusivo e dinamico, atto a superare le segmentazioni che tendono a escludere o marginalizzare i giovani”.
Ma Palazzo Chigi parla con toni chiari anche più avanti: “Il governo ha cercato di rappresentare la realtà ai cittadini spiegando senza contraffazioni e con un linguaggio di verità la situazione e i rimedi adottati. Non sono state fatte promesse, né alimentate illusioni. Al contrario sono stati richiesti sacrifici, anche pesanti. Ma questi sono stati recepiti proprio per il momento drammatico che l’Italia ha attraversato. Solo un consapevole e trasparente senso della realtà può dare speranza e fiducia per l’avvenire”. 
Infine un ultimo riferimento alla politica, sotto il profilo dell’etica. ”Il governo inoltre è voluto intervenire anche sul tema dei costi della politica, attraverso un decreto legge sulla trasparenza e sulla riduzione dei costi degli apparati politici regionali. Una misura fortemente invocata dagli stessi presidenti delle Regioni e soprattutto dai cittadini che, dopo gli scandali delle ultime settimane, non comprendono come a loro si richiedano sacrifici, spesso anche pesanti, mentre il mondo della politica sembra non essere toccato dal tema della responsabilità di fronte ad una delle più difficili crisi economiche degli ultimi anni. Per questo il governo ha spinto molto sulla necessità di un ritorno all’etica della politica, una pratica che andrebbe sempre coltivata, ricordando il fine ultimo per il quale un cittadino delega un suo rappresentante in un organo pubblico”.
Dopo un anno, insomma, l’Italia è “saldamente sulla via del cambiamento, di certo è un’Italia che adesso può guardare con più fiducia verso il suo futuro. Un futuro che sarà prospero se si continuerà sulla strada intrapresa, senza disperdere il lavoro che è stato compiuto fino ad oggi. Un lavoro che passa attraverso cinque parole che ridisegnano la nuova Italia: credibilità, coesione, responsabilità, legalità e visione”.
L’ANALISI ECONOMICA. Parole che nelle intenzioni di Palazzo Chigi sono rafforzate da un’analisi economica relegata in un capitolo a sé e redatta rigorosamente in inglese. All’interno della quale sono elencati schematicamente i provvedimenti dell’ultimo anno che secondo il governo costituiscono i maggiori goal segnati dai tecnici. A partire dalla riforma delle pensioni che, si legge nella slide dedicata alla sostenibilità delle finanze pubbliche, ha il merito di aver portato “importanti risparmi” stimati in 7,6 miliardi nel 2014 e destinati a salire a 22 miliardi nel 2020. Nessun accenno, però, al rovescio della medaglia, il nodo esodati e i relativi costi sociali ed economici. Forse perché le cifre in gioco a distanza di un anno non sono ancora chiare, anche se gli ultimi conteggi parlano di un costo pubblico di quasi 10 miliardi di euro per tutelare 130mila esodati, numero, quest’ultimo, che non esaurisce la platea.
Altri esempi non mancano. Tra gli altri obiettivi raggiunti in economia vantati dal governo, c’è infatti anche “la riduzione dei ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese”. Il riferimento è al recepimento di pochi giorni fa della direttiva Ue che sanziona pesantemente chi paga oltre i 30 giorni di ritardo. Peccato che i vari ministri del governo tecnico abbiano promesso per un anno un recepimento anticipato rispetto alla scadenza di marzo 2013, salvo poi agire sul filo di lana con il termine obbligatorio. Quanto ai pagamenti arretrati, ben poco è arrivato rispetto ai circa 100 miliardi di debiti accumulati dallo Stato nei confronti delle imprese che per lui hanno lavorato. Considerazioni analoghe si potrebbero fare, infine, per la vantata lotta all’evasione grazie all’arrivo del redditometro (anche qui un anno di ritardo e nessun aggiornamento sull’accordo Italia-Svizzera per tassare i capitali italiani depositati nei forzieri elvetici).


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ULTIM'ORA: CONTESTATO MONTI ALLA BOCCONI

Contestazione persino al Divino Monti, tanto hanno osato questo choosy degli studenti. I tafferugli sono scoppiati proprio di fronte all'università Bocconi, dove Monti presentava due suoi volumi, da
pprima contestazioni verbali e poi lancio di petardi e uova di vernice da parte di un centinaio di studenti. Le forze dell'ordine, in tenuta antisommossa, hanno caricato, a colpi di manganello, i manifestanti i quali hanno risposto con petardi e fumogeni. Ferito in modo lieve un agente della squadra mobile, aggredito un cameraman di La7 che stava filmando il corteo di protesta.
Tra i cartelli più significativi: Basta austerity, soldi subito; Monti a casa, Milano non ti vuole, Un anno di Monti, austerity, precarietà e manganellate. Auguri».
L'ateneo era blindato dalle forze dell'ordine proprio per le contestazioni. L'intera zona attorno all'ateneo è blindata e tutto il quartiere viene monitorato da elicotteri della polizia.
M.F.